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Roma, le ville della mafia per i bimbi “detenuti”

Accordo tra tribunale, Comune e Dap per accogliere in una casa le carcerate di Rebibbia e i loro figli. Pronte 2 palazzine dell’Eur sottratte alla criminalità organizzata.

“Finalmente parte “Antimafia Capitale”. È felice Francesca Danese, l’assessore minacciata, l’assessore sotto scorta, l’assessore “del mondo di sotto” come lei stessa si definisce. È felice perché “lo avevo promesso quando accettai questo incarico. Avevo giurato che avrei tirato fuori i bambini dal carcere: e ora, grazie a un giudice coraggioso come Guglielmo Muntoni, grazie alla sua determinazione e alla sua forza, ecco che questo sogno diventa realtà”. Manca solo la Delibera di giunta, infatti, perché all’assessore Danese, all’assessore alla Legalità Alfonso Sabella, in collaborazione con il Dap, vengano assegnate due ville di 500 metri quadri l’una, circondate da un giardino, che ospiteranno le donne con bambini oggi detenute insieme ai loro piccoli nel carcere di Rebibbia.

Perché insomma diventi realtà, per la prima volta in Italia, la Legge 62 del 21 aprile 2011 che prevede non possa essere applicata la misura del carcere alle donne che hanno figli di età inferiore ai sei anni. E che gli arresti domiciliari possano essere scontati in una struttura protetta. O in un Icam (Istituto a custodia attenuata per detenute madri): e di Icam invece ce ne sono soltanto due, uno a Milano e uno a Venezia. Una legge arrivata dopo lunghe battaglie per accendere l’attenzione sul problema: come fece la giornalista Luisa Betti, qualche anno fa, realizzando un documentario toccante girato proprio nel carcere di Rebibbia, Il carcere sotto i tre anni di vita. “Sono felice perché voglio dare segnali positivi alle organizzazioni e alle associazioni oneste e per bene che lavorano a favore degli ultimi” continua Francesca Danese. “Queste due strutture saranno seguite direttamente dall’amministrazione: non accadrà più quello che si è visto negli ultimi anni. Ci sarà un monitoraggio costante”.

Il giudice Guglielmo Muntoni, a capo della III sezione del Tribunale penale di Roma che si occupa delle misure di prevenzione, non solo ha ideato ma si è anche battuto per firmare un Protocollo d’intesa con Regione, Comune, Abi, Confindustria, Confcommercio, Camera di commercio pur di mettere a frutto i beni mobili e immobili sequestrati e confiscati alla criminalità. La sua sezione (composta di tre giudici) che gestisce beni per oltre un miliardo di euro, 250 aziende e 800 immobili, farebbe qualsiasi cosa pur di metterli a frutto: e forse un po’ meno le maglie burocratiche della troppo spesso borbonica macchina amministrativa comunale, visto che sono settimane che si attende una firma perché la cosa diventi operativa. “Eppure questa giunta, questa amministrazione, il mio assessorato e questo sindaco stanno lavorando per velocizzare il più possibile i percorsi burocratici – amministrativi” spiega l’assessore Danese. “Anche perché io voglio passare subito allo step successivo.

C’è un problema molto serio rispetto alla nuova povertà: sempre più romani perdono il lavoro e poi la casa, perché non riescono a pagare l’affitto o il mutuo. Ci sono lise d’attesa per la casa con famiglie che aspettano anche da anni. Ci sono studenti fuori sede che troppo spesso finiscono con contratti a nero. Ci sono i senza fissa dimora. A questo voglio pensare”. In attesa di firme e timbri, dunque, non si può che gioire per quei piccoli che, se solo si guardano le immagini del documentario di Luisa Betti, fanno stringere il cuore. Un’infanzia dietro le sbarre, bambini costretti ad alzare gli occhi verso il cielo senza mai poter spaziare con lo sguardo.

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Tutti i bambini delle periferie in un murales firmato da Jorit

Sospeso nel vuoto tra cielo e terra, per dare un volto bambino alle periferie di Napoli. Jorit Agoch, papà italiano e mamma olandese, è nato è cresciuto nella periferia di Napoli nord. Ha iniziato a dipingere a tredici anni con lo spray sui muri della sua città natale, Quarto e non ha più smesso, diventando uno dei più promettenti graffiti artist della scena italiana ed estera. È famoso per i suoi graffiti iperrealisti, ispirati a star del mondo hip-hop. Ma a Ponticelli ha deciso di dipingere il volto di un bambino: un bimbo per dipingere i tanti bambini che popolano le periferie e raccontare i loro sorrisi, i loro giochi, le loro storie. Un murales di dieci metri. L’intervento artistico, coordinato da Inward- Osservatorio sulla creatività urbana (che da anni promuove la street art), è inserito nel programma dell’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali del dipartimento per le Pari opportunità della presidenza del Consiglio dei Ministri) ed è patrocinato dal Comune di Napoli. In via Aldo Merola, a Ponticelli, Jorit Agoch lavora con le sue bombolette, abbarbicato su un ponteggio mobile messo a disposizione dal Comune di Napoli. Il gruista, Michele, in genere lavora nei cantieri edili, ma per questa volta ha cambiato lavoro e segue, asseconda e dirige con la sua gru i movimenti di Jorit, grazie a una coppia di walkie talkie. I residenti di via Merola, come la signora Mariella, che abita nel palazzo e segue i lavori dal balcone, hanno adottato l’artista e l’operaio, rifocillandoli con succhi di frutta freschi e panini. Per ultimare il graffito ci vorranno dieci giorni. Finito il lavoro Agoch partirà per New York

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Anno Santo, tutti i lavori in periferia tra boulevard, parchi e antichi gioielli

Il vicesindaco Nieri: “Faremo sentire i romani che sono più in difficoltà i veri protagonisti del grande evento”.

Da un nuovo boulevard nel cuore di San Basilio alla grande piazza – giardino vicino all’acquedotto Alessandrino a Torpignattara, fino al parco della Pace di via Capaci sulla Casilina. Tutti spazi vicini a chiese di frontiera nella cintura romana, che torneranno a vivere per il Giubileo della Misericordia. Quattro milioni e mezzo di fondi per un progetto che comprende quattordici interventi nell’hinterland, messo a punto dall’assessore alle Periferie e vicesindaco Luigi Nieri, che lo ha già presentato al sindaco. “Alcuni” spiega” sono pensati per migliorare il decoro urbano, a cominciare dalla riqualificazione di piazze e aree verdi”. Ma c’è di più. “Saranno migliorati e potenziati” aggiunge Nieri “una serie di spazi sociali e culturali per creare una rete organica di socializzazione e di svago”.

Cominciamo da San Basilio. Qui i lavori riguarderanno via Recanati, il cuore del quartiere, accanto alla popolare parrocchia già visitata dal Giovanni XXIII e papa Woytjla. Al Parco Sangalli, invece, a Torpignattara, si valorizzerà tutta la quinta dell’acquedotto Alessandrino e si migliorerà la vivibilità del centro anziani. Un restyling sarà portato a termine anche per piazza dell’Acquedotto Alessandrino e la zona intorno alla chiesa di Santa Maria della Misericordia, progettata dall’archistar Meier. E si ripristinerà l’antico anfiteatro. Stesso discorso per il parco Conti, intitolato ad un bambino investito da un’auto pirata. La manutenzione straordinaria interesserà un centro anziani e il vicino oratorio della comunità di Santa Chiara. Si arriva poi al parco dell’Acqua e del Vino di via Giardiniello a Prato Fiorito, proprio accanto alla chiesa Massimiliano Kolbe e dove c’è anche uno dei pochi esempi di un’attività agricola ancora in vita. Andando avanti ed ecco la riqualificazione del verde della Collina delle Pace, dove sarà ripristinata la fontana artistica, collegato alla parrocchia di Santa Maria della Fiducia.

Un altro parco – piazza che rifiorirà con il Giubileo sarà quello Zappalà tra le parrocchie Gioacchino e Anna e Giuseppe Moscati, al Tuscolano, dove si miglioreranno uno skatepark e una biblioteca per bambini. Mentre il parco di Falconiana, sull’Ardeatina, vicino al santuario del Divino Amore, sarà riqualificato con il centro polifuzionale e le strutture – gioco per i bambini. Ancora. All’ Infernetto nascerà un centro accanto alla parrocchia di San Tommaso Apostolo. E sarà valorizzata inoltre piazza Sand, vicino alla chiesa di Santa Maria della Presentazione a Quartaccio. Infine il parco Anna Bracci in via Ascalesi nella zona della Pineta Sacchetti e la rinascita di tre centri culturali, quello Ecologico al parco di Aguzzano, il polifunzionale Gabriella Ferri a largo Beltramelli sulla Tiburtina e il Centro Elsa Morante al Laurentino. “Spesso uno dei limiti di grandi eventi internazionali come

il Giubileo” conclude Nieri “è quello di presentare le zone centrali in condizioni ottimali, mentre nel resto della città i problemi e il degrado rimangono inalterati. Invece per un evento incentrato sul tema della misericordia e della lotta alla povertà, grazie a questi interventi faremo sentire i cittadini delle periferie e i romani che sono più in difficoltà dal punto di vista economico veri protagonisti dell’anno santo”.




Parco di Centocelle, rinasce la villa della piscina

Una delle ville romane ora ‘nascostè nel parco di Centocelle, la cosiddetta Villa della Piscina, sarà musealizzata e dotata di tutti i servizi. I lavori, già finanziati, potrebbero partire già il prossimo anno e ricreare, con l’ausilio delle tecnologia, nella piscina del monumento degli effetti tali da sembrare ‘pienà di acqua. «Uno dei finanziamenti ottenuti in occasione della rimodulazione dei fondi di Roma Capitale riguarda il parco di Centocelle ed è molto importante perchè lì ci sono nel sottosuolo importanti ville romane prima scavate e poi ricoperte – ha detto il sovrintendente ai beni culturali di Roma Claudio Parisi Presicce -. L’idea è di riportarle alla luce e valorizzarle per rimettere a disposizione dei cittadini quel luogo. Il progetto è in corso, il finanziamento è cospicuo e il monumento – la Villa della Piscina – sarà dotato di tutti quei servizi necessari alla visita: un punto ristoro, probabilmente un bookshop, per il coinvolgimento di chi vive nell’area, non solo per i turisti». Il minisindaco del V municipio Gianmarco Palmieri, interpellato in merito, ha spiegato che «si interverrà su una delle ville romane presenti nel parco, attualmente non visibile: la cosiddetta Villa della Piscina, che verrà musealizzata, con tutti i servizi per le visite. Gli archeologi stanno pensando anche ad un modo per rendere la piscina della villa – da cui questa prende il nome – ‘pienà, ovviamente senza metterci dell’acqua, ma con l’ausilio della tecnologia e della luce». «I fondi complessivi per gli interventi nel Parco di Centocelle ammontano a 2 milioni e 300 mila euro, una parte già c’era, l’altra è arrivata con l’ultimo provvedimento su Roma Capitale – ha spiegato ancora il minisindaco -. Si conta di concludere il progetto preliminare a inizio estate, fare entro 2-3 mesi il definitivo, per andare poi in conferenza dei servizi e a gara. Sarà una gara europea. La durata dei lavori presumibilmente sarà di un anno e, se tutto procede secondo questa tabella di marcia, potrebbero partire nella prima metà del 2016». «Io credo che rifinanziare un’opera definanziata nella passata legislatura sia stato un atto concreto da parte dell’amministrazione Marino di attenzione alle periferie non solo a parole – il commento di Palmieri -. Nel V municipio, abbiamo già aperto le catacombe dei Santi Marcellino e Pietro, dove c’è un grande afflusso di visitatori, all’interno del Mausoleo di Sant’Elena è stato allestito il Museo delle Catacombe, che è pronto ad aprire. Poi c’è il Parco di Centocelle, che oltre ad un valore ambientale ha anche un valore archeologico. Qui oltre alla Villa della Piscina c’è anche un’altra villa romana, Ad Duas Lauros, l’auspicio è musealizzare anch’essa. Noi crediamo che il connubio patrimonio archeologico-ambientale possa diventare grande attrattore per lo sviluppo turistico del territorio».

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Dirk Seghers, Deriving energy from the city

“We are inspired by the city and we make objects and projects to inspire it again”

Can you tell me about Recyclart and its function?

We started when Brussels was chosen as the EU cultural capital in 2000. We function with a mixture of employment and cultural projects as a catalysator in the neighborhood. The cultural aspect is the art center, which I am responsible for. Besides that we have a project for social economy, which provides training for the long-term unemployed: either in the restaurant kitchen or in our wood and metal workshop, Fabrik.

It’s the combination of culture and employment that makes us unique. Plus the setting: We work and live in a train station that is still being used. It is still a station during the day and when it’s closed at night we use the space for cultural events (parties, conferences, concerts and so on). The restaurant is open during the day.

Recyclart has been around for 15 years, how has it changed since then?

The initial mission statement hasn’t changed but other changes are more practical. We started out 2 years with a European grant and after that we have found our own means of living and that’s why we evolved towards a bi-communautarian art center. This means that both the French and Flemish speaking communities recognize us. Two years ago, we were forced to move the factory due to possible danger of an explosion. But essentially the initial purpose is still the same.

What is your role in engaging the residents with the two different neighborhoods you are near?

We are still in the center of Brussels in a popular neighborhood. Traditionally and historically, this neighborhood has always been residents of immigrant backgrounds since the 12th century. This is the neighborhood they were expelled to from the city center. After WWII, different migration waves came here.

How do we work with the neighborhood? Well it’s essential to develop a relationship with your neighborhood because it’s impossible, like in the 19th century, to bring culture from an ivory tower. We have events specifically with and for the neighborhood and then events aiming at a broader audience: the larger area of Brussels and even at the national level.

Most of the neighborhood events are more or less based around photography. My colleague is a photographer and he develops many different formats to work with the neighborhood. For instance he developed a project to involved specific urban subcultures. He did long term work with homeless people and drug addicts addicted for more than 10 years to hard drugs. He gives them disposable cameras to photograph their daily life. It’s easily said, but not easily done. To meet up, explain and receive a response with the photos from people (already struggling with basic daily tasks). However, it’s very much worth it when the exhibited photos have been taken from someone within the subculture so you don’t feel like a voyeur. There is a sense of ownership with the image; they show us what they want to show us and that’s why the images are always very powerful.

Other formats and means to work with the neighborhood: For 6 years in the summer we have a public bread oven in the open space outside. People can come participate in workshops to bake bread or even bake their own bread for free.

Once a month we have an event revolving around one person from the neighborhood. In “Neighbors Evening,” 20 -100 people come to listen about one local’s life. The idea is every human being – however humble she or he may be – has a story and a past. We curate one night concerning her or his life, hobbies, and interests. It can be with music, food, fashion – as long it has a link with the person’s life. Instead of booking expensive artist talent we look to see what the city has to offer us – around the corner.

How do you choose them?

It is long-term work to gain the trust of people; it takes years. He gets to know them very well before organizing a program on them.

Our most popular night with the neighborhood is “Ugly Night,” where everything is ugly. 200 people attend and we only play ugly music, take ugly photos, have an ugly dress code. At the end the night we choose the winners for the ugliest man and woman of the night. It’s a way to laugh at the situation. It’s funny and fun.

For 4 years now we have a local TV station: TV MAROL (name of the neighborhood). Its run by 40-50 local resident. They make a mini documentary about resident’s daily life or banality (on their dog, sister, butcher, neighbor) and 3 times per year we show these movies to a live audience.

On a more popular level, the wider public knows us for the electronic music parties we hold that attract thousands of people (we are the only place in the center that can stay open till 5am twice a month – which is rare for Brussels)

Do you think the residents are open to the events?

Some are curious, some come to bake bread, some come to listen to concerts and some don’t come. Many people come that don’t live the neighborhood, which provides a good mixture.

How do you interact with the neighborhood on a more spatial level?

The train station is public space. We have a large open space in front, which is ideal in summer. We use it for the bread oven, screen-printing, haircuts, tattoos and small interactive workshops. The interactions outside tend to be very active.

This year we work thematically with the phenomena of popular cafes. These cafes are common in the neighborhood and are used as a sort of living rooms. It’s interesting to illustrate that the phenomena of cultural cafes is something that constantly changes. Its true, old cafes from the 1950s are disappearing. Cities are dynamic. African and Turkish cafes with live music are the new popular cafes. We want to illustrate that you don’t have to be nostalgic, new cafes are always arriving. It’s interesting to compare and interact with a different group: people that never come to Recyclart because they are not affiliated with our organization.

How did the construction of the benches come about?

The Fabrik creates objects for individuals, social institutions and municipalities. They make objects for public space like benches and bicycle garages. One of the larger projects was the skate park.

We are inspired by the city and we make objects and projects to inspire it again.

How does the employment situation work?

We have the art center, the restaurant and Fabrik: 25 people total. The restaurant and Fabrik are labor intensive. Often the employees are illiterate so they need much coaching. However, when they stay the whole two years of the program, they have a 70% success rate of finding a job.

What are some of the outcomes you have noticed?

They know who we are. Others disappear because it is also a transient population on the move.

An achievement like TV Marol would have been impossible to realize 10 years ago because people would not have enough trust.

We have an incredible amount of Facebook fans. Even more than huge cultural institutions. It shows that our audience is interactive and closely follows what we do.

What is Recyclart’s interaction with the urban issues?

We  have conferences and lectures about urbanism, architecture, photography and graphic design. We work together with local architecture schools to provide workshops. We have a series of lectures where we invite architects form all over the world. We held talks and events for 2 months for the Public School of Architecture, which the idea stemmed from Brooklyn. The idea is to provide classes accessible for everyone to attend and anyone to teach to be open to various ways of perceiving and solving problems. These classes provide inclusivity and a mixture of audience for fruitful discussions.

How do you see your part in the redevelopment of the area?

The neighborhood is changing; you can feel slow gentrification. The city will make efforts to renovate the neighborhood and I’m anxious to see how it will change. Change and gentrification is inevitable. As soon as it does happen, new subcultures will emerge. Its constantly changing over periods of 20-30 years and this is how the city works. It’s constantly fascinating.

What inspires you to do what you do?

It’s difficult because it’s cold and loud here and you can get tired of the many problems the city offers. What inspires me the most is when you organize a concert and the ticket is the hottest ticket in town with 500 inside and 500 outside – you have the whole energy of the city with you. This gives you energy to confront the vampire of the city. These are the moments when the city gives you energy instead of taking it away.

What are some things taking place in Brussels you find interesting?

The huge space near a former custom’s office, Tours & Taxis, but it will only last 2 years.

Smaller organizations like Cinema Nova are nice.

They make the city go ~

Who should I talk to next?

Seb Bassleer of the DJ collective Rebel up!

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Stefano Boeri: “Prova di forza, ora la camminata riparta dalle periferie”

L’architetto ed ex assessore sulla manifestazione Nessuno tocchi Milano: “In quel raduno c’era voglia di futuro”.

“Quella di domenica è stata una prova di forza, con migliaia di milanesi che hanno voluto riappriopriarsi della città contro chi vuole riportarci indietro, a un clima cupo che ci siamo lasciati alle spalle per sempre”. L’architetto Stefano Boeri era tra le “tute bianche” che due giorni fa si sono radunate nelle strade devastate dai black boc e che hanno ripulito i muri del centro. “Dentro quel raduno, c’è voglia di futuro, lontanissimo dal passato cupo in cui vuole riportarci un gruppo di squadristi”.

Architetto, cosa l’ha colpita dei ventimila di domenica?
“Mi è piaciuto molto il tono del corteo, composto da una somma di individui ognuno con la sua cultura, la sua etica, la sua passione, ma tutti riuniti in un atto civile di riappropriazione della città, scheggiata da una violenza folle. È come se i milanesi avessero sottoscritto in migliaia, uno a uno, un manifesto silenzioso. Sfilare in silenzio in una camminata collettiva, senza striscioni e slogan, è stato bellissimo”.

Lei perché ha partecipato?
“Sentivo il bisogno di esserci. Come per i milanesi, è stata la mia risposta alla follia di due giorni prima. Abbiamo voluto dire che la soluzione non è proibire le manifestazioni, come qualcuno ha proposto, ma anzi lasciare spazio alla potenza pacifica del dialogo e della critica”.

Si aspettava una tale partecipazione?
“Sì. Non avevo dubbi. È stata una grande prova di senso civico, inteso come il prodotto di migliaia di individualità che condividono il senso di appartenenza a una comunità. Non è stata l’adesione a un messaggio politico di parte. Camminare per le strade, pulire i muri, significa sentirsi dentro una storia comune, non voler ripiombare in un passato cupo che Milano non vuole più vivere. Mi ha colpito questo tuffo all’indietro: vedere quello che è successo in via Carducci mi ha fatto venire i brividi, ricordo in quella strada l’omicidio dell’agente Antonio Custra, nel ’77. Per questo è sbagliato vedere nella manifestazione di domenica qualcosa di partitico. È scesa in strada la città che guarda al futuro”.

Soprattutto ora con la partenza di Expo.
“È un successo che dà grande orgoglio. Volevo una Expo diversa, basata più sul concetto di nutrizione che sull’alimentare, ma all’inaugurazione ero orgoglioso che Milano fosse stata capace di costruire un evento di questa forza. In questi giorni Milano ha inaugurato il museo della Pietà Rondanini, il museo delle Culture, la Casa della memoria, la Fondazione Prada. Quattro straordinari esempi di una città che conserva la memoria ma è proiettata al futuro”.

Secondo lei ci sono contatti tra i manifestanti della Mayday e chi è sceso in strada domenica?
“La cosa bella di domenica è stata che era impossibile catalogare i partecipanti per appartenenza politica: c’erano le donne della comunità somala, i compagni del Pd di Quarto Oggiaro, amici lontani dalla politica, commercianti che votano centrodestra, e ragazzi che probabilmente erano stati alla Mayday. Ecco, questo caleidoscopio è la linfa di Milano”.

Pisapia ha parlato di “forza viva della città“.
“Mi ritrovo in questa definizione. Io credo in una cittadinanza che da un lato si dimostri generosa, dall’altra creativa. Milano dà il meglio quando unisce le due cose. Se è solo generosa o solo creativa perde punti”.

Dove può condurre questa prova di cittadinanza?
“La mia idea è che questa attenzione alla Milano che cambia debba estendersi alle periferie, aree di sofferenza che purtroppo sono rimaste lontane dalle politiche del Comune. Mi auguro che nei prossimi mesi questa camminata riparta, fino a Quarto Oggiaro, al Gallaratese, al Corvetto. Dobbiamo recuperare la parte di città che ha perso il contatto con le eccellenze di Milano”.

Il centrosinistra dovrà farlo senza Pisapia.
“Sono convinto che un sindaco debba poter fare due mandati, altrimenti si lascia incompiuta l’opera. Sono stato molto chiaro nei giudizi critici ma ho sempre pensato che Pisapia possa trovare la forza per andare avanti. Se i primi cinque anni sono importanti, i secondi sono fondamentali”.

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Il senso delle periferie

Frantumazione dei legami solidali, consumismo, abbandono di ogni speranza di riscatto sociale, aumento della povertà, grumi di palazzine addossate ai grandi centri commerciali. Oggi possiamo ben dire, fuori da ogni metafora, che la città (Roma in particolare), è una gigantesca periferia, ricca di disuguaglianze sociali e di lotte di tutti contro tutti. Per questo abbiamo bisogno di sostenere la partecipazione e l’autorganizzazione dei cittadini ma anche di ripensare il ruolo dei municipi, enti di prossimità, e di riavviare una discussione politica nei territori su questi temi. “È nelle pieghe di questa contraddizione, tra marginalità e abbandono, da una parte, e riconquista e trasformazione dei luoghi dove si svolge la vita quotidiana  – scrive Enzo Scandurra – che possono svilupparsi pratiche sociali e di vita comunitaria antagoniste alla vecchia centralizzazione verticistica”.

Il senso del convegno

Il senso di questo convegno (“Gli angeli non abitano più qui. Una lettura della periferia romana da parte della Ricerca”, Facoltà di Ingegneria Civile e Industriale de La Sapienza di Roma, 7/8 maggio, via Eudossiana 18) è quello di tentare di ridefinire, alla luce dei grandi cambiamenti che investono gli anni che vanno dal Cinquanta ad oggi, il concetto stesso di periferia e, dunque, di conseguenza quello di città. Per dirla in sintesi, tutti avvertiamo che tra quei paesaggi desolati (ma carichi di attese e speranza) degli anni appena successivi al dopoguerra che circondavano le grandi città, e le sterminate “periferie” di oggi, c’è solo qualche pallida analogia essendo mutate le composizioni sociali dei loro abitanti e perfino i caratteri antropologici, oltreché le condizioni politiche, urbanistiche, e le caratteristiche del modello economico. Per questo abbiamo scelto come titolo del convegno, un verso di Pasolini ribaltato di senso. Ma per capire quali siano questi cambiamenti che rendono perfino astratto o privo di senso l’accostamento delle vecchie periferie a quelle odierne, occorre fissare una data dopo la quale prende avvio questo cambiamento.

Le periferie storiche

Sulle periferie degli anni Cinquanta e Sessanta c’è una vasta letteratura che va dai romanzi alle opere cinematografiche. La prima fase, tra il 1943 e il 1955, è quella dei film neorealisti di Visconti, Germi, De Sica, De Santis. Ci descrivono una Roma post-bellica, una città provinciale che coincideva con la sua parte storica ancora non colonizzata dai turisti. Qualche anno dopo, tra il 1950 e il 1960, il genio profetico di Pasolini è riuscito a rappresentare la grande trasformazione di quegli anni: la fine di un mondo contadino e il dramma del sottoproletariato urbano, entrambi in via di cancellazione dalla storia con l’avvento delle prime manifestazioni di modernità (che per Pasolini, significava soprattutto consumismo). La letteratura sociologica e antropologica poneva intanto la sua attenzione su quello straordinario mondo di immigrati dal sud e contadini inurbati che si accampava a ridosso delle mura e che dava vita a inedite tipologie urbanistiche: borgate, borghetti, baraccamenti. Sono da ricordare le analisi di Ferrarotti e Macioti[1], le foto di Pinna[2], le testimonianze di vita come quella di don Sardelli all’Acquedotto Felice[3], le descrizioni dei grandi scrittori romani “d’origine” come Moravia o Elsa Morante, quella degli scrittori d’adozione come Caproni, Gadda, Gatto, Penna, Bertolucci. La città, per la prima volta, si estendeva oltre le sue storiche mura, invadeva l’agro, la campagna romana; nascevano le (nuove) periferie che accoglievano il nuovo ceto impiegatizio, soprattutto coloro che, in città, riuscivano a trovare lavoro nelle aziende municipalizzate o nelle ferrovie. Da allora narrazioni importanti come quelle sopra citate non ce ne sono più state.

Quelle periferie, allora lontane, quasi sconosciute, una volta evocate sono entrate a far parte della storia moderna di Roma, le si sono – potremmo dire – “appiccicate addosso” come una pelle: non c’è una Roma antica e una Roma moderna – diceva Pasolini – ma solo una, antica e moderna contemporaneamente. Nelle periferie storiche l’emarginazione, le disuguaglianze venivano elaborate – ricorda Walter Tocci – tramite un altrove temporale, un’utopia di buona società, da raggiungere attraverso l’emancipazione. In sostanza, le periferie storiche non erano soltanto luoghi di disperazione, di solitudine, di disincanto; piuttosto luoghi carichi di speranza, dell’attesa di un riscatto. In esse trovava consenso e faceva proseliti il “vecchio” Partito Comunista che tra i suoi obiettivi politici comprendeva il progetto del riscatto di questo popolo contro il potere e il dominio delle grandi famiglie di proprietari di terreni e immobiliari poi[4]. Questo atteggiamento di solidarietà si traduceva nel sostegno del Pci alla realizzazione di servizi, fogne, scuole. Ma ben presto le pessimistiche profezie di Pasolini trovarono conferma: negli anni Ottanta, avendo ormai ottenuto la sanatoria, i “borgatari” cominciarono a ragionare come proprietari immobiliari, trovando nella destra risposte più adeguate, fino allo smantellamento, verso la fine di quegli anni, delle tradizionali “roccaforti rosse” delle borgate abusive, diventate rapidamente egemonia della destra[5]

Da quegli anni in poi, con l’avvento del “mondo moderno”, studi e ricerche sulle periferie romane hanno subito un arresto o, nel migliore dei casi, hanno descritto frammentariamente episodi, spezzoni di realtà, via via che le periferie si allontanavano da quelle immagini stereotipe trasformandosi in qualcosa di profondamente diverso e, come sostiene Ferrarotti: “accontentandosi di ricerche frammentarie, tanto tecnicamente raffinate quanto sostanzialmente prive di significato[6]. Oggi sono oggetto di attenzione per gli episodi di cronaca nera e di esplosioni di rabbia sociale.

La grande mutazione delle periferie

L’episodio che ha fatto uscire dal torpore le amministrazioni di sinistra sulle trasformazioni avvenute in questi territori, è stato, a Roma, l’esito straordinario delle votazioni cittadine sullo scontro elettorale tra l’ex Sindaco Rutelli e il suo rivale Alemanno, nel 2008, al termine di un quindicennio di ininterrotto governo del centro sinistra e appena due anni dopo che lo stesso Veltroni alle comunali del 2006 aveva raccolto il 62% dei voti. Le analisi dei risultati del voto dimostrarono come a sconfiggere la sinistra erano stati proprio i voti delle periferie romane un tempo serbatoi privilegiati, “cinture rosse” contro il voto delle aree centrali della città tradizionalmente di destra e ora “inspiegabilmente” diventate sostenitrici dell’esperimento riformista delle amministrazioni di sinistra. Si parlò, a quel tempo, di risentimento e di rancore nei riguardi di una sinistra che aveva abbandonato alla destra il presidio di quei territori, volgendo le spalle agli abitanti delle periferie[7]. Il libro di Siti, Il contagio, seppure in forma di romanzo, costituisce una svolta dell’immagine tradizionale e stereotipata delle vecchie periferie. Le borgate romane descritte da Siti vanno trasformandosi in una poltiglia indistinta ammaliata dai nuovi valori borghesi del consumismo abbandonando ogni speranza di rigenerarsi, ogni illusoria attesa di un mitico riscatto sociale, rompendo i vecchi legami solidali e arcaici che tanto avevano affascinato Pasolini, innescando una diffidenza di ciascuno contro ogni altro, abbandonandosi nella disperazione degli “ultimi” condannati a rimanere tali per sempre[8].

Un sintomo oggettivo di questa trasformazione delle periferie è costituito dal fatto che a fronte di un allargamento del benessere dagli anni Cinquanta- Sessanta ad oggi, “il mondo periferico non si restringe, non indietreggia. Anzi il mondo periferico avanza”[9]. Oggi possiamo ben dire, fuori da metafora, che la città, Roma in particolare, è una gigantesca periferia, essendo il suo centro un luogo residuale di vita, spesso un vero e proprio museo ad uso e consumo del turismo predatorio. Quello di periferia è diventato pertanto un concetto estendibile a gran parte del mondo moderno fuori dall’Occidente così come interno ad esso, spesso presente e osservabile nel cuore stesso della città.

Il mondo si periferizza

Questo perché quello che chiamiamo benessere è una assolutamente squilibrata distribuzione delle ricchezze, portatrice di più accentuate disuguaglianze che non eliminano le periferie ma ne estendono l’area d’influenza sulle città secondo lo slogan “siamo il 99%”: “Chi appartiene all’1% se ne sta andando con i soldi, ma nel frattempo non ha procurato se non angoscia e insicurezza al restante 99%. La maggioranza degli americani semplicemente non ha tratto alcun vantaggio dalla crescita del paese[10]. E quello che Stiglitz afferma per il popolo americano ha indubbio valore per ogni altro popolo occidentale. “Per anni” sostiene Stiglitz “è esistito un patto tra chi stava in alto e il resto della società e il patto era più o meno questo: noi vi daremo lavoro e prosperità mentre voi ci lascerete liberi di portarci a casa i nostri bonus. In altre parole: voi avrete la vostra parte, anche se noi ne avremo una più grande”.

Oggi quel tacito accordo (welfare, dico io) tra i ricchi e il resto degli americani, che era comunque fragile, è andato in pezzi[11]. Se il welfare, conquista di classi lavoratrici in lotta con il capitale per conquistare il diritto alla città, è diventato un “lusso” ormai insostenibile producendo un progressivo del 99% della popolazione, si è venuta al tempo stesso “a creare una nuovo e crescente disuguaglianza tra le generazioni e le categorie sociali che hanno potuto ammortizzare almeno in parte gli effetti della crisi e tutte quelle che non sono state in condizioni di farlo”[12]. Così che, aggiunge Cassano, “Questa circostanza ha dislocato il rapporto tra la sinistra e la società, logorando sempre più la sua capacità di rappresentare gli ultimi e consumando la coesione del suo popolo”.

Queste poche righe sembrano già sufficienti a spiegare la condizione di miseria e di disperazione che affligge le nostre periferie sempre più estese. Al tempo stesso tale condizione si trasforma da “temporanea” a “permanente”, cronica perché la disuguaglianza iniziale tende a moltiplicarsi ad ogni giro moltiplicandosi esponenzialmente. Questo processo può giustificare lo scetticismo di quanti sostengono che ogni tentativo di rigenerazione delle periferie, ogni tentativo di “rammendo”[13] è, in questa condizione generale, destinato all’insuccesso, ancorché lodevole nelle sue intenzioni di ridistribuire il benessere prodotto.

La lotta di tutti contro tutti

Accanto ai conflitti derivanti da queste condizioni, ci sono, secondo Franco Cassano, altri conflitti che nascono proprio dall’espansione generale dei diritti. Per esempio, egli sostiene che: “il sacrosanto diritto all’accoglienza degli immigrati può entrare in conflitto con la percezione della sicurezza in quegli strati popolari che avvertono i nuovi arrivati come un pericolo per i propri diritti acquisiti, da quello del lavoro a quello della sicurezza”[14]. Il tema della convivenza rischia dunque di ridursi a un generico appello di stampo moralista se non si rimuovono le cause che producono le insicurezze.

Così come la caduta del mito della soluzione individualistica con la sua prospettiva di ascesa sociale (La società non esiste, esistono solo gli individui, affermava la Thatcher), che è stato un formidabile complice dell’egemonia esercitata dal neoliberalismo, tende ora, nelle nostre periferie, a trasformarsi in un sentimento di rivolta contro tutti. Tra queste promesse tradite, Cassano annovera anche il mito del merito che, in queste condizioni, rappresenta “quella dinamica che risucchia nelle aree più forti i più coraggiosi e capaci aumentando in modo esponenziale il divario preesistente e rendendo sempre più ineguali i punti di partenza”.

Da quanto sia pur approssimativamente descritto, appare già facilmente osservabile come le “vecchie” periferie siano sideralmente distanti da quelle che continuiamo a chiamare “nuove” periferie che costituiscono le condizioni generali di vita del 99% delle persone che rappresentano la città contemporanea nella quale “c’è chi naviga ad alta velocità, chi nuota e chi affoga senza pietà[15]”.

Il “che fare?”

La sfida, o la scelta, che ci si pone di fronte è tra la disperazione (there is not alternative, o come dice Siti: resistere non serve a niente) e la speranza, dove questa non deve trarre la sua forza da una prospettiva di un mitico e futuro altrove, ma dai tentativi di dare ora risposte nuove che non siano più quelle delle vecchie nomenclature politiche.

Non ci si deve meravigliare che nelle ormai sconfinate ed estreme periferie romane, là dove il legame sociale si è indebolito, dove non trova più spazio alcuna rappresentanza, dove ogni istituzione intermedia tra amministrazione e cittadini è saltata, ebbene in questi luoghi cresce la sfiducia nei confronti della politica. In tal senso le periferie perdono potere e ritornano brevemente alla ribalta solo in occasioni di esplosioni di rabbia popolare o episodi di cronaca nera. Secondo Tocci: “Per restituire potere alla periferia occorre, invece, aiutare la dimensione orizzontale della partecipazione, sia rilanciando l’attività dei circoli – secondo nuove modalità tutte da inventare – sia ripensando i municipi come istituzioni non burocratiche che danno voce ai territori”. Ma ormai neppure questo può bastare a restituire dignità, identità e fiducia al popolo delle periferie. Occorre reinventare una pratica progettuale, aprire le finestre di un futuro diverso, rimettere in moto la discussione politica.

I tentativi del quindicennio rosso di Rutelli e Veltroni sul versante urbanistico hanno prodotto un PRG che già in fase di approvazione risultava invecchiato, perché ha tentato di creare delle “nuove centralità” nelle periferie che altro non sono che “grumi di palazzine addossate ai grandi centri commerciali, sconnesse dalla città e accessibili solo con l’automobile”[16]. In questo periodo “quasi tutte le nuove edificazioni sono state collocate a ridosso del Gra, realizzando tanti quartieri isolati tra loro e sempre più lontani dal centro, in un territorio già devastato dall’abusivismo e privo di robuste strutture urbane. Ciò ha appesantito la vita quotidiana dei cittadini, sia di quelli che già vi abitavano sia dei nuovi venuti, e ha aumentato il pendolarismo tra una periferia sempre più lontana e i luoghi centrali di lavoro, fino a produrre l’ingorgo permanente sulle consolari. Di tutto ciò, come si è detto, si è pagato anche un prezzo politico con lo spostamento a destra dell’elettorato della periferia anulare”[17].

Potremmo dire che il centro della città si sposta progressivamente verso le periferie, si va anch’esso periferizzandosi. Eppure è nelle pieghe di questa contraddizione, tra marginalità e abbandono, da una parte, e riconquista e trasformazione dei luoghi dove si svolge la vita quotidiana che possono svilupparsi pratiche sociali e di vita comunitaria antagoniste alla vecchia centralizzazione verticistica. “Sono solo esempi di processi latenti dotati di una chimica endogena che può portare ad esiti diversi, sia di inevitabile degrado sia di possibile riforma. Sfuggono alle semplificazioni della politica mediatizzata, che infatti non li vede oppure li spiana con strumenti normativi ed emergenziali. Per trarne gli aspetti positivi ci vuole un governo di prossimità che faccia da catalizzatore delle energie più innovative”[18].

* Queste riflessioni saranno parte di una due giorni di discussione promossa dala Facoltà di Ingegneria Civile e Industriale intiolata Gli angeli non abitano più qui. Una lettura della periferia romana da parte della Ricerca (giovedì 7 e venerdi 8 maggio 2015, via Eudossiana 18, Roma)
Note
[1] Cfr. di Franco Ferrarotti (1970), Roma da capitale a periferia, Laterza, Bari, e il successivo Vite di baraccati (1973), ricco di una cinquantina di fotografie di vie, baracche e borgatari; seguirà, di F. Ferrarotti e altri (1980) , Vite di periferia, Mondadori, Milano; e più recentemente, di F. Ferrarotti e Maria I. Macioti (2009), Periferie da problema a risorsa, Sandro Teti Editore, Roma.
[2] Franco Pinna, che ha lavorato con i più noti antropologi del suo tempo, ha lasciato un importante archivio; da ricordare le pubblicazioni di sue importanti foto ne L’isola del rimorso. Fotografie in Sardegna, 1953-1967, di Giuseppe Pinna; Con gli occhi della memoria. La Lucania nelle fotografie di Franco Pinna, 1952-’59, di Giuseppe Pinna ( Ed. Il ramo d’oro, Trieste 2002); Fotografie 1944-1977 (Milano 1996). Pinna è stato un giovane militante del PCI, partito in cui è rimasto fino ai fatti dell’Ungheria. Ha lavorato con Giovanni Berlinguer nelle sue ricerche sulle borgate romane. Importante la sua collaborazione con Ernesto De Martino, con Franco Cagnetta, il noto autore di Banditi a Orgosolo. Le sue foto sono una importante testimonianza visiva della storia italiana.
[3] Don Roberto Sardelli negli anni ’60 a Roma ha aperto all’Acquedotto Felice una scuola, detta scuola 725, per i bambini e i ragazzi che vivevano in borgata, seguendo un po’ le orme di don Lorenzo Milani . Tra i suoi scritti più conosciuti, v. Non tacere, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1970; In borgata, ed. Nuova Guaraldi, Firenze 1980; su don Sardelli v. altresì la tesi di laurea di Antonella Macellaro, Don Roberto Sardelli e la scuola 725. Un’esperienza di riscatto sociale e di lotta alla dispersione scolastica, Sapienza Università di Roma, Facoltà di filosofia, a.a. 2009/2010, relatore il prof. Guido Benvenutoe il successivo testo di Katia Scannavini e Maria Immacolata Macioti, Il valore del sapere. L’esperienza della Scuola 725, studio voluto dalla Provincia di Roma, Assessorato alle Politiche Culturali, contenente un dvd La scuola 725, con interviste ai protagonisti di allora, a cura di Enzo Pompeo e Luca Ricciardi.
[4] Cfr. Enzo Scandurra (2014), Quo Vadis Roma?, articolo su «Il Manifesto» 27 marzo 2015
[5] In proposito si legga l’ampio saggio di W. Tocci: Non si piange su una città coloniale. Note sulla politica romana, dattiloscritto non pubblicato
[6] F:Ferrarotti (2008), Considerazioni intorno alla periferia romana, in AA.VV., Capitale di cultura. Quindici anni di cultura a Roma, Donzelli, Roma.
[7] Il libro di W. Siti, Il contagio, (Mondadori) uscito nel 2008, rappresenta, più di tante analisi, la testimonianza diretta delle trasformazioni in atto nelle borgate romane. Spesso viene citata, a proposito, l’espressione che Siti pronuncia in merito all’atteggiamento del popolo delle periferie nei confronti dell’esperimento riformista di Rutelli-Veltroni: “mai visto un borgataro riformista”.
[8] Nel saggio di W. Tocci, citato precedentemente si fa un’interessante distinzione tra periferia storica e periferia anulare: Molto diverso, quindi, fu il contributo del Pci nella periferia anulare e in quella storica. Negli insediamenti abusivi portò a compimento una rivendicazione di infrastrutture primarie senza influenzare il senso comune della gente che infatti passò a destra dopo la sanatoria. Nella seconda, invece, svolse una funzione di educazione alla politica che influì sulle corde profonde del sentimento popolare, tanto da mantenere un orientamento a sinistra ancora ai giorni nostri, pur in condizioni sociali e culturali radicalmente diverse. La politica di oggi, così abituata alla battuta di giornata, fatica a capire quanto il consenso sia condizionato da processi di lunga durata”.
[9] F. Ferrarotti, op. cit., p.230
[10] Joseph E. Stiglitz (2013), Il prezzo della disuguaglianza. Come la società divisa di oggi minaccia il nostro futuro, Torino, Einaudi, p. XVIII
[11] Op.cit., p. XVIII
[12] F. Cassano (2014), Senza il vento della storia. La sinistra all’epoca del cambiamento, Roma-Bari, Laterza, p.62.
[13] Con esplicito riferimento a quella operazione organizzata da Renzo Piano che va sotto il nome di “Rammendo delle periferie”.
[14] F. Cassano, op. cit., p.65
[15] F. Cassano, op. cit., p. 77
[16] W. Tocci, dattiloscritto, op. cit.
[17] W. Tocci, op. cit.
[18] W. Tocci, op. cit.

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La Street art è la strategia per le periferie? Non regge

Nella retorica che accompagna la riqualificazione delle periferie, il continuo ricorrere alla Street art, alimenta le critiche anche dal fronte Municipale. Per Catarci, semplicemente, è una strategia che “non regge”.

La grande enfasi con la quale le istituzioni cittadine, in primis il Vicesindaco Nieri e l’Assessore Marinelli, hanno lanciato mesi fa il tour della Street art, era stato un primo segnale. L’arrivo del Sindaco Marino a Tor Marancia, ne ha rappresentato invece la conferma. L’attuale Giunta di Roma Capitale sembra proprio che abbia deciso d’ investire molto sull’arte murale nelle periferie. Probabilmente anche troppo.

LA STREET ART A TOR MARANCIA – Nei lotti dell’ex Schangai, l’arrivo di pennelli e pittori internazionali, era stata accolta con una certa ritrosia. Le facciate ridipinte nei palazzi dell’Ater, lì come a San Basilio, non potevano in alcun modo occultare altri problemi, legati ad esempio alla manutenzione degli edifici, o alla recente realizzazione di ascensori solo per alcuni fortunati. A pochi passi dalla cerimonia che aveva visto sfilare tutto il gotha capitolino, sotto il pur pregevole murale di Diamond, c’è un parco la cui gestione risulta da anni problematica. Un cittadino in quell’occasione lo ha fatto notare. Si tratta dell’unica area verde del quartiere, se si esclude la Tenuta di Tor Marancia, che sta divenendo una chimera.

GLI INVESTIMENTI NECESSARI – Anche il Presidente del Municipio VIII, accogliendo le lamentele dei cittadini, durante quella passerella aveva lanciato un campanello d’allarme. “Questa  bellissima operazione – aveva sottolineato in quell’occasione il Presidente Catarci – non sostituisce la necessità di tanti interventi primari, dalle fognature ai cornicioni, insieme alla necessaria cura degli spazi comuni. Perchè servono anche queste operazioni in un quartiere semicentrale come Tor Marancia”.

I MUNICIPI IL COMUNE E LE PERIFERIE – Oggi, il Minisindaco, è tornato sul tema. “Bellezza e colori davvero non sono sostitutivi di abitazioni decenti, cortili e marciapiedi praticabili, servizi, biblioteche, centri anziani, impianti sportivi, giardini”  ha ricordato il Presidente Catarci sulla propria pagina facebook.  Il discorso che ha fatto il primo cittadino del Municipio VIII è semplice. Da una parte ci sono “gli Enti municipali, che non hanno un soldo da impiegare in altri significativi interventi di riqualificazione urbana” e quindi fanno di necessità virtù, abbellendo “edifici, muri, sottopassi e sovrappassi” con le opere murarie.  Per loro, rivendicare questo tipo d’iniziative, sembra avere un senso. Diverso è il discorso del Campidoglio che “nella foga di ‘appropriarsi’ centralmente di belle intuizioni sviluppate nei territori sta spendendo fiumi di parole sulla street art – va giù duro Catarci –  spesso ignorando gli stessi Municipi che l’hanno avviata. Si eviti, perlomeno, di trasformarla in una strategia per le periferie”. Perché semplicemente, per dirla con il minisindaco,  “non regge”.

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“Oltre le Mura”, gli scatti di Zizola raccontano la periferia romana

L’arte della fotografia e un unico protagonista: le periferie romane e le loro store di vita. Si presenta così la mostra fotografica Oltre le Mura di Roma che si propone di raccontare la parte meno conosciuta ma altrettanto stimolante della città eterna. Da dicembre 2015 in uno dei musei del circuito comunale, probabilmente al Macro Pelanda, si potranno ammirrare gli scatti sulle periferie romane realizzati da Francesco Zizola (direttore artistico del progetto), plurivincitore del World Press Photo Award, affiancati da quelli di quattro fotogiornalisti professionisti: Angelo Turetta, Stefano De Luigi, Davide Monteleone e Tommaso Protti. L’obiettivo tramite la fotografia e lo “story-telling” è far emergere non solo storie di disagio ma anche di successo.

Le altre foto esposte verranno selezionate tramite un concorso online aperto a tutti i fotografi, professionisti o amatori. I partecipanti avranno tempo dal 1 al 15 settembre per consegnare i propri reportage: massimo 10 foto a colori o in bianco e nero, realizzate sia con la macchina fotografica che con lo smartphone, accompagnate da un breve elaborato scritto che racconta le

Sarà lo stesso Zizola a selezionare le migliori 14 foto-storie che verranno esposte assieme agli scatti d’autore. Ai vincitori verranno assegnate anche delle borse di studio per partecipare gratuitamente a due workshop di fotogiornalismo tenuti da Zizola e a due corsi di fotografia presso lo IED (Istituto Europeo di Design).
Il progetto, presentato presso il Teatro Biblioteca Quarticciolo, è patrocinato da Roma Capitale, ed è stato ideato dall’associazione Global Shapers – Rome Hub. L’iniziativa è realizzata anche grazie al sostegno di alcuni partner tra cui Acea, IED Roma e Enel.
“Abbiamo in progetto anche di rappresentare le immagini più belle nelle nuove stazioni della metropolitana C”, ha annunciato il sindaco Ignazio Marino durante la presentazione dell’iniziativa. “Tutto quello che vive e appassiona fuori le Mura Aureliane deve essere pienamente parte della nostra città. Una Roma che diventa tutta Roma, non solo per la qualità dei servizi ma anche per il senso di comunità che solo un’esperienza culturale può creare”, ha concluso il Sindaco.

Bando-Oltre-le-Mura-di-Roma

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Roma, in fase operativa il programma di housing sociale

Entro il 2015 190 milioni di euro per 1875 alloggi a canone calmierato. Lo scorso settembre siglata l’intesa con Cdp Investimenti Sgr.

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A Roma entra nella fase operativa il programma di alloggi sociali destinati a impiegati e giovani coppie, anziani soli, famiglie con persone non autosufficienti, studenti e lavoratori che cercano un alloggio temporaneo, separati e divorziati, mamme sole con bambini.

Ieri sono stati presentati i primi risultati del protocollo d’intesa firmato lo scorso settembre tra Roma Capitale e Cassa Depositi e Prestiti Investimenti Sgr, che consente alla Capitale di accedere al programma del Fondo Investimenti per l’Abitare dedicato al social housing, attivo a livello nazionale dal 2010.

190 MILIONI DI EURO PER 1875 ALLOGGI. Cdp Investimenti Sgr ha già deliberato investimenti pari a 65 milioni di euro per 725 alloggi i cui cantieri sono già aperti e 150 già in costruzione. L’obiettivo entro il 2015 è di allocare altri 125 milioni di euro per 1.150 alloggi arrivando, così, ad un totale di 190 milioni di euro per 1875 alloggi distribuiti in tutta la città.

CANONI CALMIERATI. Gli alloggi nelle nuove costruzioni, realizzate tutte nell’ambito del PRG, saranno offerti prevalentemente in locazione a canoni calmierati e, in misura minore, in vendita convenzionata. La gestione degli alloggi presuppone novità nell’utilizzo degli spazi comuni – lavanderie, spazi di co-working, car sharing, attrezzature di gioco per bambini negli spazi verdi: i cittadini che hanno i requisiti per accedere al programma di social housing verranno coinvolti nella definizione dei servizi comuni e nella loro manutenzione.

Quanto al programma di residenze temporanee, sono in fase di valutazione i siti, anche in collaborazione con le università pubbliche romane.

Questo protocollo – ha spiegato l’assessore alla trasformazione urbana, Giovanni Caudo – vuole mettere sul mercato case a canone calmierato per impiegati, giovani coppie, anziani, per chi è troppo ricco per le case popolari ma troppo povero per il libero mercato. E lo facciamo con risorse del Fia (Fondo Investimenti per l’abitare), che dal 2008 fino a oggi a Roma non erano state mai utilizzate.

L’accesso sarà regolamentato con una delibera che fisserà dei limiti minimi e massimi di reddito per poter accedere a degli affitti calmierati, pari a 5 euro a metro quadro.

TRA LINEE DI AZIONE. Si tratta, in sintesi, della terza linea di intervento dell’assessorato alla trasformazione urbana a sostegno delle politiche abitative; le altre due riguardano, rispettivamente, l’applicazione della legge regionale sul Piano casa, con cantieri già aperti per 150 alloggi (nel corso del 2015 prevista l’apertura di altri cantieri per circa 800 alloggi) e l’edilizia agevolata all’interno dei piani di zona (cosiddetta manovra di chiusura, di epoca veltroniana) con l’avvio dei cantieri dei primi 15 piani su 26.

Per il 2015, le tre linee di azione comportano interventi per circa 2.200 alloggi, mentre nel prossimo triennio, progetti avviati, deliberati e programmati, l’offerta potenziale complessiva arriva a circa 8.000 alloggi in affitto o in vendita a prezzi agevolati.

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