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Lana e alghe: materiali per l’edilizia.

Un’azienda sarda sfrutta materie prime naturali e abbondanti nella regione per produrre materiali isolanti destinati alla bioedilizia e all’agricoltura, con innumerevoli vantaggi per l’ambiente e l’economia tradizionale dell’isola.

Far corrispondere le esigenze di profitto dell’imprenditoria industriale con quelle di tutela della sostenibilità ambientale, non solo è auspicabile e possibile, ma già in atto per molte realtà produttive nel nostro paese.

Un esempio viene dalla Sardegna, dove un’azienda di materiali edili e forniture agricole sfrutta una risorsa naturale del mare e la più tradizionale delle attività agricole sarde per realizzare prodotti ecosostenibili in due campi, quelli dell’edilizia e dell’agricoltura, tra i più invasivi dell’ambiente naturale.
Si tratta di una delle storie di riscatto e recupero socio economico dei territori rurarli e montani che Earth Day Italia ha inserito nel progetto “Tra campagne intelligenti e montagne all’avanguardia – Le comunità rurali e montane insegnano come mangiare tutti e mangiare bene”, realizzato da Earth Day Italia Onlus con il sostegno del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali e presentato recentemente all’EXPO 2015.

A Gùspini nella provincia sarda del Medio Campidano l’azienda EdiLana utilizza, come materie prime, la pura lana vergine di pecora sarda e la posidonia, un’alga mediterranea che arriva naturalmente a spiaggiarsi sulle coste.
La lana ovina ha ottime proprietà isolanti, sia dal punto di vista termico che da quello acustico; isola anche dalle onde elettro-magnetiche, neutralizza i gas nocivi e i metalli pesanti. Per queste caratteristiche si rivela preziosa sia per l’isolamento delle abitazioni che per edifici adibiti ad altri usi. Altro utilizzo della lana sarda riguarda l’agricoltura e i terreni in generale: si producono pacciamanti (ovvero teli) per i campi o per i terrapieni alternativi a quelli sintetici. Questi teli servono a proteggere le coltivazioni da erbe infestanti, e a regolarne temperatura e umidità; rispetto a quelli derivati dal petrolio, i pacciamanti di lana sono biologici, non immettono plastiche e derivati del petrolio nel suolo, restituiscono fertilità al terreno e permettono un risparmio del 50% dell’acqua necessaria all’irrigazione.

Ulteriori vantaggi per l’ambiente dipendono dalle modalità di produzione di questo isolante: non derivando da idrocarburi o da coltivazioni, come altri materiali isolanti, ha un impatto nettamente minore sull’ambiente e sulle risorse idriche, ed inoltre la produzione ha bisogno di molta meno energia. La lana di pecora inoltre è una risorsa naturale rinnovabile e incruenta (gli animali vengono tosati una volta all’anno e senza ricavarne danno) e considerando che il 60% della lana italiana proviene dalla Sardegna, in questo caso l’approvvigionamento della “materia prima” avviene praticamente a chilometri zero, con un deciso risparmio di risorse per i trasporti. Va infine precisato che la produzione di questo isolante non implica un aumento delle greggi o una deviazione di quantità di materale dalla filiera dell’industria laniera (moda, accessori ecc.) a quella degli isolanti: si utilizza infatti l’eccedenza della pura lana vergine, quella scartata per motivi di qualità dalla produzione di maglieria che, dunque, comporterebbe anche dei costi di smaltimento.

Anche la Posidonia oceanica (questo il nome scientifico dell’alga mediterranea) è un prodotto naturale eccedente: quando le piante spiaggiate superano la quantità che l’ecosistema costiero può naturalmente integrare, diventano un “rifiuto” da rimuovere e dunque smaltire. Questo costo è trasformato in risorsa al pari della lana: anche la posidonia viene utilizzata come materiale isolante naturale dalla bioedilizia, o come materia prima per produrre carta. Effetto collaterale di questa produzione alternativa è il risparmio di 400 mila litri d’acqua e del 50% di energia elettrica per ogni tonnellata di carta da alghe.
Va infine sottolineato che questa sinergia tra agricoltura, pesca, edilizia, agricoltura ed industria ha avuto origine dalla collaborazione e dallo scambio di idee ed esperienze all’interno della comunità locale: i contadini, i coltivatori, gli imprenditori di Gùspini hanno messo in comune saperi ed esperienze di generazioni per dar vita a un’impresa che migliora l’integrazione tra produzione e ambiente, restando nel solco delle tradizioni più ancestrali della Sardegna, quelle che originano dal mare e dalla pastorizia. “Lana”, “alghe”, “pecore”, sono parole che non è comune associare all’edilizia ma, come ha mirabilmente riassunto la sig.ra Daniela Ducato, rappresentante di Edilana, in una recente intervista radiofonica (ascolta), con queste soluzioni è possibile oggi “Restituire all’architettura gli stessi vocaboli della Natura”.

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La frutta che nasce in città

Meglio del supermercato. Progetto per chi ha bisogno.
L’idea è dell’associazione Linaria, che ha deciso di mappare i frutteti delle città e di utilizzarne i prodotti per progetti sociali. La frutta raccolta va al banco alimentare e alle mense, mentre nella trasformazione in marmellate o biscotti lavorano disabili e anziani. “Sono prodotti sicuri” .
La frutta che cresce in città nei parchi, ma anche lungo le strade, non è inquinata. A differenza di quella comprata dalla grande distribuzione è biologica, genuina, a chilometro zero. E gratuita. Non va, dunque, sprecata ma raccolta e distribuita a chi ne ha più bisogno. Parte da questo presupposto il progetto Frutta urbana, realizzato dall’associazione Linaria. L’obiettivo è quello di usufruire del grande frutteto a cielo a aperto che sorge negli agglomerati urbani, raccogliendone i frutti e distribuendoli alle fasce meno abbienti della popolazione. Il progetto è nato da poco, e per ora è focalizzato su Roma, ma l’idea è di replicarlo su tutto il territorio nazionale, a partire da Milano.

“L’idea è nata da una costatazione semplice – spiega Michela Pasquali, architetto del paesaggio e responsabile del progetto -. Quando mi sono trasferita a Roma, ormai tre anni fa, ho visto che vicino casa mia c’erano diversi alberi di limoni, di nespole e di noci. La frutta, che non veniva mai raccolta cadeva a terra, finendo solo per sporcare il suolo pubblico. Mi sono chiesta, allora, se non si poteva farne un utilizzo diverso. Anche perché poi quegli stessi prodotti la gente li andava a comprare nei supermercati, ma in quel caso le nespole arrivano dalla Spagna, le noci dall’Argentina e i limoni da chissà dove. Ho analizzato quindi i diversi progetti che ci sono nel mondo anglosassone, dai community garden agli orti urbani fino a programmi per il riutilizzo della frutta che nasce in città. Così ho pensato che fosse il caso di farlo anche da noi.”

Il primo step è stata un’attenta mappatura della produzione frutticola cittadina a Roma, ma anche in altre zone. “Innanzitutto siamo partiti da una fase di conoscenza del territorio: creando una mappa dettagliata degli alberi che sorgono sul suolo pubblico, lungo strade, nei giardini – continua Pasquali – siamo partiti da Roma, da qualche mese c’è un gruppo milanese ma l’idea è che ognuno possa dare il suo contributo e mappare gli alberi da frutto ovunque”. La scoperta è stata un’enorme varietà di frutta autoprodotta a Roma: non solo limoni e arance ma anche nespole, avocado, melograni. Cosa farne dunque? ” Il primo pensiero è stato di farne un progetto sociale – spiega Pasquali – cioè fare in modo che questi prodotti non solo arrivassero a chi ne ha bisogno, ma anche coinvolgere le categorie più svantaggiate nella produzione. Grazie all’associazione Roma altruista, che mette in contatto oltre diecimila volontari in città, siamo riusciti a organizzare la raccolta, e a metterci in contatto con altre associazioni non profit”. La frutta raccolta viene quindi distribuita al banco alimentare o alle mense delle diverse associazioni. Nel caso di frutti non direttamente commestibili, come le arance amare, sono stati organizzati dei laboratori per la trasformazione in marmellate, biscotti e tisane. “ In questa fase abbiamo coinvolto i ragazzi disabili della Comunità di Capodarco di Roma, ma anche alcuni anziani delle case di risposo – aggiunge l’architetta -. Per i ragazzi, che fanno un corso di formazione sulla cucina, è stato un modo per approfondire l’aspetto di trasformazione degli alimenti. Per gli anziani, un modo per rendersi utili”. Sono state coinvolte anche alcune donne pakistane: “per loro è anche una fonte di reddito, perché hanno iniziato a vendere le marmellate nei mercatini”.

Ma la frutta raccolta in città è davvero buona? Secondo Michela Pasquali non ci sono dubbi: è più genuina di quella che si compra al supermercato. “In Inghilterra dove questo tipo di progetti è più diffuso, sono state fatte diverse analisi – spiega -. Tutte hanno rilevato che l’inquinamento urbano non supera mai i limiti di legge, inoltre di norma questi alberi non sono trattati con pesticidi, insetticidi o altro. Per cui i frutti sono più genuini, senza contare che è tutta produzione a chilometro zero, non c’è l’inquinamento del trasporto”. L’associazione ha analizzato anche alcuni frutteti della capitale, in particolare gli alberi che costeggiano via Ostiense, una delle più trafficate ( e inquinate) della città. “I risultati sono stati gli stessi. I metalli pesanti si depositano sulla buccia, non arrivano a intaccare il frutto, basta quindi lavarli bene. In ogni caso questa frutta è migliore di quella prodotta industrialmente: non è trattata, è biologica e si matura naturalmente”.

Ora la fase successiva del progetto è incrementare la produzione di frutta in città: “I frutteti sono più facili da gestire degli orti urbani perché richiedono meno manutenzione – conclude Pasquali -. Sappiamo che a Roma c’è un progetto per trasformare la Tangenziale est in un’area verde, sarebbe bellissimo se lì sorgesse un frutteto. Intanto speriamo di riuscire ad ampliare l’offerta: perché questo fa aumentare la biodiversità in città ma anche gli spazi di condivisione”.

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Il testo dell’accordo sulla Grecia

testo dell_accordo UE-Grecia




Narciso marketing

“Cogliamo…il riflesso di qualcuno…per renderci conto…che stiamo guardando il nostro riflesso” (1)
“Scegliete un personaggio e noi vi forniremo gli accessori . Datevi un ruolo, noi ci occuperemo di scene e costumi” (2)
“perché in quest’epoca 2.0 il futuro di ogni forma di business, culturale e non, passa per l’elaborazione di una strategia di racconto di sé (e nel futuro sarà sempre più così); ma anche perché solo lo storytelling può contribuire a quella battaglia per l’attenzione diventata cruciale, nell’epoca delle infinite, dispersive sollecitazioni che ci giungono da tutti i dispositivi che utilizziamo…Per organizzare in una forma accettabile la massa di fatti, conoscenze, informazioni che qualsiasi realtà complessa – un’istituzione, un’azienda, un giornale – contiene e accumula. Una battaglia per l’esistenza, oltre che per il successo…si tratta di raccontare…una visione del mondo” (3)

(1) Douglas Coupland, Generazione selfie
(2) Christian Salmon, Per vendere prodotti non basta il marchio ci vogliono storie
(3) Maurizio Ferraris, Storytelling Spa




Roma sta perdendo la partita del turismo

Barcellona (terza meta turistica dopo Londra e Parigi) non ne può più dei turisti e non vuole diventare vittima di alcool, rumore e party selvaggi.
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Roma è già diventata vittima di questo luna park del turismo e non riesce a decollare come città turistica anche per le polemiche che accompagnano ogni progetto di valorizzazione del suo grande patrimonio artistico.
Il rialzo da terra (dove subiscono maggiore deterioramento secondo il responsabile dei Beni culturali comunali e anche secondo la logica della maggiore superficie esposta agli agenti atmosferici) di sette colonne del Foro romano è diventato oggetto di furiosi attacchi con l’accusa, ad esempio, di forare i blocchi di granito per sostenere le strutture quando la stessa procedura viene utilizzata per sostenere le statue antiche.
Ma il problema principale è la totale mancanza di una visione della città da offrire ai turisti (come anche ai suoi cittadini) mancanza che impedisce qualsiasi politica di marketing territoriale in un settore che tanto potrebbe dare alla capitale.




Corviale Domani interviene al seminario sull’amministratore di strada


La casa è diventata, sia per i condomini che per i piccoli proprietari, da fonte di stabilità economica a fonte di povertà. Oggi gli amministratori di condominio sono solo dei ragionieri del dare. Tutto il nostro mondo è cambiato, dal telefono al computer all’auto, solo la casa è rimasta la stessa. Oggi anche la casa può cambiare e, diventando tecnologica, cambiare da fonte di povertà a fonte di reddito dall’energia agli orti urbani. Per fare questo è necessario che gli amministratori da ragionieri diventino davvero amministratori anche di fatto e non solo di nome.

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Calciosociale ad Expo con il progetto “Mensa della Legalità, della Sostenibilità e Social Market”

L’associazione ha presentato un progetto unico in Italia che potrà distribuire, a pieno regime, oltre 100.000 pasti l’anno di cui almeno il 70% gratuitamente.
Un luogo inclusivo rivolto a più tipologie di utenti, uno spazio di promozione delle relazioni tra persone senza distinzioni sociali o di reddito, capace di attivare in maniera integrata tutte le dimensioni del benessere individuale a partire da quello più importante: il cibo. Un luogo dove sarà possibile fare la spesa con dignità senza preoccuparsi del conto alla cassa; ma anche un esempio di bioarchitettura unico in Italia.

Tutto questo e altro ancora è racchiuso nel progetto “Mensa della Legalità, della Sostenibilità e Social Market” presentato il 10 giugno 2015 all’Expo, nel Padiglione Coca – Coca, da Calciosociale, no profit presente a Roma dal 2005 e operante a Corviale, nonché best practice italiana per sport e inclusione sociale.

MensaSociale(1)Il progetto, opera dell’architetto Valerio Albanese Ruffo, prevede, secondo i canoni della bioarchitettura, l’utilizzo di materiali naturali e sostenibili, come intonaci in terra cruda atossica, balle di paglia, vetrate fotovoltaiche, tetto con piantumazioni. La struttura avrà una dimensione di 7mila mc e un costo di realizzazione di 1.600.000 euro. La capienza della mensa sarà di 260 persone e, a pieno regime, potrà fornire oltre 100 mila pasti l’anno di cui circa 70 per cento gratuitamente. Impiegherà 10 dipendenti. All’interno della struttura che ospita la Mensa, il Social Market garantirà una spesa alimentare dignitosa e adeguata alle famiglie e alle persone in difficoltà.

“L’idea che si propone non è semplicemente la fornitura di pasti gratuiti in una mera ottica assistenziale – ha spiegato il presidente di Calciosociale, Massimo Vallati – bensì quello di creare un luogo di incontro dove persone con esperienze personali diverse, per via dell’estrazione economico-sociale, delle abilità motorie, delle problematiche sociali o familiari, possono sedersi attorno allo stesso tavolo e dialogare. Un luogo bello. Desiderabile. Realizzabile. Replicabile in altri luoghi d’Italia. Un progetto per contrastare la povertà e per restituire dignità alle persone”.

MensaSocialeCorvialeIl progetto Mensa ha ricevuto il patrocinio del Ministero dell’Agricoltura e gli auguri del Ministro Martina che in un messaggio ha dichiarato: “L’iniziativa, promossa da Calciosociale, ha il merito di rappresentare uno straordinario modello di integrazione sociale, promuovendo percorsi di aiuto a favore delle fasce più deboli della popolazione, grazie all’attività sportiva, ricreativa, educativa e pedagogica”.

A testimoniare l’importanza dell’operato nel quartiere di Corviale anche le istituzioni locali.

“Calciosociale è un’eccellenza delle nostre periferie, un progetto che seguiamo da dieci anni, e che oggi rappresenta una punta di diamante di quell’idea di sport e solidarietà che Roma Capitale abbraccia e sostiene”, ha dichiarato Paolo Masini, Assessore a Scuola, Sport, Politiche Giovanili e Partecipazione di Roma Capitale. Il progetto – ha concluso Masini – “è una vera risposta di legalità, inclusione e attenzione all’ambiente, che ci rende orgogliosi”.

“Ospitare questa mensa nel nostro territorio sarebbe un grande onore – ha commentato Maurizio Veloccia, Presidente del Municipio Roma XI – Iniziative come questa sono oggi importantissime perché, purtroppo, le nuove povertà sono in continuo aumento ed in una fase di flessione delle risorse a disposizione è necessario creare sinergie per dare risposte a chi si trova a vivere un momento di disagio. Come Municipio faremo il possibile per sostenere il progetto della mensa che potrà rappresentare un’ancora di salvezza per tante persone e diventare un punto di riferimento nel territorio per far fronte a bisogni materiali ma soprattutto a quelli relazionali delle persone. Progetti come questi, infatti, stimolano la solidarietà e contribuiscono ad accrescere il senso di comunità che, molto spesso, in città grandi come la nostra rischiano di perdersi”.

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Quadraro: la Street Art nella quotidianità del quartiere

Estate, momento di vacanze, tempo libero e maggiore disponibilità per approfondire i propri interessi. Per chi rimane in città gli stimoli a Roma non si può proprio dire che manchino e anzi, se ne aggiungono altri in luoghi fino a poco fa trascurati.

Stiamo parlando del Quadraro, storico quartiere della capitale che da qualche tempo è divenuto meta di turisti stranieri attirando l’attenzione dei cittadini romani stessi e finendo anche sulle guide turistiche di ultima edizione.

Il motivo? La valorizzazione di un posto può avvenire in vario modo. Qui al Quadraro si è scelta l’arte, nello specifico la Street Art, molto in voga negli ultimi anni sdoganandosi dalla sfera dell’illegalità e del graffitismo per assumere connotati artistici veri e propri. Ad aprire la strada più di tutti il noto urban artist Banksy, che già dai primi anni del 2000 ha iniziato a diffondere messaggi su tematiche sociali.

MuraleQuadraroL’arte di strada offre infatti la possibilità di avere un pubblico vastissimo, spesso molto maggiore di quello di una tradizionale galleria d’arte e tale concetto si sposa bene con il Quadraro, quartiere popolare per eccellenza dove ora prolificano queste opere a cielo aperto.

MuraleQuadraro1Nasce dunque il Mu.Ro Museo di Urban Art di Roma, ideato da David Daviù Vecchiato, museo integrato nel tessuto sociale in quanto gli artisti si relazionano con la conformazione e la storia dei luoghi e degli spazi stessi dove esprimono la loro arte in accordo con le storie e le idee di chi questo quartiere lo vive quotidianamente. Infatti le opere vengono proposte e discusse insieme ai comitati di quartiere stessi.

Mu.Ro è un progetto gratuito a cui collaborano vari artisti che hanno operato anche al MAAM (Museo dell’Altro e dell’Altrove), gratuito e che nasce dal basso appunto dove l’Arte Contemporanea possa integrarsi alla vita di quartiere in un percorso di rinascita.

MuraleQuadraro2Il Mu.Ro organizza anche percorsi con visite guidate raccontando gli aneddoti della lavorazione, la storia degli artisti e del quartiere.

Anche i bambini sono coinvolti tanto che sono organizzati tour su misura per i più piccoli, raccontando l’arte come una grande fiaba.

Sul loro sito la mappa completa delle opere e l’elenco degli artisti che le hanno realizzate http://muromuseum.blogspot.it/

Un nuovo livello culturale dunque in una Roma conosciuta solo per le sue bellezze antiche in un progetto di riqualificazione territoriale e modernizzazione del concetto stesso di arte. La Street Art come nuovo linguaggio per comunicare emozioni, evocare memoria e costruire una nuova identità attraverso il linguaggio visivo.

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Un senso per l’arte?

Patchwork da Repubblica del 5/7/15
Secondo Baricco oggi l’arte è la “capacità di comporre figure di senso attraverso il montaggio di frammenti del reale…di trovare delle sequenze coerenti nella caotica superproduzione di senso…di mettere cose insieme…dando l’illusione di un ritrovato controllo sulle cose…di tracciare una mappa…di fondere in un’unica narrazione frammenti dispersi…di ricomporre, scegliere, montare, riordinare, catalogare…restituendoci un ordine…linee…rimisurando distanze, ritracciando perimetri” (1)
Secondo Lodoli invece l’arte è “la musica che sgorga meravigliosa dai tasti di un pianoforte poggiato contro la parete della biglietteria…della stazione Tiburtina…il senso della bellezza nel viavai confuso dell’esistenza…è l’idea dell’artista londinese Luke Jerran che ha piazzato più di mille pianoforti nelle stazioni del mondo…un’arte che nasce nel disordine e nell’imperfezione della vita e allude a un’altra vita, più serena, più armoniosa…in nome del diritto alla bellezza” (2)

(1) “Con i miei occhi”

(2) “Il pianoforte a Tiburtina e la bellezza ritrovata”




Dal possesso alla condivisione: una rivoluzione silenziosa

Ricerca di nuovi valori, maggiore consapevolezza e crisi economica stanno facendo ”dilagare” la sharing economy. Siamo forse di fronte una rivoluzione e non ce ne siamo accorti?

Un fenomeno in costante crescita da qualche anno, condividere e valorizzare spazi, esperienze, mobilità, la casa, i prodotti agroalimentari, esperienze di business con l’aiuto della rete si sta rivelando una modalità per combattere la crisi e mutuare nuovi modelli. La sharing economy comporta una nuova organizzazione della domanda e dell’offerta, in cui le persone contano molto di più. In questa nuova economia non vale il modello tradizionale che vede la distinzione tra produttori e consumatori, ma si va definendo un modello peer in cui i differenti soggetti si mettono sullo stesso piano, si scambiano beni e servizi sulla base di reciproche promesse, che diventano penalità nel caso in cui non vengano mantenute. Sintetizzando, c’è la possibilità di utilizzare un bene senza doverlo necessariamente acquistare. Per molti studiosi, questo cambiamento di paradigma, mette in discussione consolidati modelli economici, in quanto, in molti casi, si passa dalla cultura del“possesso di beni e servizi all’accesso dei suddetti”.Per altri, questo piccolo e concreto motore alternativo di sicuro non soppianterà l’economia tradizionale, ma proponendo modelli complementari rispetto a quelli esistenti e coinvolgendo amministrazioni pubbliche, imprese tradizionali, nuovi business, comunità e singoli cittadini, potrà portare benefici sociali ed economici anche importanti.

Secondo una ricerca Ipsos ( 2014)commissionata da Airbnb (condivisone di case vacanza) e BlaBlaCar (condivisione di auto per viaggiare insieme e dividere le spese), si fotografa che in Italia 75% della popolazione ha sentito parlare di sharing economy e, tra coloro che conoscono questo fenomeno, il 67% lo identifica con beni e servizi, mentre il 21% lo associa a un vantaggio economico.L’immagine della sharing economy è positiva presso la maggior parte degli intervistati, con il 31% interessato a utilizzarla, un 11% che si dichiara già utilizzatore e solo il 27% che si è invece dimostrato negativamente orientato verso il fenomeno.

Interessante anche la parte relativa all’identikit dell’utente tipo è interessante: 18-34 anni, abita in Centro, Sud o Isoleed è laureato e di classe sociale alta e media. Un dato interessante: il tanto discusso ceto-medio borghese che riorganizza la propria vita e riflette sui propri bisogni, si parte dalla convenienza per approcciare a nuove soluzioni. Il potenziale risparmio è la molla che sta provocando questo cambiamento ma dimostra come alla base ci sia anche una scelta di tipo valoriale.

Soltanto dalla lettura di questi dati, inizia a diventare inverosimile pensare che questo fenomeno non continuerà a dilagare, fenomeno che mette in discussione il ruolo stesso di consumatore o utente. Consumatore o utente che entra in una delle fasi di produzione del bene o di erogazione del servizio: da consumatore a prosumer.

Se ne sta accorgendo anche la politica del “palazzo” e se ne sono accorte le amministrazioni più attente, a partire dall’amministrazione milanese che lo scorso dicembre ha approvato una delibera, unica in Italia, in cui si dichiara che “sussistano i presupposti per cui la città di Milano possa assumere un rilevante posizionamento a libello europeo nella definizione di misure e modelli per le shareable cities, per una città all’avanguardia in cui sorgono economie locali autosufficienti dove i vicini si conoscono e gli imprenditori innovatori trovano spazio, dove le aziende possono crescere e nuovi paradigmi di welfare sorgere, dove i giovani possono trovare concrete possibilità per il proprio futuro”.

Con questo atto, l’Amministrazione locale, quella di prossimità, si posiziona come uno snodo fondamentale in questo processo che ha molte valenze sociali mettendo al centro il concetto di “comunità” stesso. Comunità che si stanno ridefinendo sulla base dell’ innovazione tecnologica, dei cambiamenti climatici , dei flussi migratori , e dei processi di gentrificazione.

Per quanto riguarda la promozione e la regolamentazione di questo fenomeno, molto interesse si è verificato per le forme di sostegno e diffusione all’economia collaborativa, molta preoccupazione si riscontra su come prevedere l’intervento regolatorio, contemperando l’esigenza di non “soffocare” nuove forme di innovazione ma non lasciare nemmeno vuoti normativi nelle forme di tutela. Si attende e si chiede, quindi, un intervento legislativo lungimirante orientato a far crescere il settore, monitorando i livelli di qualità del servizio,fornendo risposte in termini di tassazione dei redditi da sharing economy, spesso di difficile misurazione, individuando la responsabilità legale di chi offre servizi, e ancora regolando le questioni inerenti la privacy e l’utilizzo dei dati, migliorando il sistema di gestione dei reclami. Questo è solo qualche esempio. Un intervento normativo importante in grado di favorire la concorrenza ed aumentare il sistema di garanzie. Il recente ed attuale caso Uber ( condivisione auto) attesta l’urgenza di questo intervento. Il rischio, nel passaggio da consumer a prosumer, è quello di non “condividere” un impianto di tutele (anche se incompleto) per il consumatore-utente conquistato negli ultimi decenni. Accanto al concetto di “sharing economy, è opportuno introdurre quello di “sharing rights”. Nuove sfide e nuovi impegni per i prossimi anni.

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