1

ATER 2016: condividiamo e apprezziamo

Commissario Tamburino

apprezziamo e condividiamo gli indirizzi e gli impegni ATER per il 2016 che oggi sono stati pubblicati dai mass-media cittadini.

Il ripristino della legalità e sicurezza sono le precondizioni per la rigenerazione del Corviale a cui l’ATER, come più volte da noi denunciato e ribadito da tempo, deve provvedere insieme al bando dei lavori del 4° piano che andava emesso entro novembre u.s. come da impegni assunti anche nell’incontro del 18 settembre con il prefetto Gabrielli.

La nettezza delle sue dichiarazioni ci confortano nel fatto che Lei procederà a porre fine alle ben note illegalità e su cui crediamo utile renderLa edotto allagando alla suddetta mail quanto già comunicato ufficialmente anche all’assessore Refrigeri, al presidente Zingaretti e alla Corte dei Conti. Illegalità e mancanza di sicurezza a conoscenza sia del Comune di Roma che della Prefettura. Illegalità che nell’ultimo periodo si sono accentuate come dimostra l’intimidazione subita da Calcio Sociale, che Lei ben conosce, avendo partecipato il giorno della fiaccolata all’incontro sul tema in Biblioteca Nicolini di Corviale insieme all’assessore alla Casa e al presidente della Regione Lazio.

Un’iniziativa da assumere in tempi brevi e che va collegata alla chiusura del concorso internazionale che avvierà entro gennaio i procedimenti attuativi ad esso connessi.
Riteniamo che sarebbe non solo un’incomprensibile incongruenza tenere separati i due interventi, ma se cio’ fosse, potrebbe diventare una vicenda complessa da gestire e comunicare nelle sedi istituzionali e con la Comunità territoriale.

Cogliamo l’occasione di salutarLa con un 2016 di collaborazione per una Roma legale e sicura




Case popolari ma redditi da ricchi

Primi sgomberi nel centro di Roma.
Trentuno appartamenti di Ater e Erp assegnate a chi non ne aveva i titoli per reddito verranno consegnate nei prossimi giorni agli aventi diritto.
Fuori i ricchi dalle case popolari: è cominciata dal centro storico, e dai redditi più alti, l’operazione di «pulizia» degli alloggi Ater e Erp (edilizia residenziale pubblica) voluta dall’ex assessore Francesca Danese e da qualche mese, dall’arrivo in Campidoglio del commissario Francesco Paolo Tronca, a fine ottobre, sostenuta dal subcommissario con delega al Sociale, Clara Vaccaro.

Tredici case Erp e diciotto appartamenti Caat, i residence per l’emergenza abitativa, sono già stati sgomberati; in molti altri casi – fatto nuovo – davanti all’evidenza dell’estratto conto inviato dal Comune gli inquilini hanno riconsegnato le chiavi prima ancora dell’accesso forzoso. Proprietà liberate e riassegnate a chi, per il momento cinquantasette famiglie, risultava in graduatoria in seguito ai bandi del 2000 e del 2012. Quelli appena cacciati fanno parte di un elenco di oltre duecento «furbetti»: redditi oltre i 120 mila euro, altre proprietà. In uno di questi casi, solo per fare un esempio, chi viveva nella casa Ater aveva intestati altri tredici appartamenti e due boschi.

Le verifiche sui «signori» delle case popolari accelerano quando alle Politiche sociali arriva Danese, che a luglio – al termine della prima ondata di controlli – diffonde il bilancio: tra Erp e Ater, 743 abusivi accertati più altre 2 mila posizioni sospette per le quali si attende la pronuncia del Tar, che comunque sta rigettando la maggior parte dei ricorsi promossi dagli inquilini. Ad ottobre il dipartimento Politiche abitative riunisce le prime 227 posizioni più eclatanti, in termini di reddito o proprietà possedute, da affrontare «in via prioritaria». Per esempio, c’è una coppia che, assieme alla casa Ater, sarebbe proprietaria di altri tredici immobili – e due boschi – tra le campagne di Roma e Perugia.

Un’altra signora, sempre inquilina Ater, avrebbe venduto l’appartamento romano mantenendo però gli altri sei in provincia. Poi: occupazioni doppiamente abusive, dell’alloggio originario «e di quello attiguo», vendita parziale dell’immobile o subaffitto, coniugi residenti in altre case pubbliche. Soprattutto, troppi zeri in banca: 123 mila euro, 111 mila euro, 112 mila euro, 67 mila euro… «Le case dei furbi – insiste la Danese – dovranno essere riassegnate a chi aspetta da anni in graduatoria o alloggia nei Caat in chiusura a fine gennaio».

Assieme ai redditi, l’altro dato anomalo che emerge dal dossier riguarda i tempi: molti dei primi decreti di rilascio «obbligatorio» degli immobili risultano firmati dal Comune già nel 2011, 2009, addirittura nel 2006, tutte situazioni che negli anni si sono trascinate senza soluzioni. «Ma qua ci viveva già mio nonno…» si sentono rispondere gli uffici. I movimenti per la casa, anche ieri sotto la Prefettura, chiedono «basta sfratti». E finalmente la strategia della squadra di Tronca dovrebbe far girare la ruota: fuori i furbetti e dentro chi ne ha davvero diritto.

ink all’articolo




Le batteria che renderà inutili le reti elettriche tradizionali

Appesa al muro di casa, Powerwall raccoglie energia solare e la conserva per erogarla quando ne abbiamo bisogno. Potrebbe essere l’inizio di una rivoluzione energetica.

La domanda del titolo è lecita e se la stanno ponendo in tanti. Una batteria da tenere in casa che accumula energia solare e la converte in elettrica, per alimentare tutti i nostri gadget, auto elettrica compresa. Si chiama Powerwall, la produce Tesla e l’ha presentata pochi giorni fa in pompa magna Elon Musk, spiegando che la sua creatura “renderà inutili le reti elettriche tradizionali”.

Sarà vero? Forse si, se pensiamo ai luoghi remoti della Terra non ancora raggiunti dall’elettricità. Per le nostre case il discorso è diverso, ma di sicuro Powerwall potrebbe cambiare un po’ le cose. L’ambizione più alta di Tesla e del suo leader è di sganciarci dalle fonti fossili, sfamando il nostro fabbisogno energetico con fonti rinnovabili, nonché fermare l’immissione di gas serra nell’aria: “Sembra folle, ma vogliamo cambiare le infrastrutture energetiche di tutto il mondo”, ha dichiarato Musk.

Prodotta da Tesla Energy, un nuovo ramo dell’azienda californiana, Powerwall Home Battery è un parallelepipedo di 130 x 86 x 18 centimetri e pesante 100 chili.

Ha un design sobrio, quasi elegante, con diversi colori disponibili, tanto che la si può appendere al muro di casa senza sfigurare, con l’intervento di un tecnico specializzato (un’ora circa di lavoro).

Contiene una batteria ricaricabile agli ioni di litio che promette di soddisfare le esigenze di un’abitazione tradizionale: collegata ai pannelli fotovoltaici di casa, accumula energia durante il giorno e la conserva, rendendola disponibile in ogni momento, non solo nell’istante in cui viene prodotta. È questo il vero passo avanti proposto da Tesla, la conservazione dell’energia: fino ad ora l’energia solare ottenuta durante le ore diurne veniva immediatamente utilizzata oppure venduta alla compagnia elettrica, per poi essere ricomprata nel momento in cui serviva, con gran dispendio economico e inutili emissioni nocive.

Quanto alle specifiche, Powerwall ha capacità di 7kWh per ciclo giornaliero, ma ne esiste un’altra da 10kWh. La potenza prevede 2kW di lavoro continuo, con picchi da 3,3kW, mentre il voltaggio va da 350 a 450 volt. La prima costa 3.000 dollari, la seconda 3.500. La garanzia è di 10 anni. Tesla prevede la possibilità di installare fino a 9 batterie in una casa che abbia richiesta energetica elevata, per raggiungere un massimo di 63kWh nel caso delle Powerwall da 7kWh, e di 90kWh per quelle da 10kWh. Potrebbe essere il caso di chi deve alimentare un’auto elettrica, oltre ai soliti elettrodomestici di casa esosi, tipo un piano a induzione o un sistema di riscaldamento che faccia a meno del gas.

L’accoglienza che sta ricevendo Elon Musk dopo l’annuncio è a dir poso entusiasta. TechCrunch ad esempio ‘vede’ un mondo in cui le case vengono alimentate solo dall’energia solare. Ma in realtà questo potrebbe essere uno scenario del futuro prossimo, non del presente immediato. Anche con una o più Powerwall in casa, per ora continueremmo a consumare energia elettrica non derivata dai pannelli fotovoltaici, soprattutto a causa delle scarse infrastrutture in questo settore; tuttavia vedremmo ridurre di molto i picchi di consumo energetico, che sono proprio quelli che provocano l’aumento dei costi dell’elettricità (e delle emissioni di CO2).

Siamo quindi di fronte a un primo importante passo verso la casa energeticamente autonoma e rinnovabile. Se la Powerwall diventasse davvero un bene di massa, l’approccio di Tesla potrebbe portare a un nuovo sistema di gestione dell’energia, che verrebbe stoccata nelle batterie domestiche e industriali di tutto il mondo. Per poi redistribuirla a richiesta senza sprechi e senza emissioni.

Per questo motivo Tesla Energy ha anche presentato accumulatori più capienti, i Powerpack da 100kWh per aziende e condomini, che si possono collegare all’infinito. Musk ha anche calcolato che con 160 milioni di Powerpack installati, gli Stati Uniti potrebbero fare a meno delle fonti fossili per produrre energia elettrica, mentre con 900 milioni di questi accumulatori si convertirebbe tutto il pianeta all’energia solare. Con 2 miliardi anche riscaldamento e trasporti si svincolerebbero da carbone e petrolio.

Utopia? “No”, risponde Musk, “è una cosa che sta nelle nostre possibilità, abbiamo già portato a termine imprese del genere”. E non scherza, dato che la piattaforma è open source, per invitare altre aziende a portare avanti il progetto.

Tesla, alla fine, non è che un piccolo pezzo del disegno molto più ampio di Musk (che comprende anche Solar City e Hyperloop), il cui scopo è cambiare il modo in cui otterremo e consumeremo l’energia.

link all’articolo




Città, il futuro? Verde e policentrico

Policentrico: questo è il futuro delle periferie. Ripensate, riviste, ricostruite da chi le abita, ma sulla base di una collaborazione intessuta di scambi internazionali. Come quelli avvenuti a Motola, città in rapida crescita vicina a Maputo, la capitale del Mozambico, dove nella primavera scorsa si è svolto un incontro tra gli esponenti di quindici cittadine di cui sei brasiliane e nove locali: per far tesoro delle esperienze altrui, scambiare informazioni, ridisegnare e gestire centri urbani sostenibili. Partendo da fatti concreti, per piccoli che siano. Perché Piccolo è bello: e il titolo-slogan del volume pubblicato da Ernst Friedrich Schumacher nel 1973 è stato riproposto da papa Francesco nel suo intervento al terzo Forum mondiale per lo Sviluppo economico locale tenuto a Torino nell’ottobre 2015. «Abitazione propria, lavoro dignitoso e debitamente remunerato, alimentazione adeguata e acqua potabile, libertà religiosa: l’unico modo di ottenere questi obiettivi è lavorare a livello locale», ha detto il Papa, specificando che il piccolo è non solo bello ma anche «efficace». Gli incontri di Mozambico e di Torino sono due episodi di una vasta trama che si dipana sullo scenario mondiale.

«L’Europa promuove molte iniziative a livello internazionale – riferisce la parlamentare europea Mercedes Bresso, già presidente della Federazione mondiale Città unite –. Ma l’attuazione di passi concreti è nelle mani delle amministrazioni locali, che vanno sensibilizzate e messe nelle condizioni di operare al meglio. Per questo nulla è più utile degli scambi di idee e della trasmissione di esperienze, per esempio tramite gemellaggi tra città o con l’individuazione ogni anno di una “Capitale europea della cultura” o di una “Capitale verde d’Europa”, che forniscono esempi da imitare».

Per il 2016 come Capitale verde è stata scelta Lubiana, perché nell’ultimo decennio ha aperto cinque nuovi parchi urbani, piantato duemila nuovi alberi, rivitalizzato le rive del fiume che l’attraversa, drasticamente ridotto il traffico automobilistico a favore di ciclisti e pedoni. Non sono azioni di difficile concezione, ma il problema consiste nel trovare i modi migliori per attuarle in ciascun luogo, esaltando di questo le qualità, a volte nascoste.

Allo scopo, nell’incontro in Mozambico sono stati coinvolti organismi internazionali come Architetti senza frontiere, gruppo di progettisti costituito alla fine degli anni Settanta per fornire supporto tecnico per opere misurate sulle potenzialità locali. Recentemente la sezione italiana di questo organismo ha operato in Burkina Faso con tre associazioni di artisti locali per costruire un centro per l’educazione all’arte. Architetti senza frontiere ha fornito il progetto per compiere l’opera nella periferia di Bobo-Dioulasso, usando tecnologie e materiali locali. Ed è nato un complesso modulare, articolato attorno a diversi cortili che consentono flessibilità nell’uso di una costruzione che si compie in fasi successive, man mano che si raccolgono i fondi necessari. Progetti di questo tipo costano poco, generano lavoro, danno ordine alla crescita degli ambienti urbani.

Molte associazioni in tutto il mondo si muovono in questa direzione. Gruppi di architetti giovani e di amministratori pubblici che costituiscono reti locali e globali. «È straordinario constatare come, per quanto siano lontane, città europee, dell’America Latina o dell’Africa presentano problemi e propongono soluzioni tra loro simili»: il tema è caro a Silvana Accossato, già sindaca di Collegno, ora presidente del Comitato italiano Città unite che da decenni promuove gemellaggi che avvicina città lontane. La Accossato nota che il «bilancio partecipativo» è uno dei frutti generati da questi scambi: «Le amministrazioni locali destinano fondi per iniziative decise da assemblee di quartiere. Così si stimola la partecipazione attiva dei cittadini, i quali di solito scelgono interventi per abbellire spazi pubblici con giardini o per favorire la mobilità sostenibile». Tali iniziative sono favorite dal diffondersi della fiscalità locale, che cresce col decentramento amministrativo, così che il prelievo fiscale sia collegato a investimenti per migliorare il territorio e i servizi che vi si offrono.

«In Italia la sfida del futuro – spiega la Accossato – riguarda la continuità urbana nelle città metropolitane, tra capoluoghi quali Torino, Milano, Bologna, Napoli e le cittadine della cintura. Spesso la qualità di vita e dei servizi in queste ultime è maggiore di quella delle vicine periferie del capoluogo. Ma, proprio grazie a tale contiguità, quelle periferie possono rivitalizzarsi e acquisire nuove centralità che donano identità a quartieri che ne sono carenti”.

Si tratta di rivedere il concetto di periferia, a partire dall’impegno delle persone che vi vivono. «A Torino si lavora con gruppi di giovani immigrati di seconda generazione allo scopo di fornire un supporto al loro desiderio di sentirsi cittadini italiani a tutti gli effetti, mentre allo stesso tempo cercano di mantenere la cultura propria delle famiglie di origine. Solo così si supera il senso di sradicamento e di perdita di identità». E le periferie, da ambienti di emarginazione, divengono occasioni per nuovi radicamenti.

Come sostiene Anna Brown, condirettrice della fondazione Rockefeller che ogni anno premia cento città nel mondo capaci di “resilienza”: «Per quanto il termine “urbano” faccia pensare a una condizione statica, dobbiamo rivederlo come espressione di un processo. Le città cambiano in continuazione, sul piano fisico, sociale e politico… sono loro i motori dell’innovazione dei Paesi». E, nelle città, sono le periferie i luoghi più densi di dinamismo.

link all’articolo




Municipio XI: ecco i fatti salienti del 2015

L’incendio al Campo dei Miracoli e la fiaccolata contro le mafie. I roghi di via Candoni ed i controlli nel campo nomadi. Si conclude nel Municipio XI un anno pieno di novità. Ecco quali sono stati i fatti principali del 2015.
Si conclude il terzo anno, da quando l’ex Municipio XV ha cambiato numerazione. Il terzo anno della Giunta Veloccia, segna alcune interessanti novità. Ma lascia anche in eredità alcuni temi che, inevitabilmente vanno affrontati. Partiamo proprio da questi ultimi.

I ROGHI – Una questione che sembra ormai aver raggiunto e superato la soglia di accettazione, riguarda i roghi che si sprigionano nel campo rom di Muratella. Recentemente in via Candoni è stato predisposto lo stazionamento di una pattuglia della municipale, proprio. Da quando ci sono gli agenti del Gruppo di Polizia Locale, le segnalazioni di incendi non sono più arrivate. Se si darà continuità all’iniziativa, il problema potrà dirsi risolto. Servono però anche i controlli all’interno del campo dove, a seguito delle ripetute operazioni di polizia, è stato trovato di tutto: tonnellate di rifiuti ferrosi e animali macellati illegalmente.

LA VIABILITA’ – Un problema che nel 2015 non si è riusciti a risolvere è quello della viabilità. I livelli di traffico, soprattutto nel quadrante Marconi, sono rimasti invariati Tuttavia alcune novità si sono registrate, come la recentissima attivazione di tre postazioni di carsharing. Si tratta di gocce in un’oceano sterminato. Ciò nonostante rappresentano un buon auspicio se, anche in tal caso, si riuscirà a dare continuità a questo tipo d’iniziative. Sempre in tema di viabilità, si sono osservati dei miglioramenti anche sul versante dei lavori per il ponticello di via Portuense. Il tira e molla tra amministrazione locale e sovrintendenza, alla fine ha portato alla ripresa di un cantiere peraltro vittima di attacchi vandalici. Il 2016 potrebbe essere l’anno decisivo, per vedere completare un’opera così a lungo attesa.

LA RIQUALIFICAZIONE DI CORVIALE – Concludiamo ricordando le novità che hanno attraversato uno dei quartieri più noti del territorio: Corviale. Per la riqualificazione del Serpentone è stato indetto un bando internazionale. Il progetto vincitore è stato recentemente presentato. Grazie agli stanziamenti della Regione Lazio, il chilometro di cemento armato potrà cominciare a cambiar pelle. I risultati andranno però valutati nel corso dei prossimi anni. Per ora nel quartiere restano vecchi problemi, a partire dalla carenza d’investimenti per gli spazi d’aggregazione. L’apprezzato Farmer’s Market di via Mazzacurati ha chiuso i battenti, nonostante le resistenze dei produttori, disposti ad investire di tasca propria per riqualificare la struttura dov’erano ospitati. Un’altro importante luogo d’aggregazione, il Campo dei Miracoli, è stato vittima di un incendio doloso. Il gesto ha contribuito però a rinserrare i ranghi. I cittadini e le associazioni del territorio hanno infatti risposto in maniera decisa. Organizzando una partecipatissima fiaccolata di solidarietà, che ha fatto tappa per le realtà socialmente e culturalmente più impegnate del territorio. Una bella iniziativa che di per sè rappresenta una buona notizia ed un ottimo auspicio per il 2016.

link all’articolo




Auguri Presidente: parole per il nostro 2016

Il Presidente Mattarella ci ha fatto degli auguri che condividiamo e che sembrano richiamare quello che da tempo diciamo come, per esempio, l’innovazione che deve diventare sociale se vuole incidere sulla vita di noi cittadini: “L’innovazione è una sfida che riguarda tutti.”
O quando sembra parlare del nostro amore per i territori in cui viviamo:”Dobbiamo avere maggior cura dei nostri territori. (…) Occorre combattere contro speculazioni e sfruttamento incontrollato delle risorse naturali. E’ confortante vedere la formazione di molti movimenti spontanei, l’impegno di tanti che si mobilitano per riparare danni provocati dall’incuria e dal vandalismo, e difendono il proprio ambiente di vita, i parchi, i siti archeologici.”
E scende in particolari della nostra vita quotidiana che incidono sul degrado in cui spesso viviamo: “Molto della qualità della nostra vita dipende dalla raccolta differenziata dei rifiuti e dal rispetto dei beni comuni.
Non dobbiamo rassegnarci alla società dello spreco e del consumo distruttivo di cibo, di acqua, di energia.”
E poi sembra salutarci e invitarci a continuare nel 2016 quello che abbiamo fatto finora: “Sono numerosi gli esempi di chi reagisce contro la corruzione, di chi si ribella di fronte alla prepotenza e all’arbitrio.”
Grazie Presidente.
Vogliamo ricambiare con “Auguri Presidente” e per fargli gli auguri riprendiamo le parole di Papa Francesco: “vincere l’indifferenza che impedisce la solidarietà, e uscire dalla falsa neutralità che ostacola la condivisione”.
Buon 2016 a tutti

Discorso del Presidente Mattarella

Omelia di Papa Francesco




Tutto sull’ “ubercapitalismo”

Ecco i numeri della nuova “economia collaborativa”.
Il fenomeno più imponente di questa fase di “sboom” economico
Ultime notizie dall’ubercapitalismo. Airbnb vale 26 miliardi di dollari, ha raccolto fondi per 2,3 e occupa circa 500 dipendenti. Snapchat è quotata dagli analisti 26 miliardi, ne ha raccolti 1,2 e dà lavoro fisso a 400 individui. Uber, varrebbe tra i 40 e i 50 miliardi, ha trovato risorse per 6 miliardi e ha circa 500 salariati diretti (esclusi, per ora, gli autisti).
Sono cifre, ancora ballerine e un po’ oscure, soprattutto quelle relative alle persone, rilevate dall’Economist, che ha quantificato in 74 il numero delle start-up dei settori tecnologici che fanno parte di quei particolari ”unicorni” di successo, ovvero le aziende che quotano più di un miliardo. Valore totale (anche qui, presunto) di tutti gli animali mitologici, oltre 273 miliardi di dollari.
Marx aveva già a suo tempo trovato una definizione perfetta per questa rivoluzione digitale. Nel 1846, quando definì la società comunista. ”La possibilità di fare oggi una tale cosa e domani un’altra, di cacciare al mattino e di pescare nel pomeriggio, di praticare l’allevamento la sera e di fare della critica dopo i pasti. Tutto a proprio piacimento, senza essere pescatore, cacciatore o critico”. Sono passi scritti dal filosofo nella sua opera L’ideologia tedesca, quando certo non arrivava a preconizzare che col socialismo reale qualcuno tra milioni si sarebbe arricchito immensamente.
Eppure sembrano pensati oggi per definire il pianeta delle condivisioni, dove il capitalismo sembra ammantarsi di libertà, nell’attimo stesso in cui genera immensi profitti e un miliardo di utenti in un solo giorno si connettono a Facebook regalandogli sogni, desideri e identità.
È l’economia collaborativa, che si è materializzata decenni dopo la caduta del Muro e sembra aver creato spazi inimmaginabili per i consumatori e per la creazione di plusvalore: sì, proprio ”quel” Capitale, che continua comunque a dividere i fattori della produzione da chi li impiega.
Possibile che il neo comunismo sia nella Rete e nelle sue centinaia di applicazioni mobili, che cominciano a vivere molto bene sulle spalle dei giganti over the top? È questo il modello finale della nostra società, come professano il giovane economista Gaspard Koenig, o Maurice Levy, il primo a parlare di ‘ubercapitalismo’ al Financial Times, e prevedono negli Usa (entro il 2020 il 40% dei lavoratori sarà indipendente), ovvero un mondo in cui si affitta un’auto o una casa e si vende e si compra di tutto, diventando una volta proprietari di una rendita, un’altra ancora strumenti della stessa?
Il saldo finale ha il segno più o bisogna aspettare l’esito della rivoluzione, durante la quale cadono parecchi teste? In Francia, dove non manca lo spirito rivoluzionario ma si è anche tradizionalisti, a questi interrogativi non ci sono risposte certe ma si segue con attenzione il germogliare dei frutti della trasformazione digitale, si contano con stupore e ammirazione le decine di nuove aziende che fasciano come un vestito da sarto ogni cliente e tra dieci anni varranno come le blu chips dell’indice Cac di borsa, secondo Pwc.
Oggi, non raggiungono la capitalizzazione di Solvay. Si chiamano Blablacar, Ornicar, Ouicar, Drivy, Heetch, Boaterfly, Etaussi, KissKissBankBank, Indiegogo, Ulule, Lendingckub, Lecollectionist, DemanderJustice e altri ancora e ancora, in una teoria di sigle senza fine dagli scopi utili e banali allo stesso tempo, se la nostra società non avesse smesso di funzionare.
Solo aggiungendo ai tre big suddetti da 100 miliardi di dollari gli altri sette magnifici ”unicorni”, Palantir, Spacex, Pinterest, Dropbox, Wework, Theranos e Square, si arriva a oltre 80 miliardi di dollari di valutazione e non più di 10.000 addetti. Insomma, molto capitale e poco lavoro. Lo avesse immaginato il buon Karl si sarebbe strappato barba e baffi.
Ma i settori tradizionali, a cominciare da quello cruciale del turismo alberghiero, sono in subbuglio e preparano la controriforma, a cominciare proprio dal paese transalpino.
D’altronde negli anni dell’eurocrisi l’economia digitale è cresciuta il doppio di quella reale e non si dovrebbero preoccupare solo a Parigi (dopo gli Usa, primo mercato per Uber e Airbnb).
Il settimanale francese Le Point, in una lunga inchiesta di copertina sulla rivoluzione del capitalismo, ha piazzato una tabella su cui riflettere: un confronto tra AirBnb e Accor, il gigante dell’accoglienza. I numeri, più di ogni altra cosa, devono far riflettere, senza alcuno spirito tecnofobico.
Airbnb, come ricordato, ha un valore di 24 miliardi di dollari, un giro d’affari di 900 milioni, 130 milioni di perdite, 500 dipendenti, nessun immobile di proprietà ma vende un milione di stanze nel mondo, mentre Hilton, Marriot e Intercontinental ne fanno 700.000 ciascuna impiegando più di mezzo milione di persone. Ecco perché insidia Accor, che vale 10,4 miliardi di dollari, ha un giro d’affari di 5,4 miliardi, utili per 233 milioni, 180.000 occupati e 495.072 camere in 3.792 paesi.
In teoria non dovrebbe esserci match, ma la crescita dell’ospitalità alternativa è esponenziale, a cominciare dalla città più visitata al mondo e da New York (rispettivamente 11% e 17% del mercato totale). Se cresce l’unicorno dell’affitto in proprio, se la condivisione si sostituisce al commercio, ai servizi, alle banche, agli avvocati, che fine faranno le decine di migliaia di posti di lavoro tradizionali, potranno davvero dirsi sostituite dai nuovi prosumers di beni e servizi (consumatori e produttori allo stesso tempo) o avrà ragione chi, come Hillary Clinton, ha parlato a questo proposito di nuovo ”precariato”?
Sono tutte domande scomode, forse ormai anche retrò, che occorre però porsi senza preconcetti. Il cambiamento epocale che stiamo vivendo quasi inconsapevoli in questo sboom senza fine deve in qualche modo essere sostenuto e allo stesso tempo governato, proprio per evitare che le prossime start-up siano soffocate nella culla da chi ha preso il dominio del web e si è fatto mercato.

link all’articolo




Cosa dobbiamo aspettarci nel 2016?

Le priorità del governo nel 2016 sono chiaramente espresse nell’articolo di oggi sull’Unità “Cosa sarà questo 2016” di Ernesto Auci. Sono, ovviamente, di ordine macro. Eccole:
1) “i rapporti con l’Europa”,
2) “la politica industriale e bancaria”,
3) “le nuove norme sulla rappresentanza nei luoghi di lavoro e sulla contrattazione aziendale”.
Sembrerebbe che non sia in programma un piano generale di rigenerazione urbana, a cominciare dalle periferie, che rinnovi le aree metropolitane abbattendone l’inquinamento.
Sembrerebbero tradite le aspettative create dal piano di rammendo delle periferie di Renzo Piano e dalla creazione per la prima volta di una Direzione Generale del Ministero dei Beni Culturali per le Periferie (Direzione di cui peraltro non si ha notizia di nessuna iniziativa).
Sembrerebbe che tutto sia lasciato all’azione di enti locali esangui di finanze, di iniziativa politica e programmatica.
Ma poi leggiamo nell’intervista al ministro delle Infrastrutture Delrio al Corriere di oggi che “il problema delle emissioni (…) riguarda (…) anche (…) le abitazioni (…) una delle fonti principali di inquinamento, soprattutto da parte dei condomini: gran parte dei quali altamente inefficienti. E il tema della loro riqualificazione energetica sta diventando centrale nei grandi centri urbani (…) gli incentivi(…) non vengono usati. Pochi hanno colto la novità, ma con la legge di Stabilità (…) il mio condominio cambia la caldaia (…) senza pagare (…) Si può pagare il lavoro cedendo oltre all’incentivo, che è il 65 per cento, una parte del risparmio energetico in bolletta”.
Leggiamo poi il rapporto di Symbola sulle eccellenze italiane tra cui spiccano quelle sulla green economy e sull’energia rinnovabile.
Capiamo insomma che una grande chance di rilancio economico, occupazionale ed ecologico passa dalla rigenerazione degli immobili.
Ma questa grande operazione di rilancio è affidata solo all’iniziativa privata.
Come potranno gli abitanti degli immobili pubblici, soprattutto in periferia, usufruire di bollette più basse e di aria più pulita?
Ricordiamoci di porre questa questione in un 2016 pieno di elezioni amministrative.

Rapporto Symbola




‘Sport e Periferie’: si parte da Corviale, Scampia e Zen

Individuate dal CONI le prime sette strutture che beneficeranno dei fondi stanziati dal decreto Expo-Giubileo.
Sono sette le strutture individuate dal CONI per effettuare i primi interventi con il fondo di 100 milioni di euro previsto dal Governo per gli impianti sportivi nelle periferie.

Impianti sportivi nelle periferie: i primi sette interventi
Gli impianti su cui agire sono dislocati soprattutto al sud o al centro. Ecco l’elenco delle strutture sportive prioritarie:
Piscina Cardellino a Lorenteggio, a Milano;
Palazzetto dello Sport del Corviale, Roma;
Stadio Giannattasio di Ostia, a Roma;
Pista Pietro Mennea di Barletta;
Centro Sportivo Boscariello di Scampia, a Napoli;
Polo Sportivo Piazza della Pace di Reggio Calabria;
Palazzo dello Sport del quartiere Zen, a Palermo.

La scelta della localizzazione delle strutture sportive da riqualificare è in linea con quanto dichiarato la settimana scorsa dal presidente del CONI, Giovanni Malagò, che in un’intervista aveva dichiarato di “puntare su luoghi simbolo, come Scampia, per usare lo sport come una barriera per allontanare le persone dalla malavita”.

Impianti sportivi in periferia: il decreto
Ricordiamo che il decreto Expo-Giubileo (Decreto-Legge 185/2015) ha istituito il fondo ‘Sport e Periferie’ da 100 milioni di euro per il potenziamento dell’attività sportiva agonistica nazionale e lo sviluppo della relativa cultura in aree svantaggiate e zone periferiche urbane, con l’obiettivo di rimuovere gli squilibri economico sociali e incrementare la sicurezza urbana”.

I 100 milioni di euro (per il triennio 2015-2017) saranno destinati alla riqualificazione e alla costruzione di nuovi impianti per dare impulso allo sport, nell’accezione di movimento chiamato a favorire l’aggregazione, l’inclusione e la promozione dei valori che rappresentano la base.

Il Fondo e’ finalizzato ai seguenti interventi:
– ricognizione degli impianti sportivi esistenti sul territorio nazionale;
– realizzazione e rigenerazione di impianti sportivi con destinazione all’attività’ agonistica nazionale, localizzati nelle aree svantaggiate del Paese e nelle periferie urbane e diffusione di attrezzature sportive nelle stesse aree con l’obiettivo di rimuovere gli squilibri economici e sociali ivi esistenti;
– completamento e adeguamento di impianti sportivi esistenti, con destinazione all’attività’ agonistica nazionale e internazionale;
– attività e interventi finalizzati alla presentazione e alla promozione della candidatura di Roma 2024.

Link all’articolo




Sport nelle periferie: anche così si combatte l’emarginazione sociale

Lo sport è uno strumento fondamentale per combattere uno dei mali che rende invisibili alcuni cittadini come se avessero un destino già scritto

Sono nata, cresciuta e vivo ancora oggi in periferia, una di quelle che spesso è avvertita nell’immaginario collettivo come una zona grigia della quale ricordarsi solo per i fatti di cronaca. Non scegliamo la parte del mondo in cui nascere. Non ci sono meriti e non ci sono colpe.

Le periferie vengono spesso percepite come luoghi pallidi, anonimi e, spesso, come territori dove la criminalità e l’ignoranza la fanno da padroni, quasi si respirassero nell’aria. Io, in periferia, ho imparato prima di tutto l’umanità: ho visto persone dividere il poco che avevano con chi non aveva nulla affinché tutti potessero andare avanti, ho conosciuto il senso vero e profondo della comunità, quella dove nessuno volta la testa davanti alle difficoltà dell’altro, ma mette in campo le proprie energie e risorse per dare una mano, ho imparato ad ascoltare ed ho ricevuto ascolto.

Ho conosciuto ragazzi e ragazze che si sono persi per strada convinti di non avere alternative, coetanei che hanno abbandonato gli studi troppo presto, con un titolo di licenzia media in tasca, sicuri che le scuole superiori fossero per “altri”, schiacciati forse dai pregiudizi che si sentivano cuciti addosso.

Le periferie non saranno luoghi ameni, ma sono spazi importanti delle nostre città, sono quartieri come gli altri, spesso, solo con una densità abitativa più alta e maggiori urgenze dal punto di vista sociale. Anche in periferia i bambini diventano adulti, , giocano, ridono, invecchiano. Esattamente come in tutti gli altri spazi della città. Per questo le periferie devono essere luoghi accoglienti, belli, con spazi vivibili per tutti e, in questo senso, è importantissima l’iniziativa che sta portando avanti Renzo Piano per concepire e realizzare una nuova idea di periferia che si fondi sull’inclusione e la bellezza e che sappia accorciare le distanze.

Le nostre periferie non sono solo degrado ma anche territori di riscatto e liberazione che, in tante occasioni, possono passare attraverso lo sport. Penso alla palestra di Gianni Maddaloni a Scampia o il Campo dei Miracoli a Corviale. Queste sono realtà importanti, perché sono spazi in cui si sta tutti insieme rispettando le regole per poter ottenere un obiettivo comune. Lo sport parla una lingua internazionale, che tutti possono comprendere, a prescindere dal grado di istruzione. Per questo è fondamentale il forte investimento fatto dal governo che ha scommesso sul rilancio delle periferie anche attraverso lo sport. Da un lato, infatti, vengono investiti 100 milioni di euro per gli impianti sportivi, importanti risorse che consentiranno interventi mirati di riqualificazione urbana attraverso spazi utili a tutta la collettività; perché i luoghi del movimento devono essere al servizio dei cittadini e non solo dei grandi campioni. Queste strutture, però, non dovranno essere cattedrali nel deserto, utili solo per una fotografia al momento del taglio del nastro, ma dovranno essere spazi vivi dove le associazioni e i cittadini possano incontrarsi per stare insieme, divertirsi, diventare comunità. Solo dal divertimento nasce la vera passione per lo sport e, perché no, anche qualche campione magari in discipline per ora ancora poco conosciute.

Dall’altro lato la novità che emerge dal Bilancio dello Stato è lo stanziamento di altri 1,5 milioni di euro in tre anni per la lotta all’emarginazione sociale attraverso lo sport. Cos’è l’emarginazione sociale? È uno dei mali peggiori della nostra società, ciò che rende alcuni cittadini invisibili e che rischia di relegarli ai margini, come se ci fosse un destino già scritto. Ecco noi dobbiamo lottare contro questo destino e fornire a tutti gli strumenti per compiere il proprio percorso e trovare la propria strada, a partire dal rispetto delle regole. E lo sport per questo è uno strumento bellissimo.

link all’articolo