1

Anche buone notizie dalle periferie

L’architetta del film: «In periferia serve una Cortellesi»
29 novembre 2014
Autore:Marco Demarco (da roma.corriere.it)

guendalina salimeiProtagonista Guendalina Salimei, archistar e docente alla Sapienza, interpretata dall’attrice nel film «Scusate se esisto» Va spesso all’estero e non soffre di nostalgia. Quando è a Parigi, Bratislava o Hanoi non le manca l’aria di casa, non compensa annusando foglie di basilico. E a…

Read more »

Calciosociale all’ombra del Serpentone: Corviale riparte da qui
29 novembre 2014
Autore:VALENTINA BERDOZZI, CAMILLA ROMANA BRUNO E EUGENIO MURRALI (da vocidiroma.it)

Immagine1-300x200Per anni simbolo di degrado, oggi il quartiere offre ai ragazzi uno spazio dedicato allo sport e alla legalita’  a Corviale il verde è davvero il colore della speranza. Sono le 17 e sul prato del campo sociale si accendono i riflettori della possibilità….

Read more »

MA BUONE NOTIZIE DALLE PERIFERIE NON VENGONO SOLO DA CORVIALE :

Apre “L’Alveare”, il coworking con uno spazio baby dedicato ai neo genitori
28 settembre 2014
Autore: Redazione

scambioApre a Centocelle, in via Fontechiari 35, “L’Alveare”, un ambiente di circa 200 mq per il lavoro in condivisione che mira a migliorare la qualità della vita di neo-mamme e neo-papà, fornendo loro un servizio che permetta di continuare a lavorare subito dopo la nascita dei figli grazie alla presenza attigua all’ambiente di lavoro…

Read more »

A Villa Certosa i Venerdì Culturali da Chourmo
30 ottobre 2014
Autore:Alfonso Pascale

chourmo2A ridosso di Tor Pignattara c’è Villa Certosa, un quartiere di Roma che prende il nome dai monaci certosini, insediatisi nell’antica villa romana tra il ‘700 e l’800. Qui all’incrocio tra via Alessi e via dei Savorgnan c’è Chourmo, un’accogliente e graziosa enoteca diventata un luogo d’incontro per le attività più svariate. Dalle riunioni…

Read more »

Anche per discutere di tutte queste buone pratiche delle periferie ci vediamo giovedì 4 dicembre dalle ore 9,30 alle ore 18 al CESV in via Liberiana 17 :

SALVA LA DATA > Verso il Forum Corviale 2015
25 novembre 2014
Autore: Redazione

corviale2020-1024x482-300x83Verso il Forum 2015 LA MINIERA DI CORVIALE E DEL SUO TERRITORIO Giovedì 4 dicembre CESV via Liberiana 17 ore 9.30-18 Dalle linee guida ATER al concorso internazionale RIGENERARE CORVIALE Senza legalità e sicurezza non si fa rigenerazione urbana. Dal secchio della spazzatura al lavoro. Reti consapevoli e infrastrutture al servizio delle comunità. Centralità del…

Read more »

Anche per cominciare a realizzare la volontà espressa nella chiusa dell’articolo sul Calcio sociale :

“Perché il Serpentone ha tutta l’intenzione di cambiare pelle.”




L’architetta del film: «In periferia serve una Cortellesi»

guendalina salimeiProtagonista Guendalina Salimei, archistar e docente alla Sapienza, interpretata dall’attrice nel film «Scusate se esisto»

Va spesso all’estero e non soffre di nostalgia. Quando è a Parigi, Bratislava o Hanoi non le manca l’aria di casa, non compensa annusando foglie di basilico. E a Roma, la sua città, mai è rimasta per strada perché due balordi le hanno rubato il motorino. Ha talento come Serena, la giovane architetta di «Scusate se esisto», l’ultimo film-commedia di Riccardo Milani, ma a differenza di lei, anche negli anni degli esordi, non è mai stata così spiantata. «La cameriera per pagarmi l’affitto non l’ho mai fatta», dice. Guendalina Salimei è l’ultima stella, in ordine di tempo, dell’architettura italiana. Il Corriere di Roma le ha appena dedicato un editoriale accostandola a Zaha Hadid. Già sei anni fa, Luigi Prestinenza Puglisi la definì «punta di diamante» delle donne progettiste. Ora la gloria mediatica grazie a Paola Cortellesi, che ha portato la sua storia (professionale) sullo schermo.
Anche se ha vinto concorsi in mezzo mondo e ha progettato una nuova Venezia vietnamita nella baia di Holong, Salimei non si atteggia ad archistar. Si limita ad apprezzarne alcune come Steven Holl, Rem Koolhaas ed Elia Torres. Insegna alla Sapienza e parla convinta di architettura «partecipata», periferie da risanare, progettazione ecosostenibile: parola, ammette «che vuol dire tutto e niente». Per lei, comunque, è sinonimo di materiali locali, soluzioni low-tech e basso consumo energetico. Da quando il film è nelle sale, non ha pace. Amici, colleghi: tutti a complimentarsi. Sanno che il progetto di cui si parla, la ristrutturazione del Corviale, la grande muraglia romana, è suo ed è reale.
Allora, com’è finita in quel film?
«Mi chiama il regista e mi racconta di una commedia con un’architetta protagonista. Mi dice che ha bisogno di me. Di me? E lui: incontriamoci».
E la storia del Corviale?
«Milani e Cortellesi sapevano tutto del mio progetto: che era già stato selezionato, e che lo avevo chiamato “Il chilometro verde”, perché avevo immaginato un giardino pensile. Volevano conoscere i dettagli, il prima, il come, il perché».
Il film le è piaciuto?
«Molto, fa ridere e pensare».
Sorpresa dall’attualità della storia? Si parla di una periferia simbolo proprio mentre quelle reali si infiammano.
«Il mistero, semmai, è come ci si possa essere dimenticati delle periferie. Noi che le frequentiamo, sapevamo. Renzo Piano ci sta lavorando con i suoi giovani architetti e siamo in attesa dei risultati della sua sperimentazione».
A un certo punto è sembrato che l’Italia avesse una sola periferia: Scampia.
«È vero, poi, dopo le rivolte negli Usa e prima ancora in Francia, la cronaca ha scoperto le periferie di Milano, di Roma, di Torino. Tutte molto simili».
Perché le periferie italiane sono così brutte?
«Non sono più brutte delle altre. È vero, invece, che le nostre città sono bellissime, al Nord come al Sud; e che i nostri centri storici e le nostre piazze sono rari condensati di storia e cultura. Al confronto, la periferia ci perde, è ovvio. Qui il Pantheon, lì il Corviale. Qui i decumani napoletani, lì le “vele” di Secondigliano. E su!».
Perché, senza Pantheon o decumani cosa cambierebbe?
«A Roma si dice che il Corviale è buono solo a fermare il ponentino. Ma fu progettato negli Anni 70, in un’altra era. Mario Fiorentino non poteva certo immaginare l’uso e l’abuso degli anni a seguire: il vuoto intorno, l’incuria, l’assenza di articolazione sociale».
Quando le periferie cominciano a imbruttire?
«Quando diventano monofunzionali, buone solo per andarci a dormire. E, più di recente, quando le città cominciano a scaricare qui il peso dell’immigrazione e le conseguenze della cattiva integrazione».
Abbattere o recuperare?
«Recuperare. Noi italiani sappiamo farlo, ma un certo punto abbiamo smesso. I sindaci hanno pensato ad altro».
Recuperare anche se costa di più?
«Non costa di più. So di cosa parlo».
Lei è ottimista?
«Sì, ma a tre condizioni».
La prima.
«Le nostre periferie non sono connesse. Bisogna renderle accessibili».
Ma la connessione, si obietta, talvolta “periferizza” i centri storici.
«Senza, c’è il conflitto. L’isolamento crea insicurezza sia in periferia sia in centro».
La seconda condizione.
«La periferia ha bisogno di spazi di relazione, perché non c’è solo l’isolamento dei luoghi, c’è anche quello delle persone. E quello che ho cercato di fare al Corviale. Bisognerebbe fare come la Cortellesi nel film: ascoltare chi in periferia ci vive, sedersi allo stesso tavolo».
La terza.
«Farla finita con la monofunzionalità. Bisogna portare in periferia parti vive della città. Le università, tanto per cominciare. Ammiro molto gli olandesi: devono vedersela col mare incombente, eppure recuperano l’irrecuperabile».
Vedremo davvero il chilometro verde?
«Pare proprio di sì».

link all’articolo




Calciosociale all’ombra del Serpentone: Corviale riparte da qui

Immagine1

Per anni simbolo di degrado, oggi il quartiere offre ai ragazzi uno spazio dedicato allo sport e alla legalità
A Corviale il verde è davvero il colore della speranza. Sono le 17 e sul prato del campo sociale si accendono i riflettori della possibilità. Trenta ragazzini in divisa rossa iniziano il loro riscaldamento. Non diventeranno tutti calciatori, non sono tutti campioni, ma si sentono tutti uguali ed è quello che conta. Anche per questo lo hanno chiamato “il campo dei miracoli”, perché non è facile crescere all’ombra del Serpentone, il simbolo stesso di Corviale e delle degradate periferie romane. Attorno a quel fallito progetto avveniristico sono fiorite tante leggende negative: dal suicidio del progettista Mario Fiorentino, a quella, metaforica, secondo cui l’imponente costruzione avrebbe bloccato il ponentino romano. Calciosociale, invece, è una realtà positiva.

Il Calciosociale – La parola d’ordine è inclusione: tutti in campo. Nasce così la squadra tipica del Calciosociale: giocatori e giocatrici, bambini, anziani e disabili corrono tutti verso la porta per fare goal. E se non vincono le partite, di certo danno un calcio a emarginazione e barriere sociali.
Nel 2005, la prima a scendere in campo è una squadra di educatori sportivi che attraverso il calcio vuole sciogliere i nodi di realtà difficili. L’esperimento in pochi anni si trasforma in un’energia contagiosa. I tesserati di Calciosociale diventano centinaia, raccolti intorno alle 5 strutture presenti in Italia: Roma, Napoli, Cagliari, Montevarchi (Ar) e Carsoli (Aq).

Il campo di Corviale – Cinque anni fa il campetto di Via Poggio Verde era una distesa d’asfalto coperta d’erba sintetica. Una struttura fatiscente: in quella che oggi è una piccola cappella a bordo campo, dormiva un ex militante della banda della Magliana. Finalmente, nel 2009, l’Azienda Territoriale per l’Edilizia Residenziale del comune di Roma affida l’area a Calciosociale. I volontari si rimboccano le maniche e parte la ristrutturazione: demolire, sistemare, ricostruire, scortecciare la legna per ricavarne il soffitto della futura palestra. è un duro lavoro: c’è chi viene da lontano, chi addirittura dorme nel cantiere per sorvegliarlo. Ancora una volta, nessuno si tira indietro. L’impegno collettivo fa nascere una struttura all’avanguardia, premiato esempio di bioarchitettura.

Attività – Nel centro dedicato a Valentina Venanzi, volontaria scomparsa in un tragico incidente stradale nel 2008, il calcio non è il solo protagonista. Ginnastica artistica per le bambine, dolce per le loro mamme e nonne. E poi studio guidato, eventi culturali, attività creative. Con un unico scopo: diffondere la cultura della legalità.

Illegalità e riqualificazione – Vorremmo girare qualche immagine all’interno del Serpentone, sottolineare il contrasto tra la bellezza del Campo dei miracoli e quei corridoi spersonalizzanti, gli spazi occupati, le gole nere che inghiottono un silenzio surreale. Alcuni abitanti ci rassicurano: “Non c’è da temere, ma non andate al lotto due”. A Corviale, inutile nasconderlo, c’è un problema di legalità, ma gli abitanti ne sono solo le vittime. Qui la gente ha voglia di rinascita e il Calciosociale li sta aiutando a capire che il risveglio corre sulle gambe di tutti. Perché il Serpentone ha tutta l’intenzione di cambiare pelle.

link all’articolo




Stampante 3D per il calcestruzzo

3dIl processo di stampa 3D sviluppato presso la Loughborough University per produrre componenti per l’edilizia sfiora un grado di personalizzazione mai visto finora

Il colosso svedese del settore edile Skanska e la Loughborough University (Regno Unito) hanno firmato un accordo di collaborazione per sviluppare l’uso della stampa 3D nel settore costruzioni. Obiettivo dell’accordo è quello di consentire a Skanska di utilizzare la tecnologia di stampa 3D, sviluppata nei laboratori dell’Università già dal 2007, nel mondo delle costruzioni per poter realizzare la prima stampante 3D capace di produrre cemento.

“Il settore delle costruzioni – ha dichiarato Richard Buswell della Loughborough University – sta diventando sempre più esigente in termini di progettazione e costruzione. Abbiamo raggiunto un punto in cui sono necessari nuovi sviluppi per affrontare le nuove sfide. La nostra ricerca ha cercato di rispondere proprio a questa sfida. Siamo lieti dalla possibilità di sviluppare la prima stampante 3D capace di produrre cemento, ma prima di arrivare a questo è necessario che la tecnologia si adatti il prima possibile alle applicazioni reali in edilizia e architettura.”




Alla luce di Expo

serra

Luce, cibo, piantagioni. Iniziamo controllando le serre via Arduino. Un modo di avvicinarci da maker alla mondiale kermesse milanese.

Ai più sembrerà un’originale lavatrice, retroilluminata e pilotabile dal telefonino. Durante Expo 2015, a Milano da maggio a ottobre, saranno in tanti a vederla, piazzata all’interno di cinque stazioni della metropolitana.

In realtà è una specie di serra, o meglio di Micro Experimental Growing, in sintesi MEG, che non vuole essere solamente un prodotto tecnologico interessante e di fascino stilistico, ma soprattutto si presenta come un progetto di conoscenza distribuita.

Grazie all’onnipresente scheda di controllo Arduino, MEG permette di impostare e monitorare tutti i parametri essenziali per la crescita sana e forte di pianticelle inserite nel suo contenitore e, soprattutto, di condividere in rete l’esperienza.

Tramite un’app di controllo remoto è possibile verificare e controllare al meglio tutti i parametri vitali, come la ventilazione, la temperatura, l’irrigazione, l’acidità o la basicità della terra e la migliore illuminazione per ogni specie di pianta inserita, realizzata con un sofisticato sistema di controllo a LED colorati.
CONTROLLO DI SERRA VIA CELLULARE.

Il sistema è indubbiamente meglio ingegnerizzato rispetto ai diversi prototipi più o meno fantasiosi che i maker hanno prodotto in questi anni, come i progetti Garduino, Arduino Grow Room Controller, Plant Box,
il casalingo progetto di un appassionato o i primi tentativi in questo settore iniziati da almeno tre anni.

Il progetto MEG ha cercato di sottolineare fin dall’inizio la sua duplice natura, parte attrezzatura e parte comunità in rete, come recita anche la presentazione nel primo tentativo di finanziamento tramite Kickstarter, peraltro fallito.

Un fallimento che sarebbe interessante approfondire, in contrasto con la nuova presentazione rilanciata sulla piattaforma Eppela che invece sembra avere maggiore successo.

Sicuramente ha giocato un ruolo positivo il concorso Hack The Expo, che lo ha visto vincitore a pari merito con Floome, un etilometro per smartphone, e gli occhiali del progetto Uptitude creati riciclando le tavole da snowboard.

Sono comunque tutti esperimenti di integrazione di nuove tecnologie con l’ambiente e soprattutto con il rapporto che abbiamo con esse. Carlo D’Alesio e Piero Santoro, i creatori del progetto MEG, hanno citato in più di un’occasione il rapporto tra luce e cultura:

…la parola luce in combinazione con la cultura implica anche l’utilizzo dello stato dell’arte della tecnologia, in attesa di un nuovo modo di pensare sistemi integrati, in cui la luce e le superfici siano permeate insieme.

Qui si tratta di incastonare realtà biologiche con sistemi di controllo tecnologici, sotto lo sguardo di una comunità di appassionati che possono interagire. La creatività dei maker penetra ovunque, perfino in Expo.

link all’articolo




Il rammendo delle periferie: il bilancio di un anno del gruppo di lavoro G124 guidato da Renzo Piano

periferie_magazineGrazie all’indennità di senatore, sei giovani architetti si sono occupati nell’ultimo anno di rendere più vivibili le periferie di Roma, Torino e Catania

Finalmente il tema dell’importanza del progetto e del ruolo dell’architettura, nel suo essere al servizio della società civile, torna ad essere di attualità, mostrando la sua fondamentale importanza”.
Così Leopoldo Freyrie, presidente del Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori in occasione della presentazione del primo rapporto annuale dedicato dalle “Periferie”, realizzato dal “Gruppo di lavoro G124” guidato dall’architetto e senatore a vita Renzo Piano.

“Iniziative come questa dimostrano la funzione che l’architettura può svolgere nel nostro Paese, recuperando, attraverso progetti di rigenerazione, il rapporto con i bisogni dei cittadini, forse dimenticato dopo anni di architettura magniloquente, ed il confronto con le comunità”.
“Dimostrano anche -continua – nella giornata in cui i lavoratori delle costruzioni sono tornati nelle piazze per chiedere interventi incisivi contro la gravissima crisi del comparto, la direzione verso cui deve andare il settore per poter agganciare la ripresa.”
A proposito dei giovani progettisti coinvolti nel “Gruppo di lavoro G124”, Freyrie sottolinea che “l’attenzione e la sensibilità che il senatore Piano ha dimostrato e dimostra nei confronti dei giovani architetti deve essere di stimolo per far ripartire al più presto la proposta di legge sulla qualità dell’architettura che premia la realizzazione delle opere pubbliche attraverso concorsi di progettazione o di idee, aprendo in tal modo ai giovani la strada del mercato della progettazione dalla quale sono oggi esclusi”.
RENZO PIANO: LE PERIFERIE LA SFIDA URBANISTICA DEI PROSSIMI DECENNI. “Credoche il grande progetto del nostro Paese sia quello delle periferie: la città del futuro, la città che sarà, quella che lasceremo in eredità ai nostri figli. Sono ricche di umanità, qui si trova l’energia e qui abitano i giovani carichi di speranze e voglia di cambiare. Ma le periferie sono sempre abbinate ad aggettivi denigranti. Renderli luoghi felici e fecondi è il disegno che ho in mente”, spiega Renzo Piano. “Questa è la sfida urbanistica dei prossimi decenni: diventeranno o no parte della città? Riusciremo o no a renderle urbane, che vuole anche dire civili? Al contrario dei nostri centri storici, già protetti e salvaguardati, esse rappresentano la bellezza che ancora non c’è”.
PROGETTO DI RAMMENDO. “Anche oggi i miei progetti più importanti – ricorda Piano – sono la riqualificazione di periferie urbane, dalla Columbia University ad Harlem, al nuovo palazzo di giustizia nella banlieue di Parigi al polo ospedaliero di Sesto San Giovanni che sorgerà dove un tempo c’era la Falck. Un’area che gli anglosassoni chiamano brownfield, ovvero un terreno industriale dismesso. Questo è un punto importante nel nostro progetto di rammendo. Oggi la crescita delle città anziché esplosiva deve essere implosiva, bisogna completare le ex aree abbandonate dalle fabbriche, dalle ferrovie e dalle caserme, c’è un sacco di spazio a disposizione. Si deve intensificare la città, costruire sul costruito, sanare le ferite aperte. Di certo non bisogna costruire nuove periferie oltre a quelle esistenti: devono diventare città ma senza espandersi a macchia d’olio, vanno ricucite e fertilizzate con strutture pubbliche. È necessario mettere un limite a questo tipo di crescita, non possiamo più permetterci altre periferie remote, anche per ragioni economiche. Diventa insostenibile portare i trasporti pubblici, realizzare le fogne, aprire nuove scuole e persino raccogliere la spazzatura sempre più lontano dal centro”.
CASI STUDIATI DAI SEI GIOVANI ARCHITETTI NELLE PERIFERIE DI TORINO, ROMA E CATANIA. “Per questo – spiega l’archistar – con il mio stipendio da parlamentare ho messo a bottega sei giovani architetti che si sono occupati nell’ultimo anno di rendere più vivibili lembi di città a Roma, Torino e Catania. E il prossimo anno saranno altri ragazzi a raccoglierne il testimone e a continuare. Mi piace parlare di giovani perché sono loro e non io il motore di questa grande opera di rammendo e sono loro il mio progetto. Le periferie e i giovani sono le mie stelle guida in questa avventura da senatore, e non solo. Mi piace anche il concetto di bottega che ha una nobile e antica origine, una sorta di scuola del fare che in questo caso significa fare per il nostro Paese. Anche perché i nostri ragazzi devono capire quanto sono stati fortunati a nascere in Italia. Siamo eredi di una storia unica in tutto il pianeta, siamo nani sulle spalle di un gigante che è la nostra cultura”.
“Qualcosa – conclude Renzo Piano – noi del G124 abbiamo fatto, come potete leggere in questa pubblicazione: si tratta di piccoli interventi di rammendo che possono innescare la rigenerazione anche attraverso mestieri nuovi, microimprese, start up, cantieri leggeri e diffusi, creando così nuova occupazione. Si tratta solo di scintille, che però stimolano l’orgoglio di chi ci vive. Perché come scriveva Italo Calvino “ci sono frammenti di città felici che continuamente prendono forma e svaniscono, nascoste nelle città infelici”. Questi frammenti vanno scovati e valorizzati. Ci vuole l’amore, fosse pure sotto forma di rabbia, ci vuole l’identità, ci vuole l’orgoglio di essere periferia”.

PERIFERIE




Collaborative mapping: se la mappa viene dal territorio

mappacorviale_d0In questi anni stiamo assistendo alla crescita di una nuova generazione di geografi, sono i mappers di OpenStreetMap: esperti GIS, informatici, ma anche ciclisti, blogger locali e semplici appassionati accomunati dal desiderio di collaborare alla più sorprendente mappa mundi di tutti i tempi. Il progetto raccoglie ogni giorno migliaia di contributi che permettono di dar vita a iniziative di empowerment della cittadinanza a progetti “umanitari” e anche prodotti commerciali. Maurizio Napolitano, tecnologo di FBK e ambasciatore della Open Knowledge Foundation (OKF), ci ha raccontato le peculiarità e potenzialità per i territori di questa mappa in fieri.

Da sempre abbiamo avuto bisogno di rappresentare simbolicamente il territorio sulle mappe. Maurizio Napolitano della Fondazione Bruno Kessler racconta che la mappa era anticamente il panno di lino che guidava i pastori e le loro greggi. Le mappe sono state da sempre strumenti preziosi per esplorare, conoscere e governare, ma anche strumenti di potere, di controllo e conquista dei territori. Proprio per questo motivo venivano custodite gelosamente, come accadeva in Europa, oppure venivano distribuite e condivise perché si arricchissero di informazioni durante le esplorazioni, come nel caso dell’America. Nel corso della storia si sono susseguite diverse tecniche cartografiche e molti sono stati i tagli dati alla rappresentazione (planimetrica, a veduta prospettica, a volo d’uccello, etc).

Le mappe raccontano molto della storia del tempo: nelle rappresentazioni cartografiche si addensano questioni sociali, economiche, espressioni di potere e conoscenza. Nei secoli la tecnica si è evoluta e, soprattutto negli ultimi anni, con l’avvento dirompente della tecnologia per tutti, anche in questo mondo si è assistito a una grande innovazione nei sistemi di produzione e rappresentazione. “Dal momento in cui è diventato facile produrre dati geografici georeferenziati, chiunque può farlo e lo fa, e questo ha portato a una vera rivoluzione”, fa notare Napolitano. I mezzi e gli strumenti che abbiamo oggi a disposizione ci hanno trasformato potenzialmente in un’enorme comunità di neogeografi. “Piuttosto che essere destinatari passivi di una distribuzione top-down della mappa, le persone ora hanno l’opportunità di rivendicare sovranità sui processi di mappatura”[1].

Condividere la conoscenza del territorio

Attualmente, strumenti come uno smartphone ci mettono nella condizione di poter condividere la conoscenza del territorio. Così è nato il tour virtuale della città de L’Aquila realizzato da Graziano Di Crescenzo. Il progetto del ciclista neogeografo, HelloL’Aquila, è un ottimo esempio di quanto oggi siamo in grado di fare condividendo informazioni georeferenziate. (Qui l’intervista video a Barnaby Gunning, durante #SCE2014)
In questo orizzonte in cui le tecnologie ci suggeriscono che è tempo di innovare, nasce OpenStreetMap. Si tratta di un progetto ambizioso, ideato nel 2004 dell’ingegnere britannico Steve Coast esupportato dall’omonima fondazione: il più grande sforzo di collaborative mapping al mondo. L’idea è creare una mappa mundi ben diversa da tutte le altre: una mappa che viene dal territorio, dalle persone, e si offre gratuitamente e in modalità open al territorio. “Un prodotto come Wikipedia, ma per le mappe”, racconta Napolitano. Ad oggi, a distanza di dieci anni dalla nascita, la comunità di mappers è costituita da oltre due milioni di cittadini sparsi in tutto il mondoche contribuiscono, impiegando tempo ed energie nell’iniziativa. Nell’ultima settimana sono stati attivi circa 10.000 membri (fonte: OSMstats), i quali hanno raccolto le più svariate informazioni sul territorio: dalle fontanelle di Roma (nasoni) al tipo di asfalto delle strade, dal numero degli alberi di una strada al numero di gradini per accedere a un parco, etc.

Rendere visibile ciò che è invisibile

Negli anni il progetto di OSM ha stimolato la nascita di numerose iniziative umanitarie, di collaborative mapping ed empowerment delle popolazioni. Nell’agosto 2010, immediatamente dopo il terremoto di Haiti, è nata l’organizzazione HOT (Humanitarian OpenStreetMap Team): un punto di connessione tra gli attori umanitari e le comunità di open mapping. L’ONG americana, supportata anche dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti attraverso MapGive (qui la versione italiana), ha presto dato vita a nuovi progetti interessanti come il Missing Maps Project, che ha l’obiettivo di mappare i luoghi più vulnerabili nel mondo in via di sviluppo affinché ONG internazionali e locali, così come gli individui, possano usare liberamente mappe e dati per meglio rispondere alle crisi che interessano le aree.
Un’altra entusiasmante iniziativa, avviata nel 2008, è MapKibera. Kibera è infatti il nome di un luogo non riconosciuto, un blank spot: il più grande slum della città di Nairobi, uno spazio invisibile alle mappe, macon un’altissima concentrazione demografica (circa un milione di persone vive in questa baraccopoli, la più estesa di tutta l’Africa subsahariana). Il motto del progetto è stato “rendere visibile ciò che è invisibile”. Oggi le toilette pubbliche di Kibera, i generatori dove ricaricare le torce elettriche, la sua stessa toponomastica sono riconoscibili grazie alla mappa di OSM e ciò invita a riflettere. Secondo dati ONU, entro il 2030 circa due miliardi le persone vivranno in shantytowns, bidonvilles, slums, favelas, etc. Per quella data saranno ancora luoghi invisibili?

Il potere di tracciare la rotta

Il progetto OSM enfatizza la conoscenza locale del territorio e mette propriamente nelle mani delle persone il potere di scegliere cosa mappare. Prerogativa solo apparentemente simile, ad esempio, alle mappe di Google che, pur essendo oggi aperte a contributi volontari grazie a Google Map Maker, restano sempre mappe commerciali, di proprietà di una multinazionale, che mantiene il pieno controllo su cosa viene pubblicato sulla propria mappa. “Quello che c’è sulla mappa lo decide chi fa la mappa”, insiste e sottolinea Napolitano, “se io decido di far sparire una cosa, quella cosa sparirà”. E questo è effettivamente il punto nodale. OpenStreetMap si distingue profondamente da ogni altro progetto simile perché mette al centro di tutto il processo i cittadini, che sono al contempo artefici, fruitori e “proprietari” dei dati, nonché potenziali inventori di nuovi prodotti a partire da questi. “We’re giving people the freedom to play with the data, whereas [other services] keep it to themselves”, scrive Coast. Non si tratta soltanto di un progetto crowdsourced, ma soprattutto di un progetto open. I dati di OSM sono resi disponibili secondo la ODbL (Open Database License), rendendoli a tutti gli effetti open data, riutilizzabili e condivisibili a patto di garantire la stessa libertà agli altri. La visualizzazione della mappa è quindi solo la punta dell’iceberg: i dati aperti consentono diverse rappresentazioni, evidenziando molteplici aspetti del territorio, e diverse modalità di fruizione. Le mappe di Google o Bing sono invece accessibili esclusivamente tramite modalità predeterminate dalla multinazionale che le rende disponibili e che può in ogni momento cambiarle o renderle indisponibili, a seconda della propria convenienza e in base alle proprie logiche commerciali.

Le PA al bivio

Nell’articolo Why the World Needs OpenStreetMap – divenuto rapidamente popolare – Serge Wroclawski spiega come un governo, o una PA in questo caso, avrebbe bisogno di rimanere sempre imparziale, anche nella scelta di che tipo di mappe del territorio veicolare. Dando in outsourcing le proprie mappe, di fatto affida il controllo di queste a terzi, ad esempio consentendo a Google di scegliere quali attività commerciali mostrare sulla mappa (già oggi vengono favorite le attività commerciali che maggiormente curano il proprio profilo sui siti Google). Scegliere di utilizzare una mappa aperta e libera significa invece mantenersi imparziali rispetto a interessi commerciali estranei al bene della comunità, riconoscendo allo stesso tempo ai cittadini un ruolo attivo nella produzione di conoscenza relativa al territorio.
Nel corso di questo decennio, la comunità italiana di OpenStreetMap ha organizzato molti mapping party sul territorio. Si tratta di momenti strutturati in sessioni di lavoro collaborativo (mappature) e conviviali, in cui si approfondiscono i significati e il valore del condividere la conoscenza di un territorio. Alcune regioni italiane – Lombardia, Veneto, Friuli Venezia-Giulia, Sardegna – si sono incuriosite molto e hanno preso parte al progetto ottenendo risultati interessanti, sensibilizzate anche da Simone Cortesi, uno dei pionieri di OpenStreetMap in Italia e a livello internazionale.
Già nel 2010, per fare un esempio, l’Autorità per la Partecipazione della Regione Toscana ha promosso il progetto Libero accesso, accesso libera tutti! per il Comune toscano di Castelfiorentino. Utilizzando i dati e la mappa di OSM si sono organizzati laboratori per raccogliere dati sulle barriere architettoniche all’interno del tessuto urbano. Uno strumento di resilienza del territorio “che è solo il punto di partenza per poi potere ripianificare l’assetto urbano”. Durante l’alluvione del 2013 la Regione Sardegna si è servita della mappa SardSOS che ha aiutato la comunità sarda a gestire il momento di crisi, informando la popolazione in tempo reale con segnalazioni geolocalizzate.

Solo un paio di giorni fa a Torino si è tenuto un Mappathon, un workshop promosso da Piemonte Visual Contest per imparare ad utilizzare OSM e implementare e raccogliere dati del territorio piemontese.
Un altro esempio è la mappatura della città di Matera su OSM, che in vista dell’elezione a capitale europea della cultura è cresciuta esponenzialmente.

[1] M. Dodge C. Perkins, Reclaiming the map: British Geography and ambivalent cartographic practice, 2008

link all’articolo




359 tetti verdi a Chicago

1 2 3 4 5 6




Terra autunnale

1 2 3 4 5 6 7 8




Linee di indirizzo 2014 per la presentazione di progetti e iniziative per le associazioni di promozione sociale (legge 383/2000) da finanziare con il Fondo Nazionale per l’associazionismo

soldi

Sono state adottate le Linee di Indirizzo di cui all’articolo 12, comma 3, lettera d) ed f), della legge n. 383 del 2000, finanziati con il Fondo per l’associazionismo – Annualità 2014. Le Linee di indirizzo sono state trasmesse agli Organi di controllo per gli adempimenti di competenza.

Le Linee di indirizzo sono finalizzate alla presentazione ed il sostegno di iniziative formative di informatizzazione e di progetti sperimentali di promozione sociale, da parte di associazioni di promozione sociale iscritte nei registri di cui all’articolo 7 della medesima legge.

Le risorse finanziarie complessivamente disponibili per l’anno 2014 sono pari ad euro 7.050.000,00.

La richiesta di contributo, il progetto descrittivo e il piano economico (contenuti nel formulario allegato alle Linee di indirizzo), devono essere compilati ed inviati al Ministero del lavoro e delle politiche sociali – Direzione generale del terzo settore e della responsabilità sociale delle imprese, esclusivamente attraverso la piattaforma informatica all’indirizzo: www.direttiva383.it  entro e non oltre le ore 13.00 del 15 dicembre 2014.

A questo proposito si informa che per consentire il necessario aggiornamento tecnico, la piattaforma informatica sarà attiva a partire dal giorno 25 novembre 2014.

Alle Linee di indirizzo 2014 è allegato un formulario unico per la presentazione delle proposte progettuali (composto dalla richiesta di contributo, dalla formulario di presentazione dell’iniziativa o progetto e dal piano economico).

linee di indirizzo 2014 fondi per le associazioni di promozione sociale

formulario domanda di finanziamento

link al sito