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Big data per la diagnostica degli edifici malfunzionanti

Dagli Usa uno strumento in cloud di analisi di dati che potrebbe semplificare il lavoro degli operatori tecnici, con diagnosi precise e opzioni di intervento.
Il perfetto funzionamento di un sistema-edificio ha delle ricadute positive sia in termini di comfort degli occupanti sia di risparmio energetico e quindi di riduzione di costi e impatto ambientale. Far funzionare un edificio significa trovare il giusto equilibrio tra riscaldamento, raffreddamento e ventilazione, ma anche effettuare una corretta manutenzione di tutte le apparecchiature e i sistemi coinvolti. Un onere che spetta agli operatori tecnici, che spessò però, data la complessità delle strutture, non hanno i giusti strumenti per intervenire.
Al fine di colmare queste lacune- dettate dal numero elevato di dati che i tecnici devono analizzare ed interpretare senza poter seguire un protocollo ben preciso- i ricercatori della Drexel Univesity (Usa) stanno sviluppando uno strumento di analisi di dati su una piattaforma in cloud che potrebbe semplificare questi processi diagnostici.

Offrire agli operatori un quadro diagnostico accurato

Il team, guidato da Jim Wen, professore associato presso la Facoltà di Ingegneria e co-direttore di Building Science & Engineering Group, sta lavorando su un sistema che analizza i big data generati da i diversi componenti di controllo di un sistema-edificio: termostati, sensori di flusso idrico, contatori di energia e via dicendo. Con l’obiettivo di fornire agli operatori tecnici un quadro più completo della situazione, suggerendo delle opzioni precise per l’intervento in caso di mal funzionamento.

Gli operatori sono costretti a confrontarsi con un numero infinito di dati ‘grezzi’ provenienti dai sensori e dai sistemi di controllo, e con avvisi di rilevazione di guasti, ma le informazioni sono così complesse e indefinite che è difficile capire da dove iniziare e individuare una soluzione adeguata per la risoluzione dei problemi emersi- spiega Wen- E’ come se un medico ci desse i risultati delle analisi senza aiutarci ad interpretarli e senza suggerirci le giuste cure, pensando che possiamo essere in grado di farlo da soli. Lo strumento a cui stiamo lavorando deve assumere il ruolo del medico, ovvero dare agli operatori una diagnosi e una lista di opzioni da seguire.

Utilizzare gli algoritmi per individuare i problemi prima che si manifestino

L’individuazione di alcune problematiche è ardua. Perché i malfunzionamenti possono derivare non soltanto da un guasto nei sistemi hvac ma anche da difetti costruttivi o difetti nei dispositivi di controllo. E talvolta ci si accorge di tutto ciò quando il danno è già esteso, ovvero quando gli occupanti iniziano a risentirne o quando le bollette testimoniano consumi eccessivi. Per far si che questo non avvenga, lo strumento allo studio dei ricercatori utilizza degli algoritmi per controllare ed analizzare i volumi di dati dell’edificio automaticamente, rendendoli noti agli operatori ancor prima che il problema si manifesti concretamente.

Il malfunzionamento può essere causato da piccoli problemi che sommati nel tempo diventano un grande problema- spiega Wen- La mancanza di raffreddamento, ad esempio, può essere causa di una perdita di refrigerante, da un condotto che perde, da una valvola guasta o da un fan coil difettoso, ma il più delle volte è il risultato di una combinazione di queste problematiche. Il nostro strumento di rilevamento dei guasti e diagnosi automatica aiuterà gli operatori ad individuare una diagnosi accurata e quindi delle soluzioni da approntare.

La fase di test

Lo strumento sviluppato dai ricercatori di Drexel- finanziato dal Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti- verrà implementato nell’edificio di Stratton Hall, all’interno del campus universitario. Se la fase di test darà esito positivo, come gli studiosi si aspettano, il sistema verrà commercializzato dalla KGS Buildings, una società specializzata in software per l’edilizia, con cui l’Università ha già preso contatti.

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Condominio, nasce il building manager

È un professionista che non si limita a svolgere un’attività di amministrazione, ma è in grado di offrire servizi integrati agli utenti, con elevate potenzialità di sviluppo per “l’economia del condominio”.
Il ruolo dell’amministratore di condominio sta evolvendo verso la figura del “building manager”, professionista che non si limita a svolgere un’attività di amministrazione, ma che è in grado di offrire servizi integrati agli utenti con, inoltre, elevate potenzialità di sviluppo per “l’economia del condominio”.

Groma, società di gestione e servizi integrati per il patrimonio immobiliare fondata nel 1987 dalla Cassa italiana di previdenza e assistenza dei geometri liberi professionisti (Cipag), nel corso dell’appuntamento “L’evoluzione dell’amministratore di condominio: il building manager” che si è svolto oggi a Milano, ha illustrato le potenzialità di questa “figura” e le relative ricadute economiche positive.

I VANTAGGI DELLA “GESTIONE PROFESSIONALE”. Oggi il valore delle spese classiche condominiali (ristrutturazioni, riqualificazioni e manutenzioni ordinarie) raggiunge l’1% del pil, pari a circa 15 miliardi di euro. Con il passaggio da una mera “amministrazione” degli immobili alla “gestione” degli stessi e dei servizi integrati, invece, è possibile creare valore aggiunto per l’immobile, i condomini, i professionisti, e l’economia in generale, per ulteriori 20 miliardi di euro ogni anno. I vantaggi della “gestione professionale” per i soli clienti potrebbero ammontare al -10% del bilancio ordinario e +10% del valore dell’immobile.

La riforma del condominio del 2013 ha innovato profondamente il quadro, ma l’evoluzione è in ancora corso. E’ prevedibile, infatti, che nei prossimi anni i 260.000 amministratori non professionisti abbandonino il ruolo per le enormi responsabilità ed incombenze che la riforma ha introdotto. In Italia i condomini sono circa 1 milione e per i 40 mila professionisti si aprono enormi possibilità, che però non possono prescindere dalla professionalità, l’organizzazione, l’offerta strutturata di servizi, l’innalzamento degli standard qualitativi. All’estero già esistono consolidate società di capitali, multinazionali, consorzi che offrono servizi integrati di ogni genere (contrattazione ampliata con i fornitori di servizi, programmazione delle manutenzioni, introduzione del controllo di gestione, fino all’offerta di servizi di baby sitter, consegne a domicilio, fisioterapia, infermiere).

ENORMI MARGINI DI CRESCITA. “I margini di crescita in questo settore sono enormi – ha spiegato Vincenzo Acunto, direttore generale di Groma – e l’Italia non può perdere l’occasione. E’ necessario che i professionisti aderiscano al network, perché è necessario presentarsi con organizzazioni strutturate in grado di competere con i concorrenti esteri, ma anche offrire servizi ad un numero di utenti elevato. Questo settore non sarà più ad appannaggio dei singoli, ma solo di network strutturati”, ha concluso.

Per Fausto Amadasi, Presidente della Cassa di previdenza dei geometri (Cipag): “l’Italia non può perdere questo treno. E’ un’occasione importante che può avere ricadute positive per l’occupazione, per gli utenti, nel mercato immobiliare, come anche nei consumi e per l’economia in generale”.

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Corviale, dieci anni di Calciosociale

Oltre a due “ring” per lo street soccer e all’Accademia del Talento, in cantiere la Mensa della legalità e un social market.
Il Calciosociale, che da tempo opera nel quartiere periferico di Corviale e promuove i valori dell’accoglienza e del rispetto della diversità, compie dieci anni e si modernizza: per gli abitanti del quartiere, oltre ad attività sportive e ricreative di integrazione, arrivano un’Accademia del Talento, un campo da street soccer – il primo in Italia – e una “Mensa della Legalità, Sostenibilità e Social Market”. “Con l’Accademia del Talento abbiamo rivoluzionato il concetto di calcio – spiega Massimo Vallati, presidente di Calciosociale – l’intenzione è quella di cambiare l’idea di agonismo: secondo il nostro punto di vista non esiste contraddizione tra sport di alto livello e umanità, anzi: è proprio grazie ai valori umani più autentici che lo sport raggiunge i massimi livelli”.

Così gli operatori del Calciosociale garantiranno a bambini e ragazzi percorsi agonistici che formeranno non solo sportivi, ma anche cittadini doc. Tutto questo anche grazie ai due nuovi “ring” da street soccer, i primi in Italia: uno è per giocare 3 contro 3, l’altro è per un testa a testa, con lo scopo di promuovere il confronto e imparare a cavarsela in molteplici ruoli. “Calciosociale rappresenta la parte bella di Roma – racconta Maurizio Veloccia, presidente dell’XI municipio – siamo fieri di quello che questa realtà ha creato e speriamo possa crescere ancora di più”.

Mentre il campo da street soccer è già pronto all’uso, la mensa è in fase di realizzazione: si parla di una capienza di 260 persone, dell’occupazione di 10 dipendenti e della fornitura di oltre 100 mila pasti all’anno, di cui almeno il 70% gratuitamente. Il tutto, tenendo conto delle ultime frontiere della bioarchitettura, con intonaci in terra cruda atossica, balle di paglia, vetrate fotovoltaiche trasparenti per la produzione di energia elettrica e tetto con piantumazioni.

Per favorire l’inclusione, saranno ben accette persone che pagheranno il pasto che consumano, con lo scopo di mangiare tutti insieme e condividere il cibo. Che qui, tra l’altro, sarà per lo più a chilometro zero: aziende agricole, piccoli produttori e serre in loco produrranno frutta e verdura che finiranno in pentole e padelle, mentre dalla grande distribuzione arriveranno tutti quei cibi in eccesso, vicine alla scadenza o destinate allo smaltimento, ma comunque buoni sia per essere consumati alla mensa, che per essere acquistati nel social market in loco.

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Il paese che ha aperto le sue cucine

A Borgo Tricase 10 mamme lavorano al primo ristorante diffuso d’Italia. Si compra un ticket e si gira di casa in casa a ritirare il piatto. Le prime due cene sono state un successo

“Lu porto” in dialetto salentino significa porto. Anche il Borgo Tricase è un porto. Un rione del comune di Tricase, in provincia di Lecce, dove vivono poco più di 250 persone. Nel piccolo borgo marinaro, però, si pensa in grande. «Nell’ottobre del 2014 c’è venuta l’idea», racconta Eleonora Bianchi, 31 anni, lombarda di nascita ma pugliese d’adozione. «Volevamo rivalutare il borgo di Tricase, volevamo questa rinascita anche per il porto. La maniera più facile per farlo era coinvolgere gli abitanti con le loro attività culinarie».

Così nasce “Le mamme del Borgo”, un ristorante “diffuso” dove dieci mamme che abitano il borgo aprono la loro cucina ai turisti. Eleonora Bianchi questo “ristorante” l’ha pensato insieme ad altri tre amici Mattia Sansò, Agnese Dell’Abate e Giuseppe Ferrarese; stanno trasformare le attività culinarie tipiche del paese in una vera e propria attrattiva. «Le prime due cene le abbiamo organizzate a giugno e ad agosto dell’estate appena passata», racconta Eleonora. «Inizialmente avevamo pensato ad un home restaurant, ma poi visto che nel borgo c’è spazio ci siamo detti che sarebbe stato ancora più bello creare un ristorante comunitario all’aperto, dove le mamme cucinano per tante persone». Attualmente le mamma che hanno aderito sono dieci. Nelle prime due cene pilota organizzate hanno partecipato circa 200 persone a sera.

«Abbiamo fatto stampare dei ticket, il prezzo è di 15 euro a biglietto. Con ogni ticket si ha diritto ad un pasto completo. Tutto il borgo viene mappato, e ogni mamma che partecipa si impegna a preparare un piatto tipico del posto. Si parte dall’antipasto e il cliente sa a quale “mamma” rivolgersi. Non si mangia nella casa della signora, ma è lei che ti aspetta sulla porta per offrirti il piatto».

Tolte le spese dei fornitori, poi i ricavi si dividono tra le mamme e gli organizzatori della serata.

«Una volta dimostrato che il progetto può funzionare», continua Eleonora, «l’obiettivo per l’anno prossimo è di organizzare cene a scadenza settimanale. Vogliamo stampare massimo 300 ticket per serata perché abbiamo pensato ad un sempre menù diverso dove ogni sera si possono trovare prodotti freschi e tipici del posto, a chilometro zero. Così possiamo mantenere alta la qualità ed evitare lo spreco alimentare».

I fondatori de “Le mamma del Borgo” hanno anche un altro obiettivo: rendere il progetto replicabile negli altri borghi o nei piccoli comuni italiani. Perché come spiega Eleonora «è importantissimo per la nostra generazione mettersi in gioco ma soprattutto è importante differenziare il lavoro e creare nuove attività economiche anche nelle realtà più piccole».

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La Rivoluzione artistica delle periferie

Nell’immaginario comune, la periferia è quella parte della città meno importante, che non merita attenzione.

Ed è proprio questo il motivo della “rivoluzione delle periferie”: crearsi un’identità, una buona fama, riqualificare il quartiere e i suoi spazi attirando l’attenzione di un vasto pubblico e specialmente dei suoi abitanti.

Infatti attorno a noi, le periferie stanno cambiando.

Siamo stati testimoni della rinascita del quartiere Tormarancia, grazie al progetto Big City Life, che ha trasformato i lotti in “musei a cielo aperto” chiamando artisti di tutto il mondo a realizzare le opere di Street Art che troviamo sulle facciate dei palazzi.

Progetto analogo è avvenuto al Trullo (tra via Portuense e la Magliana), dove però i finanziatori sono gli abitanti stessi del quartiere.

Quelli che una mattina si sono svegliati ignari e hanno trovato un’esplosione di colori aprendo la finestra.

Opera del gruppo dei Pittori Anonimi del Trullo, che con i loro mezzi, la notte dipingono e rallegrano gli spazi comuni del quartiere al grido di “Non cambiamo quartiere, cambiamo il quartiere!”.

Questo gruppo, coinvolgendo studenti, bambini e ragazzi, ha avuto subito un notevo successo e supporto dagli abitanti del quartiere che hanno istituito nel bar del mercato rionale un salvadanaio per raccogliere fondi destinati al materiale per dipingere: vernici, pennelli, pennarelli. Per informazioni sul loro operato: pagina Facebook “Pittori Anonimi der Trullo”.

I Pittori hanno subito trovato una collaborazione con i Poeti der Trullo (www.poetidertrullo.it), un gruppo di sette ragazzi in anonimato che manifesta le proprie riflessioni ed emozioni sulla vita e sulla città attraverso una poesia calata nell’ambiente: scritta in dialetto romano.

E così questi due gruppi (sostenuti anche da Poesie Pop Corn, Solo e il Municipio XI) hanno dato vita ad un evento che ha richiamato molta attenzione anche fuori dal Trullo: il Festival Internazionale di Poesia di Strada.

Sviluppatosi il 16, 17 e 18 Ottobre attorno via del Trullo e al CSO Ricomincio dal Faro (di cui si possono trovare gli eventi sulla sua pagina Facebook “Cso Ricomincio dal Faro”), l’evento aveva come tema “i Viandanti” e organizzava attorno a questo argomento installazioni, reading poetici e laboratori.

Era inoltre possibile vedere all’opera famosi Street Artist, accompagnati da poeti provenienti da tutta Italia, realizzare nel quartiere murales monumentali basati sulle poesie e sulla libertà di espressione.

L’emblema di quest’unione tra poesia e pittura è un coloratissimo murales realizzato da Solo: la Nina. E’ una ragazza che piange la scomparsa dell’arte dal Trullo. Accanto alla figura, una poesia: “Poeti e pittori non so stati vinti,

so vivi’n colori, frammenti, dipinti.”

E’ la dedica con cui i poeti consolano la Nina: l’arte non sparirà.

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Guida pratica all’orto sul balcone

Broccoli, broccoletti, cavoli, cavolfiori, cime di rapa, ma anche piselli, fave e finocchi. Siete pronti per l’orto invernale? In attesa di partecipare a qualche orto comunitario potete sempre cimentarvi con il vostro balcone. Ecco una guida rivolta a chiunque ha a disposizione un terrazzo, un balcone o anche solo un davanzale luminoso. È stata preparata da Daniele Previtali, insegnante-contadino, che ha scelto i sistemi dell’agricoltura sinergica per il suo orto nei Castelli Romani. Le meravigliose foto, invece, sono di Daniela Di Bartolo che da diversi anni (prima nel Cilento e ora in Abruzzo) si prende cura di orti (sinergici) e promuove laboratori di autoproduzione, ma la sua grande passione sono le erbe officinali. Una guida alla portata di tutti e tutte. Si tratta, in fondo, di rimediare un po’ di terriccio di campagna e dei semi bio, di affiancare il più possibile piante provenienti da famiglie diverse, di ricordarsi di non estirpare eventuali “erbacce” (sono utilissime). Un testo dunque da utilizzare nella vita di ogni giorno, lì dove fruttano i migliori cambiamenti, e da diffondere ovunque perchè una cosa è certa: l’autoproduzione resta un buon modo per girare le spalle al dominio dell’agricoltura industriale e a quello della mercificazione della vita. Buon orto (aspettiamo foto e notizie dai vostri balconi). Un grazie a Daniele e Daniela per aver messo in… Comune i loro saperi

1. A chi è rivolta questa guida?
2. Inizio dei lavori
Luce è vita: esposizione – I contenitori – Il terriccio – Semi e piantine
3. Piante da orto e loro esigenze
Leguminose – Solanacee – Cucurbitacee – Liliacee – Composite – Crocifere – Labiate – Ombrellifere
4. Realizziamo il nostro orto!
Orto estivo
Pomodori – Zucchine – Melanzane, peperoni – Insalate, cicorie, ravanelli, bieta – Aglio, cipolle – Carote – Fagioli, fagiolini, ceci – Basilico, prezzemolo, sedano – Erbe Officinali
Orto invernale
Cavoli, cavolfiori, broccoli, broccoletti, cime di rapa – Piselli, fave – Finocchi – Cardo
5. Rinnovo del terriccio, concimazione e trattamenti
Ringraziamenti
“Passate con attenzione attraverso questi campi. Libellule e farfalle che volano in un turbinio di vita. Api che ronzano di fiore in fiore. Scostate le foglie e vedrete insetti, ragni, rane, lucertole e molti altri piccoli animali… Questo è l’ecosistema del campo di riso in equilibrio… E adesso guardate un momento il campo del vicino. Le erbacce sono state spazzate via dai diserbanti e dalle lavorazioni. Gli animali e gli insetti del terreno sono stati tutti sterminati dai veleni… D’estate si vedono gli operai agricoli al lavoro nei campi con addosso maschere antigas e lunghi guanti di gomma. Questi campi di riso che furono coltivati continuamente per più di 1.500 anni sono stati ora resi sterili dalle pratiche agricole di rapina di una sola generazione”
Masanobu Fukuoka – La rivoluzione del filo di paglia

1. A chi è rivolta questa guida?

Quante volte, comprando la verdura al supermercato o a qualche banco ci siamo domandati: saranno genuini questi pomodori? Sarà stata trattata con pesticidi questa zucchina? E sarà buona o sarà la solita zucchina senza sapore? Possiamo fidarci di quello che ci dice il venditore ma la realtà è che non possiamo saperlo, e considerando che l’agricoltura, oggi, è un processo altamente industrializzato, è molto probabile che la verdura che acquistiamo sia stata prodotta utilizzando concimi e trattamenti di sintesi.

Purtroppo la deriva consumistica di questo periodo storico, ci ha portati a pensare che sia possibile avere tutto e sempre, ma naturalmente, senza l’impiego di ingenti risorse ambientali e sostanze di sintesi, ciò non sarebbe possibile. Avere i pomodori d’inverno significa usare delle serre riscaldate, oppure importarli da paesi più caldi, con conseguente decadimento del prodotto. Mangiare frutta tropicale significa che questa verrà raccolta con moltissimo anticipo per arrivare da noi, dopo un lungo viaggio, matura al punto giusto. Comprare verdure non naturalmente presenti in un territorio significa che queste saranno state importate (nella migliore delle ipotesi), oppure prodotte utilizzando concimi e pesticidi che le “forzino” a crescere dove non potrebbero.

Senza dilungarci troppo, è chiaro che la miglior soluzione per alimentarsi in modo sano è quella di prodursi il proprio cibo, mangiando così alimenti di stagione, a Km 0 e senza l’utilizzo di prodotti chimici. Questo corso è rivolto a chiunque possiede un balcone, un terrazzo, o magari anche un davanzale luminoso, intenzionato ad auto-prodursi parte del proprio cibo, riscoprendo così anche le soddisfazioni del saper fare e del buon cibo.

2. Inizio dei lavori

Luce è vita: esposizione

Partiamo chiaramente dalle basi. Ogni pianta per vivere e crescere utilizza la fotosintesi
clorofilliana, ovvero una reazione chimica che avviene nelle foglie, che trasforma l’anidride carbonica (biossido di carbonio) presente nell’aria e l’acqua assorbita dal terreno tramite le radici, in zuccheri semplici in grado di sostenere la vita, con rilascio di ossigeno nell’atmosfera. Tutto ciò però può avvenire solo in presenza di luce solare, ecco perché per realizzare un orto in cassetta abbiamo bisogno di un punto luminoso, preferibilmente esposto alla luce solare. Se non avete esposizione diretta ma solo luce del giorno, non disperate, perché potrete comunque coltivare alcune piante (ad esempio le aromatiche) che si adattano bene anche a scarsa illuminazione, e che ci daranno comunque grandi soddisfazioni. Chiaramente, se il balcone a nostra disposizione riceve pochissima luce (come ad esempio balconi che si affacciano sulla parte interna di un palazzo), si sconsiglia di realizzare un orto, in quanto i risultati saranno nulli o scadenti.

I contenitori

Il passo successivo è la ricerca o l’acquisto dei contenitori. Oltre ai vasi, che certamente utilizzeremo, un contenitore davvero utile e versatile è la classica cassetta di plastica che spesso vediamo ai banchi della frutta. Capita sovente che i commercianti si sbarazzino di questi contenitori, per cui sarà sufficiente chiederne alcuni. Una volta racimolate le cassette di plastica (si sconsigliano quelle di legno perché col tempo marciscono), si dovranno foderare con una busta di plastica abbastanza resistente (quelle nere dell’immondizia vanno benissimo), e bucherellare in fondo per permettere all’acqua di non
stagnare facendo marcire le radici delle nostre future piantine. A seconda dell’altezza e della larghezza della cassetta sarà possibile coltivare in esse diverse verdure in base alle loro esigenze (generalmente ortaggi di piccola taglia come insalate, cicorie, bieta, misticanza, carote, ravanelli). Nei vasi invece coltiveremo gli ortaggi più esigenti (generalmente di grossa taglia come zucchine, melanzane, pomodori, cavoli e broccoli). I vasi di terracotta permettono una migliore traspirazione del terriccio ma tengono meno l’umidità (cosa non gradita nei mesi molto caldi), mentre i vasi di plastica sono più leggeri (il peso complessivo dell’orto deve essere tenuto in considerazione in base al balcone
utilizzato in modo da non sforzarlo troppo), sono più economici, e soprattutto più resistenti.

Fiori di zucca (foto di Daniela Di Bartolo)
In sostituzione dei vasi si possono usare anche vecchi secchi (sia in plastica che in metallo) o bidoni, forati sul fondo. Una crescente moda è quella di usare bottiglie di plastica tagliate al centro ed appese al muro in modo da recuperare ulteriore spazio, in questo caso potremo piantare solo ortaggi di piccola taglia (ad esempio insalate). Un altro sistema interessante è l’utilizzo dei sacchi del terriccio che compriamo. Si possono aprire dalla parte alta e usare come se fossero dei grandi vasi. Si avrà l’accortezza di bucherellare tutto attorno e sotto al sacco con un chiodino per far defluire l’eventuale acqua in eccesso. Questi contenitori sono adatti per poter coltivare pomodori, zucchine, peperoni e melanzane. Chiaramente rimane poi la scelta estetica che è puramente personale.

Il terriccio

Il terriccio da utilizzare è molto importante in quanto ogni ortaggio ha le sue necessità o preferenze in fatto di sali minerali e sostanza organica presente, nonché di acidità del terreno. Se si ha la possibilità si può prendere della terra in campagna da conoscenti fidati (non su strada o da campi incolti in quanto potrebbero essere stati trattati con diserbanti) e integrarla con del terriccio universale (si trova in qualsiasi vivaio). Un rapporto metà/metà sarebbe ideale, altrimenti si può usare solo terriccio universale. In questa fase è molto utile, ma non indispensabile, integrare nel terriccio un po’ di stallatico (escrementi di galline o altri animali da allevamento). Se non si conosce qualcuno in grado di fornirlo lo si può comunque acquistare in un vivaio. Non eccedere con questo integratore, 4-5 cucchiai per ogni cassetta di dimensione media sono più che sufficienti, ed aiuteranno moltissimo la crescita delle piante. In sostituzione si possono integrare nel terriccio dei fondi di caffè (10-15 cucchiai per cassetta), che però non ha la stessa capacità fertilizzante dello stallatico, per questo lo possiamo usare per verdura di piccola taglia). Anche l’humus di lombrico o compost casalingo possono essere molto utili. Mescolare sempre bene il terriccio in un contenitore capiente.

Semi e piantine

Per realizzare il proprio orto l’ideale sarebbe partire dai semi, in modo di curare tutte le fasi delle nostre piante ed essere sicuri della provenienza, oltre che avere la soddisfazione di veder nascere la vita sul proprio balcone. In alcuni casi effettivamente partire dal seme è abbastanza conveniente e indicato (come ad esempio nel caso di misticanza, ravanelli, fagiolini, zucchine e pomodori) in quanto i semi sono molto facili da trovare e facili da far germinare. Alcune varietà invece sono più ostiche (ad esempio sedano, melanzane e peperoni), oppure molto lente a germinare come prezzemolo e basilico, per cui per cominciare conviene acquistare delle piantine in un vivaio. Per quanto riguarda i semi, molti si trovano biologici anche nei supermercati, oppure si può andare in qualsiasi vivaio, cercando di prendere sempre sementi biologiche in quanto si è così sicuri che i semi non siano stati trattati per aumentarne la conservazione (in alcuni casi si riconoscono dal colore del trattamento: fagioli, fagiolini e zucchine sono spesso trattati). In caso non si trovino sementi biologiche si possono seminare sementi classiche e riprodurre successivamente i semi per conto proprio in modo di non doverne più acquistare.

Per alcune varietà, come pomodori e leguminose, è molto semplice. Per i primi, basta far maturare bene un pomodoro, raccogliere i semi in un contenitore di plastica o vetro fino alla comparsa di una leggera muffa bianca. Sciacquarli, metterli ad asciugare, possibilmente non direttamente al sole e far asciugare per una decina di giorni su un piatto, lontano da correnti d’aria per evitare che possano volare via. Per le leguminose, far semplicemente seccare sulla pianta qualche baccello di fagiolo/fagiolino, dopodiché sbucciarli e prelevare i semi ben secchi. Riporre i semi, così prodotti, in un barattolo al buio in uno scaffale del balcone (in modo che subiscano l’influenza delle naturali temperature stagionali). È importante quando si acquistano semi controllare che non siano sementi Ogm o registrate (in caso c’è scritto sulle etichette), in modo da non alimentare quelle multinazionali che vorrebbero brevetti sui semi. Un’ultima doverosa precisazione riguarda gli ibridi, che sono piante altamente selezionate dall’uomo per avere prodotti di una certa qualità e precise carateristiche. Non sono dannosi alla salute e si riconoscono (quando si acquistano le piantine) per la dicitura F1, bisogna sapere che i semi eventualmente riprodotti a partire da ibridi F1 non avranno quasi certamente le caratteristiche della pianta madre e potrebbero non crescere e fruttificare in modo corretto. Moltissime delle verdure che mangiamo ogni giorno sono ibridi.

3. Piante da orto e loro esigenze

In questa sezione parleremo delle piante da orto suddividendole in famiglie, esaminandone caratteristiche e necessità comuni. Nella prossima sezione invece esamineremo le specie più importanti dal punto di vista stagionale, suddividendole quindi tra piante estive e piante invernali. Parliamo quindi, tranne dove specificato, di piante annuali, ovvero che richiedono ogni anno di essere ripiantate.

Leguminose

Sono tra le ortive più importanti in assoluto, in quanto non hanno particolari esigenze nutritive e di quantità di terra. Svolgono una funzione importantissima: tramite dei batteri che vivono sulle loro radici apportano azoto al terreno, elemento indispensabile alla crescita di qualsiasi pianta (in gergo si dice che le leguminose sono azoto-fissatrici), inoltre sono onnipresenti tutto l’anno e forniscono alimenti molto nutrienti, che in una sana alimentazione dovrebbero sostituirsi il più possibile a carne e derivati animali. In qualsiasi orto è utilissimo consociare una leguminosa in modo da apportare azoto che verrà utilizzato dalle altre piante in vaso. Molte leguminose sono rampicanti e richiedono sostegni, possiamo farli arrampicare anche direttamente su altre piante, ad esempio pomodori.

In questa famiglia rientrano: fagioli, fagiolini, ceci, fave, piselli, cicerchie, lupini, soia e lenticchie.

Solanacee

Sono per lo più piante estive e ricoprono grande importanza nell’alimentazione umana. Richiedono un terriccio nutriente, ben azotato (stallatico) e ricco di potassio (cenere). Sviluppano un apparato radicale profondo e ampio, per cui, tranne le varietà più piccole, richiedono vasi grandi e sostegni, in quanto crescono molto.

In questa famiglia rientrano: patate, pomodori, melanzane, peperoni e peperoncini.

Cucurbitacee

Anche in questa famiglia troviamo ortaggi di notevole rilevanza. Richiedono terricci molto ricchi di azoto (stallatico), molta acqua e vasi grandi, crescono solo d’estate e temono le basse temperature, si consociano molto bene alle leguminose. Le piante di questa famiglia tendono a crescere molto velocemente e subito dopo essere entrate in produzione hanno un picco molto alto per poi diminuire molto velocemente nel giro di poche settimane, per questo, se si ha spazio, è utile seminarle in modo scalare in modo da avere una migliore distribuzione della produzione. Di queste piante sono commestibili anche le foglie (cotte) ed i fiori (anche crudi). Alcune specie sono striscianti o rampicanti. I fiori femmina richiedono di essere impollinati con i fiori maschi quando si aprono, solo così il frutto potrà continuare a crescere, altrimenti appassirà. In genere ci pensano gli insetti, ma a volte può essere utile farlo manualmente per esserne sicuri. E’ sufficiente prendere un po’ di polline del maschio con un pennellino e spargerlo sul pistillo del fiore femmina.

In questa famiglia rientrano: zucchine, zucche, cetrioli, angurie, meloni, caroselli, luffa.

Liliacee

Anche questa famiglia contiene specie molto utili, si tratta per lo più di specie a bulbo, molte delle quali sono bellissime specie ornamentali. Il bulbo si sviluppa sotto terra, per cui è necessaria terra sufficiente al loro sviluppo. Sono molto utili in consociazione con altre piante per allontanare eventuali parassiti che non ne gradiscono l’odore.

In questa famiglia rientrano: aglio, cipolla, porro, scalogno, erba cipollina, asparago.

Composite

In questa famiglia rientrano specie di largo consumo, alcune molto facili da coltivare e facilmente consociabili.

In questa famiglia rientrano: lattughe, cicoria, girasoli, cardi, carciofi, tarassaco.

Crocifere

Si tratta per lo più di specie invernali, è una famiglia molto numerosa e presente nella dieta mediterranea. Richiedono un terreno azotato (stallatico) e nell’orto danno grandi soddisfazioni.

In questa famiglia rientrano: broccoli, cavoli, rape, ravanelli.

Labiate

Un vero tesoro della macchia mediterranea, facilmente coltivabili e resistenti ai climi più diversi. Non hanno grandi esigenze nutritive, amano il sole e non necessitano di tanta acqua. È una famiglia che contiene praticamente tutte le piante aromatiche che siamo abituati ad utilizzare, molte delle quali sono perenni.

In questa famiglia rientrano: basilico, rosmarino, timo, salvia, origano, maggiorana, menta, mentuccia, santoreggia, lavanda.

Ombrellifere

Queste piante possono essere sia perenni che biennali o annuali, dipende dalla varietà coltivata. La loro caratteristica è l’infiorescenza che assomiglia a quella degli ombrelli, da qui il nome. Sono facili da coltivare non hanno grandi necessità di apporti nutritivi e di acqua, basta preparare un terreno non troppo concimato, ben drenato e otterrete un buon raccolto.

In questa famiglia rientrano: carota, pastinaca, aneto, sedano, prezzemolo, cerfoglio, finocchio e cumino.

4. Realizziamo il nostro orto!

In questa sezione vedremo come realizzare il nostro primo orto sul balcone, usando le specie più importanti, ed esaminando le possibili consociazioni utili all’orto e che consentono di massimizzare la produzione a parità di spazio. Questo è un punto cruciale, in quanto visto il poco spazio, dobbiamo cercare di sfruttare al meglio vasi e terriccio a disposizione, nonché la parte aerea. Iniziamo con l’orto estivo e successivamente quello invernale. È bene sempre ragionare sulle linee guida sotto riportate prima di progettare il nostro orto, esse provengono in parte dai principi dell’agricoltura sinergica:

Considerare sempre quanto saranno grandi le vostre piante una volta cresciute. Bisogna evitare che queste si sottraggano a vicenda spazio vitale, sia aereo (luce) che radicale (vaso).

Consociare il più possibile piante provenienti da famiglie diverse. Questo crea sinergia e scambio di nutrienti, ma soprattutto permette di contenere eventuali infestazioni di parassiti.

Consociare specie che sfruttano livelli radicali diversi. In rete esiste molto materiale a riguardo ma in realtà, per capire che tipo di apparato radicale ha una specie, è sufficiente osservare la forma che avrà la pianta da adulta. Piante alte come pomodori e melanzane andranno molto in profondità, mentre lattughe ed insalate molto meno.

Se si vuole inserire nello stesso vaso due o più piante uguali o che sfruttano lo stesso apparato radicale, distanziarle in modo che quando saranno grandi si tocchino appena.

Sfruttare l’ombra delle piante più grandi per proteggere le specie più delicate, che non richiedono forte esposizione al sole. Per fare questo è importante osservare come “gira” il sole rispetto al balcone.

Se possibile, inserire sempre una o più leguminose, in modo da apportare azoto alle altre piante.

Non eccedere con le annaffiature, e gettare nei vasi eventuali scarti organici delle piante, nonché le stesse piante quando saranno secche. Il materiale organico prodotto è un tesoro in grado di nutrire le successive piantagioni.

Non estirpare eventuali “erbacce”. Sono utilissime a mantenere l’umidità della terra grazie appunto ad una copertura viva. Inoltre molte piante spontanee sono commestibili oltre che molto nutrienti, cosa che certamente darà grossi spunti di riflessione su una sana alimentazione a chi nel tempo vorrà approfondire questo aspetto. L’unica erba che dovrete necessariamente togliere (appena la individuate) è la gramigna, ovvero “l’erba a filo”, è un’infestante davvero tenace e soffoca le altre piante. Se la individuate, estirpatela, pulite bene le radici con le dita in modo da non gettare via anche prezioso terriccio prima di gettarla.

Pensare alle consociazioni come a dei suggerimenti e non come dogmi da seguire, per cui sperimentate tranquillamente consociazioni diverse da quelle di seguito specificate per ogni specie.

Condividete ciò che fate (ad esempio in rete con delle foto): consigli di ortolani più esperti vi saranno molto utili, così come saranno utili i vostri quando sarete diventati esperti anche voi.

NOTA: con vasi di profondità 25 cm si possono coltivare con successo quasi tutti gli ortaggi, per cui dove non specificato si intende questa dimensione minima.

Orto estivo

Tutte queste specie si seminano a fine inverno/inizio primavera, o a febbraio se in semenzaio coperto.

Pomodori

Ne esistono centinaia di varietà, di taglia grande, media e piccola. Quelli di taglia media (ad esempio il San Marzano) e grande (ad es. Cuore di Bue, Sorrento) necessitano di vasi molto grandi, almeno 35-40 cm di profondità e 30 cm di larghezza. Le varietà più piccole (ad es. Datterini, Ciliegini, Pachino, Principe Borghese) possono stare anche in vasi più piccoli, profondi comunque non meno di 30 cm. Il terriccio deve essere ben azotato (stallatico). La pianta di pomodoro può raggiungere altezze notevoli, per cui va considerata come pianta principale del vaso. I semi sono molto facili da far germogliare, ma all’inizio è consigliabile partire da piantine del vivaio, scegliendo la qualità che più piace.

Ogni varietà di pomodoro rientra comunque in una delle due grandi tipologie di piante: quelle a crescita determinata e quelle a crescita indeterminata. Le prime sono piante che non crescono oltre una certa altezza, ad un certo punto si arrestano e fruttificano. Le seconde continuano a crescere finché trovano nutrimento per farlo, da ogni nodo si svilupperà un cacchio che darà vita ad una nuova pianta, che a sua volta farà lo stesso una volta cresciuta. In pratica è come avere una sorta di pianta nella pianta. Questi cacchi (chiamati anche femminelle) vanno tagliati per non togliere nutrimento alla pianta principale. Se li si fa crescere fino a 15-20 cm è possibile ottenerne delle nuove piante mettendo il gambo in acqua per 3-4 giorni in posto luminoso ma non soleggiato, non appena uscite le radici li possiamo interrare con delicatezza in un nuovo vaso.

Consociazioni favorevoli: ravanelli, lattuga, cicoria, cipolle, prezzemolo, sedano, asparagi, carote, menta, calendula, basilico, nasturzio, mais.

Insalatona variopinta con fiori di calendula e borraggine (foro di Daniela Di Bartolo)
Zucchine

Sicuramente ha un numero di varietà inferiore al pomodoro, ma se ne possono trovare di diversi tipi, tutte con le stesse esigenze: terriccio ben azotato (con stallatico), vaso profondo almeno 30 cm e sufficientemente largo, esposizione ben soleggiata. La pianta di zucchina cresce molto in larghezza e può arrivare a coprire anche un metro quadrato di spazio, per questo non va consociata con piante basse o che coprono la luce. I famosi fiori (maschi) si possono mangiare sia crudi che cotti, ma è bene tenere a mente che essi servono ad impollinare i fiori femminili presenti sulle piccole zucchine, altrimenti queste appassiranno. Quindi può rendersi necessario (soprattutto se non ci sono molti insetti impollinatori in giro) prendere con un pennello un po’ di polline dal fiore maschio appena
aperto e spalmarlo delicatamente all’interno del fiore femmina. Nei vivai si trovano facilmente le sementi, che sono molto facili da far germinare, in genere se il clima è caldo bastano 5-6 giorni per vederle spuntare.

Consociazioni favorevoli: cipolle, nasturzio, fagioli e fagiolini rampicanti piantati tutti intorno.

Melanzane, peperoni

Si consiglia di acquistare piantine al vivaio in quanto produrle da seme non è molto facile. Le due specie hanno caratteristiche ed esigenze molto simili al pomodoro, per cui è necessario un terriccio ben azotato. Crescono in altezza ma mediamente meno rispetto ai pomodori, comunque vanno considerate come piante centrali, se si usa un vaso abbastanza largo si possono inserire anche 2-3 piante. Anche per melanzane e peperoni è necessario un vaso di almeno 30 cm di profondità per avere buoni risultati.

Consociazioni favorevoli: fagioli

Insalate, cicorie, ravanelli, bieta

Tutte queste specie non sono particolarmente esigenti e ne esistono tantissime varietà.

Sicuramente sono specie orticole che danno molta soddisfazione. Non richiedono vasi molto profondi: 20-25 cm sono più che sufficienti per insalate e cicorie; per misticanza e ravanelli sono sufficienti 10 cm di terriccio e crescono molto rapidamente. Per aumentare la produzione di insalate e cicorie conviene non tagliare completamente alla base ma staccare sempre le foglie più esterne in modo che ci sia sempre una parte verde in grado di far ricrescere velocemente le foglie. Anche con le cicorie “puntarelle” questa tecnica è davvero fruttuosa e poche piante permettono di avere fresche insalate più volte alla settimana. Queste specie comprendono varietà sia estive che invernali, per cui si possono
seminare a fine inverno oppure a fine estate.

Consociazioni favorevoli: cavoli, barbabietole, fagioli rampicanti, fagiolini nani, fragole, lattuga, piselli, pomodori, spinaci, prezzemolo, cetrioli.

Aglio, cipolle

Anche se si raccolgono a giugno luglio (quando la parte aerea diventa secca), queste specie si seminano a novembre, ma è possibile trapiantare a gennaio/febbraio piantine da vivaio. Non hanno particolari esigenze e si consiglia di piantarne una o più cassette intere. Le cipolle diventano più grandi e vanno distanziate 15 cm l’una dall’altra, l’aglio si può distanziare anche solo 10 cm. I bulbi crescono sotto terra, per cui almeno 20 cm di profondità sono necessari.ù

Consociazioni favorevoli: carote, cetrioli, zucchine, pomodori, lattuga, sedano.

Carote

Non richiedono particolari esigenze, se non la profondità del vaso che deve essere di 25 cm.

Si possono seminare tra gennaio e ottobre. La densità di carote nel vaso può anche essere molto alta (distanza minima 6-7 cm tra ogni pianta della stessa fila e 15 cm tra file diverse) in quanto la pianta rimane molto compatta e la carota si sviluppa in lunghezza sotto terra.

Consociazioni favorevoli: cipolle, ravanelli, piselli, lattuga, cicoria, porri, rosmarino, salvia, pomodori.

Fagioli, fagiolini, ceci

Come già detto, non hanno esigenze particolari e sono consociabili praticamente con tutto. Alcune varietà sono rampicanti, per cui richiedono un sostegno, altre sono varietà nane e quindi si deve far attenzione a non consociarle con piante basse che richiedono molta luce come zucche o zucchine. Per avere una buona produzione di fagioli occorrono molte piante, per questo si consiglia di coltivare fagiolini da mangiare freschi appena raccolti, che certamente rendono di più rispetto ad esempio a fagioli da far seccare. La pianta di ceci invece è molto bella e non supera i 30 cm, resiste molto bene a caldo e siccità, ma purtroppo ha rese molto basse, di conseguenza è impossibile avere una produzione utile in balcone.

Consociazioni favorevoli: Zucchine, ravanelli, cicoria, cavoli, cetrioli, sedano, granturco, santoreggia.

Basilico, prezzemolo, sedano

Si semina a fine inverno ma la germinazione è molto lenta, per questo all’inizio è preferibile comprare delle piantine in vivaio. Non hanno esigenze particolari e non amano troppa luce solare diretta. Prezzemolo e sedano sono piante biennale, per cui il secondo anno faranno fiori e semi e poi seccheranno. Per mantenere il basilico sempre verde e tenero è importante cimarlo non appena cominciano a spuntare le infiorescenze, le quali sono comunque commestibili al pari delle foglie. In questo modo un paio di piante sono più che sufficienti per tutta l’estate. Se si ha una sovrapproduzione, si possono congelare freschi per fare scorta invernale, mentre perdono l’aroma se fatti seccare.

Consociazioni favorevoli: ravanelli, pomodori.

Erbe Officinali (rosmarino, salvia, timo, origano, maggiorana, menta, mentuccia, santoreggia, lavanda, melissa)

Erbe aromatiche per eccellenza, producono pregiati oli essenziali e si mantengono molto bene se fatte seccare. Essendo piante perenni conviene acquistare direttamente le piantine. Si consociano molto bene tra loro (tranne rosmarino e salvia da non mettere mai nello stesso vaso) e con tutte le altre piante. Il rosmarino può diventare molto grande e necessita di un vaso adeguato man mano che la pianta cresce. Lo si può mettere direttamente in un vaso molto grande e profondo ed usare il restante spazio per consociare altre piante. Attenzione a menta, mentuccia e melissa che diventano infestanti!

Orto invernale

Cavoli, cavolfiori, broccoli, broccoletti, cime di rapa

Sono le tipiche verdure invernali, molto nutrienti e facili da coltivare. Si seminano a partire da fine agosto fino ad ottobre/novembre ed esistono varietà precoci e tardive. Alcune varietà di broccoli e cavoli diventano molto grandi, per cui necessitano di molto spazio. Pochi sanno che anche le foglie sono commestibili e (specialmente quelle più tenere) si possono usare per preparare gustose zuppe con pane secco ed olio d’oliva, dopo aver raccolto il “frutto” principale, cosa non da poco per una sola pianta! Broccoletti e cime di rapa sono piante un po’ meno ingombranti ed hanno il vantaggio di emettere continuamente nuovi getti, a patto che vengano sempre tagliati, altrimenti la pianta andrà in fiore e infine a seme smettendo di produrre. Tre o quattro piante ben curate permettono
di soddisfare tranquillamente le necessità di una famiglia.

Consociazioni favorevoli: piselli, fave, sedano, spinaci, fragole, lattuga, porro.

Fave appena raccolte (foto di Daniela Di Bartolo)
Piselli, fave

Sono le leguminose invernali per eccellenza. Entrambe si seminano direttamente in terra da fine agosto a dicembre, ma preferibilmente in ottobre/novembre. Non hanno grandi richieste ed è bene consociarle con altre piante in quanto sono ottime azoto-fissatrici, in particolare le fave, usate da sempre come fertilizzanti naturali con la tecnica del sovescio.

I frutti si raccolgono a primavera, lo sviluppo è inizialmente molto lento ed aumenta moltissimo con l’innalzamento delle temperature. I piselli sono rampicanti, per cui necessitano di sostegni a rete, mentre le fave non richiedono sostegni anche se la pianta arriva tranquillamente al metro di altezza. Quando arriva il caldo primaverile è bene tenere sempre umido il terriccio.

Consociazioni favorevoli: finocchi, carote, rape, ravanelli, cavoli, broccoli, broccoletti.

Finocchi

Anche i finocchi si seminano a fine agosto e vogliono un terreno abbastanza ricco di sostanza organica. Oltre al grumolo alla base, sono commestibili anche gambi e foglie, le quali hanno un aroma caratteristico usato generalmente per insaporire pietanze a base di legumi. Per far rimanere il grumolo bianco e tenero si usa coprirlo con terra man mano che questo si sviluppa.

Consociazioni favorevoli: cicoria, lattuga, piselli, salvia.

Finocchi e scarola (ma anche aceto di mela e marmellate). Foto di Daniela Di Bartolo
Cardo

È una pianta poco utilizzata, seppur molto diffusa. Praticamente identica al carciofo (sono parenti stretti), sia nelle foglie che nella grandezza, che nelle poche esigenze richieste in termini di terreno ed acqua, si mangiano i gambi teneri delle foglie, puliti, tagliati a pezzetti e lessati. Ha notevoli proprietà nutritive e depurative. Se si tagliano le foglie esterne invece che tutta la pianta, si riesce ad avere una produzione continuativa molto abbondante. Due piante ben tenute sono in grado di soddisfare tranquillamente il bisogno di una famiglia. Il cardo, al pari del carciofo, produce un rizoma sotto terra molto profondo, per cui è bene usare vasi di almeno 40-50 cm di profondità (se possibile con terra di campagna) e consociarlo con piante di piccola taglia. Le abbondanti foglie, se fatte a pezzetti, sono ottime per pacciamare altri vasi. Con pacciamatura s’intende il coprire la terra nuda di un vaso con paglia o altri scarti organici, in modo che l’umidità sia trattenuta meglio dal terriccio.

5. Rinnovo del terriccio, concimazione e trattamenti

Cosa fare quando una pianta ha smesso di produrre? O per aumentare la crescita e la produzione? Qui si aprono diversi approcci provenienti da diversi tipi di agricoltura. L’agricoltura industriale vede la terra come un contenitore di nutrienti necessari a massimizzare la produzione, appena terminata una coltura, la terra viene arata a fondo, concimata nuovamente e si riparte da capo. È chiaro che questo sistema sarà possibile solo finché ci sarà energia (ovvero petrolio) per far funzionare le macchine agricole, per sintetizzare e trasportare concimi e pesticidi chimici, energia per erogare i trattamenti.

L’agricoltura industriale distrugge il suolo e tutta la vita che c’è in esso, ogni volta che inizia una nuova coltura. Un sistema un po’ migliore è quello dell’agricoltura biologica, dove l’approccio è lo stesso ma quantomeno si cerca di non usare sostanze troppo dannose. Mentre un approccio totalmente inverso è quello dell’agricoltura naturale, in occidente chiamata sinergica, formalizzata dall’agronoma spagnola Emilia Hazelip negli anni ’70.

L’idea di partenza è che la Natura non ha bisogno dell’intervento dell’uomo per produrre frutti e prosperare, e questo lo si può vedere ad esempio in boschi e foreste, sempre rigogliose senza alcun intervento, concimazione, trattamento o aratura che sia. La parte organica delle piante morte fornisce nutrimento a quelle successive, così come sono le stesse radici ad “arare” il terreno ed a riportare in circolo i nutrienti. E quando le radici delle piante morte marciscono rendono il terreno ancora più fertile e morbido. Riprodurre questo ciclo naturale in vaso non è facile, per questo in questa guida ci si è volutamente orientati ad un approccio classico, ma comunque il più possibile naturale (ad esempio l’uso di stallatico, humus, compost o fondi di caffè come concime, al posto di concimi chimici), e questo sarà ben evidente quando sentirete il sapore dei vostri frutti. Altre tecniche invece derivano dall’agricoltura sinergica, come ad esempio le consociazioni tra piante, o l’uso di materiale organico di scarto come pacciamatura. Certamente l’obiettivo è anche quello di stimolare approfondimenti e sperimentare sistemi il più naturali possibili.

Il consiglio, quando un vaso non è più produttivo è quello di tagliare tutte le parti aeree delle piante e farle seccare, rimescolare poi il terriccio del vaso tagliando eventualmente a piccoli pezzi con le forbici le radici grandi e piccole presenti e aggiungendo rami e rametti delle piante precedentemente seccate, mentre le foglie si potranno usare come pacciamatura. In questo modo si restituiscono i sali minerali alla terra e si apporta nuova sostanza organica che consentirà non solo di riusare sempre lo stesso terriccio arricchendolo ogni volta, ma anche di avere un terriccio sempre più vivo e ricco di biodiversità, dai microorganismi ad eventuali ospiti ben graditi come i lombrichi (rendono la terra morbida e creano humus). Per questo è bene evitare inutili sterilizzazioni dei contenitori con prodotti nocivi come purtroppo spesso viene fatto, o di gettare il terreno e ricomprarlo ogni anno come molti purtroppo suggeriscono. Riguardo le concimazioni invece può essere molto utile, oltre allo stallatico e fondi di caffè, aggiungere un po’ di cenere al terriccio (1-2 pugni per ogni cassetta), la quale è ricca di potassio ed altri sali minerali (ma non di azoto). La cenere la si può aggiungere anche dopo l’inizio dell’orto, nel momento della fioritura e della fruttificazione delle nostre piante, spargendola direttamente sulla terra (particolarmente gradita a pomodori, melanzane e peperoni).

Cosa accade se le nostre piante vengono attaccate da parassiti e malattie? Questo è un argomento davvero molto complesso ed esistono rimedi naturali più o meno efficaci che però devono essere necessariamente esaminati di caso in caso (macerato di aglio, o di ortica, birra contro lumache e limacce…), un po’ come l’andare dal medico. Il primo suggerimento è quello di osservare ogni giorno la presenza di eventuali parassiti (in particolare gli afidi sono un terribile nemico) e non appena riconosciuti toglierli a mano in modo che l’infestazione venga fermata sul nascere e senza usare nulla. È bene comunque, riconoscere sempre prima l’eventuale insetto presente per capire se si tratta di un “amico” o di un “nemico” dell’orto (questa concezione è prettamente umana e non propria della Natura), e cercare sempre cure naturali, o a limite biologiche, informandosi il più possibile in rete (ormai in internet prosperano blog e gruppi sul tema) o con guide specializzate.

La raccomandazione importante è comunque quella di non andare nel panico appena vediamo qualche animaletto o insetto su piante e terra, innanzitutto perché è buon segno (significa che stiamo facendo un lavoro abbastanza naturale), secondo poi perché la Natura è questa, non esistono piante senza animali e viceversa, l’interconnessione è più vasta di quanto possiamo immaginare! Bisogna, come detto sopra, solo capire se si tratta di insetti potenzialmente dannosi per le piante e trovare rimedi il più naturali possibili. Si raccomanda di coltivare contemporaneamente anche piante da fiore, così da attirare insetti utili come le api e le farfalle per aiutare l’impollinazione delle nostre piante, o graditi ospiti come le coccinelle, formidabili guardie in grado di combattere molti insetti potenzialmente dannosi. Attenzione invece se vedete formiche sulle piante, in quanto è possibile che stiano creando un allevamento di acari. Le formiche si cibano delle loro secrezioni, usare rimedi per allontanarle in modo naturale.

Un ultima accortezza prima di cominciare questa nuova esperienza è quella di ricordarsi sempre di sciacquare in acqua e bicarbonato le verdure prima di mangiarle, in quanto con l’aria di città potrebbero depositarsi polveri di smog sulle superfici.

Buon Orto!

Erbe aromatiche essiccate e marmellate (foto di Daniela Di Bartolo)
Ringraziamenti

Un sincero ringraziamento a Roberta Rossini e Alessandra Pioltelli per la celere e precisa revisione di questa guida, nonché ad Ivana Tozzi che ha gentilmente concesso la foto di copertina. Spero che questo lavoro possa essere utile a tutte quelle persone che hanno deciso (consapevolmente o meno) di riavvicinarsi alla Natura, che ci lega tutti in un delicato e ineffabile equilibrio, al quale più ci avviciniamo, più recuperiamo la serenità e la felicità con cui nasciamo su questa Terra…

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Fotovoltaico, per alimentare l’Europa è sufficiente usare lo 0,6% del suo territorio

Secondo uno studio del Cnr una superficie inferiore allo 0.6% del territorio europeo sarebbe sufficiente per garantire con i pannelli fotovoltaici la copertura completa del fabbisogno elettrico dell’Unione Europea.
Il fotovoltaico gioca un ruolo importante all’interno della rivoluzione energetica mondiale. Ma a che punto siamo in termini di capacità produttiva, ritorno economico, affidabilità delle tecnologie e struttura dell’industria? E quali le conseguenze, sopratutto da un punto di vista di consumo di suol di una diffusione capillare degli impianti solari? E, infine, quali gli ostacoli ancora da superare?
Cerca di dare delle risposte a queste domande uno studio condotto dai ricercatori dell’Istituto di biometeorologia (Ibimet-Cnr) e dell’Istituto per lo studio dei materiali nanostrutturati (Ismn-Cnr) del Consiglio nazionale delle ricerche, pubblicato da Energy Science & Engineering con il titolo “The Great Solar Boom: A Global Perspective into the Far Reaching Impact of an Unexpected Energy Revolution” (IN ALLEGATO).

Per coprire il fabbisogno elettrico europeo basta un consumo di suolo dello 0,6%
La capacità fotovoltaica installata globalmente vale 200 GigaWatt, pari al fabbisogno annuo dell’Italia e al 10% della potenza globale. Il fotovoltaico conviene perché, a seconda dei materiali utilizzati- spiega Francesco Meneguzzo dell’Ibimet-Cnr di Firenze – restituisce da 10 a 50 volte l’energia impiegata nella sua costruzione. Mentre le diffuse perplessità rispetto all’occupazione di territorio paiono superate dalla valutazione che una superficie inferiore allo 0.6% del territorio europeo sarebbe sufficiente per garantire con i pannelli fotovoltaici la copertura completa del fabbisogno elettrico dell’Unione Europea”.

Prezzi in forte calo
I vantaggi e i costi della tecnologia, evidenzia lo studio, sono chiari: l’elettricità fotovoltaica è venduta a prezzi inferiori a quella da fonti convenzionali, anche senza incentivazioni e non soltanto nei Paesi più soleggiati, ma persino in Francia che è il Paese con la maggiore penetrazione del nucleare a livello globale. La disponibilità crescente di elettricità ottenuta dalla luce solare durante le ore di punta ha fatto crollare il prezzo del kWh nei Paesi più solarizzati come Germania (dai 51 Euro/MWh del 2006 a 33 Euro/MWh del 2014) e Italia (dai 75 euro/MWh del 2006 ai 52 Euro/MWh del 2014), in cui la componente dovuta alla generazione fotovoltaica ha pesato molto più della crisi della domanda.

Ed è stata l’Italia, attraverso l’impianto installato nel 1984 nell’isola di Vulcano- sostiene Mario Pagliaro dell’Ismn-Cnr di Palermo- a mostrare al mondo come la tecnologia fotovoltaica per generazione elettrica fosse affidabile e robusta, con un modesto 6% di perdita di produzione registrato in oltre 30 anni di funzionamento.

L’ultima frontiera è quella dell’accumulo
L’ultima barriera per la sostituzione dei combustibili fossili tanto nel riscaldamento degli edifici, con le pompe di calore, quanto nel trasporto pubblico e privato delle persone attraverso tram, treni ed auto elettriche- concludono Pagliaro e Meneguzzo- è quella dell’accumulo necessario a rendere disponibile l’elettricità solare in inverno e durante la notte, in via di superamento grazie alle evoluzioni rapidissime della tecnologia e dell’industria delle batterie e delle celle a idrogeno che, in quanto a capacità e costi, ricalcano le orme dei recenti sviluppi della tecnologia e dell’industria fotovoltaica.

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The_great_solar_boom




Concorso “Rigenerare Corviale”: comunicazione ai soggetti che intendono partecipare

In merito al Concorso Internazionale “Rigenerare Corviale”, la nostra associazione avendo avuto diverse richieste di inserire alcuni membri di CorvialeDomani nelle figure professionali previste dal bando, ha deciso di declinare tutte le proposte pervenute onde evitare di trovarsi in una situazione imbarazzante in caso di eventuale assegnazione al gruppo o allo studio professionale che aveva tra i suoi membri la presenza di un nostro rappresentante.
Fa presente inoltre di essere disponibile a fornire tutte le informazioni possibili in merito al progetto su cui stiamo lavorando da anni e a concordare eventuali richieste di incontri da parte dei soggetti interessati.




Due rapper sul set: Fedez e J-Ax attori per Alemà al Serpentone di Corviale

Hip hop e una generazione «orfana» che sta «in mezzo alle cose come un errore», incorniciati in una Roma «che certo non è da cartolina»: sono gli ingredienti di «Zeta», il terzo film di Cosimo Alemà, che include la partecipazione di rapper di spicco tra i quali Fedez e J-Ax.
Nella pellicola «si parla di rap, la musica delle nuove generazioni, qualcosa di cui mi occupo da tantissimo tempo», dice Alemà in una pausa delle riprese sul set.
«Insieme ai produttori ci interrogavamo su come coniugare questo lavoro ventennale nella musica con il cinema», spiega il 45enne romano, mentre il suo aiuto regista, Marcello Calvesi (che ha collaborato con Claudio Caligari in «Non essere cattivo») mette a punto gli ultimi dettagli della scena.
Zeta «racconta il tentativo di un ragazzo molto giovane di sfondare nel mondo del rap venendo da una metropoli molto difficile che è Roma, anche se nel film non viene mai citata, e certo non è una Roma da cartolina».
Si gira al Serpentone di Corviale, il ‘manifesto’ dell’architettura Anni ’70 trasformatosi in una mini-città ghetto. Il Serpentone, «questo famoso blocco di cemento lungo un chilometro rappresenta ancora oggi a Roma ma forse anche in Italia un esempio unico, che rende l’idea che vogliamo raccontare nel film: un quartiere che nasce in mezzo alla campagna e inghiotte un pò tutto, compresi i protagonisti», dice il regista, che sottolinea il legame affettivo con Corviale, «andavo a scuola qui vicino». È una sorta di ‘richiamo della foresta’: la scuola è il Liceo Marcello Malpighi, lo stesso frequentato da Paola Cortellesi, che in «Scusate se esisto» di Riccardo Milani ha impersonato Guendalina Salimei, l’architetto che vinse il bando per la riqualificazione del «quarto piano» del Serpentone.
Ma non c’è solo Corviale: l’altra parte del film è ambientato a Tor Bella Monaca, «una vera e propria città completamente isolata dal resto».
«Zeta» non è una commedia, avverte il regista, ma i protagonisti Diego Germini (in arte Izi), Irene Vetere, Salvatore Esposito (il Genny Savastano in «Gomorra – la serie») e Jacopo Olmo Antinori («Io e Te» di Bernardo Bertolucci e «I Nostri Ragazzi» di Ivano De Matteo) incontreranno i loro ‘beniamini’, J-Ax, Fedez, Salmo, Baby K, Briga, Clementino, Ensi, Lowlow, Noyz Narcos, Rancore, Shade, Tormento oltre al famoso breaker Lilou del Red Bull BC One All Star Team.
I loro fan li potranno vedere alle prese «con un progetto cinematografico e non sempre, solo, con la musica e i video musicali», conclude Alemà.

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Corviale e il nuovo modello di città

Nell’articolo “che cosa significa nuovo modello di sviluppo e di citta” di Romainpiazza si prefigura un nuovo modello di città già intravisto nei vari forum di Corviale. Questo modello sarà al centro del forum di Corviale del 2015 perchè non solo è il futuro dietro l’angolo, ma è il modello che – nella generale diminuzione della centralità dei lavori tradizionali – riuscirà a creare nuove possibilità occupazionali.
Corviale è lo scenario ideale per sperimentare queste possibilità sia per la sua concentrazione quantitativa (circa 6.000 abitanti in uno stesso edificio, il tetto piano più grande del mondo, la centralizzazione amministrativa, la necessità di diminuire i metriquadri di appartamenti ormai sovradimensionati rispetto agli attuali nuclei familiari…), che per la propensione alla partecipazione collettiva dell’intero quadrante, che per – last but not least – il lavoro progettuale fatto in questi anni.

Che cosa significa nuovo modello di sviluppo e di città

Forse l’articolo di Francesco Grillo ci aiuta a capire che significa in pratica questo cambio di paradigma.
Come cambia la nostra vita, la nostra città, la nostra mobilità, il nostro lavoro?
Proviamo ad immaginare una città – come già stanno cominciando a ragionare a Berlino e Londra – senza auto, con le strade libere dalle auto in sosta, con i negozi ormai chiusi (dai centri commerciali) e non sostituiti dagli ormai inutili garage.
Proviamo ad immaginare una vita in cui non bisogna pendolare tra il luogo dell’abitare e quello del lavoro (telelavoro e decrescita lavorativa da robotizzazione del lavoro).
Aggiungiamoci che saranno necessari sempre meno metri quadri abitativi per case che non avranno più bisogno degli spazi per libri, cd musicali, dvd, diapositive, foto, impianti hifi, diaproiettori…
Una città così come sarà?
Sarà scritta, invece che intorno alla cinquecento, intorno allo smartphone e alle app che ci permettono di trovare la bici, lo scooter, il bus, il taxi, l’auto elettrica, la baby sitter, la spesa, il ristorante che ci serve just in time quando e solo quando ci serve risparmiando un mare di euro, bolli, assicurazioni, multe, revisioni, passaggi di proprietà, tagliandi, garage, lavaggi…?
Non è che ho disegnato uno scenario di sharing city? e quindi reso anche quest’oggetto misterioso un po’ meno criptico?

Dal fallimento tedesco la possibilità di rinnovare

Fu Adolf Hitler in persona che ordinò nel 19937 all’ingegnere Ferdinand Porsche di progettare un’automobile in grado di ripetere ciò che era riuscito a Henry Ford negli Stati Uniti qualche decennio prima: motorizzare il popolo tedesco e, quindi, portarlo nella modernità. La Guerra arrivò troppo presto persino per le previsioni del Fuhrer e, tuttavia, quella fabbrica nata a Wolfsburgper produrre l’“automobile del popolo” è diventata nei decenni successivi talmente grande che la sola necessità – improvvisa – di dover contemplare la possibilità di una sua bancarotta, sta mettendo in ginocchio – dal punto di vista politico, ancor più che economico – la Germania.
Ciò può, paradossalmente, trasformare un problema che preoccupa i vertici della Banca d’Italia per le sue conseguenze sulla sostenibilità di una ripresa economica ancora non consolidata, in un’opportunità per l’Italia di costruire nuovi, più avanzati rapporti di forza. Per riuscirvi è, però, indispensabile – proprio a partire dall’automobile – essere capaci di elaborare una strategia che non sia un gioco a somma zero tra interessi nazionali di breve periodo, ma un progetto su come si riporta l’Europa ad avere il primato dell’innovazione proprio nei settori nei quali ha la leadership mondiale. La posta in gioco è uscire – ricominciando a ragionare di ingegneri e città, persone concrete e talenti – dalla logica dell’astratta guerra di posizione tra economisti che fanno da custodi dell’austerità ed altri votati ad essere paladini della crescita.
In effetti, la batosta che ha fatto sparire in meno di dieci giorni un terzo del valore della più grande industria automobilistica del mondo, ha il potenziale di dover obbligare ad un ripensamento della propria politica industriale e del proprio ruolo nel mondo, il Paese che – per dieci anni – ha conteso alla Cina il primato del più elevato surplus commerciale, mentre il resto d’Europa languiva.
Non solo perché – come ricorda questa settimana l’Economist – in Germania un posto di lavoro su sette è legato alla produzione di automobili; o perché sulle spalle larghe delle automobili tedesche poggiava buona parte di un mito di invincibilità tecnica e affidabilità che ora è infranto dalle dimensioni dello scandalo (11 milioni di pezzi truccati corrisponde al numero totale di automobili vendute dal gruppo tedesco in un anno). Ma perché ad entrare in crisi è un modello di potere – non sempre “soffice” – che ha consentito ai tedeschi di dettare – negli ultimi vent’anni – da quando, più o meno, è stato introdotto l’Euro – agenda e regole in Europa.
Tre i problemi del metodo tedesco sui quali lo scandalo impone una riflessione.
Innanzitutto, l’applicazione dei principi comunitari – ad esempio, quelli che limitano gli “aiuti di Stato” per non distorcere i meccanismi di mercato e incoraggiare, dunque, l’innovazione – è diversamente rigida a secondo dei Paesi e delle situazioni. Secondo uno studio di qualche anno fa, di una delle più prestigiose think tank tedesche (lo ZEW di Mannheim), la Germania ha, negli anni successivi alla crisi, erogato, da sola, quasi il 90% dei 4,5 miliardi di Euro che i governi europei hanno pagato per schemi di “rottamazione” finalizzati a rinnovare il parco automobili e far sopravvivere case che si erano ritrovate in forte difficoltà; e, in particolar modo, alla Volkswagen fu destinato la metà dei finanziamenti tedeschi.
In secondo luogo, il rispetto di regole come quelle che hanno disegnato la traiettoria dei sei successivi innalzamenti (appunto dal primo Euro 1 del 1993 all’ultimo Euro 6) degli standard sulle emissioni di veicoli diesel: i controlli sono, spesso, stati interpretati come un elemento opzionale (ciascuna casa se li faceva praticamente a domicilio scegliendo il verificatore) rendendo le norme risibili e, di fatti, sbugiardate dalle verifiche fatte dall’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente, in un Paese che dovrebbe avere molto meno sensibilità ecologica, come gli Stati Uniti.
Infine, all’Europa manca, ancora, appunto e, nonostante, le rigidità teutoniche una vera riflessione sul futuro di comparti grossi come quello dell’industria automobilistica che rischiano di scomparire come certi Dinosauri che, semplicemente, non si accorsero della mutazione che stava per sconvolgere il proprio ecosistema.
La domanda a cui nessuno, ancora in Europa, osa rispondere è, in fin dei conti, semplicissima: fino a quando potrà il mondo – squassato da crisi ambientali e finanziarie che arrivano fino alla periferia di Shanghai – tollerare il più evidente spreco di energia costituito da una tecnologia che ci fa usare una leva (un’automobile appunto) che pesa circa una tonnellata per spostare un peso utile (in carne umana o merce) di circa, in media, un centinaio di chili? Fino a quando potremo continuare a comprare un oggetto che per il 90% della sua vita utile è parcheggiato in garage e che quando si sposta – per il 90% del tempo in circolazione – usa un quarto della sua potenza (e velocità potenziale)? Com’è possibile continuare ad alimentare questi veicoli con una forma di energia che – oltre ad avere le pesanti conseguenze geopolitiche che ci intrappolano da cinquant’anni in guerre e negoziati senza fine – ha anche l’inconveniente di costare dieci volte di più di altre forme di alimentazione (elettrica, ad esempio) che inquinerebbero dieci volte di meno? Quando comincia la riprogettazione di città, infrastrutture, abitudini, orari di lavoro, servizi pubblici che la fine dell’automobile – così come la conosciamo – comporta (e che, in realtà, a Berlino o Londra è stata avviata anche se manca una strategia che sia, davvero, europea)?
A queste domande, in effetti, la stessa Commissione Europea ha provato a dare una risposta attraverso direttive visionarie come quella che impongono che nel 2030 nelle città il numero delle automobili a benzina e a diesel si dimezzino per azzerarsi nel 2050. Mancano, però, quei passaggi senza i quali le visioni rimangono tali. Visioni che, altrimenti, sarebbero molto concrete visto che il futuro è già sta cominciato; visto che tra i giovani americani, ormai, un terzo ha rinunciato, persino, a prendere la patente; che i mercati erano già così preparati all’inizio della fine del diesel che – anche prima dello scandalo – il valore che davano alla prima industria automobilistica del mondo era già inferiore a quello della Pepsi Cola; che negli stessi giorni in cui con la Volkswagen veniva colpita quasi a morte, l’Apple annunciava la volontà di varare la prima automobile intelligente nel 2019 e la Tesla di voler aprire il primo stabilimento in Europa.
Indubbiamente, i riflessi politici della crisi danno un’opportunità all’Italia, resa unica dalla circostanza che il modello entrato in crisi accomuna ai tedeschi i francesi (nella necessità di voler difendere innanzitutto i posti di lavoro); che gli inglesi devono ancora decidere se stare in Europa e che il governo spagnolo vive un momento di oggettiva difficoltà interna. C’è bisogno, però, sfruttando di avere, forse anche meno da perdere, di ricominciare a pensare in maniera strategica: ad esempio a pensare al futuro dell’automobile come futuro delle città europee e come traiettorie per arrivare a traguardi che non aspettano. Parlando di persone concrete, di tecnologie, di qualità che ci appartengono e di come governare transizioni di posti di lavoro enormi. Un po’ come del resto, l’Italia del dopoguerra fece ripensandosi attorno alla cinquecento.

Francesco Grillo sul Messaggero del 30/9/15 (fonte: linkiesta del 30/9/15)