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Biennale di architettura, Sfriso è il curatore del padiglione Italia

Lo annuncia il ministro Dario Franceschini. La scelta è avvenuta dopo una selezione tra dieci personalità invitate a presentare un progetto espositivo.
Sarà Simone Sfriso il curatore del padiglione Italia alla 15. Biennale di architettura di Venezia: lo annuncia il ministro dei Beni e delle attività culturali e del turismo, Dario Franceschini, che specifica come la scelta sia avvenuta a seguito di una procedura di selezione a cui sono state invitate dieci personalità di elevata competenza e professionalità del panorama dell’architettura nazionale, tutte invitate a presentare un proprio progetto espositivo.

I progetti, in linea con il tema specificato dal curatore della mostra Alejandro Aravena, indagano la necessità di coniugare l’architettura con l’esigenza di una migliore qualità dell’ambiente edificato e quindi della vita delle persone. La proposta di Sfriso, secondo Franceschini, affronta con coraggio il tema della riqualificazione delle periferie urbane, luoghi che costituiscono la grande sfida del secolo, su cui investire con interventi di riqualificazione e innesti di architettura contemporanea. “Ecco perché – spiega il ministro – è stato espressamente chiesto ai curatori di affrontare il tema delle periferie e dello sviluppo delle città, una scelta in continuità con l’azione del governo che con la recente riforma del Mibact ha creato una direzione generale ad hoc nel ministero e approvato norme che incentivano i Comuni, anche economicamente, a trasferire molte iniziative culturali dai centri storici alle periferie urbane”.

Sfriso è stato scelto da Franceschini nell’ambito della terna proposta dal direttore generale arte e architettura contemporanee e periferie urbane. Il titolo della sua proposta curatoriale, “Taking Care – progettare per il bene comune”, vuole essere una prova tangibile di come l’architettura possa contribuire a diffondere e rendere efficaci i principi di cultura, socialità, partecipazione, salute, integrazione, legalità in qualsiasi luogo e a qualsiasi scala.
Il nuovo curatore del padiglione Italia è nato nel 1966: nella sua carriera ha svolto l’attività di progettista e consulente nei settori dell’architettura bioecologica della riqualificazione urbana e degli spazi pubblici, della pianificazione e direzione dei cantieri urbani. Si è occupato inoltre degli aspetti progettuali ed esecutivi nei processi di progettazione partecipata e comunicativa. Nel 2013 ha ottenuto il premio Aga Khan per l’architettura per l’eccellenza rappresentata dal Centro Salam di cardiochirurgia in Sudan, il premio internazionale Ius-Capocchin per la realizzazione dell’ospedale pediatrico più sostenibile al mondo e il Curry Stone Design Prize per l’insieme della sostenibilità (sociale e ambientale) dei recenti progetti realizzati nel mondo. Nel 2014 ha vinto lo Zumtobel Group Award per l’innovazione e la sostenibilità rappresentate dall’ospedale pediatrico di Port Sudan. È Architetto Italiano dell’anno 2014.

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No a 18 nuovi inceneritori

no inceneritori
Roma, piazza Montecitorio, mercoledì 9 settembre 2015 dalle ore 10 alle 14




Venezia chiama, Roma risponde: #apiediscalzi per i migranti

La “marcia delle donne e degli uomini scalzi” di Roma partirà dal Centro Baobab di via Cupa 5, venerdì 11 settembre alle 17.00, in contemporanea con il Lido di venezia e tante altre città italiane: “Perchè la storia appartenga alle donne e agli uomini scalzi e al nostro camminare insieme”.
Il coordinamento delle volontarie e dei volontari che da maggio fornisce accoglienza ai migranti in transito presso il Centro Baobab di Via Cupa a Roma, aderisce alla “Marcia delle Donne e degli Uomini Scalzi” indetta per venerdì 11 settembre da illustri protagonisti del panorama culturale italiano, in occasione della Mostra Internazionale di Arte Cinematografica di Venezia, annunciando l’omonima iniziativa romana, che muoverà dal Centro Baobab di Via Cupa 5, fino alla Stazione Tiburtina, per poi fare ritorno al Centro.
Da maggio 2015, con oltre 26.000 migranti in transito e una straordinaria esperienza di solidarietà diffusa, Via Cupa è divenuta il luogo-simbolo dell’accoglienza alle migranti e ai migranti nella Capitale e teatro di una delle più vaste mobilitazioni spontanee della società civile romana degli ultimi anni.
“Per questo motivo, ci candidiamo ad ospitare la ‘Marcia delle Donne e degli Uomini Scalzi’ di Roma – annuncia il coordinamento – invitando tutti i cittadini, le associazioni ed i movimenti della società civile ad aderire ad una grande manifestazione pacifica che, insieme alle migranti e ai migranti ospiti del Centro, raggiungerà la Stazione Tiburtina, luogo effettivo e simbolico del viaggio del migrante”.
La marcia muoverà venerdì 11 settembre alle ore 17.00 dal Centro Baobab di Via Cupa, 5 e vi farà ritorno, al termine del percorso, per celebrare insieme alle migranti e ai migranti la festa del Capodanno Etiope, in segno di fratellanza e di rispetto per la cultura e le tradizioni di ogni popolo.
Il coordinamento delle volontarie e dei volontari del Baobab sarà inoltre presente a Venezia con una propria delegazione, in rappresentanza di unmovimento spontaneo – quello di Via Cupa – che sta dando forma ad un nuovo modello di accoglienza, che è al contempo una risposta all’emergenza e l’affermazione pacifica di urgenti istanze politiche, ben riassunte nei quattro punti dell’appello lanciato dalla “Marcia delle Donne e degli Uomini Scalzi”:
1.   certezza di corridoi umanitari sicuri per vittime di guerre, catastrofi e dittature
2.   accoglienza degna e rispettosa per tutti
3.   chiusura e smantellamento di tutti i luoghi di concentrazione e detenzione dei migranti
4.   creare un vero sistema unico di asilo in Europa superando il regolamento di Dublino
“Perché la storia appartenga alle donne e agli uomini scalzi e al nostro camminare insieme”.

Contatti:
e-mail amicidelbaobabroma@gmail.com
Tel. 339.8203106 – 320.5755633 – 3478872378 (Roma) – 333.9600474 (Venezia)

Evento Facebook: Venezia chiama, Roma risponde… #apiediscalzi per i migranti
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Chi sono le volontarie e i volontari del Baobab
Il coordinamento delle volontarie e dei volontari del Baobab nasce come aggregazione spontanea di cittadine e cittadini romani, che all’indomani dello sgombero della tendopoli di Ponte Mammolo (maggio-giugno 2015), con il delinearsi di una situazione emergenziale per l’accoglienza dei migranti in transito nella Capitale, si ritrovano presso il Centro Baobab di Via Cupa per dare una risposta concreta ai bisogni di donne, uomini e bambini in viaggio.
In modo del tutto spontaneo e autogestito, ricorrendo a sole donazioni di generi di prima necessità e non accettando donazioni in denaro, da metà maggio a inizio settembre le volontarie e i volontari hanno accolto oltre 26 mila persone, distribuendo oltre 1.000 pasti al giorno, abiti, medicine. Forniscono alle migranti e ai migranti in transito i servizi essenziali, e non solo: supporto medico, legale e psicologico, oltre a un tetto sotto il quale dormire per pochi giorni, il tempo di riprendere le forze e ripartire verso la realizzazione del proprio progetto di vita.
I volontari operano a titolo gratuito, mettendo a disposizione le proprie risorse e il proprio tempo senza alcun tornaconto personale per assicurare il rispetto della dignità umana.
Responsabilità diffusa, relazioni, un coordinamento dinamico e orizzontale è ciò che ha reso possibile la riuscita di un esperimento di accoglienza e di mobilitazione cittadina del tutto unico, per le energie sociali coinvolte e per il riscatto morale che esso rappresenta per la città di Roma.




Alla mensa della legalità di Corviale

Un progetto della non profit Calciosociale. Per ridare dignità al quartiere della periferia romana di cui è l’emblema il serpentone, grattacielo più lungo del mondo.
Il cuore pulsante è Corviale, quartiere della periferia romana famoso per il “Serpentone”, il grattacielo orizzontale più lungo del mondo (un chilometro per nove piani), prodotto dell’edilizia popolare e triste simbolo di degrado socio-urbano.
E’ qui, tra gli ottomila residenti che si barcamenano tra abbandono strutturale, abusivismo, alti tassi di analfabetizzazione e disoccupazione, che opera Calciosociale. Nata come società sportiva dilettantistica con la vocazione a riabilitare il calcio (secondo regole di democrazia, giustizia, legalità, benessere psico-fisico), questa realtà non profit è diventata best practice di inclusione sociale.
E oltre, a essere motore di cambiamento, sta modificando il profilo del paesaggio. Prima ha operato per la costruzione del centro sportivo Campo dei Miracoli, una macchia di rosso e legno nel panorama grigio del quartiere.
«La periferia ha bisogno di bellezza» sottolinea Massimo Vallati, fondatore e presidente di Calciosociale. «E’ un elemento fondamentale del cambiamento di prospettiva delle persone, una svolta verso il riscatto e il senso di appartenenza».
E, sulla base di questa esperienza di architettura sociale, ora l’associazione punta a un obiettivo ancora più ambizioso, recentemente presentato a Expo: una grande Mensa della Legalità e Social Market, realizzata secondo i principi della bioarchitettura e dell’autosufficienza energetica.
Il complesso sarà in grado di fornire centomila pasti all’anno, il 70 per cento gratuiti. «Distribuiti secondo una logica che non è più assistenziale» spiega Vallati. «La mensa sarà soprattutto un luogo di incontro, dove persone con esperienze diverse, per via dell’estrazione economico-sociale, delle abilità motorie, delle problematiche sociali o familiari, possono sedersi attorno allo stesso tavolo e dialogare. Un progetto per contrastare la povertà e per restituire dignità alle persone». Aperta sia a chi ha bisogno di un pasto o una spesa gratuita sia a chi può permettersi di pagare, e quindi contribuire al sistema, la mensa sarà economicamente sostenibile anche sfruttando la Rete spreco zero, che sta per essere sperimentata nella città di Roma per il recupero delle derrate alimentari in eccedenza o vicine alla data di scadenza.

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Baratto solidale su facebook: così si aiutano le famiglie in difficoltà

Oggetti che non servono più “scambiati” con cibo, materiale per la scuola e altri oggetti per la Caritas: l’esperimento di Motta Di Livenza (Treviso). L’idea di Tiziana Bellina per continuare a fare volontariato: non potevo più andare al centro, ho cercato un modo per aiutare da casa

Un circuito di scambio solidale e centinaia di persone che lo alimentano, grazie a Facebook. Il meccanismo è lo stesso di tantissimi gruppi di regalo o scambio presenti sul social network: chi partecipa pubblica foto di oggetti di cui vuole disfarsi, e chi è interessato si fa vivo. Ma la differenza sta in uno speciale tipo di scambio proposto all’interno del gruppo: ad esempio un lampadario Tiffany per 12 euro di shampoo, un piattino in vetro satinato per un pacchetto di caffè, una gonnellina per 4 pacchi di farina, un portachiavi per 5 euro di detersivo per lavatrice, stivali in cambio di formaggini, scarpe Nike per pacchi di riso. I beni così scambiati vengono consegnati al Centro d’ascolto Caritas di Motta e da qui arrivano nelle mani di famiglie che faticano a procurarsi anche l’essenziale. L’idea è di Tiziana Bellina, uno degli amministratori del gruppo Facebook “Lo regalo o lo scambio se vieni a prenderlo” Motta/Oderzo e dintorni”, aperto ad ottobre 2014 con l’aiuto di alcune volontarie e il coinvolgimento della Caritas. “Ho avviato questo Gruppo – racconta – quando per motivi famigliari non potevo più andare a fare volontariato alla Caritas di Motta. Ho cercato un modo per continuare ad aiutare anche da casa, di sera o di notte, con il mio piccolo computer portatile”.

“Chiedo di volta in volta a Maria Secco, la coordinatrice del Centro, di cosa hanno bisogno – spiega – e in base alle sue necessità stabilisco il tipo di scambio sul gruppo Facebook. In vista del ritorno a scuola ho cominciato a chiedere quaderni e colori, perché sappiamo che a inizio settembre alcune famiglie verranno a domandarne”. Lo scambio, sottolinea Bellina, ha un valore pedagogico. Ma il vantaggio per chi si aggiudica un bene è anche la convenienza di trovare prezzi molto più bassi di un negozio. Oltre al “gusto del coinvolgimento diretto in un progetto di solidarietà”. Poi ci sono “i furbetti che fanno finta di fare beneficenza e mi portano cose rotte. – raccomnta Bellina – Io ringrazio comunque… e ogni tanto faccio un giro in discarica”.
Ora l’auspicio è che anche altri possano avviare gruppi analoghi: “Sarebbe una grande soddisfazione. L’idea non aspetta altro che di essere clonata!”

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Da Mafia Capitale all’innovazione sociale

Di fronte al progressivo impoverimento generale, alle diseguaglianze economico-sociali, alle conseguenti tensioni di ordine pubblico, all’incapacità degli Stati di far fronte ai nuovi bisogni, oggi non basta ripensare le politiche sociali: serve, piuttosto, rivedere completamente il modello di sviluppo.
Lo hanno capito già Paesi come Gran Bretagna, Usa, Canada e Australia, che da alcuni anni hanno cominciato a introdurre il concetto di innovazione sociale alla base delle proprie scelte. Ciò ha significato ribaltare il concetto stesso di “politica sociale”, concepita non più come intervento settoriale e limitato a una parte minoritaria di cittadini, quelli colpiti da povertà e altri disagi: il sociale riguarda tutti, perché attiene allo sviluppo equilibrato di una intera comunità. La politica, infatti, non deve preoccuparsi solo di soccorrere gli ultimi, ma di fare in modo che ce ne siano sempre meno.
Come? Attraverso quelle politiche che vanno sotto il nome di social impact innovation, in cui il punto di vista è completamente rovesciato rispetto al passato. Lo Stato, infatti, non è più chiamato a risolvere ogni problema, né a farsi sostituire da soggetti privati e da no-profit, quanto, piuttosto, a diventare uno degli attori in gioco, insieme a investitori privati, intermediari finanziari, organizzazioni no-profit. Il risultato è uno Stato capace di spendere di meno, fare di più e meglio, creare benessere per tutti all’interno di una comunità.
Non si tratta di un’utopia, ma di una sperimentazione coraggiosa già avviata con il nome di Social Impact Investing: la finanza rapace comincia a diventare paziente e sostenibile, in quanto si pone come funzionale non più solo all’interesse privato ma anche a quello pubblico.
Naturalmente, questo non significa che gli investitori speculativi stanno diventando improvvisamente buoni, ma che si sono accorti di una doppia convenienza: scegliere il social impact investment, infatti, significa sia fare investimenti ad alto tasso di decorrelazione (meno soggetti al cosiddetto rischio Paese) e quindi meno volatili, sia guadagnare in termini di qualità della vita nella propria comunità.
L’innovazione a impatto sociale è una sfida per la cultura italiana, abituata a pensare la spesa sociale come un costo improduttivo, mentre, al contrario, può diventare generatore di benessere per la comunità e di crescita per l’economia, con un effetto moltiplicatore di posti di lavoro e, conseguentemente, di domanda interna.
Un esempio di investimento a impatto sociale sono le obbligazioni a impatto sociale, i cosiddetti social impact bond: nel Regno Unito è già stato sperimentato con successo nel settore carcerario già nel 2010. La nostra proposta è di seguire quell’esempio, magari coinvolgendo Cassa Depositi e Prestiti.
Del resto, anche la Commissione Europea ha cominciato a muovere i primi passi in questa direzione, istituendo una disciplina regolatoria e un sistema di certificazione e accreditamento per i fondi di Venture Capital sociali europei. Inoltre, ha deciso di istituire un fondo, denominato European Social Investment and Entrepreneurship Fund (ESIEF), con una dotazione di 90 milioni di euro.
Per quanto qualcosa si sia mosso anche in Italia, non si segnala ad oggi alcuna discontinuità significativa nella programmazione delle politiche sociali, improntate ancora allo schema tradizionale secondo cui è lo Stato a provvedere alla copertura della spesa sociale, mentre i privati investono altrove, salvo poi compensare con elargizioni filantropiche. Né può più essere considerata innovativa la delega in bianco che lo Stato consegna a soggetti no-profit per lo svolgimento di molti servizi.
Per questo abbiamo spinto affinché la nostra proposta, all’insegna dell’innovazione sociale, venisse recepita in una mozione parlamentare (1/00729), depositata alla Camera dei Deputati lo scorso febbraio.
Spazzare via corruzione e ruberie non passa certo dall’arruolamento di magistrati nei governi dei diversi livelli territoriali, quanto dal ripensamento del ruolo stesso del pubblico. Cosa dice il governo su questa che potrebbe diventare una riforma epocale del sistema di welfare?

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Vivere a Termini

L’umanità della grande stazione raccontata in una web-tv.
Termini.Tv è il primo canale online che dà voce ogni giorno a chi transita o “abita” nel principale scalo ferroviario di Roma e d’Italia. Fondata da un gruppo di giornalisti, vuole combattere la chiusura verso l’altro narrando storie di migranti, senzatetto ma anche turisti e pendolari.
Francesco Conte passa le sue giornate alla stazione Termini di Roma: dalla mattina alla sera e a volte anche di notte, osserva le persone che corrono lungo i binari, sostano nei bar, siedono stanche sulle panchine. Parla con migranti, turisti, pendolari, senzatetto e con la sua telecamera raccoglie le loro storie. È nata in questo modo Termini.Tv, il primo canale online che racconta la realtà dentro e intorno alla principale stazione ferroviaria italiana, dove si stima che transitino 500 mila persone al giorno.
“Termini è come un grande quartiere dove abita una umanità che arriva da tutto il mondo. Cerchiamo di combattere la paura dell’altro, la chiusura verso chi non si conosce narrando le vite di chi attraversa questo posto”, racconta Conte, fondatore della web-tv nata ad aprile. Insieme a lui, ci sono altri giornalisti, film-maker e fotografi. “Le storie arrivano senza che le cerchiamo, noi diamo loro una voce e un volto”. La sede si trova sotto al binario 24, in una piccola stanza che fino a qualche anno fa era il luogo in cui i ferrovieri si incontravano dopo il lavoro. Dividono lo spazio con un gruppo di ballerini e musicisti, la compagnia di Termini Underground. Sopra di loro sfrecciano i treni che portano a Fiumicino. I video durano tutti pochi minuti e sono sottotitolati in inglese. “Creiamo dei piccoli racconti che però hanno un carattere internazionale. Questo progetto è unico al mondo”.
Francesco e il suo gruppo hanno lanciato anche l’iniziativa del “caffè sospeso”: un caffè offerto a chi vuole condividere una parte della sua vita davanti alla telecamera. E le storie particolari raccolte in questo modo non mancano. Ci sono quelle dei senzatetto che ogni notte dormono lungo la adiacente via Marsala e che spesso sono svegliati dai ragazzini delle scuole in gita a Roma che dai balconi degli hotel puntano i laser sui loro occhi; ci sono quelle di chi lavora al Luiss Enlabs, un acceleratore di start up che sorge proprio sopra la stazione; quelle degli innamorati che vivono a distanza e si ritrovano a Termini; quella di una anziana signora che coltiva un orto lungo i binari, ma anche quelle di chi arriva per la prima volta a Roma. “Ho lasciato la telecamera ad una ragazza canadese che ha raccontato a suo modo il primo impatto con Termini”, racconta Francesco.
Ogni filmato raggiunge le duemila visualizzazioni. “Siamo partiti da poco ma speriamo di continuare a crescere. In pochi mesi abbiamo accumulato 500 ore di girato. Il nostro è un giornalismo di strada e a ottobre apriremo dei corsi per i giovani che si avvicinano a questa professione”. Un giornalismo che parte dalle persone e si sporca le mani. “Ognuno ha qualcosa da raccontare, basta avere il tempo di ascoltare”.

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Inceneritori. Un NO scientificamente motivato

Il mantra mediatico-governativo presenta gli inceneritori come una soluzione perfetta, salutistica, quasi, per lo smaltimento dei rifiuti urbani. Chi si oppone, inevitabilmente, viene additato come un “signor no”, un Nimby, o più semplicemente un cretino contrario al progresso.
Poi un istituto pubblico fa il suo mestiere – nel caso dell’Arpa; rilevare gli effetti del funzionamento degli inceneritori già attivi . e scatta il silenzio totale sui dati statistici, ovvero scientifici perché “a consutivo”, ex post, non “stime” o “previsioni”. Fatti, non pugnette, diceva un comico del grido…
Sappiamo bene, naturalmente, che anche gli inceneritori sono “storicamente determinati”, e quindi sottoposti all’evoluzione tecnologica; che, quindi, quelli di ultima generazione produrranno probabilmente emissioni percentualmente meno pesanti, per tonnellata di rifiuti bruciati. Ma, appunto, “meno” non significa “nulla”. Anche perché, in genere, un impianto più efficiente può “lavorare” un tonnellaggio giornaliero superiore. Quindi il problema che si finge di buttar fuori dalla finestra rientra silenziosamente dalla porta.
Proponiamo il lavoro dell’Arpa Piemonte, pubblicato in giugno, ma di cui – anche noi – abbiamo appreso l’esistenza soltanto oggi. Da conservare come documentazione inoppugnabile, sbattendola in faccia ai “tranquillizzatori” professionali (perché stipendiati per farlo).

Concluso lo studio epidemiologico Arpa sull’inceneritore di Vercelli

Sono stati presentati ieri, in una conferenza stampa al comune di Vercelli, i risultati dello studio epidemiologico Arpa sulla popolazioneresidente nei pressi dell’inceneritore di Vercelli.
L’inceneritore, attivo dall’inizio degli anni ’70 e chiuso nel 2014, era di proprietà della società ATENA Patrimonio Spa, mentre la gestione era affidata alla ditta Veolia.
L’impianto era costituito da tre linee, aventi ciascuna una potenzialità termica di 7.140.000 kcal/h (8302 kW), autorizzate per smaltire ciascuna:
72.3 tonnellate al giorno di rifiuti solidi urbani (R.S.U.) e speciali assimilabili agli urbani
2.7 tonnellate al giorno di rifiuti speciali ospedalieri (R.S.O).

Il calore sviluppato durante la combustione veniva utilizzato per generare vapore surriscaldato inviato successivamente a due turboalternatori per la produzione di energia elettrica.
Nel 2014 è iniziato uno studio epidemiologico sugli effetti sulla salute dell’inceneritore, reso possibile grazie ad un progetto CCM del Ministero della salute. Lo studio è stato coordinato dal Dipartimento di Epidemiologia e Salute ambientale dell’Arpa Piemonte, in collaborazione con il Dipartimento Arpa di Vercelli, i Comuni di Vercelli ed Asigliano Vercellese e l’Asl di Vercelli (Servizio di Igiene e Sanità Pubblica).
Lo studio epidemiologico aveva l’obiettivo di studiare i possibili effetti sulla salute, con particolare riferimento ai dati di mortalità e morbilità (ricoveri ospedalieri) per alcune cause correlabili alla residenza in prossimità dell’impianto di incenerimento dei rifiuti, basato sulla storia residenziale della popolazione nei comuni di Vercelli e Asigliano con un follow-up di mortalità e morbilità dal 1.1.1997 fino al 31.12.2012 (15 anni). L’esposizione dei residenti nell’area interessata dalle emissioni dell’impianto è stata stimata attraverso modelli di dispersione, rafforzati da dati provenienti da campagne di campionamenti ad hoc.
La popolazione residente è stata divisa tra esposti (residenti nell’area di ricaduta delle emissioni dell’inceneritore) e non esposti (residenti nei due comuni fuori dall’area di ricaduta).
È stato misurato il rischio di contrarre una patologia dei residenti nell’area di ricaduta verso l’area di non esposizione.
I risultati della mortalità mostrano rischi significativamente più elevati nellapopolazione esposta per la mortalità totale, escluse le cause accidentali (+20%). Anche per tutti i tumori maligni si evidenziano rischi più alti tra gli esposti rispetto ai non esposti (+60%), in particolare per il tumore del colon-retto (+400%) e del polmone (+180%). Altre cause di mortalità in eccesso riscontrate riguardano la depressione (rischio aumentato dell’80% e più), l’ipertensione (+190%), le malattie ischemiche del cuore (+90%) e le bronco pneumopatie cronico- ostruttive negli uomini (+ 50%).
I risultati dell’analisi dei ricoveri ospedalieri sono stati utilizzati per calcolare l’incidenza di patologie correlate considerando solo il primo ricovero. Dall’analisi emergono dei risultati che confermano molti dei rischi emersi dall’analisi dei dati di mortalità: rischi aumentati per il tumore del colon-retto (+35%), depressione (+10%), ipertensione arteriosa (+20%). Anche per le bronco pneumopatie cronico- ostruttive i rischi sono aumentati nello stesso modo (+12%).
Alcuni risultati sono significativamente aumentati solo nelle analisi di morbilità: rischio più alto di ricovero per diabete (+10%), per le malattie degenerative del sistema nervoso centrale (con il 10-20% di aumento del rischio). Rischi aumentati sono stati trovati anche per le patologie epatiche croniche e cirrosi (+30%).
I risultati ottenuti sono simili ai risultati di altri studi epidemiologici condotti in passato su inceneritori di vecchia generazione, che avevano evidenziato eccessi di rischio per tutti i tumori, per tumore del colon retto, per il tumore del polmone, per i linfomi, per le malattie ischemiche cardiache, per le malattie respiratorie.
L’area in studio è critica da un punto di vista ambientale; i risultati soffrono di una povera caratterizzazione dell’esposizione occupazionale e di informazioni sui fattori di rischio individuali dei soggetti della coorte. Alcune patologie, come la depressione e le malattie degenerative del sistema nervoso centrale, potrebbero essere spiegate con l’esposizione a pesticidi utilizzati in agricoltura, ampiamente utilizzati nella stessa area di ricadute delle emissioni dell’inceneritore.

studio epidemiologico Vercelli

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“Roma non sarà mai dei criminali”

Ci uniamo con profonda convinzione a queste parole con cui Orfini ha invitato tutti i cittadini amanti della propria città a scendere in piazza il 3 settembre a piazza Don Bosco a Cinecittà contro il malaffare e la criminalità.
Da sempre sul nostro territorio e nelle nostre tante iniziative pratichiamo la linea politica che senza legalità e sicurezza non si fa rigenerazione urbana.
Questo percorso di lotta e riflessione si è sempre più consolidato nella convinzione che non c’è ripristino della legalità nei nostri territori se non c’è animazione sociale e cioè iniziativa e partecipazione politica, sociale, culturale, economica.
Corviale, il nostro territorio, si è conquistato l’attenzione delle istituzioni e della politica lottando e fabbricando progetti reali di cambiamento.
Noi portiamo questo nostro contributo all’intera città, in particolare ai suoi territori più problematici e bisognosi di attenzione.
Che la politica ritrovi la sua alta funzione di servizio a cominciare dal 3 settembre.




Ecobaratto, cibo a km 0 in cambio di rifiuti

Il “modello” di Piazza Armerina.
All’Ecostazione si lasciano rifiuti da riciclare e si guadagnano punti per cibo e altri genere di prima necessità – tutti prodotti a filiera corta – da destinare anche a fini solidali. Inaugurata lo scorso 6 giugno ha raccolto già 40 tonnellate di materiale. E altri comuni studiano il progetto.
Nell’Ecostazione si lasciano rifiuti da riciclare e si guadagnano punti per cibo e altri genere di prima necessità, tutti prodotti a filiera corta. E’ il “modello” adottato da Piazza Armerina (En), città d’arte nel cuore dell’isola, famosa per la Villa Romana del Casale e i suoi preziosi mosaici, patrimonio dell’Unesco. Il progetto “Piazza verso rifiuti zero”, promosso da Legambiente e sostenuto dalla Fondazione con il Sud, ha come partner l’amministrazione comunale, che già gestisce il servizio di raccolta porta a porta. L’ecostazione – che è parte di un quadro più ampio di azioni formative e informative – è stata inaugurata lo scorso 6 giugno e ha raccolto già 40 tonnellate di rifiuti da riciclare. E’ inserita nel sistema cittadino di raccolta della differenziata, che garantisce il ritiro dei materiali lasciati dai cittadini.
bottiglie di plastica, rifiuti

Funziona così: nel centro di raccolta si possono conferire materiali riciclabili di ogni tipo, dalla carta al vetro, dall’acciaio alla plastica. Il materiale viene pesato e viene assegnato un punteggio a seconda del tipo, che viene poi convertito in punti. I soggetti iscritti al servizio possono barattare i punti in pasta, marmellate, pesce, sottoli, miele e altri generi alimentari e non. Tutti prodotti a chilometro zero, da ritirare presso le aziende. In questo modo, altre a dare nuova vita ai rifiuti, si sostiene anche l’economia di piccola scala, i produttori del territorio. I punti sono caricati su una tessera, personale o a nome di associazioni e cooperative; i cittadini quindi possono scegliere anche di devolvere i propri punti per finalità sociali.

“Il progetto dell’ecostazione – sottolinea la presidente di Legambiente di Piazza Armerina, Paola Di Vita – è la più visibile delle iniziative previste da progetto, perché si tratta di un luogo fisico”. Il comune ha concesso locali all’associazione, in comodato gratuito per il tempo del progetto, e Legambiente li ha arredati con materiale di recupero, realizzando gli impianti all’insegna del risparmio energetico. Un investimento sulla struttura oltre il finanziamento che copre solo il 70% dei costi, spiega Di Vita.

Il programma è partito lo scorso gennaio e ha una sua pagina facebook, attraverso cui l’associazione mette in rete informazioni, spiega come differenziare e si confronta con gli utenti. Prevede iniziative altre, sempre all’insegna del rispetto della natura, come educazione ambientale, concorsi nelle scuole, seminari sugli stili di vita ecosostenibili. Tra queste “Scart’ in piazza” durante il quale giovani artisti creano opere d’arte a partire dai rifiuti. “Ci contattano molti amici dai comuni vicini per avere informazioni sull’ecostazione – si legge sulla pagina Facebook – la cosa ci inorgoglisce un po’. Uno degli obiettivi del progetto è infatti la diffusione delle buone pratiche”.
Insomma l’ecobaratto convince e funziona. “Siamo stati contattati da altri comuni che stanno studiando il modello. – spiega Di Vita – Abbiamo avuto molti dubbi se far partire il progetto, perché il comune era riuscito ad avviare la raccolta porta a porta e ci siamo detti che senso ha? Ma la risposta è alta”. Così a soli pochi mesi dall’apertura i volontari si impegnano a garantire il servizio 6 giorni su 6, tre volontari a tempo pieno. Sono circa 100 i soci e non tutti sono interessati ai punti, quanto alla possibilità di avere un luogo e informazioni per smaltire correttamente i rifiuti. Anche così cresce la sensibilità nei confronti dell’ambiente.

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