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Moratoria giubilare per gli spazi sociali

L’altra faccia di Mafia Capitale. Una moratoria giubilare per cancellare i debiti degli spazi sociali e della città di Roma prodotti da una governance inefficiente e imposti per via amministrativa o poliziesca. E una “carta di Roma” che, sull’esempio del regolamento sugli usi civici approvato dalla giunta De Magistris per l’Asilo Filangieri a Napoli, stabilisca una cornice giuridica di garanzie che tuteli e sviluppi l’autogestione, il mutualismo e le produzioni indipendenti come beni comuni.
Moratoria giubilare

Sono i due punti messi in agenda dall’assemblea “Roma non si vende” intensa, e partecipata da centinaia di persone, svolta ieri all’atelier Esc, sotto sgombero come molti spazi sociali autogestiti – La Torre, Corto Circuito, Auro e Marco, Casale Falchetti -, associazioni (Il comitato per l’acqua) e sedi di partito (la storica sezione del Pci oggi Pd di via dei Giubbonari). Dopo la lettera aperta e l’appello internazionale si apre un nuovo percorso che coinvolge la città e gli spazi sociali contro la gestione neoliberale di Roma commissariata: per il diritto alla città contro svendite, sgomberi e privatizzazioni.

La rete per il diritto alla città, che a Roma riunisce gli spazi di movimento, ha mostrato unità di intenti e la volontà di riprendere un discorso politico unitario. Ripartire dai quartieri, dal lavoro, dal contrasto al taglio degli asili nido, qualcuno ha detto, ricostruire la legittimità politica dei centri sociali. Al momento non ce n’è per nessuno, c’è solo il Fiscal Compact e austerità. E, forse, un futuro da giocarsi.

La campagna elettorale a Roma si preannuncia confusa e impaurita. La città è una polveriera, è ingovernabile, sotto scacco del commissariamento per debito (altro che Tronca) e il tallone di ferro del governo. All’assemblea erano presenti tutte le componenti della sinistra cittadina e nazionale, oltre ai Cinque Stelle candidati in pectore (ma non in realtà) a vincere sulla ruota del Campidoglio.

La debolezza in cui si trova tutta la politica a Roma, e la sua subalternità ai poteri economici formali e informali o a quelli della magistratura, è un rischio per tutti, non solo per gli spazi sociali. Questo, in fondo, è l’effetto della crisi: insieme a disoccupazione e corruzione, ha fatto saltare le mediazioni, devastando le istituzioni di prossimità, rendendole evanescenti, oltre che inefficienti. Non è detto che un nuovo sindaco affronterà (anche senza risolverlo) questo problema politico. È più probabile che sarà l’esecutore fallimentare della città per conto del governo e dei poteri dominanti. Un tema che non avrà molto peso in una campagna elettorale che sarà un referendum pro o contro Renzi e nulla più.

Ripartire da una carta di Roma

La ricerca di un patto di governo tra la sinistra e il partito che ha prodotto il disastro Marino è stata un’ecatombe per una sinistra già debole e artificiosa. Ciò non toglie che la disintegrazione della mediazione politica — con Marino e la sua giunta di “centrosinistra” che hanno fatto addirittura peggio di Alemanno che almeno non permise gli sgomberi – ha disarticolato le pratiche dell’autogestione di cui Roma è tradizionalmente ricca. Non è possibile trovare una legittimità all’interno dei patti politici stretti tra i partiti. Quella delega ha prodotto la desertificazione della città, oltre che l’attacco deliberato alle forme di vita indipendente.

Si riparte da zero. È una scelta coraggiosa. L’idea di creare una “carta di Roma” attraverso una consultazione della cittadinanza e della politica può essere un nuovo inizio. Il progetto è di riscrivere le regole e stabilire un patto con la nuova giunta. Sempre che poi le urne esprimano una maggioranza, un sindaco e una politica disponibile a riprendere il discorso della negoziazione sociale e non riproponga, invece, l’ideologia del decoro e la gestione amministrativa e legalitaria della vita civile con sgomberi, multe, polizia. E gestione dei conflitti con la magistratura. Quello che si è visto con Marino, quando la città era in balia di una dialettica molto lontana dalla politica. Nell’assemblea non sono mancati riferimenti polemici, contenuti, a un partito come Sel che ha percorso questa strada, per esserne travolto.

Da registrare, al momento, l’impegno dei parlamentari di Sinistra italiana a porsi come “garanti” con il governo commissariale della città. In mancanza di un consiglio comunale, questi parlamentari si sono candidati ad esercitare una mediazione politica con Tronca tutta da costruire, ma necessaria anche per evitare di trasformare i prossimi tre mesi di campagna elettorale in una guerra degli sgomberi.

Contro l’ideologia del bando

Il dissenso principale è contro lo strumento di governo del sociale: il bando. È stata chiesta l’abolizione della delibera 180 — voluta dall’ex sindaco Marino e dal suo vice Nieri di Sel — che ha sostituito la delibera 26 che per un lungo tempo ha regolato — male, molto male — la gestione e l’affidamento dei numerosi spazi sociali. La giunta Marino ha fatto una scelta rovinosa, sotto la spinta del populismo penale e del legalitarismo esplosi dopo “Mafia Capitale”: rimettere a bando tutti gli spazi — non solo quelli autogestiti, in totale ottocento — a prezzi di mercato. Un modo per cancellare 25 anni di storia di movimenti di base e associazionismo a Roma, affidando i luoghi più preziosi alla speculazione immobiliare, ai capitali provenienti dal riciclaggio oppure alla desertificazione come è accaduto con il teatro Valle.

Interessante è anche la polemica contro l’ideologia del bando. Alla crisi prodotta dal sistema “Buzzi-Carminati” che prosperava grazie ai bandi del comune che garantivano gli appalti alle cooperative coinvolte in Mafia Capitale, la giunta Marino e oggi il Commissario Tronca hanno risposto riproponendo lo stesso sistema. Con una differenza: hanno ristretto i criteri di accesso ai bandi, riservandoli ai soggetti economicamente più forti. Invece di incidere sul potenziale corruttivo e criminogeno di questi strumenti, hanno amplificato i rischi puntando a dissolvere le esperienze storiche in vari settori. Il caso dei centri interculturali per i minori, una “buona pratica” romana, è clamoroso.

La Carta di Roma dovrebbe sostituire la delibera 180. Ci si augura inserire anche altri elementi che riguardano aspetti determinanti per l’autorganizzazione: il lavoro, e il suo darsi come cooperativa o impresa sociale, nel rispetto della dignità delle persone e del reddito. La delibera 26 non ha mai considerato l’aspetto dell’autoreddito e della costruzione di impresa, lasciando gli spazi sociali in una terra di nessuno tra il buon cuore dell’associazionismo e l’invenzione di stratagemmi per aggirare le normative. Da qui le multe, la persecuzione dei vigili urbani e della Siae. Si tratta, invece, di prospettare un’economia municipale autogestita che riconosca la dignità economica, sociale e politica del mutualismo. Cosa, ad oggi, mai avvenuta. I movimenti hanno passato il loro tempo a difendersi contro le irregolarità prodotte da una cornice che interpreta l’auto-organizzazione solo come un illusorio associazionismo non-profit.

L’uso comune

Un altro spunto per la riflessione politica, emerso dall’assemblea, è la convergenza tra l’antica idea dell’autogestione con la più recente riflessione (e pratica) del darsi le regole, una condotta, un’organizzazione sociale alternativa a quella statale dall’alto. Si è riscoperto l’origine dell’autonomia all’interno di una più matura riflessione sull’auto-governo. Il riferimento al regolamento per gli usi civici approvato dalla giunta De Magistris (che ha dato la solidarietà a Esc sotto sgombero) è un’inizio di riflessione (leggi La cultura dell’autogoverno). In questa cornice si era posto anche lo statuto della fondazione del teatro Valle, dissolto con la chiusura punitiva e sine die del teatro.

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Anche a Carnevale la periferia vale

I comitati del Tiburtino tra le strade del Municipio.
L’appuntamento è fissato per il giorno 7 febbraio alle ore 10.30 al parco di Pomona. Alcuni comitati del Tiburtino scendono tra le strade del Municipio per denunciare l’abbandono delle periferie.
“Se lo speculatore scherza col quartiere, tu non restare lì a sedere, porta in strada l’allegria che col carnevale lo cacciamo via!” E’ questo il motto della sfilata organizzata da alcuni dei comitati che operano nel Tiburtino. L’appuntamento è fissato per il giorno 7 febbraio alle ore 10.30 al parco di via Pomona, nel quartiere Pietralata con l’evento dal titolo ‘Anche a Carnevale la periferia vale’.

A scendere tra le strade del Municipio IV, i comitati di Parco Pomona (Pietralata), comitato Giovanile Pietralata, Tiburtino III secondo a nessuno (Tiburtino III), comitato Mammut (Ponte Mammolo) e il Nodo Territoriale Tiburtina, organizzando una sfilata carnevalesca che percorrerà alcune delle vie di Pietralata e Tiburtino. Una mobilitazione, come tante altre fatte fino ad ora, per tentare di cambiare la situazione di disagio che si vive nelle periferie.

In una nota diffusa dagli organizzatori, si legge: “Nel quadrante tiburtino, all’abbandono pressocchè totale delle amministrazioni comunali e municipali alcuni comitati rispondono dal basso con iniziative, azioni dirette a migliorare il territorio e monitoraggio di quelle attività “di palazzo” che sono sempre più lontane dalle esigenze dei quartieri”.

I punti che su cui gli organizzatori intendono battersi sono diversi, dalla “speculazione dei Punti Verde Qualità, la discarica tossica a cielo aperto dopo lo sgombero della baraccopoli di Ponte Mammolo, la scandalosa gestione di tematiche complesse come l’accoglienza dei migranti, i livelli di polveri sottili pm10 stabilmente al di sopra dei limiti per la salute, le nubi tossiche”. Non solo. A questi si aggiungono anche “il malfunzionamento dei mezzi pubblici, la carenza di spazi di socialità e cultura sono solo alcune delle criticità vissute dagli abitanti della Tiburtina”. Infine, la nota prosegue: “Si tratta di tematiche che, per incapacità o volontà politica, continuano a non trovare soluzione nè tantomeno coinvolgimento del territorio da parte istituzionale, facendo giungere a esasperazioni e degenerazioni interi quartieri”.

Quindi la denuncia: “A questo stato di cose rispondiamo con una parata carnevalesca attraverso cui, con giochi e divertimenti, denunceremo le problematiche dei luoghi che viviamo ogni giorno, per ricordare che anche a Carnevale “la periferia vale”, concludono.

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Festa di Carnevale al Mitreo

festa carnevale 2016
Sabato 6 febbraio 2016 Festa di carnevale in maschera




Bando aperto per artisti

“Lo spirito dell’eros“
Martedì 2 Febbraio 2016 è l’ultimo giorno per partecipare alla selezione per la mostra/evento “Lo Spirito dell’Eros”
le opere selezionate saranno esposte nel suggestivo spazio espositivo del Mitreo nel periodo
12 febbraio- 12 marzo 2016 (inaugurazione 12 Febbraio)
Gli Artisti concorrenti potranno inviare, entro la scadenza prevista, un massimo di n.3 foto delle opere con le quali intendono partecipare, rispettando quanto richiesto dal Regolamento :

BANDO SPIRITO EROS




Ausmerzen. Vite indegne di essere vissute

Renato Nicolini – mercoledì 27 gennaio , ore 17:00

proiezione
In occasione del Giorno della memoria

“Ausmerzen”, “verbo gentile”, come dice Paolini, “che evoca la terra e il mese di marzo, quando i pastori, prima della transumanza, sopprimevano le pecore e gli agnelli troppo lenti, tant’è che in tedesco significa ‘sopprimere chi rallenta la marcia, chi è troppo lento per seguire il branco’” (ma è anche sinonimo di ‘sradicare, abbattere, eliminare, rifiutare, dimenticare, espungere, estirpare, radiare’) è la cronaca agghiacciante dello sterminio di massa, che prepara la soluzione finale, raccontata col distacco paradossale di uno che avrebbe potuto esserne sia la vittima sia il responsabile, e la freddezza di chi mettendolo in scena cerca di aiutare la gente a affrontare i dilemmi che pone. “Lo spettacolo segue le origini delle idee eugenetiche”, spiega infatti Paolini. “Racconta ciò che accadde in Germania tra il 1934 e il 1939, l’accelerazione della macchina burocratica tedesca verso la sterilizzazione di massa, quando l’eugenetica diventa disciplina universitaria, e poi il salto dalla sterilizzazione all’eliminazione

Per i temi trattati si consiglia la visione ad un pubblico adulto

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Il rammendo delle periferie di Renzo Piano

Ecco cos’è il G124.
L’architetto destina il suo stipendio da senatore a vita a G124, micro progetti di riqualificazione urbana. Questi gli interventi a Milano, Roma, Torino e Catania.
Quando nell’agosto 2013 l’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nomina Renzo Piano senatore a vita insieme al maestro Claudio Abbado, al Nobel per la Fisica Carlo Rubbia e alla farmacologa Elena Cattaneo, l’architetto trasforma il suo studio a Palazzo Giustiniani in una “bottega” di architettura per scommettere sui giovani e sulle periferie. G124 è il nome che sceglie per questo gruppo di lavoro – G sta per Giustiniani, 1 per il piano dove si trova lo studio e 24 per il numero della stanza – composto da sei giovani architetti ai quali Piano destina il suo stipendio da senatore a vita. I progetti pensati dal G124 puntano sul “rammendo” delle periferie italiane attraverso piccoli progetti partecipati. Le aree di intervento sono quelle parti di città dove i piani regolatori non hanno funzionato, dove il rapporto tra servizi e persone si è rotto o non è mai esistito, in cui gli spazi dedicati alla socialità sono stati riempiti nel tempo da emarginazione e abbandono.
Parte da qui il lavoro del G124, dalle periferie, quelle che Renzo Piano chiama “le fabbriche dei desideri” e che lui conosce bene. Nato a Pegli, sobborgo di Genova vicino ai cantieri navali e alle acciaierie, Piano ha dedicato gran parte dei suoi progetti a zone marginali delle città. E lo sta facendo anche oggi con il progetto della sede della Columbia University ad Harlem, New York, con il nuovo Palazzo di giustizia nella banlieue nord di Parigi, Clichy-Batignolles, e con il polo ospedaliero di Sesto San Giovanni a Milano. Quello del rammendo non è un atteggiamento romantico, distaccato e parziale. È tutt’altro. Non si tratta di buttar giù il costruito e il costruito male, né di puntare sulle grandi opere. La sfida urbanistica è quella di trasformare gli spazi sospesi dove i servizi funzionano male e talvolta a rischio ghettizzazione, in periferie urbane dove si possa vivere meglio. Il rammendo si basa su piccole “scintille”, come le chiama l’architetto senatore Piano. Piazze, parchi, piccoli spazi che possono innescare la rigenerazione urbana e sociale.
Il metodo del G124 è sempre lo stesso: si individuano aree deboli spesso a causa di opere incompiute e si elaborano progetti rigorosamente in sinergia con i residenti. Sono loro a sapere cosa non va nel quartiere. Ecco quindi i tavoli di progettazione partecipata. Valorizzando i luoghi storici, come un mercato rionale che rischiava di chiudere e dando ai residenti la possibilità di riviverlo come luogo di scambio e socialità. È quel che è successo a Giambellino Lorenteggio, quartiere della periferia sudest di Milano. L’ultimo intervento del G124 si è rivolto a questo quartiere costruito negli anni 30, in cui oggi, su 6 mila abitanti, il 40 per cento sono stranieri. Bisognava preservare il mercato che rischiava la chiusura, attirare i residenti ma anche gli esterni, anche per evitare fenomeni di ghettizzazione. Gli architetti hanno deciso di abbattere una parete del mercato e di costruire una pedana esterna, per metterlo in dialogo con la Biblioteca comunale, il Laboratorio di Quartiere e il Parco di via Odazio. Obiettivo: ricreare uno spazio comune pubblico e frequentato.
Il G124 opera facendo rete. Era accaduto anche a Torino, tra la primavera e l’estate 2014, a Borgo Vittoria. Quartiere figlio del boom economico, nato per le famiglie degli operai della Fiat, Borgo Vittoria è stato investito poi dall’immigrazione straniera. Oggi tra casi di micro criminalità e poca integrazione è un quartiere che soffre. Al centro del progetto c’è la scuola Cofasso. A riattivare lo spazio è stato il neo Parco senza nome. Un’area diventata polo di aggregazione grazie a piccoli interventi concordati con i residenti. Si tratta di percorsi ciclabili e della trasformazione di un parcheggio in area verde con orti coltivati dai ragazzi. Qui fondamentale è stato l’aiuto dell’associazione Plinto, un gruppo di giovani architetti, la cooperativa sociale Agridea e il parroco Don Angelo Zucchi direttore della scuola Cofasso. Il Parco senza nome è diventato uno spazio di scambio, sul muro si fanno esperimenti di street art.
La scintilla romana è stato il Viadotto dei Presidenti, sogno incompiuto di quella “cura del ferro” che avrebbe dovuto collegare il quadrante nord est della Capitale: Fidene, Serpentara, Vigne Nuove e Porta di Roma. Di quella linea tranviaria progettata negli anni 90 e costruita a metà, rimangono oggi solo 1800 metri di cemento. Lo spazio da cui a partire nell’ottobre 2014 è stato Sotto il Viadotto, all’altezza di quella che sarebbe dovuta essere la stazione Serpentara. Così in attesa che quello spazio potesse essere trasformato in una lunga pista ciclabile, una sorta di High line romana, sulla falsa riga della passeggiata ciclo pedonale che sorge a New York, proprio sotto il viadotto è stata allestita una piazza attraverso il recupero di materiali di scarto e giochi per i più piccoli. Tante le iniziative: concerti, laboratori per bambini e un nuovo punto di incontro in quello che era uno spazio abbandonato.
A Catania, nel settembre 2014, si è cercato di rammendare lo strappo tra la città e il quartiere di Librino, sud ovest della città, sorto per rispondere alle esigenze di alloggi dopo l’espulsione dei residenti da San Berillo Vecchio. La storia di Librino somiglia a quella del Corviale a Roma, il Serpentone di Mario Fiorentino costruito negli anni 70. Un’utopia che si è trasformata in un chilometro di cemento in cui i servizi non hanno mai visto la luce, sostituiti da isolamento e una quotidianità fatta di scarsa manutenzione. Nel 1970, a Librino, l’architetto giapponese Kenzo Tange progettò una città ideale con servizi e spazi verdi. Il risultato fu invece un quartiere irrisolto. Casermoni, il cui simbolo è il Palazzo di cemento, dove le vite delle famiglie fanno i conti il degrado e il malessere sociale. A Librino vivono 80 mila persone e in cui il 55 per cento della popolazione ha meno di 33 anni. La scintilla del G124 viene individuata nelle realtà che da anni tentano di rivitalizzare il quartiere. Qui, infatti, operano associazioni come i volontari Briganti, che con il rugby cercano di togliere i più piccoli dalla malavita. Nel 2012, a San Teodoro di Librino, i Briganti hanno trasformato un terreno incolto in un campo da gioco. Il G124 ha contribuito alla realizzazione del polo di aggregazione con un progetto che si chiama BAL, Buone azioni per Librino. Non c’era l’esigenza di creare un senso di appartenenza, che c’è già, ma di fornire spazi dove riversarlo. Agli anziani sono stati dati gli orti, ai giovani spazi per giocare. Poi, la messa in sicurezza con un terrapieno, un nuovo percorso pedonale che collega la palestra all’Istituto Vitaliano Brancati, dove è sorto il più grande parco d’Italia attrezzato per praticare giochi di strada.
Sembra che il prossimo obiettivo del G124 sia Marghera, a Venezia. Micro progetti in grado di curare le periferie in un Paese apparentemente immobile. Piccoli interventi ed un’azione collettiva perché, come sostiene lo stesso Renzo Piano, “la bellezza salverà il mondo e lo salverà una persona alla volta”.

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Ecco l’altra Torbella

Miglior differenziata, libri, club e fai-da-te. E ora riapre il teatro.
Alemanno la voleva abbattere, migliaia di abitanti si danno da fare per staccarsi l’etichetta di Bronx.
È la Tor Bella Monaca che non t’aspetti quella che si svela dietro il grigiore delle torri “M” e “R” che scalano il cielo con quindici piani e migliaia di inquilini. È l’altra faccia di una periferia conosciuta come il “Bronx capitolino”, il porto franco dell’illegalità, ma con record ed eccellenze sconosciute ai più.

È il quartiere con la più alta percentuale di raccolta differenziata: nel 2015 ha raggiunto il 55% e oltre il 35 lo ha fatto grazie al porta a porta. Ha la popolazione più giovane della città, un tasso di matrimoni civili tra stranieri — se ne celebrano oltre 200 ogni anno — che non ha eguali negli altri municipi, ha un solo istituto di credito — la Bcc di via Aspertini — per circa 30mila abitanti con il bancomat più utilizzato di tutte le filiali del gruppo in Italia, una biblioteca “Marie Anne Erize” di 4.500 volumi “l’ha patrocinata — racconta la presidente Stefania Catallo — l’ambasciata francese e argentina, qui si possono scoprire Proust, Moravia, la letteratura russa e americana”. Benvenuti nell’altra “Torbella”, così l’apostrofano i romani.

Nel quartiere simbolo dell’associazionismo dove molti si rimboccano le maniche e provano a fare piuttosto che recriminare. “Sono 80 i comitati attivi nel quartiere — ci tiene a ricordare il presidente del municipio VI, Marco Scipioni che a Tor Bella Monaca è nato e cresciuto — trovi giovani, anziani, immigrati, attivisti e artisti che lottano per trasformare quello che per molti è un ‘non-luogo’ scollegato dalla città in una fucina di idee e iniziative”. Le mamme del comparto R5 a suon di volantinaggi sono riuscite a far riaprire lo scorso 30 maggio le porte della ludoteca ‘Il sommergibile giallo”. Al centro anziani ‘Ai pini’ incontri la popolazione più longeva di Roma, il più anziano ha 108 anni.
Tor Bella Monaca, i record buoni del quartiere
E tra loro ci sono anche i fondatori della Bcc filiale di Tor Bella Monaca che hanno avuto il coraggio di fondare una cassa cooperativa in un territorio dove nessuno ha mai voluto investire. Troppo rischioso aprire in questa borgata considerata il fortino dello spaccio, l’enclave malata dove i problemi mai risolti da decine di amministrazioni si sono accumulati negli anni insieme alle risse, alle occupazioni abusive, al disagio sociale. La Bcc invece nel ‘92 ha sfidato gli eventi e oggi conta 10mila correntisti. “È la sede — racconta il direttore Andrea Fucili — con più clienti di tutta Roma. Carichiamo i due bancomat ogni giorno, perché quello dopo già sono completamente vuoti”. La fama di borgata inquietante, Tor Bella Monaca prova a cancellarla anche con il suo teatro — qui ha recitato tutta la nouvelle vague di talenti romani — che a marzo alzerà di nuovo il sipario.

Uno spazio che accoglie anche le performance artistiche delle scuole come quelle dell’istituto Amaldi, fiore all’occhiello dell’istruzione romana dove iniziano a iscriversi anche ragazzi di altri quartieri. Finita quasi sempre sui giornali per i blitz anti-spaccio e per il progetto dell’ex sindaco Alemanno di buttar giù i palazzoni, provando così anche a cancellare la vergogna dell’urbanistica sbagliata degli anni Sessanta; Torbella è un territorio che prova a riscattarsi con il fai-da-te. Franco Appettito, titolare della ferramenta in via Amaretta, non ne poteva più di vedere quella
grossa buca aperta nell’asfalto di via Villabate così “ho donato — dice — per amore del quartiere 10 sacchetti di cemento e la manodopera di due operai per chiudere quel cratere che nessuno riusciva a sistemare”. C’è una grande vivacità dietro le finestre opache di un quartiere spesso dimenticato. E come nei film di Kieslowski, la bellezza delle esistenze colora anche i più grigi e anonimi casermoni di periferia.

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L’Internet of Things sbarca a Milano

Nasce a Milano il primo gruppo di lavoro per “The things network (TTN)”, con l’obiettivo di realizzare una rete wireless per l’internet delle cose urbana per lo sviluppo di servizi smart.
Una rete wireless per l’internet delle cose urbana. Dopo l’esperienza di altre città europee nasce anche a Milano il primo gruppo di lavoro per “The things network (TTN)”. Il modello scelto per sviluppare la piattaforma IoT cittadina è quello del crowdsourcing, quindi aperto a soggetti pubblici, organizzazioni di cittadini e aziende, che metteranno a servizio di tencici e ricercatori i propri flussi di dati per ricavare informazioni utili allo sviluppo di servizi rivolti ai cittadini e per facilitare la creazione di servizi IoT per il tessuto imprenditoriale del territorio.

Gli usi
La rete IoT sarà realizzata utilizzando il sistema Lo.Ra. WAN (Long Range WAN), quale tecnologia radio di accesso. Fra i possibili utilizzi si va dal monitoraggio della qualità dell’aria, ai sensori per favorire una mobilità intelligente (smart mobility), dal monitoraggio di aree soggette ad allagamenti (soluzioni di resilienza) al controllo energetico degli stabili comunali (smart buildings), dalla gestione intelligente della pubblica illuminazione (smart lighting) al monitoraggio delle infrastrutture critiche.

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Fotografia, al Macro Testaccio un viaggio tra le periferie di Roma

Si intitola Oltre le mura di Roma la mostra fotografica, che dal 21 gennaio al 10 marzo sarà visitabile al Macro Testaccio – La Factory di Roma. Più di 150 scatti sulle periferie di Roma dei vincitori del concorso fotografico lanciato dai Global Shapers a fine 2015, accanto ai reportage d’autore sulle periferie realizzate in esclusiva dai fotografi Stefano De Luigi, Davide Monteleone, Angelo Turetta, Tommaso Protti e lo stesso Francesco Zizola.

Storie che raccontano la periferia della capitale con sguardi differenti e in diverse direzione. Una storia per immagini di un non-città, di spazi talvolta lontani, sconosciuti non solo ai turisti, ma anche agli stessi romani, dove tuttavia l’isolamento dalla vita che caratterizza il cuore, la parte più centrale di Roma, ha fatto in modo che si creassero invece delle vere comunità. Oltre le Mura di Roma nasce quindi per ridare voce alle periferie romane e raccontare la realtà, spesso trascurata o incompresa, della vita, delle storie e delle persone che le abitano. E’ un viaggio emozionante tra il disagio e le peculiarità di questi luoghi, tra le borgate e i mostri dell’edilizia, dove possono essere colti comunque bagliori di bellezza.

Il progetto, selezionato al meeting annuale del World Economic Forum a Davos come esemplare utilizzo dell’arte come motore di cambiamento sociale, è stato realizzato con il patrocinio del Comune di Roma e ha ricevuto il sostegno di Coca-Cola, Acea, IED Roma e Enel.

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Apple, ipotesi Città della Scienza E poi Cisco si insedierà a Scampia

Nicodemo: «Saranno formati sviluppatori di App per i sistemi operativi».
«Questa è la dimostrazione che il Governo pensa a Napoli. E non soltanto in termini di risorse. È appena partita la bonifica di Bagnoli e ora la città rientra a pieno titolo nelle policy nazionali di sviluppo. Il digitale costituisce l’architrave dello sviluppo moderno e ora Napoli è diventata centrale in un processo straordinario». Francesco Nicodemo, ex membro della segreteria nazionale del Partito democratico, oggi impegnato nello staff della comunicazione di Palazzo Chigi, è laureato in Lettere classiche ma è un vero appassionato di tecnologia e di social network. Ed è entusiasta del duplice accordo che porterà Apple e Cisco a Napoli.

In città arriveranno due giganti, appunto Apple e Cisco, con due iniziative separate: è una coincidenza?
«No, non è una combinazione. Infatti Renzi aveva già scritto qualcosa nelle sue Enews alcune settimane fa. È la conclusione non casuale di un percorso. Infatti tutto questo accade subito dopo la riforma del Senato. Il Governo sta lavorando per cambiare l’Italia e creare stabilità rendendo quindi il paese più attrattivo per gli investitori stranieri. Il tema è nazionale, dunque, ma trova applicazione a Napoli. La cosa davvero importante è che queste grandissime aziende si insedino qui».

Cisco dovrebbe fare base in un istituto superiore di Scampia, l’Itis Galileo Ferraris, è così? E l’avete suggerito voi?
«Sì, Cisco va a Scampia, ed è vero anche che c’è stata una segnalazione da parte nostra. Quella è una scuola straordinaria che si è aggiudicata molti premi nazionali e dove, alla fine dei corsi, è altissimo il placement per gli studenti. Merita attenzione in un progetto più ampio adesso che Cisco viene a Napoli, a Scampia, non nella Silicon Valley, a investire per creare una academy che formerà sistemisti».

Apple ha spiegato che «sosterrà gli insegnanti a preparare migliaia di futuri sviluppatori».
«Saranno formate centinaia di sviluppatori di app per i sistemi operativi Apple. Attenzione, non parliamo di assunzioni. Ma l’iniziativa vale molto di più di 600 sviluppatori e non va assolutamente sottovalutata, è una cosa gigantesca perché sarà l’unico centro di formazione in Italia e Europa. Qui a Napoli. Un altro centro analogo esiste soltanto in Brasile».

E dove sarà collocato? Il comunicato di Apple dice che «il centro di sviluppo App iOS sarà situato in un istituto partner a Napoli»: anche in questo caso avete segnalato una scuola superiore? Ci sono tanti centri di studio e di ricerca dell’università…
«Sono possibilità da non sottovalutare. C’è anche la Città della Scienza. E tanti istituti del Cnr. Queste opportunità potrebbero non essere alternative, nel senso che potrebbe anche crearsi una sana competizione tra vari istituti».

Insomma non è tutto già deciso?
«È così, non è tutto già deciso. Del resto Renzi e Cook hanno portato a Napoli l’iniziativa perché qui ci sono moltissimi programmatori e startupper, operano consorzi per lo sviluppo del digitale e incubatori di imprese. Si può formare un sistema con Apple al centro e tutto il resto intorno. Quindi si può superare la situazione in cui si producono solo idee per realizzare economie di scala per una città che si regga sull’innovazione. Il Governo sta facendo molto per Napoli e la Campania. Da una parte ha puntato sulla cultura, per esempio rafforzando i musei con una nuova organizzazione e con direttori stranieri, e sul turismo culturale, valorizzando gli Scavi di Pompei, Ercolano, la Reggia di Caserta. E ora sta fornendo ciò che serve per una vision . In una vecchia intervista avevo detto che a Bagnoli sarebbe dovuta venire Google. Ecco, viene Apple e abbiamo messo i soldi per la bonifica».

Questo dovrebbe anche migliorare non l’immagine turistica della città che in questo periodo è già buona, ma la sua reputazione. Non crede?
«Certamente. E soprattutto così si evitano discussioni ideologiche e poco concrete. Ricorda il libro Se Steve Jobs fosse nato a Napoli di qualche anno fa? Ecco, i l mio sogno è che tra qualche anno sia Tim Cook a scrivere un libro in cui racconti che si è innamorato di Napoli. Per ora, tuttavia, mi fermo al fatto politico».

A proposito, bisognerà capire chi amministrerà la città nei prossimi cinque anni. Per ora nel Pd è in corsa solo Bassolino.
«Il totonomi non ci porta da nessuna parte. Io credo che il Pd abbia le capacità per mettere sul piatto più nomi validi. Poi si faranno le primarie e chi vincerà sarà il candidato di tutti. Vinca il migliore».

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