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Persone, progetti e fondi per far rinascere le periferie del Bel Paese

Si è svolto sabato 24 gennaio alla Fiera di Bergamo, ha lanciato alcuni idee programmatiche per il recupero delle periferie italiane.

Il tema è ostico, anche se affascina. “Rammendo e rigenerazione urbana per il nuovo Rinascimento”. Sottotitolo: “Rammendare le città e il territorio, a partire della periferie urbane”.

La Fondazione Italcementi Cav. del Lav. Carlo Pesenti ormai ci ha abituato a volare in alto con il suo convegno annuale e, quest’anno, non è da meno.

L’appuntamento di sabato 24 gennaio alla Fiera di Bergamo riserva diverse sorprese. L’atrio del polo fieristico è un vero incantevole giardino, degno del Rinascimento, anche se il vero obiettivo di portarci fuori dal chiostro del Medioevo (leggi la crisi economica che attanaglia da sette anni il mondo intero) sono gli interventi dei relatori.

Ad aprire il cancello che si affaccia sul nuovo Rinascimento è Giam Piero Pesenti, presidente del Gruppo Italcementi, che nel fare gli onori di casa rammenta che serve “una rinascita che cambi in meglio le realtà urbane, le periferie in particolare, e la vita stessa delle persone che le vivono. È accaduto e accade in molte parti del mondo e dell’Europa: pensiamo a Marsiglia, Berlino, Londra e alle molte altre realtà urbane in cui zone vecchie e degradate dei centri abitati hanno lasciato il posto a quartieri più sostenibili, più belli, più vivibili, contribuendo alla rinascita economica e sociale di intere città”.

Un augurio? Forse qualcosa di più.

Un progetto realizzabile, se lo delinea un architetto come Renzo Piano che con il suo contributo video ne traccia le linee guida. Piano cita Londra, Berlino facendo eco a Pesenti.

E Bergamo non è lontana. Il rammendo, antica arte del cucito per recuperare un abito ferito da una lacerazione, sta alla base anche del progetto RIFO promosso da Italcementi e realizzato dall’Università di Bergamo con il coordinamento dalla professoressa Emanuela Casti, che in un video spiega il percorso di ricerca che ha portato a individuare in diverse città lombarde, tra cui in particolare Bergamo, gli spazi inutilizzati che potrebbero essere recuperati in un’ottica di “rigenerazione urbana”. Una strategia che prevede la demolizione di caseggiati ormai non più sostenibili dal punto di vista della sicurezza e delle qualità ambientali, architettoniche e urbanistiche e la loro sostituzione con edifici realizzati con nuovi materiali e tecnologie.

La matita sulla planimetria di una città è come un ago della rammendatrice. Lo evidenzia l’architetto Mario Cucinella, fondatore dell’organizzazione no profit “Building Green Future”, che osserva: “A volte per migliorare la vita di un quartiere può bastare una nuova biblioteca, un giardino curato, un percorso pedonale tra una scuola e una palestra. Non interventi dall’alto, da “archistar”, ma soluzioni che migliorano la vita quotidiana e favoriscono l’incontro tra le persone”. Come in una sartoria dove si confrontano le scuole di taglio, anche il convegno vede scontrarsi due scuole di pensiero capitanate da una parte da Silvano Petrosino, Filosofo e professore dell’Università Cattolica che rimarca “l’impossibilità dell’uomo di non abitare, ovvero di prendersi cura dei luoghi e della loro buona gestione. Una legge ormai capovolta che occorre ripristinare per aprire le possibilità del nuovo Rinascimento”.

Dall’altra Geminello Alvi, scrittore ed economista, va più al sodo e chiede un grande investimento di fondi per rammendare quel tessuto urbano. Senza denari non si va da nessuna parte.

Uno scontro tra titani che si sfidano a termini in greco e filosofie e scuole di pensiero. Si cita persino l’Apocalisse. “Alla termine dell’Apocalisse c’è una città celeste che va realizzata, agli architetti il compito di progettarla” conclude sarcastico Alvi.

Dalla città celeste, ovvero Gerusalemme, a New York, il passo non è breve, ma serve a Francesco Daveri, economista, per portare l’analisi di due casi: la rinascita di Harlem, da quartiere degradato a nuovo centro di gravità della Grande Mela, e un sistema d’incentivi per spingere i migliori professori a lasciare i quartieri centrali per quelli periferici. “Il recupero delle periferie parte dal basso, da chi ci vive” conclude Daveri.

Ma esistono casi di rammendo anche in Italia. L’esempio lo testimonia l’attività di Aldo Mazzocco (CEO di Beni Stabili Siiq Spa e Presidente di Assoimmobiliare) che illustrato la rigenerazione sostenibile del complesso Torri Garibaldi in area Porta Nuova a Milano, e il progetto Symbiosis, che andrà a ricucire il territorio urbano in area Porta Romana, sempre a Milano, in adiacenza con il nuovo Museo della Fondazione Prada e con l’area dismessa dell’ex scalo ferroviario. Dal suo osservatorio Mazzocco appunta che servono all’Italia per svolgere un buon lavoro di rammendo urbano: “competenze trasversali, modelli finanziari e il superamento di politiche e strumenti urbanistici obsoleti”.

“Il rammendo delle periferie necessita di punti aggregativi e di riferimento – sottolinea il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori –. Bergamo ha 23 quartieri dove c’è sempre una chiesa, una biblioteca, una polisportiva, un’associazione di volontariato. Da questo punto di vista partiamo avvantaggiati, perché per un vero rammendo servono innanzitutto coesione sociale e spirito di partecipazione. E’ pur vero che come afferma Zygmunt Barman “le città contemporanee sono una sorta di bidoni della spazzatura, dentro i quali i poteri globali lasciano cadere i problemi affinché vengano risolti”, ma la nostra città ha dimostrato anche di avere notevoli capacità di affrontare questi problemi e tanto più sarà capace di partecipare e rendersi protagonista di un rammendo urbano delle periferie”.

Come in un laboratorio di sartoria, al convegno della Fondazione Italcementi, sembrerebbe che la tecnica per salvaguardare il Bel Paese anche a fronte del grande sviluppo urbano subito negli ultimi sessant’anni si sia trovata. Ma a mettere in guardia tutti è l’architetto Michele Molè, progettista del Padiglione italiano a Expo 2015: “Purtroppo però ci sono ancora zone e città in Italia dove si stanno realizzando migliaia di metri cubi che sono una porcheria, perché manca un progetto d’insieme”.

Poi mostra il video di Palazzo Italia con le nuove tecnologie, realizzato con un innovativo cemento biodinamico in casseri particolari, la sostenibilità e l’innovazione tecnologica. Uomini, mezzi e tecnologie ci sono per avviare il nuovo Rinascimento urbanistico italiano.

Le conclusioni a Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Maurizio Lupi: “Serve un quadro di legislazione unica, che dia l’indirizzo pur lasciando l’autonomia necessaria a tutte le regioni. Non è possibile avere un quadro normativo diverso per ogni ente locale italiano”.

“Rammendare le periferie e il tessuto urbano è un tema profondamente innervato nel sociale – conclude Carlo Pesenti, consigliere delegato di Italcementi -: parliamo della qualità della vita delle persone, della salvaguardia del territorio e dello sviluppo economico. Lo diciamo apertamente: la creazione di valore è la precondizione necessaria per poter condividere il benessere generato dall’impresa. Un’operazione dove gli interessi collettivi si intrecciano con gli interessi dell’impresa, verso un Rinascimento sociale ed economico del nostro Paese. Questa operazione, però, può essere declinata solamente attraverso una grande visione politico-istituzionale che incoraggi l’innovazione sostenibile di prodotti e processi. Noi ci sentiamo in prima linea su questo fronte, insieme a molte altre imprese italiane”.

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Napoli. Periferie, nasce il polo tecnologico di San Giovanni

Rammendo sociale e rammendo fisico. Si fonda su un intervento di ‘sartoria’ urbanistica ma anche e soprattutto sociologica la ricetta per le periferie presentata oggi al Sabato delle Idee da G124, il “Gruppo di lavoro sulle periferie e la città che sarà”, ideato e fondato dal senatore Renzo Piano, che sin dal suo insediamento a Palazzo Madama devolve integralmente il suo stipendio da senatore ad un gruppo di sei giovani architetti eccellenti che ogni anno vengono selezionati con un bando pubblico proprio per occuparsi dei progetti di “ricucitura” del tessuto urbano e sociale delle periferie italiane.

Una scelta non casuale quella del primo tema del Sabato delle Idee 2015 che, come hanno spiegato i fondatori della manifestazione, Marco Salvatore e Lucio d’Alessandro, “riparte simbolicamente con la sua settima edizione da uno dei luoghi simbolo (Eccellenze Campane) del rilancio economico, sociale ed urbanistico della periferia partenopea, perché è proprio nelle periferie, dove vive il 90% della popolazione urbana, che c’è l’energia umana che deve essere valorizzata per costruire le città ed il Paese del futuro”.

Ed allora ecco che, al cospetto di urbanisti, architetti, accademici, rappresentanti delle istituzioni e studenti universitari che all’Università Suor Orsola Benincasa si occupano specificamente di green economy, il giovane architetto salernitano Roberta Pastore del Gruppo G124 ha illustrato i punti salienti del progetto per “Le periferie della città che sarà”.

Un progetto molto variegato, riassunto in venti punti sintetizzati in sei azioni che miscelano rammendo sociale e rammendo fisico delle periferie: consolidamento e restauro degli edifici pubblici (non solo le abitazioni ma anche le scuole e le strutture sportive), adeguamento energetico, creazione di luoghi d’aggregazione, la funzione sociale del verde, il collegamento efficace con il trasporto pubblico e i processi partecipativi per coinvolgere gli abitanti nella riqualificazione e nella vita sociale del quartiere dove vivono. “Insomma la periferia che cambia faccia da un punto di vista urbanistico – ha spiegato Roberta Pastore – ma anche e soprattutto il cittadino che si riappropria dei suoi spazi, contribuisce alla progettazione della riqualificazione e inizia finalmente a viversi il quartiere”.

Una ricetta teorica che è già diventata un successo concreto nel complesso mondo periferico del “Librino” di Catania, uno dei quartieri periferici più “difficili” e popolati d’Italia, con oltre 80mila abitanti, progettato nel 1970 dall’architetto giapponese Kenzo Tange con un ammasso di blocchi di cemento molto simili a quelli delle Vele di Scampia.

Insomma un progetto esportabile proprio a Napoli come ha spiegato, rivolgendosi proprio sulla questione Scampia all’assessore comunale all’urbanistica, Carmine Piscopo, anche l’architetto Guendalina Salimei, fondatore di T-studio, che ha curato a Roma il progetto di riqualificazione della zona del “Corviale”.Progetti da esportare in Campania anche per rispondere al grido d’allarme sull’immobilismo e l’isolamento delle periferie napoletane lanciato da Antonella Di Nocera, già assessore alla cultura del Comune di Napoli e da anni voce e anima della cooperativa Parallelo 41 Produzione.

E all’immediato interrogativo sul tema delle risorse per avviare simili progetti ha prontamente risposto Edoardo Cosenza, assessore ai lavori pubblici della Regione Campania, con una confortante relazione in cui ha dettagliatamente illustrato l’impiego dei 2,7 miliardi di euro di finanziamenti europei a disposizione della regione Campania per i grandi progetti.

Ben 550 milioni sono destinati allo sviluppo urbano con 226 progetti già ammessi al finanziamento e due grandi progetti in rampa di lancio: il definitivo completamento dell’Ospedale del Mare di Ponticelli (che già a Febbraio aprirà i primi reparti) e la nascita del Polo Tecnologico di San Giovanni nell’area della ex Cirio.

Due primi passi in un mare di progetti da portare a termine con un unico comune denominatore: “fare presto” come ha ben chiosato il vice presidente dell’Associazione dei Costruttori Edili di Napoli, Gennaro Vitale.

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Tavolo di concertazione istituzionale

Approvazione dello schema d’atto d’intesa per l’istituzione di un tavolo di concertazione istituzionale per la progettazione integrata di riqualificazione e rigenerazione urbana del quadrante Corviale nel comune di Roma capitale.

DGR 178 2014 istituzione tavolo Corviale




Rap e jihad, il terrorismo figlio delle nostre periferie

Nel tanto (troppo) parlare seguito alla strage di Parigi, abbiamo assistito anche al revival del suggestivo tema del rapporto tra propaganda, subculture ed islamizzazione. Si torna a parlare di rap e jihad e si torna a farlo con preoccupazione, dopo la notizia che Cherif Kouachi, qualche anno prima di imbracciare il kalashnikov che ha fatto fuori mezza redazione di Charlie Hebdo si aggirava nel sottobosco musicale parigino sognando di sfondare nell’hip-hop esattamente come L Jinny/Jihad John, rapper di West London poi tagliatore di teste per l’Is, che un po’ di notorietà l’aveva raggiunta.

E se di fama vogliamo parlare, il tedesco di origini africane Deso Dogg che dal 2013 combatte sul fronte siriano nelle file dei ribelli che sostengono il califfato, nel suo passato da infedele era stato sotto contratto con un’etichetta, aveva pubblicato 3 album e persino girato in tour con un pezzo grosso come Dmx.

Tre storie (ma potremmo raccontarne molte altre) che dovrebbero far riflettere: le vicende di questi europei attirati prima dal fascino delle rime ribelli quindi dalle sirene fondamentaliste dello Stato islamico hanno di recente guadagnato al “rap jihadista” titoli e spazio nel dibattito pubblico come mai era accaduto prima d’ora nonostante si stia parlando di una realtà presente da tempo nel reticolo delle subculture urbane.

Giornalisti di testate mainstream, come il britannico Amil Khan, seguono da anni l’evolversi del rapporto tra cultura di strada e jihad. L’ex reporter di Bbc e Channel 4, per esempio, identificava già nel 2008 alcuni tratti comuni a giovani appartenenti alle frange più radicali dell’islam urbano londinese: erano personalità borderline, avevano tutti precedenti penali per crimini comuni, sognavano di diventare “gangsta rapper” e guardavano con ammirazione ad Al Qaeda. In questo contesto, la musica, utilizzando un codice diretto e familiare ai giovani del ghetto, diventa un potente collettore per la propaganda; e paradosso della grande centrifuga globale, il califfato diventa addirittura l’orizzonte che mancava ad una certa gangsta culture di cui già erano impregnate le “crew” urbane: mescolando insieme la passione per armi, estetica e soldi facili, con “la fede” derivata dalla conversione all’Islam, in una interpretazione fai-da-te dei precetti del Profeta, finiscono per trovare posto nello stesso calderone, l’uno accanto all’altro, tanto 50 cent quanto Bin Laden.

Ma è bene non dimenticare che nella rivolta delle seconde/terze generazioni che scrivono liriche inneggianti alla sharia in inglese, francese, tedesco ed olandese, fede e musica finiscono per diventare elementi piuttosto marginali, simboli sfruttati ad uso e consumo di chi li abbraccia. La minaccia arriva da lontano ma le cause della radicalizzazione sono vicinissime: le ritroviamo nelle nostre periferie, nelle carceri e sono in larghissima parte causate da processi interni alla nostra società, dove la macabra parodia di Stato messa in piedi dagli uomini dell’Is trova terreno fertile ed orecchie pronte ad ascoltare.

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Mal di testa, oltre 200 tipi: sabato l’incontro a Corviale sulle emicrania

Mal di testa: ne esistono più di duecento diverse forme e nel mondo ne soffrono due miliardi e mezzo di persone, 9 milioni in Italia. Ma adesso un aiuto può arrivare anche dalla ginnastica posturale. L’emicrania è quella che colpisce di più (12% della popolazione), la crisi dolorosa può essere anche molto intensa tanto da spingere il soggetto ad isolarsi al buio e in silenzio. Un disturbo troppo spesso sottovalutato e affrontato con l’abuso di farmaci, che nel tempo portano alla cronicizzazione del dolore. Le soluzioni, però, possono essere anche diverse: un aiuto può arrivare in alcuni casi dalla ginnastica posturale così come da certi stili di vita. Vittime più le donne degli uomini: il rapporto è 5 a 1. Le cause? Ormoni, predisposizione genetica e familiarità. Un disturbo per niente banale tanto che l’Organizzazione mondiale della Sanità ha promosso una campagna globale contro le cefalee considerate la settima malattia più disabilitante (in particolare per le donne tra i 15 e i 44 anni) e in buona compagnia – per il dolore che provocano – con metastasi ossee, infarto e colica renale. Il generico mal di testa si colloca al secondo posto per nuove diagnosi all’anno con la cefalea di tipo tensivo (20,77%, adolescenti compresi) e al terzo con l’emicrania (15%) dopo la carie dentale. Emicrania con o senza aura (i sintomi che la precedono); cefalea di tipo tensivo (ne soffrono uomini e donne allo stesso modo) e cefalea a grappolo (tipica patologia del sesso maschile, detta anche cefalea del suicidio) le principali forme di cefalea primaria. Poi ci sono le cefalee secondarie, dovute a cause esterne come traumi, tumori, lutti, separazioni. Di prevenzione si parlerà sabato 24 gennaio,durante l’incontro gratuito «Mal di testa è donna: come riconoscere la cefalea, l’emicrania, i disturbi di pressione e le vertigini» promosso e organizzato a Roma, nella Parrocchia San Girolamo a Corviale (via dei Buonvisi 3) dalla onlus Atena Donna presieduta da Carla Vittoria Cacace Maira. Il professor Francesco Di Sabato, dal 2004 direttore dell’unità operativa Diagnosi e cura delle Cefalee del Policlinico Umberto I di Roma illustrerà come fare prevenzione, in fatto di mal di testa, dall’adolescenza alla menopausa. Obiettivo di Atena, l’associazione della Fondazione Atena di Giulio Maira, professore di Neurochirurgia presso l’Humanitas di Milano e il Campus Biomedico di Roma, è avvicinarsi a quelle donne che più di tutte hanno bisogno di aiuto, spiegare loro in come tutelare la salute, cancellando falsi miti e paure. «La cefalea è una patologia complessa che si manifesta con diversi sintomi. Tra i quali nausea e vomito, disturbi alla luce, agli odori e ai rumori, sensazione di sbandamento – spiega Di Sabato – ma che ha in tutti i casi il dolore che la rende invalidante. Ho in cura pazienti che da anni quotidianamente assumono ansiolitici, antidepressivi, antiepilettici e betabloccanti come fossero acqua fresca. Un abuso farmacologico che però non sempre è risolutivo». Non bastano le pillole. «Alcuni forme si possono curare con la ginnastica posturale, ad esempio. Ma occorre fare attenzione con l’attività motoria. Lo sport infatti peggiora la situazione nel caso in cui la persona soffra di emicrania in fase acuta. Per la cefalea di tipo intensivo, infatti, è meglio una camminata a passo veloce o una biciclettata lenta». Sulla prevenzione: «Evitare fattori scatenanti – sottolinea Di Sabato – come sono alcuni cibi (cioccolato, crostacei, formaggi stagionati, insaccati, frutta secca, bevande gassate, alcol), ma anche il freddo e il vento, lo stress e gli sbalzi di temperatura. Mai digiunare e dormire sempre le ore giuste».

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Smart cities, verso una road map europea

Pubblicati i primi risultati del progetto Transform che coinvolge 6 città europee, tra cui Genova. I dati saranno la base per la costruzione di un percorso smart e flessibile applicabile e replicabile in diverse realtà

A distanza di più di un anno dall’avvio del progetto Transform, a cui hanno aderito sei città europee (Genova, per l’Italia) con l’obiettivo di trasformarsi in tre anni in smart cities, si raccolgono i primi risultati e si fa il punto della situazione. Quali le misure messe in campo in termini di risparmio energetico e sostenibilità ambientale e con quale esito? E quali i risultati attesi con provvedimenti che verranno attuati nel medio-lungo periodo?

Individuare una metodologia di trasformazione replicabile
La fotografia, scattata per le singole città con dati raccolti attraverso un questionario ad hoc sviluppato da Arup in collaborazione con Accenture, è stata resa pubblica. Lo scopo ovviamente non è quello di stilare una graduatoria delle città che si stanno ‘comportando meglio’ né tantomeno di premiare quelle che hanno raggiunto le performance migliori o che si sono poste gli obiettivi più ambiziosi. Perché l’obiettivo del progetto “Eu-FP7 Transform” è molto più complesso e ‘virtuoso’: quello di individuare, partendo dallo studio di strumenti e percorsi di pianificazione strategica e di esperienze concrete nelle sei città partner, una metodologia di trasformazione, un percorso smart, sufficientemente flessibile per consentirne l’applicazione e replicabilità in realtà diverse.


Ecco che i dati pubblicati nel City Baseline Analysis (vedi allegato), a loro volta confluiti nel City Baseline Reports, diventano utili in primo luogo per le città coinvolte nel progetto, che potranno confrontarsi, a mettere a raffronto le proprie esperienze con quelle altrui, ‘saccheggiare’ best practices, ‘raddrizzare il tiro’ ove necessario o avere la conferma di star percorrendo la strada giusta. I dati, accessabili e aggiornabili in tempo reale grazie ad una piattaforma condivisa, porteranno allo step successivo del progetto, quello della redazione di un’ Agenda di Trasformazione. Si procederà poi, obiettivo finale di ‘Transform’ a redigere il Smart Cities Handbook, Manuale delle Smart Cities, strumento interattivo che conterrà le indicazioni strategiche e riferimenti a casi specifici per avviare una precisa road map europea verso la urban smartness.

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Ripartiamo dall’Istituzione Biblioteche di Roma

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L’obiettivo dell’Istituzione Biblioteche di Roma era quello di snellire, sburocratizzare e renderle centri culturali di vicinanza, sportelli territoriali, luoghi di relazioni e di attività per le nuove esigenze di cultura.
Un ‘innovazione che ha sviluppato la sua crescita orizzontale nelle tante periferie della nostra città. Da luoghi di prestito e/o di lettura a spina dorsale di presidi culturali che hanno dato risposte sia alla crescita culturale che al disagio sociale. Antenne delle trasformazioni e misuratori reali della qualità socio-culturali dei territori negli ultimi 20 anni.
La cultura deve essere diffusa, innervata in tutta la città ma soprattutto nelle aree periferiche.
Partendo dalla nostra esperienza del progetto di rigenerazione urbana della periferia del quadrante di Corviale possiamo affermare che senza la Biblioteca R. Nicolini di Corviale il progetto non avrebbe avuto gambe su cui camminare.
E’ su quelle gambe che abbiamo costruito tante iniziative, eventi, manifestazioni e il coinvolgimento e la partecipazione di tanti cittadini.
I presidi culturali pubblici, danno al disagio sociale risposte, informazioni, comunicazioni, apprendimento.
Occorre riflettere, anche a livello europeo, dopo i fatti di Tor Sapienza e di Parigi, su come il patrimonio culturale possa contribuire a dare concrete risposte ai temi che le realtà periferiche ci stanno sbattendo in faccia.
La storia delle Biblioteche di Roma non riguarda solo l’assessorato alla Cultura ma anche quello delle Periferie, delle Politiche Sociali, della Scuola e Sport, dell’Urbanistica. E’ ora di rompere i compartimenti stagni per rigenerare la nostra città anche sfruttando le potenzialità di trasformazione che la rete sta imprimendo ad interi settori della filiera produttiva culturale.




Difendiamo l’Istituzione Biblioteche di Roma

Sono rimasto incredulo quando ho letto che l’Amministrazione Comunale ha intenzione di chiudere l’Istituzione Biblioteche di Roma per riportarle sotto un Dipartimento.
E’ necessario ricordare che l’Istituzione Biblioteche di Roma sono state frutto di un ‘ampia e partecipata discussione che il Consiglio Comunale di Roma, di cui facevo parte, approvo’. L’obiettivo era quello di snellire, sburocratizzare e renderle centri culturali di vicinanza, sportelli territoriali, luoghi di relazioni e di attività per le nuove esigenze di cultura che la società, dopo il periodo buio delle giunte democristiane che avevano spento le luci nicoliniane della nostra città, richiedeva.
Un ‘innovazione che non solo ha raggiunto i risultati previsti ma ha consentito la sua crescita orizzontale nelle tante perifirie della nostra città. Da luoghi di prestito e/o di lettura a spina dorsale di presidi culturali che hanno dato risposte sia alla crescita culturale che al disagio sociale. Antenne delle trasformazioni e misuratori reali della qualità socio-culturali dei territori negli ultimi 20 anni.
Centrale per lo sviluppo del sistema biblioteche è stata la capacità gestionale, competente e all’altezza della sfida.
Da già presidente della commissione cultura del Comune di Roma vado orgoglioso di essere stato parte di questa scelta voluta dall’ allora assessore Borgna . Un progetto realizzato partendo dai contenuti e fatto di buone pratiche. Diventato fiore all’occhiello sia a livello nazionale ma anche in campo européo intessuto da una sensibilità solidale verso i paesi del mediterrraneo.
Era nostra convinzione che la cultura doveva essere diffusa, innervata in tutta la città ma soprattutto nelle aree periferiche. E’ questo e stato e i risultati sono facili da riscontrare.
Voglio aggiungere che tutto cio’ è stato reso possibile sia da un management competente ma anche dall’investimento fatto sul personale che consapevolmente ha partecipato a questa sfida mettendoci passione, voglia di imparare e senso civico.
In qualità di coordinatore del progetto di rigenerazione urbana della periferia del quadrante di Corviale posso
affermare, dopo 6 anni di presenza quotidiana sul territorio, che senza la Biblioteca R. Nicolini di Corviale ed il Mitreo (altro presidio culturale da sostenere) il progetto non avrebbe avuto gambe su cui camminare.
E’ su quelle gambe che abbiamo costruito e otttenuto i riconoscimenti avuti e le opportunità di mettere in campo le tante iniziative, eventi, manifestazioni e il coinvolgimento e partecipazione di tanti cittadini che ci hanno sostenuto e ci sostengono.
Lentezze burocratiche, non relazionalità autonoma nel rapporto pubblico-privato, non interazione e integrazione con le altre realtà socio-culturali- ambientali e quindi pur essendo fisicamente presenti ma lontani dal capire ed essere parte della trasformazione positiva della nostra periferia. Termine in voga più che mai in questo periodo ma di cui un Dipartimento centralizzato non avrebbe sicuramente avuto cognizione con tutte le conseguenze immaginabili.
Lo smantallamento dell’Istituzione Biblioteche non é assimilabile alle ben novanta aziende (di proprietà o partecipate a vario titolo) che le amministrazioni comunali di centrosinistra e centrodestra hanno creato nel corso degli ultimi 20 anni aprendo buchi di milioni, anzi di miliardi di Euro di debiti che i cittadini romani e italiani stanno pagando.
Questa scelta dell’amministrazione sta smentellando quel documentato contributo che che la Cultura, e soprattutto i presidi culturali pubblici, danno al disagio sociale, allo sviluppo critico delle Comunità, alla crescita di tanti giovani che ne respirano l’aria, alle risposte di informazioni, comunicazioni, di apprendimento e di espressione per tutte le fasce di età ancora più preziose in questa crisi che ci attanaglia e che incide sulle spese da tagliare e la Cultura è tra queste, purtroppo.

Va inoltre detto con chiarezza che in questa vicenda non ci sono risparmi, tutt’altro, ma costi sociali e crescita del divario e delle disuguaglianze si’. E che la vicenda vada discussa pubblicamente e nelle sedi Istituzionali in cui fu approvata non dovrebbero esserci impedimenti.
Dall’ amministrazione Marino che abbiamo sostenuto, ci sareimmo aspettati, dopo i fatti di Tor Sapenza e di Parigi, una riflessione che sta avvenendo anche a livello di Unione Europea, sul perchè, il per chi e il come il patrimonio culturale possa contribuire a dare concrete risposte ai temi che le realtà periferiche ci stanno sbattendo in faccia.
Invece avverto una distanza da questi problemi e che la riflessione sia rimasta ferma a Cultura come costo o divertimento e non inclusione, opportunità di inserimento e di crescita nella società da parte delle future generazioni che rischiano di rimanerne escluse.
Mi sarei altresi’ aspettato che le trasformazioni che la rete sta imprimendo alle attività e ad interi settori della filiera produttiva culturale diventassero tema da affrontare di petto e che rischiano di pioverci addosso impreparati.
Questa storia delle Biblioteche di Roma non riguarda solo l’assessorato alla Cultura ma anche quello delle Periferie, delle Politiche Sociali, della Scuola e Sport, dell’Urbanistica. E’ ora di rompere i compartimenti stagni o l’abbracciarsi alle competenze. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Ci auguriamo di percorre insieme questa strada convinti, visto che la stiamo percorrendo da tempo, che possa dare quel contributo per rigenerare la nostra città.




Patrimonio culturale

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Lo sblocco dei lavori da parte della Regione Lazio  e il concorso internazionale  con le sue linee  guida ci sollecitano, in collaborazione con le più voci dei tavoli di lavoro, a dire la nostra   in merito  al proporre le migliori soluzioni progettuali che legano il valore del Palazzo ATER    con il suo contesto paesaggistico e la sua organizzazione sociale.

Il primo dato  importante,  acquisito da tutti i soggetti, è che   il valore dell’edificio  e del suo contesto paesaggistico sono un tutt’uno con la ricucitura e le interconessioni con il quadrante di Corviale e da qui con la città.

Il secondo dato è che stiamo confrontandoci con l’esploso tema delle periferie in modo multidisciplinare avendone acquisito titolarità dopo aver fatto inchiesta e averne analizzato  potenzialità e  criticità  del territorio , della sua Comunità  nonchè le presenze e assenze delle Istituzioni .

Il terzo dato è avere come punto di confronto e arrivo gli indirizzi comunitari che sono in fase di elaborazione su quello che viene definito patrimonio culturale su cui la commissione cultura del parlamento europeo a livello di presidenza è attenzionata rispetto al nostro progetto.

Occasione inedita che impegna noi tutti a fare un passo in avanti  rompendo le barriere delle singole competenze per dare seguito a quella coesione sociale  dove il contributo dei beni relazionali (sport, cultura, il vivere i parchi…) puo’ apportare valore aggiunto  ad un modello di rigenerazione  che è in via di sperimentazione e che si collega direttamente ad una gestione consapevole, integrata e partecipata.
Gli stessi modelli organizzativi dovranno essere in linea con le traformazioni prodotte.
Lavori in corso dunque.

C’é un oggettivo ritardo nelle politiche pubbliche rispetto al patrimonio culturale  nel riconoscerne e comprenderne il ruolo innovativo sia nelle nel contribuire attraverso presenze, attività e relazionalità  che creano  un virtuoso circuito relazionale  sia con i soggetti  già  presenti veri produttori di quei beni che con le cosidette industrie creative e dell’economia verde.

Il miglioramento del contesto attraverso specifici interventi di sostegno e il favorirne la crescita devono essere valutati attentamente dai soggetti pubblici. Nel progetto Corviale l’autogenerazione del quadrante delle attività pubbliche e private, l’utilizzo degli spazi, la loro gestione  e l’essere connessi sono stati elementi determinanti nella fase dell’avvio del progetto e nel farlo lievitare per corso del tempo rendendo possibile la diffusa consapevolezza di un progetto realizzabile.

Altro dato incontrovertibile  è che una presenza sociale e produttiva orizzontale e multidisciplinare  del profit, no- profit, del volontariato e delle Istituzioni incide nell’indentità dei diversi soggetti sia interni  alla Comunità territoriale che in quelli esterni che ne colgono le opportunità e il senso civico. Un sentirsi parte che spesso determina quel salto di qualità che rende possibili arrivare a meta. Su questo siamo coscienti che c’è tanto da fare.
Una responsabilità sociale diffusa toglie l’acqua alle attività illegali e   si traduce in sicurezza, legalità e rispetto del bene comune in sintesi una migliore qualità della vita con conseguente riduzione dei costi dell’intera filiera sociale.

Il crescere di rapporti, analisi, ricerche, sperimentazioni in vari Paesi europei  rappresentano il segno di un interesse crescente rispetto a questo tema,  indicatori per affrontare le ulteriori trasformazioni che si avranno nelle aree metropolitane dell’Europa e non solo.

La sperimentazione che da tempo stiamo praticando nel quadrante Corvale dovrà, a fronte sia del concorso internazionale che nel Corviale 2020, dovrà essere capace di selezionare e integrare saperi, esperienze, competenze per cogliere le domande che provengono dai soggetti interessati a cominciare dalle giovani generazioni, individuando soluzioni progettuali innovative che siano frutto dell’ascolto della comunità di rifermento e di un lavoro e un  contributo partecipato.

Come sappiamo la rigenerazione del quadrante Corviale avrà tempi quinquennali .
Le azioni che possono  contribuire al suo successo sono:

– la comunicazione costante e divulgativa in tutte le forme possibili  ( cartacea, internet e social, attività relazionali, iniziative culturali sportive , ambientali…..) pensate, costruite e realizzate insieme da e per le diverse tipologie dei soggetti presenti sul territorio;

– operatori pubblici e privati, associazioni, realtà sociali ( parrocchie, comunità straniere….), cittadini attivi , la Comunità,  tutti soggetti che in questi anni hanno consentito, con la loro presenza fatta di passione, capacità professionali, competenze specifiche, senso civico,  di arrivare a questo snodo,  dovranno trovarsi a proprio agio (vedi teoria dell’ “abito su misura”) in quanto generatori di consensi, suggerimenti, osservazioni e l’orgoglio di esserci.
Di testa e di cuore;

–  Importante sarà la condivisione con il sistema scolastico la cui trasversalità e il suo saper “entrare nelle case”vanno valorizzate alimentando una filiera di buone pratiche creando forme di partecipazione attiva e protagonista.
Le stesse strutture devono essere vissute come spazi dove creare un tessuto fattuale di relazioni sociali,e di buone pratiche,  antenne per messaggi, storie, azioni positive e criticità;

– le istituzioni, soprattutto quelle front-office  ( ATER Comune Roma, MIBACT ) , direttamente interessate alla riqualificazione devono saper avviare una riflessione sui propri compiti in modo da dare risposte amministrative e gestionali alle nuove dinamiche sociali e organizzative che via via si presenteranno.

In questo primo confronto si sono palesati temi   che servono a mettere a fuoco le proposte  emerse  che devono trovare una correlazione con gli altri tavoli di lavoro e di sintesi organica.
Tutoraggio flessibile; spazi pubblici come luoghi di star-up e di risposte al disagio sociale; attenzione costante per dare concretezza alle attività sociali e produttive sia in essere che quelle che possono trasformarsi in realtà; predisposizione alle innovazioni che il progetto produrrà sia nell’edificio che nel territorio; la formazione del capitale umano sia interno che esterno agli attuatori; scambi continui tra i diversi soggetti interessati alle trasformazioni; costruzione di una rete ben organizzata imprescindibile per realizzare il cambiamento;  autorevolezza e flessibilità del coordinamento attuatore.

Per rimanere al tema delle linee guida del concorso,internazionale si  dovrà trovare in sintesi il riconoscimento che il patrimonio culturale è elemento di coesione sociale, di innovazione, di realizzabilità del processo di rigenerazione previsto.
Il progetto ha una unitarietà che puo’ essere si’ segmentata, ma che va tenuta insieme  nelle presentazioni e in tutte le proposte di finanziamenti che faremo.

PinoGaleota 23 dicembre 2014




Workshop su comunicazione e partecipazione

 

Andrea Volterrani, Tommaso Capezzone, Sandro Zioni

Andrea Volterrani, Tommaso Capezzone, Sandro Zioni

Il workshop ha preso avvio discutendo delle strette connessioni fra strategie di comunicazione e processi partecipativi cercando di distinguere fra:

• La comunicazione per la partecipazione consapevole al cambiamento del proprio luogo di vita attraverso la progettazione partecipata;
• La comunicazione partecipata che consente di essere protagonisti nella costruzione di processi e percorsi di innovazione
• La partecipazione attiva che promuove una comunicazione di denuncia e di promozione del cambiamento culturale
• La comunicazione partecipata per difendersi dai processi di illegalità

Fra le proposte che sono emerse a cavallo fra comunicazione e partecipazione:

• l’ospitalità di una postazione di UndiciRadio a Corviale corredata di sala registrazione professionale e di sala montaggio video

• creazione di uno spazio di co-working a Corviale che rappresenti anche l’occasione di realizzare un laboratorio supportato da wi-fi e, soprattutto, della banda larga (fibra ottica) pubblica e gratuita nel palazzo e nel quadrante

• sviluppo del giornale delle periferie come spazio di costruzione di legami integenerazionali e di allenamento per gli altri strumenti

• Possibilità di accogliere un centro sociale e aggregativo giovanile che possa connettersi con altri spazi che costituiscono la nuova frontiera dell’innovazione della città di Roma

Tutti gli spazi dovrebbero essere contigui per aumentare la connettività necessaria per lo sviluppo di processi di innovazione partecipati.