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Consulta Periferie Milano: 10° anno di attività

Confermato l’impegno per portare le “periferie” tra le priorità dell’agenda politica milanese. Bisogna superare la logica degli interventi di emergenza. Le Periferie hanno bisogno di un’attenzione strutturale e di un’Amministrazione vicina funzionante. Mentre Renzo Piano atterra a Milano …

 

(mi-lorenteggio.com) Milano, 26 marzo 2015 – 10° anno di attività per Consulta Periferie Milano, organizzazione costituita nel 2005 da associazioni culturali, sociali, del commercio e comitati di quartiere. L’assemblea dei soci ha rinnovato gli incarichi associativi: Walter Cherubini (Centro studi Con Milano Ovest) è stato confermato Portavoce, mentre Giorgio Bacchiega (La Cittadella della Memoria) coordina l’Area Comunicazione, Romano Ranaldi (Associazione Giovani e Famiglia) l’Area Sociale, Salvatore Crapanzano (Comitato Quartiere Valsesia) l’Area Decentramento e Città metropolitana.

Angelo Mantovani (Associazione Il Clavicembalo Verde) coordina l’Area Cultura e, unitamente a Riccardo Tammaro (Fondazione Milano Policroma), la Rassegna musicale di Primavera “Concerti in Periferia”, alla quale è associato il progetto “CoriMilano-Il Polo dei Cori amatoriali milanesi” coordinato da Giorgio Barenghi (Associazione Corale Ambrosiana) e Bruno Volpon (Associazione Culturale San Materno-Figino). In questi anni, tra le altre, sono state promosse e sostenute oltre 400 iniziative musicali ad ingresso libero per favorire l’animazione e la socialità nelle periferie. «Tutto ciò anche grazie alla messa in rete di numerose iniziative, in collegamento con cinquanta enti ed associazioni – evidenzia Mantovani – ed alla disponibilità di decine di cori amatoriali che prestano volontariamente la loro attività, dando un contributo importante anche con la nuova iniziativa “Cori in Corte”».

Ma se “Milano è un operoso alveare, con tante celle che non comunicano tra di loro. Una Milano che non fa sistema” (Indagine Ipsos), una falla è rappresentata dalla carente organizzazione dell’Amministrazione comunale nelle periferie. Infatti, le prime a non fare rete sono proprio le numerose funzioni comunali che agiscono nel medesimo territorio, nello stesso quartiere: ciascuna funzione zonale interagisce con il proprio centro, ma opera disgiuntamente dalle altre funzioni presenti nella medesima Zona. «Purtroppo, sul territorio non c’è nessuno che faccia da collante – sottolinea Cherubini – con i Consigli di Zona che continuano a rimanere un’incompiuta».

Ma le “antenne” dei periferici sono pronte a captare anche le varie manifestazioni di “attenzione periferica” espresse da persone come Giuseppe Guzzetti (Fondazione Cariplo), Alexander Pereira (Teatro alla Scala) o Carlo Sangalli (Unione Commercianti) che recentemente ha affermato che “per superare il disagio delle periferie è necessario un grande progetto di solidarietà che coinvolga istituzioni e privati”. «Appunto, mettendo a fattor comune le energie della “cittadinanza attiva” – sottolinea Cherubini – e quelle delle varie funzioni comunali ed istituzionali». Intanto, Renzo Piano sta per atterrare a Milano (Giambellino-Lorenteggio) per attivare un’azione di “rammendo” delle periferie.




Agenzia sociale per la Locazione: sportelli per ridurre gli sfratti

Dovrà favorire l’incontro tra la domanda, famiglie con bisogno abitativo e offerta, proprietari di alloggi e fornirà strumenti per tutelare entrambe le parti.

Nasce a Milano l’Agenzia sociale per la Locazione: Comune e Fondazione Welfare Ambrosiano hanno firmato la convenzione che dà il via al nuovo organismo che avrà il compito di favorire l’incontro tra la domanda, famiglie con bisogno abitativo intermedio tra l’edilizia popolare e il libero mercato e l’offerta, proprietari di alloggi. Incoraggiare la stipula di contratti a canone concordato. Ridurre il rischio di sfratti per morosità incolpevole attraverso vantaggi reciproci e reciproche garanzie. “Dopo la svolta dell’affidamento delle case popolari a MM, il Comune di Milano realizza un’ulteriore importante innovazione nelle politiche dell’abitare. Con l’Agenzia sociale per la Locazione interverremo per la prima volta sulle locazioni private, mediando tra inquilini e proprietari, con l’obiettivo di evitare gli sfratti e trovare canoni sostenibili per le famiglie”,ha spiegato l’assessore alla Casa, Daniela Benelli.

L‘Agenzia avrà la sua sede negli spazi di Villa Scheibler a Quarto Oggiaro, presso gli uffici che già sono in uso alla Fondazione Welfare Ambrosiano che avrà la gestione del nuovo organismo. Avrà sportelli aperti al pubblico e si occuperà delle differenti forme di disagio abitativo con l’obiettivo di ridurre il rischio di sfratto e stimolare l’uso del canone concordato sia per i nuovi contratti sia per la conversione di quelli già in corso e a rischio di morosità. Il personale dell’Agenzia accompagnerà sia i proprietari sia le famiglie in stato di bisogno, valutando caso per caso, verso le soluzioni più idonee.

Per favorire l’incontro tra domanda e offerta, l’Agenzia si avvarrà di risorse e strumenti di diversa natura, rivolte sia all’inquilino che al proprietario. Il Fondo salvasfratti: il proprietario che decide di ritirare lo sfratto e di sottoscrivere un contratto a canone concordato sarà risarcito delle morosità pregresse fino a un massimo di 8.000 euro. Il Fondo di garanzia: tutela il proprietario (che affitta a canone concordato) da eventuali inadempienze dell’inquilino. Sarà poi l’inquilino a rientrare del debito concordando con l’Agenzia un piano non inferiore a 12 mesi. Il Microcredito: rivolto esclusivamente agli inquilini per far fronte alle spese del contratto, al trasloco, a temporanea morosità. Il Contributo ai proprietari: contributo una tantum destinato al proprietario che passa al canone concordato e rapportato alla durata del contratto.
L’Agenzia sociale della Locazione ha a disposizione 6,712 milioni di euro, risorse che provengono dalla Regione Lombardia, dal Comune di Milano e dal Governo. “Finalmente anche Milano – ha concluso l’assessore Benelli – segue l’esempio di altre città italiane che già da tempo si avvalgono, con risultati molto positivi, dell’Agenzia della Casa. Un passo importante a cui serve però l’ultimo miglio: il rinnovo dell’Accordo locale per il canone concordato, fermo da 16 anni e di fatto mai utilizzato. Il tavolo tra le parti è in corso da tempo e speriamo che la nascita dell’Agenzia sia un incentivo alla quadratura del cerchio”.

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Smart city, come progettarle (anche) a misura di anziani

Panchine confortevoli e riscaldate, percorsi fitness ad hoc, parchi senza gradini. Sono tanti i modi per rendere le città più confortevoli agli over 60. Alcuni suggerimenti arrivano dall”Age

Le città e la loro trasformazione in chiave smart sono al centro del dibattito sulla progettazione. Si pensa all’innovazione tecnologica, alla sostenibilità ambientale, al comfort e alla vivibilità e anche alla flessibilità. Perché per accogliere, e per farlo in modo decoroso, il flusso di persone che ci si aspetta dall’esplosione di un fenomeno di urbanizzazione, la città dovrà cercare di rispondere alle esigenze dei suoi abitanti ed essere accessibile. Ma accessibile a chi? Se ci si ferma un attimo a riflettere su come le nostre città si presentano attualmente e anche su come saranno nel prossimo futuro, in base a tutti i progetti in corso e in agenda, c’è una fetta della popolazione che sembra totalmente esclusa: quella degli anziani.

Le città di oggi non sono attente alla popolazione anziana

Basti pensare a piccoli dettagli che ci sfuggono se non ci riguardano: in media un semaforo verde pedonale dura il tempo necessario per percorrere 1,2 metri al secondo quando una persona anziana mediamente in un secondo riesce a coprire dai 0,7 ai 0,9 metri; le pavimentazioni sono spesso dissestate o scivolose; i parchi cittadini sono pieni di ciottolato e a volte privi di panchine o non in numero sufficiente da consentire brevi soste ravvicinate. E si potrebbe continuare l’elenco quasi all’infinito.

Un quarto della popolazione urbana sarà over 60
E se pensiamo che, secondo le stime, nel 2030 2/3 della popolazione risiederà in città e, almeno nelle città più progredite, un quarto degli abitanti avrà più di 60 anni, possiamo con certezza dichiarare che il problema è serio. E andrebbe affrontato.
La questione, ancor prima di essere considerata da un punto di vista progettuale ed urbanistico, andrebbe analizzata alla base. Quando si parla di anziani si tende a relegare il ‘problema’ a forme di assistenzialismo sociale, tendendo a dimenticare che, salvo casi di malattia e disabilità, ciò che influisce negativamente sulla qualità della vita di un over 60enne è un ambiente ostile e poco sensibile alle sue esigenze. Come avevamo già evidenziato qualche mese fa diverse indagini, fra tutte quella condotta dall’Istituto Australiano di Sanità e del Welfare, gli anziani non sognano di vivere nelle tranquille e verdeggianti periferie cittadine né tantomeno nei cosiddetti ‘Leisure Village’ tanto di moda negli States, ma preferirebbero- e i dati dell’esodo lo confermano- risiedere in città. Perché i centri urbano offrono servizi, centri ricreativi e quindi possibilità di impiegare tutto il tempo a disposizione in una qualsivoglia attività.

Come progettare una città a misura di anziani?

Appurato questo, come riprogettare una città a misura (anche) di anziani? Un aiuto utile arriva dalla World Health Organisation che nel 2006 ha avviato un progetto chiamato ‘Age-Friendly Cities’ con l’obiettivo di promuovere modelli urbani che accolgano le esigenze della popolazione in là con gli anni. Attualmente sono 258 le città, in suolo britannico, che hanno aderito all’iniziativa, ciascuna portando avanti delle grandi, o piccole, ‘rivoluzioni’.

Più sedie e panchine confortevoli

Manchester, ad esempio, è promotrice della ‘Take-a-seat initiative’ che, come il nome evoca, prevede l’installazione di sedie in vari punti della città e sopratutto anche all’interno dei negozi di quartiere, il che consente non solo ai clienti più anziani di riposarsi se ne hanno l’esigenza, ma anche di offrire uno spazio confortevole dove scambiare quattro chiacchiere con i vicini. Stessa cosa vale per le fermate degli autobus, spesse prive di panche o con sedute nella maggior parte dei casi inadatte ad una popolazione anziana.

Il progetto prevede invece la messa a disposizione di sedute progettate in modo adeguato: né troppo basse né troppo alte, sufficientemente larghe, dotate di braccioli che aiutano ad alzarsi o sedersi e anche di elementi funzionali, come il posto dove riporre l’ombrello piuttosto che ganci per fissare guinzagli dei cani.

Fra gli altri progetti degni di nota: la realizzazione di club dedicati agli over 50, giardini pubblici a misura di anziano, ovvero privi di scale. E, in questo siamo a Newcastle, dei ‘vitality bench’, panchine sparse per la città realizzate con materiali caldi al tatto.

Servizio di ciclo-taxi

Ma il Regno Unito non è l’unico paese che si sta muovendo in questa direzione. Lione, ad esempio, ha avviato un servizio di trasporto pubblico che, chiamato ‘cyclopousse‘, è interamente dedicato alla popolazione anziana, che può usufruire di ‘giovani pedalatori’ per essere trasportata in giro per la città. Una sorta di taxi eco-sostenibile e a prezzo calmierato.

Supermercati ‘age-friendly’
Alcune catene di supermercati tedeschi sono state invece riprogettate pensando alle esigenze dei più anziani: hanno corridoi più ampi, pavimenti antiscivolo, scaffali più bassi ed etichette dei prodotti più grandi.

Percorsi di fitness urbano
Eindhoven, infine, ha pensato allo sport in città. Sempre più in voga nei centri urbani, i percorsi di fitness o le attrezzature nei parchi cittadini sono rivolte attualmente alla popolazione giovane. Perché non adattare il modello anche per le persone più anziane? La città olandese ha creato quindi dei percorsi che gli anziani possono seguire con delle soste prefissate dove fare piccoli e semplici esercizi fisici.

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Le borgate di Roma si vestono di luce

Primo Festival Internazionale di Installazioni Luminose. Quattro artisti accendono le periferie e le architetture popolari.
Non solo street art. L’arte contemporanea, con forme e linguaggi diversi, sempre più spesso sceglie le periferie. Così, mentre Roma assiste a un’esplosione di murales, progettati per riqualificare e rilanciare i sobborghi cittadini, nuovi progetti prendono forma, lungo la stessa direzione. È così che in occasione dell’Anno Internazionale della Luce nasce il Festival Internazionale di Installazioni Luminose, progetto ideato da Teatroinscatola, in collaborazione con NERO e con ATER Roma, l’Azienda territoriale per l’edilizia residenziale. Protagonisti sono alcuni tra i più significativi esempi di edilizia popolare, costruiti durante e dopo il secondo conflitto mondiale.

Dal 26 al 29 marzo 2015, gli artisti Carola Bonfili, Rowena Harris, Matteo Nasini e Federico Proietti daranno vita ad interventi luminosi, effimeri, spettacolari, capaci, nell’arco di una notte sola, di restituire un volto speciale ad angoli marginali e spesso dimenticati di città.

Si parte dal Borgo del Trullo, progettato dall’Architetto Roberto Nicolini, con l’installazione di di Nasini, un totem composto da insegne luminose in disuso, mentre il giorno dopo la  Borgata di San Basilio, progetto dell’Architetto Tancredi, ospiterà l’inedita lotteria di Nasini, realizzata proprio con la luce; quindi sarà il turno della Borgata del Quarticciolo, ancora una creatura di Nicolini, dove Bonfili ricamerà sulla facciata di tre edifici un’immaginaria costellazione, frutto di un laboratorio didattico avviato con i bambini di una scuola del quartiere: tra nomi di stelle inventati, e un uso creativo del codice Morse, il gioco collettivo partorisce galassie scintillanti, con cui reinventare l’aspetto di ordinarie architetture. La conclusione è attesa a Primavalle, luogo che porta la firma dell’Architetto Giorgio Guidi, dove la Harris piazzerà la frase And So We Gape (in italiano “E così noi a bocca aperta”) sul muro cieco di un palazzo.
Infine, un progetto collaterale dell’architetto Oscar Santilli, dal titolo Watt PedAlati, metterà a disposizione del pubblico due spinbike, con cui “caricare” di luce blu delle pennellesse: grazie ai watt prodotti dall’energia cinetica umana, gli anomali strumenti hi-tech serviranno per dipingere su dei pannelli, spalmando scie luminose come se fossero colore.
Il Festival, che nasce nel solco di un dialogo sincero con i residenti, punta a coinvolgere fasce di pubblico normalmente lontane dai margini cittadini: un modo per attivare riflessioni di natura sociale, urbanistica, architettonica, passando da una chiave creativa, immaginativa e relazionale.

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Concorsi di progettazione obbligatori per le opere pubbliche

Al Senato il Ddl Zanda: gare di idee per selezionare i progetti oltre i 100mila euro, stop agli appalti integrati, direzione lavori affidata al titolare dei progetto esecutivo. Gli architetti: bene, qualità è arma contro il malaffare.

Concorsi di progettazione obbligatori per tutti gli interventi di trasformazione del territorio, incluse le grandi opere della legge obiettivo; stop agli appalti integrati di progetto e lavori, con obbligo di affidare a un unico professionista (o società o team ) tutti e tre i livelli della progettazione;  rilascio dei permessi edilizi per interventi (piccoli e grandi) promossi da privati subordinato alla presentazione di un progetto redatto da un professionista abilitato; direzione lavori da assegnare al professionista responsabile del progetto esecutivo, salvo sua espressa rinuncia.

Sono alcuni dei principi, dalla grande carica innovativa, contenuti nel disegno di legge promosso da Luigi Zanda, capogruppo dei senatori Pd. Il provvedimento viene calendarizzato oggi. E c’è da scommettere che il senatore, che aveva presentato un Ddl di contenuto analogo nella scorsa legislatura (in cui peraltro era stato presentato alla Camera un provvedimento simile promosso dal settimanale «Progetti e Concorsi» del Sole 24 Ore) , non mancherà di far pesare il suo ruolo per sollecitare l’esame del provvedimento.

Due i capitoli in cui si divide il disegno di legge. Nella prima parte l’attenzione si concentra sulla promozione della qualità della progettazione , mutuata dalla legge francese sull’architettura (Mitterand , 1977). Qui si chiarisce che la qualità dei progetti (nuove opere, recupero del patrimonio, infrastrutture) assume un «interesse pubblico primario » . Di particolare rilievo la norma che impone l’obbligo di assegnare un incarico di progettazione a un professionista abilitato a «chiunque intenda intraprendere un’attività sottoposta a titolo edilizio». Tra i principi fondamentali di cui dovranno tenere conto le Regioni nelle loro leggi c’è il ricorso ai concorsi di progettazione o di idee per scegliere i progetti delle opere pubbliche (con bandi riservati ai giovani) .

Il secondo capitolo si interseca con la riforma appalti all’esame della commissione Lavori pubblici di Palazzo Madama (vedi articolo). Delega il governo a rivedere le norme sulla progettazione sia per le grandi che per le piccole opere. Tra i principi: concorsi di idee o di progettazione obbligatori per incarichi oltre centomila euro, stop agli appalti integrati e ai progetti affidata a general contractor, obbligo di affidare a un unico soggetto i tre gradi del progetto e la direzione lavori al titolare del progetto esecutivo. E, infine, obbligo per la Pa di fare ricorso a società di project management per controllare l’operato in cantiere delle grandi imprese (con gara e spese a carico dei general contractor).

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Il New York Times e l’aereo precipitato: lezione di giornalismo

È circa mezzanotte, ora italiana, quando il New York Times batte la notizia, pubblicando un pezzo e twittandolo a breve giro di posta: “Uno dei due piloti era bloccato fuori dalla cabina prima che l’aereo precipitasse in Francia” è il titolo dell’articolo che, come evidente, non ha bisogno di sofisticate trappole di “click baiting” per svelare il suo contenuto.

L’articolo  in questione è stato ripreso globalmente da tutte le testate , twittato migliaia di volte, una notizia che ha bucato trasversalmente tutti i media, vecchi e nuovi.

Il primo pensiero che mi è balenato alla mente è: “come diavolo fanno a stare sempre sul pezzo e ad arrivare primi questi del NYT?”. Eppure lo abbiamo visto in televisione, ribadito centinaia di volte sui media di ogni tipo, a Seyne-les-Alpes vi sono centinaia di giornalisti piovuti da tutte le parti del mondo.

E , se lo andate a leggere quel pezzo sul New York Times, ha tutto meno che il “look” del sensazionalismo gratuito. La testata americana rivela indiscrezioni di un ufficiale militare francese che sarebbe venuto a conoscenza di un primo ascolto della scatola nera (quella che registra l’audio di cabina), non solo, ma altre indiscrezioni provenienti sempre dal comparto militare, rivelate nell’articolo del NYT, iniziano a svelare alcuni dei misteri della tragedia.

Il tutto con grande sobrietà, senza alcun “titolone”, senza tecniche particolari di coinvolgimento o cattura dei lettori. Perché? Evidente quella è una NOTIZIA !!!

Certo possono essere formulate le più avanzate teorie (già largamente discusse) sui chiari rapporti tra stampa americana e ambienti militari, rapporti fatti di “do ut des” e quindi basati su forti legami ed interessi reciproci.

Tutte le teorie e le spiegazioni possono essere sviluppate o proposte, resta tuttavia alla fine qualcosa che nel giornalismo fa, ed ha sempre fatto, la differenza: il NYT aveva la notizia, il NYT ha fatto il pezzo, il NYT ha fatto giornalismo.

Credo che questo elemento, ancor più di ogni altra considerazione, debba farci riflettere sulla famosa questione “dove sta andando il giornalismo”, che se giornalismo vuole essere, non potrà mai fare a meno delle notizie.

Poi potremo discutere delle piattaforme, dei social media e, come miseramente avviene da noi, se la pagina Facebook di un giornale sia o non sia “il giornale”

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Burtone e Maricica diventano personaggi teatrali, per parlare della violenza nelle periferie

La vicenda di Maricica Hahaianu, l’infermiera romena che morì dopo essere stata colpita con un pugno alla stazione Anagnina da un giovane romano, è diventata una storia teatrale.

Una storia teatrale che ha alla base un lavoro di documentazione, un colloquio con il sostituto procuratore che ha seguito il caso e soprattutto il desiderio di andare oltre i due personaggi, con lo scopo di capire come è cambiata Roma negli ultimi anni.

L’autore è Roberto Scarpetti, tra i vincitori del Premio Riccione per il teatro nel 2011. La prima della sua pièce, intitolata “Roma Est”, è andata in scena a novembre, all’interno dello spettacolo-maratona “Ritratto di una capitale” al Teatro Argentina, ottenendo l’attenzione di critica e pubblico. Ho incontrato Roberto Scarpetti proprio durante il suo lavoro di documentazione. Abbiamo parlato di Maricica, della lite nella metro, delle donne romene che vengono qui per lavorare e del loro modo di vivere la realtà lontana dalla loro, dalla nostra, patria.

Ho rivisto poi Roberto per una video intervista pochi giorni dopo che la vicenda di Maricica e di Alessio Burtone è tornata sotto le luci dei riflettori, in seguito alla scarcerazione dell’aggressore, dopo soli quattro anni dall’accaduto.

Propongo l’intervista in anteprima ai miei lettori del blog ospitato da Roma Today, proprio mentre si apprende dai giornali che Alessio Burtone ha appena ricevuto un’altra condanna per aver picchiato, un anno prima della morte di Maricica, nella stessa zona della città, un’altra donna straniera, questa volta una signora peruviana.

Roberto, come mai hai deciso di occuparti della vicenda di Maricica Hahaianu e scrivere un testo teatrale?
Il fatto mi colpì da subito. Seguii la vicenda sui giornali, lessi su di lei e su Burtone. Mi sembrava che la vicenda rappresentasse bene la violenza della città, soprattutto l’incapacità di avere rapporti con persone appartenenti a un’altra cultura, l’incapacità di risolvere un problema attraverso la comunicazione. E quando non si accetta il confronto con l’altro, scatta la violenza. Ricordo che mi colpì anche la potenza delle immagini a circuito chiuso della stazione che furono trasmesse e ritrasmesse alla tv. Da allora ho pensato che potesse essere un argomento su cui scrivere.
Poi, all’inizio di luglio 2014 sono stato invitato dal direttore del Teatro di Roma, Antonio Calbi, a partecipare allo spettacolo collettivo “Ritratto di una capitale” e ho iniziato a pensare cosa e a come raccontare di Roma. Ho scelto abbastanza velocemente, perché mi sembra che valesse la pena raccontare questa storia.

Quanto lavoro di indagine ti ha richiesto la sceneggiatura?
Non tanto, perché il tempo a disposizione era poco. Per prima cosa, ho pensato di contattare e incontrare Burtone. Mi sono consultato con un amico avvocato, che mi ha detto che sarebbe stato possibile se anche Burtone fosse stato d’accordo. Ma dopo avrei dovuto incontrare anche il marito di Maricica. Questi due incontri avrebbero finito però col condizionarmi nella scrittura, legandomi alle loro dichiarazioni, non permettendomi di elaborare una costruzione teatrale dei personaggi. Una volta presa la decisione di non incontrare le persone coinvolte nel fatto, dovevo allora documentare il più precisamente possibile l’episodio. Così sono riuscito a parlare con il sostituto procuratore che si è occupato del caso, Antonio Calaresu. Lui mi ha fornito una minuziosa ricostruzione dei fatti, secondo le varie testimonianze, così come sono emerse durante il procedimento processuale. E’ stato un incontro molto prezioso.

Hai detto che hai pensato di andare a parlare con Burtone. Quale domanda in particolare gli avresti voluto fare?
Gli avrei chiesto se provava pentimento o se aveva dei rimorsi per quello che aveva fatto. Una domanda molto intima e non è detto che sarei arrivato a farla già a un primo incontro.

Come sono i due personaggi?
Decidendo di non incontrare le persone coinvolte, ho avuto una certa libertà autoriale. Preciso che nel testo io racconto la vicenda, ma non menziono mai i nomi, né di Burtone, né di Maricica. Non facendo nomi il corto teatrale risulta liberamente ispirato al fatto di cronaca.
La vicenda diventa così riconoscibile e allo stesso tempo simbolica: è lo scontro tra due persone che rappresentano culture che sono considerate distanti ma, in fondo, non lo sono.
Parto dai personaggi reali per raccontare una vicenda che potrebbe accadere di nuovo, prima o poi, in altre città italiane. In questo modo l’episodio diventa paradigmatico.

Quali dettagli, magari poco conosciuti, sono usciti fuori durante questo incontro?
Il sostituto procuratore Calaresu mi ha parlato della sua opinione sulla difesa portata avanti dagli avvocati di Burtone, incentrata sulla costruzione di una certa immagine dell’aggressore, come il ragazzo della porta accanto. L’immedesimazione ha portato l’opinione pubblica a giudicare più favorevolmente quello che Alessio Burtone ha fatto. Questo tipo di difesa puo’ aver fatto presa anche sul collegio giudicante.

Hai detto che Burtone è un personaggio simbolico. Cosa rappresenta?
Burtone, per me, rappresenta un distacco da una radice culturale del passato. Come se in determinati quartieri di Roma, o forse a differenti livelli in tutta Roma, una certa generazione fosse cresciuta con valori non più riconducibili a quelli delle generazioni precedenti.
C’è un distacco tra nipoti e nonni. Esisteva una volta una saggezza popolare romana che si è persa, una forma di cultura che non esiste più. Tra quei valori, c’era anche l’accoglienza, o il rispetto per le donne. Magari una saggezza brusca e per certi versi aggressiva, dettata da una conoscenza del mondo che era soprattutto empirica, ma che sembra essersi dissolta nelle nuove generazioni.

E Maricica?
Non conoscendo Maricica, ho cercato di raccontarla come una donna italiana degli anni sessanta. Cioè, più precisamente, come una donna con dei valori molto simili a quelli dell’Italia degli anni ’50, ’60. Un paese ancora legato a una cultura contadina, un paese in cui i sogni, le aspirazioni, erano legati a un immaginario più concreto rispetto a quello effimero del nostro presente. Per me, anche appartenenti a una cultura straniera, i valori di Maricica non sono poi così distanti da quelli degli italiani degli anni ‘50, ’60.

In base a quello che sostieni, credi che la colpa di questo stravolgimento di valori sia attribuibile a genitori e media?
Conta tutto. Non si può fare un discorso completamente sociologico. Contano i valori di riferimento che una società riesce a proporre, come dicevo prima. Ma contano anche quelli della famiglia. Ciò non riguarda la famiglia di Burtone, ma in generale parlo di valori in questo momento effimeri, qualche volta irraggiungibili. C’è un distacco tra quello che si può realizzare e quello verso cui si dovrebbe tendere. Per questo credo che molti giovani si sentano persi, incapaci di elaborare la realtà, il proprio mondo. Incapaci di avere un confronto con l’altro. Poi è ovvio che ognuno reagisce e si comporta secondo il proprio sentire. La violenza è sempre una scelta personale.

Come hai appreso la notizia della scarcerazione?
Sorpreso, ma non più di tanto, perché lui era già agli arresti domiciliari. Non credo che sia la notizia della scarcerazione in sé – che arriva secondo termini di legge – che debba essere dibattuta. Sono solo state applicate delle regole del sistema.
Il punto importante, secondo me, va individuato nel primo processo, in Corte di Assise. Il sostituto procuratore ha chiesto 15 o 16 anni, non ricordo bene, ma Burtone è stato condannato a 8. Quello è il problema. Dopo quella sentenza, ovviamente scattano le riduzioni di pena, i premi per buona condotta e dopo quello, in 4 anni si esce.

Come evolve, in un futuro ipotetico, il tuo personaggio?
Il personaggio che ho scritto io non cambia. Anche se ho cercato di dargli una speranza. L’ultima cosa che dice lascia intravedere una sorta di presa di coscienza del fatto che in qualche modo si sente perso. Poi finisce lì… Certo, il modo in cui chiude l’ultimo monologo lascia sperare in un cambiamento. Poi, se il personaggio reale cambi, non lo so… me lo auguro.

C’è una giustizia diversa se ad essere coinvolto nello stesso tipo di reato è uno straniero o un italiano?
È così. È triste, ma non c’è da sorprendersi. È un fatto reale, non è un caso isolato. Non è applicabile e non è stato applicato solo per Burtone. E’ un problema della giustizia italiana. La difesa di Burtone è stata incentrata sulla sua immagine da bravo ragazzo proprio perché gli avvocati sapevano che c’è una propensione verso questa tendenza.

Come vede Roma est tra dieci, vent’anni? I due mondi si incontreranno?
Ho cercato di dare un doppio senso al titolo. Oltre a Roma est, inteso come la parte est della città, c’è anche il significato latino, ossia “Roma è”. Questa dualità di significato per me significa una speranza di cambiamento, ha una connotazione positiva.
Se questi due mondi non saranno capaci di incontrarsi allora sarà un inferno. Ma io credo che si incontreranno. Una maggiore tensione nei rapporti fa male a tutti. Si dovrà trovare per forza un modo per venirsi incontro. Su questo sono ottimista.“

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“Il futuro di Roma passa per la rivoluzione dell’ordinario”

Intervista a Giovanni Longobardi, Università degli Studi di Roma Tre

Quali approcci di ricerca, punti di vista e metodi avete adottato nell’affrontare il tema e l’area proposti?
Lo slogan che abbiamo adottato è “la rivoluzione dell’ordinario”: dichiarare in qualche modo finita l’epoca delle grandi opere come volani della trasformazione urbana, e cominciare a occuparsi di questioni più quotidiane e più vicine al vissuto degli abitanti.

Quali i vostri riferimenti? Altre città? Altri laboratori di progettazione?
Non un riferimento in particolare, ma guardiamo con interesse tutte le esperienze fondate su numerose e piccole trasformazioni che abbiano un ancoraggio locale, coniugate con il progressivo sviluppo di usi agricoli nelle aree periurbane per la produzione alimentare e con una moderata densificazione abitativa: due questioni centrali per il nostro quadrante, di cui, per esempio in Francia, ci sono esperienze significative.

Come pensate di organizzare il gruppo di lavoro?
Siamo un gruppo multidisciplinare di docenti che lavorerà con studenti dei corsi di laurea magistrale e con dottori e dottorandi di ricerca.

Su quale area state concentrando la vostra attività?
Stiamo focalizzando l’attenzione su alcuni settori in cui le tematiche emerse sono tutte compresenti e che consentiranno di sviluppare strategie progettuali più chiare.

La rigenerazione urbana è ormai uno slogan (in Italia). Quale contributo concreto offrite?
Le periferie romane sono realtà nate male dove c’è sempre uno scarto tra le aspirazioni di partenza (modello siedlungen, garden suburbs sperati) e il risultato concreto. In questi casi rigenerare può anche significare aiutare queste realtà a perseguire il proprio carattere. Puntare sulla qualità dell’abitare non è una scelta al ribasso, una rinuncia alla forma complessiva, ma un modo per ripensare al ruolo che le discipline del progetto di architettura possono avere, oggi, per ritornare a incidere con qualche speranza di concretezza sulla forma della città.

A un non addetto ai lavori cosa pensate di poter comunicare con il vostro lavoro?
L’architettura sconta una lunga e persistente difficoltà di comunicazione dei propri contenuti ai non addetti ai lavori. Presentare questo lavoro come ancorato ai temi della vita quotidiana può essere, in prospettiva, un modo per ricomporre il rapporto tra abitanti, architettura e politica, interrotto da tempo.

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Finanza Sociale. On line la prima guida dedicata al tema

Presentato lo stato dell’arte di un settore di mercato che entro il 2020 potrebbe valere 250 miliardi di euro.

È stato presentato oggi mercoled’ 25 marzo, in occasione dell’evento “Finanza a impatto sociale. Prospettiva a portata di mano?”, il Quaderno “Introduzione alla Finanza Sociale”, curato da Fondazione Sodalitas. La pubblicazione è la prima Guida italiana agli strumenti di Finanza Sociale – dai più tradizionali ai più innovativi – che mette a disposizione degli operatori del sociale, della finanza e delle imprese il quadro complessivo delle opportunità disponibili.

La finanza sociale: definizione e contorni di un fenomeno in evoluzione
Si definisce “a impatto sociale” quella finanza “che sostiene investimenti legati ad obiettivi sociali misurabili in grado, allo stesso tempo, di generare un ritorno economico per gli investitori”: un ambito di attività che può mettere a disposizione risorse finanziarie a progetti in grado di soddisfare gli investitori, generando benefici sociali misurabili, raggiungendo, al contempo, una redditività del capitale.

Regno Unito, Stati Uniti, Australia e Canada sono i Paesi più all’avanguardia nell’impact investing: gli investimenti ad impatto si stanno rivelando contesti fertili per la costruzione di partnership pubblico-privato di tipo innovativo, in cui il risparmio ottenuto dal settore pubblico nel conseguimento dell’obiettivo sociale viene ripartito tra pubblico e privato e rappresenta la fonte di remunerazione dell’investitore.

In Italia, nonostante la finanza sociale vanti una lunga storia – da far risalire alle esperienze delle istituzioni mutualistiche, delle casse di risparmio, delle banche di credito cooperativo e delle fondazioni bancarie – il fenomeno nelle sue connotazioni più attuali è in fase nascente.
La spesa pubblica nazionale per protezione sociale ammonta a 432 miliardi di Euro, pari al 56% della spesa pubblica corrente complessiva. Ma – al netto della spesa per pensioni e per la sanità (rispettivamente il 61% e il 24%) – solo 63 miliardi di Euro, pari al 15% della spesa per protezione sociale, sono dedicati a settori come invalidità, sostegno alle famiglie, housing ed esclusione sociale. (ISTAT, Conti ed aggregati economici delle Amministrazioni Pubbliche, 2013).
Il Rapporto della Social Impact Investment Task Force arriva a stimare che il gap tra bisogni sociali e spesa pubblica, per il periodo 2014-2020, potrà raggiungere i 150 miliardi di euro.
È dunque in questo specifico contesto di bisogni che si sta strutturando la finanza sociale italiana: un numero crescente di banche, fondazioni bancarie, intermediari assicurativi, fondi pensione e cooperative sociali sta elaborando nuove tecnologie, nuovi modelli organizzativi e nuovi strumenti di intervento a favore della domanda di assistenza che rischia, in prospettiva, di restare senza risposta. Un mercato, questo, che potrebbe raggiungere entro il 2020 i 250 miliardi di euro.

“È arrivato il momento per il nostro Paese di creare un ecosistema favorevole agli investimenti a impatto e alla finanza sociale” ha dichiar ato Giovanna Melandri, Presidente di Human Foundation e Coordinatore dell’Advisory Board Italiano della G8 Social Impact Investments Taskforce. La crisi ci sta imponendo di ripensare il nostro sistema, non approfittarne per provare a cambiare paradigma sarebbe davvero miope. Nel mondo anglosassone hanno presente da tempo che muovere capitali verso la dimensione sociale genera ricchezza economica, occupazionale, sociale. Pensiamo, per esempio ai Social Impact Bond sperimentati in UK e Stati Uniti. O al radicale cambiamento previsto dal meccanismo del “pay for results” che il Congresso americano sta esaminando. Il lavoro fatto nell’ultimo anno dalla Social Impact Investment task Force, nata in ambito G8 e di cui ho presieduto l’advisory board italiano, può essere prezioso per i policy makers italiani. Bisogna con urgenza lavorare a un nuovo quadro di politiche pubbliche atte a favorire lo sviluppo di una cultura dell’impatto sociale e dell’erogazione di risorse pubbliche collegate a doppio filo ai risultati raggiunti Il Governo non abbia timore dei cambiamenti e mantenga sul tema l’apertura mostrata fin’ora. Si tratta infatti di aprire una nuova stagione nelle politiche di prevenzione, e favorire la nascita di un nuovo protagonismo dell’impresa sociale e degli investimenti ad impatto”.

“Le recenti stime di crescita economica – ha aggiunto Letizia Moratti, co-fondatrice della Fondazione San Patrignano – non permettono di pensare che il gap tra bisogni crescenti espressi dalle comunità e risorse pubbliche sempre più scarse per il finanziamento dei sistemi di welfare possa ridursi. Per questo il tempo per dotarsi sia a livello nazionale che comunitario di un ecosistema normativo capace di spingere l’economia sociale stringe. Nel nostro Paese molto si sta facendo per incentivare l’impresa sociale, ma molto si dovrà ancora fare soprattutto sul piano degli incentivi fiscali e della semplificazione burocratica ed amministrativa. A fronte delle difficoltà di finanziamento dei sistemi centralizzati di welfare da parte degli Stati, sappiamo che le organizzazioni orientate al conseguimento di valore sociale sono capaci mobilitare e attrarre risorse, creare ricchezza e posti di lavoro”.

I contenuti del Quaderno Sodalitas “Introduzione alla finanza sociale”
La pubblicazione che Fondazione Sodalitas ha presentato oggi mette a disposizione degli operatori – sia profit che nonprofit, sia finanziatori che fruitori di finanziamenti – ma anche dei non addetti ai lavori un riferimento omogeneo in termini di informazioni e lessico disponibili.
Il Quaderno, nel susseguirsi dei capitoli in cui è organizzato, fa il punto della situazione insistendo sulla necessità, da un lato, di ottimizzare l’utilizzo delle risorse, e dall’altro, di individuare sistemi di finanziamento dei servizi sociali in grado di veicolare risorse aggiuntive per contribuire a colmare il gap esistente.
La riflessione entra poi nel merito degli strumenti di finanza sociale ad oggi disponibili: dal Social Impact Fund al Social Impact Bond, dal Social Bond al Mini Bond, fino al Crowdfunding, alla Microfinanza e al Microcredito.
Fondazione Sodalitas ha organizzato l’evento di oggi e redatto il Quaderno “Introduzione alla Finanza Sociale” nell’ambito di FATTI&EFFETTI, il progetto che diffonde la cultura e la pratica della valutazione dell’Impatto sociale in Italia mettendo in comune le forze e le competenze di diversi stakeholder, tra cui i network nazionali ed internazionali più all’avanguardia.

“L’impatto sociale è un tema di largo respiro e lunga durata” ha dichiarato Maria Teresa Scherillo, Consigliere d’Indirizzo di Fondazione Sodalitas. E sta diventando un movimento carico di energia, un network in costante espansione di organizzazioni diverse e persone che guardano al futuro con generosità e ottimismo: una grande opportunità per generare, oggi, nel mondo dei servizi, un salto di paradigma analogo a quello rappresentato, negli anni ’80, dal Movimento per la Qualità Totale nel manufacturing. Attraverso il programma FATTI&EFFETTI, che abbiamo avviato nel 2012, intendiamo continuare ad alimentare questo processo sviluppando iniziative di confronto e coinvolgimento, formazione e apprendimento. Siamo convinti che solo un concorso plurale e multistakeholder permetta di armonizzare i mezzi con i fini, individuando gli impatti e gli obiettivi che vogliamo realizzare, e disegnando insieme il percorso per raggiungerli”.

I protagonisti del dibattito nazionale
Come emerso dall’analisi di Fondazione Sodalitas e dai lavori della Social Impact Investment Task Force, aprire il sociale alla finanza e la finanza al sociale potrà favorire l’innovazione necessaria nelle risorse e nelle soluzioni per affrontare i temi della povertà, della disuguaglianza e dell’esclusione.
Il dibattito è aperto e sono numerose, anche in Italia, le esperienze pionieristiche cui fare riferimento.

Banca Prossima per esempio, nata nel 2007, è il primo esempio italiano di banca dedicata esclusivamente al sociale, nel cui contesto sono state avviate iniziative e proposte innovative. Una su tutte Terzovalore.com, la piattaforma web dove le Organizzazioni Nonprofit, clienti di Banca Prossima, possono presentare progetti a finalità sociali e rivolgersi al “pubblico” per raccogliere, nelle forme del prestito e del dono, le risorse finanziarie necessarie alla loro realizzazione. Al 10 aprile 2014 sono stati pubblicati progetti per 8,7 milioni di euro raccogliendo prestiti per 3,65 milioni di euro da 837 prestatori e 638 mila euro da 102 donatori.

UBI Banca è invece capofila nel settore dell’investimento sociale, con numerose obbligazioni già emesse. I Social Bond collocati da UBI Banca fino a marzo 2015 sono stati 62 per un controvalore di oltre 650 milioni di euro: i contributi a titolo di liberalità sono stati pari a oltre 3,2 milioni di euro. I Social Bond sono stati sottoscritti da circa 24.000 clienti del Gruppo UBI.

Quaderno-Sodalitas-Finanza_Sociale

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Facebook ospiterà le notizie direttamente sulla bacheca

Per leggere una notizia su Facebook potrebbe non essere più necessario cliccare sui link postati dai giornali. Il team di Mark Zuckerberg sta portando avanti un progetto che permetterà alle testate giornalistiche di pubblicare direttamente sul social network, rendendo i contenuti più fruibili da parte degli utenti.

National Geographic, Buzzfeed e New York Times starebbero già firmando accordi per testare la novità, che potrebbe essere operativa già nei prossimi mesi. Ed è proprio il New York Times a spiegarla: “Gli articoli pubblicati su Facebook contengono dei link che rimandano al sito del giornale. Cliccandoli si apre una pagina web che solitamente impiega 8 secondi per caricarsi. Troppo tempo, soprattutto per i dispositivi mobili. Se si tratta di catturare gli occhi sfuggenti dei lettori anche i millisecondi contano”.

La parola chiave del nuovo sistema è, dunque “velocità”. Ma anche “guadagno”: alla testate verrebbe garantita una parte degli introiti derivanti dalla pubblicità. “Per rendere la proposta più attraente, Facebook ha discusso con gli editori alcune strategie per fare soldi grazie alla pubblicità disposta a fianco dei contenuti”, scrive il New York Times. Ma non solo: le testate potranno usufruire della visibilità che il social network garantisce ai video, uno strumento pubblicitario molto potente.

Allettante è anche l’idea di poter arrivare a coinvolgere sempre più lettori: con i suoi 1,4 miliardi di utenti, Facebook è una risorsa irrinunciabile per molti giornali. L’algoritmo che “seleziona” le notizie che compaiono in bacheca è un filtro sempre più importante, soprattutto per i più giovani. Se il progetto andrà in porto, qualche difficoltà non mancherà per le testate: ad esempio, potrebbe essere più difficile raccogliere le preziosissime informazioni sulle preferenze degli utenti perché i dati sul traffico potrebbero essere più sfuggenti.

L’ambizione di Facebook di ospitare direttamente le notizie è stata anticipata e raccontata lo scorso ottobre dal famoso giornalista David Carr, morto il 12 febbraio 2015. “Aprire le pagine di alcuni giornali sugli smartphone può essere straziante perché sono troppo rallentate dalla pubblicità. Facebook ama i contenuti, ma non sopporta la tecnologia che alcuni editori usano per il mobile. Il social network può aiutarli a fare di meglio”, scriveva su Nyt. Una “profezia” che sembra combaciare perfettamente con il nuovo sistema: “Le testate potrebbero semplicemente rinviare ad altre pagine di Facebook, che vivrebbero dentro il social network e che potrebbero, perciò, essere caricate più velocemente, con le pubblicità giuste. Il guadagno poi sarebbe condiviso”.

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