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Bando periferie degradate, saranno ammessi anche i progetti preliminari

Accolte le modifiche Anci; i Comuni dovranno approvare il progetto definitivo entro 60 giorni dalla convenzione.
Via libera a progetti preliminari e studi di fattibilità per candidarsi al bando da 500 milioni di euro per la riqualificazione urbana nelle periferie degradate.

La modifica al precedente schema di bando, che ammetteva la presentazione solo di progetti definitivi, arriva dall’Associazione Nazionale Comuni Italiani (Anci), nel corso della Conferenza Unificata del 14 aprile scorso.

Bando periferie degradate: ok a progetti preliminari
La nuova bozza del bando, approvata dalla Conferenza Unificata, ridefinisce alcune delle procedure e dei requisiti di presentazione dei progetti per la riqualificazione urbana nelle periferie.

Una delle novità più rilevanti riguarda l’apertura nei confronti di stadi progettuali non definitivi; infatti lo schema di bando prevede la possibilità di presentare anche uno studio di fattibilità o progetto preliminare.

In tal caso però prescrive che i soggetti proponenti s’impegnino ad approvare, entro 60 giorni dalla sottoscrizione della convenzione o dell’accordo di programma, il relativo progetto definitivo o esecutivo.

Il Presidente Anci, Piero Fassino, ha dichiarato a margine dei lavori: “L’Associazione ha registrato positivamente l’accoglimento degli emendamenti discussi in sede tecnica per cui sarà possibile la partecipazione al bando con la presentazione solo di uno studio di fattibilità e non del solo progetto esecutivo”.

Bando periferie: 3 mesi per presentare i progetti e per valutarli
Lo schema di bando precisa che i soggetti proponenti “dovranno presentare i progetti entro 90 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale”.

In sede di Conferenza Unificata si sono anche stabiliti “tempi certi per la conclusione della procedura di valutazione”. In particolare, sono previsti 90 giorni (circa 3 mesi) dalla scadenza del termine per la presentazione dei progetti per la conclusione del procedimento di valutazione.

Previsti invece 30 giorni per la sottoscrizione delle convenzioni e/o accordi di programma.

Riqualificazione periferie degradate: la altre modifiche Anci
Un altro emendamento Anci accolto riguarda la possibilità per le amministrazioni di richiedere il 10% del finanziamento eventualmente assegnato al momento della firma della convenzione e/o accordo di programma: ciò consentirà di coprire anche i costi di avvio dell’intervento infrastrutturale dei soggetti proponenti.

Infine un’altra questione sollevata da Anci riguarda il conflitto tra città metropolitane e capoluoghi di Provincia.

A tal proposito Fassino ha dichiarato: “Al governo abbiamo chiesto che si espliciti la possibilità di partecipazione anche per le città capoluogo di Regione”; adesso infatti il testo prevede solo la partecipazione delle Città metropolitane e dei capoluoghi di Provincia.

“Se la possibilità di ricevere il finanziamento restasse solo alle Città metropolitane”, ha spiegato il presidente Anci, “si verificherebbe una ingerenza legislativamente e costituzionalmente illegittima perché la Città metropolitana non può decidere un intervento sul territorio di un capoluogo di Regione, prerogativa questa della giunta e del Consiglio del capoluogo stesso”.

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ANCI e ACRI siglano accordo su riqualificazione urbana e sicurezza delle periferie

Promuovere tutte le azioni che possano essere di impulso e di supporto alla completa attuazione del “Programma nazionale di interventi per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle Città metropolitane e dei Comuni capoluogo”, istituito dalla Legge di Stabilità 2016 . È questa la principale finalità dell’Accordo siglato dall’Anci, l’Associazione dei comuni italiani, e dall’Acri, l’associazione che rappresenta le Fondazioni di origine bancaria, che verrà perseguita supportando centralmente la definizione del Programma e, localmente, l’elaborazione di progettualità coerenti con gli obiettivi del Programma stesso.

L’Accordo “intende favorire e sostenere la migliore attuazione del Programma nazionale promuovendo attivamente la realizzazione di situazioni di contesto istituzionale, amministrativo e finanziario, che assicurino il più efficiente ed efficace utilizzo delle risorse pubbliche attivate, la massima integrazione con le iniziative già programmate, il miglior raggiungimento degli obiettivi e fini indicati dalla legge, nonché l’attivazione di risorse private aggiuntive”.

Per garantire la realizzazione degli obiettivi generali stabiliti “ANCI e ACRI si adopereranno per chiedere alla Presidenza del Consiglio il massimo coinvolgimento nelle fasi del Programma, in relazione alla necessità di informare e sensibilizzare i rispettivi associati per il migliore dispiegamento di ogni iniziativa finalizzata a realizzare nei territori processi strutturali di rigenerazione urbana ed effettivo innalzamento del livello di sicurezza delle comunità”.

«L’obiettivo che ci prefiggiamo con la sigla di questo Accordo – afferma Piero Fassino, Presidente ANCI – è quello di sviluppare appieno le potenzialità del Programma nazionale, coordinando al meglio la presentazione dei progetti locali che possano favorire sia l’attivazione e il coinvolgimento di risorse private, a partire da quelle delle Fondazioni di origine bancaria, che la collaborazione con il terzo settore nella elaborazione di progetti di recupero e riqualificazione urbana».

«Questo Protocollo – dice Giuseppe Guzzetti, presidente Acri – è coerente con la previsione della Mozione finale del Congresso Acri di Lucca del 2015, che prevedeva di pervenire a un’intesa con l’Anci che consenta alle Fondazioni di realizzare, in un contesto di sussidiarietà e di rispetto dei ruoli, rapporti di carattere strategico con gli enti del territorio al fine di condividere e ottimizzare, in particolare, iniziative che perseguono obiettivi di coesione e inclusione sociale».

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Il caso Giambellino, la nuova etica delle periferie

Il Comune ha presentato un progetto impegnativo, ma i 4 mila abitanti del quartiere meriterebbero qualcosa di più: l‘impianto urbanistico del 1938 è esausto: bisognerebbe avere il coraggio di cancellarlo e di andare oltre il make-up stilistico di Maurizio De Caro shadow 2 3 2 Una nuova stagione per l’architettura sociale. Da oltre trent’anni il problema più spinoso nel restyling delle nostre città sono le famigerate periferie. Nate per insediare classi deboli nelle condizioni di passaggio dall’economia rurale a quella urbana, sono diventate, in mancanza decennale di manutenzione, monumenti desueti di una cultura dell’abitare ai limiti della dignità. Nonostante questa consolidata valutazione culturale, estetica e urbanistica, Milano ha sempre fatto un’enorme fatica a sostituire «pezzi di se stessa» altamente degradati, come se dovesse mantenere una memoria negativa di un’idea abitativa da neorealismo (e in effetti molti film sono stati girati in quei cortili). Le cause sono molte, e non soltanto economiche, ma anche di natura ideologica, concettuale o di semplice sottovalutazione del problema. Il quartiere Giambellino ad esempio non è un quartiere, è un mondo a parte; dai tardi anni 50 è stato abitato e attraversato dal Cerutti a Vallanzasca, dai fondatori delle Brigate Rosse a Battisti (Lucio), Berlusconi, Abatantuono e Gaber. Eliminate le contaminazioni romantiche potremmo considerarlo come possibile momento di elaborazione di una nuova etica urbana. La sfida è entusiasmante, il Comune ha presentato un progetto impegnativo e articolato, mentre Renzo Piano elaborava le sue pregnanti riflessioni col G124 (Giambellino 124). Ma ci permettiamo di far osservare che questi 4.000 abitanti meriterebbero qualcosa di più di un quartiere nuovo. L’impianto urbanistico del 1938 è a dir poco esausto, bisogna avere il coraggio politico di cancellarlo, andando oltre il make-up stilistico presentato recentemente. Un ambito urbano che è sempre stato rimosso dalle amministrazioni, un’enclave sociale marginale, addirittura misterioso, leggendario nella sua complessità umana. Guardare al Giambellino del futuro è come ricominciare a tessere la trama nuova della città, piuttosto che rammendarla, darne una visione originale e compatibile con le nuove esigenze abitative. Quel pezzo di passato può avere un cuore digitale e deve ambire a una luminosità progettuale come a dimostrare che là dove c’erano «gli ultimi» può nascere e consolidarsi un’idea nuova di residenzialità esente da retorica pauperista. Uno dei luoghi deputati a veder crescere la Milano del terzo millennio, più umana e contemporanea, perché finalmente la periferia possa diventare semplicemente città. Proviamoci.] Il caso Giambellino
La nuova etica delle periferie
Il Comune ha presentato un progetto impegnativo, ma i 4 mila abitanti del quartiere meriterebbero qualcosa di più: l‘impianto urbanistico del 1938 è esausto: bisognerebbe avere il coraggio di cancellarlo e di andare oltre il make-up stilistico.

Una nuova stagione per l’architettura sociale. Da oltre trent’anni il problema più spinoso nel restyling delle nostre città sono le famigerate periferie. Nate per insediare classi deboli nelle condizioni di passaggio dall’economia rurale a quella urbana, sono diventate, in mancanza decennale di manutenzione, monumenti desueti di una cultura dell’abitare ai limiti della dignità. Nonostante questa consolidata valutazione culturale, estetica e urbanistica, Milano ha sempre fatto un’enorme fatica a sostituire «pezzi di se stessa» altamente degradati, come se dovesse mantenere una memoria negativa di un’idea abitativa da neorealismo (e in effetti molti film sono stati girati in quei cortili). Le cause sono molte, e non soltanto economiche, ma anche di natura ideologica, concettuale o di semplice sottovalutazione del problema.

Il quartiere Giambellino ad esempio non è un quartiere, è un mondo a parte; dai tardi anni 50 è stato abitato e attraversato dal Cerutti a Vallanzasca, dai fondatori delle Brigate Rosse a Battisti (Lucio), Berlusconi, Abatantuono e Gaber. Eliminate le contaminazioni romantiche potremmo considerarlo come possibile momento di elaborazione di una nuova etica urbana. La sfida è entusiasmante, il Comune ha presentato un progetto impegnativo e articolato, mentre Renzo Piano elaborava le sue pregnanti riflessioni col G124 (Giambellino 124). Ma ci permettiamo di far osservare che questi 4.000 abitanti meriterebbero qualcosa di più di un quartiere nuovo. L’impianto urbanistico del 1938 è a dir poco esausto, bisogna avere il coraggio politico di cancellarlo, andando oltre il make-up stilistico presentato recentemente.

Un ambito urbano che è sempre stato rimosso dalle amministrazioni, un’enclave sociale marginale, addirittura misterioso, leggendario nella sua complessità umana. Guardare al Giambellino del futuro è come ricominciare a tessere la trama nuova della città, piuttosto che rammendarla, darne una visione originale e compatibile con le nuove esigenze abitative. Quel pezzo di passato può avere un cuore digitale e deve ambire a una luminosità progettuale come a dimostrare che là dove c’erano «gli ultimi» può nascere e consolidarsi un’idea nuova di residenzialità esente da retorica pauperista. Uno dei luoghi deputati a veder crescere la Milano del terzo millennio, più umana e contemporanea, perché finalmente la periferia possa diventare semplicemente città. Proviamoci.

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Dall’Unione Europea 36 milioni per lo sviluppo delle periferie

I fondi serviranno a promuovere qualità dell’abitare, mobilità dolce e informatizzazione dei quartieri. In via Pianell e De Lemene nasce l’hub dell’emergenza abitativa.
Trentasei milioni di euro per lo sviluppo urbano sostenibile delle periferie milanese: sono i fondi stanziati dalla Unione europea che Milano si è aggiudicata, come altre città metropolitane. Il fondo (Pon Metro) servirà a promuovere la qualità dell’abitare, la mobilità dolce, la valorizzazione sociale degli spazi e l’informatizzazione. Per fare qualche esempio, rientra nel pacchetto la creazione di una pista ciclabile da piazza Sempione a piazza Firenze, l’ampliamento della rete di stazioni di bike sharing, l’installazione di pali della luce «intelligenti» (utili anche per la ricarica delle auto elettriche o di pc e cellulari), ma anche le azioni di contrasto alla povertà abitativa, i servizi per l’inclusione dei senza dimora, la creazione di quartieri web (con tecnologie per la trasparenza e il controllo a favore degli inquilini delle case popolari).
Ad illustrare l’acquisizione dei fondi europei gli assessori Benelli, Majorino, Tajani e Maran. «È la prima volta che fondi europei arrivano direttamente ai comuni metropolitani senza passare dalle Regioni – ha spiegato Daniela Benelli -. Questi comuni vengono identificati come territori chiave per la crescita e lo sviluppo. Abbiamo deciso di destinare queste risorse ai quartieri periferici lasciando una eredità importante alla città e alla prossima amministrazione».

La fetta più consistente del fondo va al capitolo «Abitare»: 10 milioni e 265 mila euro. Verranno ristrutturatiti gli stabili di via Pianell e De Lemene oggi inutilizzati: il primo sarà l’hub dell’emergenza abitativa con residenze transitorie per famiglie sfrattate e in situazioni di disagio. Il secondo ad uso residenziale. Così le portinerie vuote degli stabili Erp comunali saranno restituite all’uso degli inquilini. Un altro esempio, per il capitolo «innovazione e agenda digital», sarà la ristrutturazione di uno spazio pubblico di 1.000 metri quadrati al Lorenteggio, dotato di beni e tecnologie: «Un luogo fisico di inclusione sociale», ha aggiunto Cristina Tajani. I fondi saranno destinati così alla riqualificazione di spazi in disuso, che saranno riassegnati per attività sociali, culturali, di accoglienza e inclusione. «L’azione sarà rivolta a chi vive in condizioni di grave emarginazione, come i senzatetto e le persone con disabilità motoria e sensoriale e gli anziani – ha concluso Pierfrancesco Majorino -. Nel programma c’è anche la ristrutturazione di appartamenti confiscati alla mafia, per l’avvio di sperimentazioni di avvio all’autonomia. Ma vogliamo anche adeguare alloggi comunali perché siano pienamente accessibili e dotati degli apparecchi che consentano libertà di movimento e una vita più autonoma»

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Quella palestra di Scampia che salva i ragazzi dalla violenza

Per 8 anni consecutivi la migliore in Italia di karate.
“Per me è una missione. Sogno una città normale”.
C’è un posto che, in un mondo giusto, sarebbe famoso per i campioni di karate che sforna, per le medaglie che riportano in Italia quando tornano dai campionati in ogni angolo del globo,per le coppe e i trofei che riempiono gli scaffali. E invece questo posto – che poi è Scampia, periferia nord di Napoli – è tristemente noto per Gomorra, le sparatorie, lo spaccio, le sentinelle che ululano quando ci si avvicina alle «Vele».

Il luogo di cui stiamo parlando è la palestra di una scuola elementare, dove un’ottantina di ragazzi si allenano nei loro kimono bianchi e, una quarantina di ragazze studiano danza e lo fanno all’ombra di un tabellone per il basket piazzato lì per gli altri, quei bimbi che frequentano l’istituto la mattina. Devono fare tutto presto e in fretta perché il tempo a loro disposizione è tra le 17 e le 20, non un minuto in più. In questa palestra, la A.s.d. Champion Center, ci sono medaglie vere: sessanta ori, cinquantadue argenti, 48 bronzi e il premio – per otto anni consecutivi – di migliore società italiana di karate. Il tutto, a partire dal 2002, certificato dalla Fijlkam, Federazione italiana judo karate arti marziali. Medaglie significa anche volti, storie. Come quella di William,che è arrivato terzo al campionato mondiale e dopo il diploma di geometra sta studiando – grazie ad una borsa di studio – ingegneria all’università o Pasquale, oro alle paraolimpiadi, alle quali, tra l’altro, era iscritto come «partecipante più giovane». O ancora, Emanuele, ventidue anni come William, secondo ai campionati europei e una stretta di mano che ti trasmette tutto il suo orgoglio e la voglia di farcela.

A fondarla è stato Massimo Portoghese, atleta, oggi allenatore della squadra italiana giovanile di karate. «Io sono nato qui, a Scampia, ed ho sempre desiderato che la mia società potesse nascere in questo quartiere. Chiediamo da anni uno spazio più consono, che non ci costringa a concentrare tutte le attività in un tempi così brevi, ma non abbiamo mai avuto ascolto», racconta. Cintura nera quinto Dan, insegnante di body building, ha iniziato a fare karate a sei anni, quasi quaranta anni fa, e nel 1996 ha costituito la prima società.

«Il primo fu don Aniello Manganiello: concesse alla mia associazione una struttura all’Oasi del Buon Pastore e proprio lì, in una palestra sprovvista persino di un tappeto, nel pieno centro della piccola criminalità, iniziai a costruire un primo gruppo. Poi, in un secondo momento, un amico aprì una palestra in via Appia verso Scampia e ci concesse una struttura per poterci allenare; poi siamo venuti qui. Vorrei che le istituzioni ci consentissero di utilizzare uno dei tanti beni confiscati alla criminalità organizzata, perché questo avrebbe anche un valore simbolico», aggiunge. Lo sport è uno strumento che ragazzi e ragazze utilizzano per mettere il naso fuori da una realtà difficile, dura. «Ci sono ragazzi che sono arrivati qui con gravi problemi personali, famiglie distrutte,genitori violenti che entrano ed escono dal carcere, ed oggi sono brillanti atleti, studiano all’università, ce l’hanno fatta. Ho la bellezza di sei ragazzi agonisti che oggi, grazie anche al sostegno economico della Fondazione Pavesi, diventeranno dottori», ricorda.

Molti ce la fanno, ma non tutti. «Penso spesso ad Antonio che trafficava droga e che, per questo, si trova ancora in galera», ammette il maestro, che ha organizzato una struttura nella quale chi vince una medaglia poi mette a disposizione le cose che ha imparato a favore dei più piccoli, diventa maestro a sua volta. «Voglio diventare forte per combattere i cattivi», dice Salvatore, otto anni, nato a Scampia, ospite fisso della palestra. «Io invece voglio diventare un maestro di Karate, così aiuto i bambini a non stare in mezzo alla strada», racconta invece il piccolo Christian. E le bambine? Per loro c’è la danza. E ad insegnare loro piroette,volteggi, ma soprattutto regole e disciplina, c’è Caterina Gibelli, moglie di Massimo Portoghesi da venti anni. Due figli, Morena e Alessandro che a 17 anni è già campione italiano di Karate, studia al liceo scientifico e aiuta il papà ad allenare i piccoli campioni. «Voglio solo che realizzino i loro sogni», dice Massimo parlando dei suoi figli. E a volte, per inseguire i sogni, non bisogna andare molto lontano. A Scampia, all’ombra delle Vele, c’è una palestra dove nascono i campioni.

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Dallo Stato la maggior parte dei finanziamenti per l’Innovazione sociale

Il rapporto del Ceriis (Università Luiss e Fondazione ItaliaCamp): le esperienze di innovazione sociale sono ancora scarsamente sostenibili dal punto di vista finanziario. Serve maggiore interazione tra profit e non profit.
Innovazione sociale al centro dell’attenzione con il secondo rapporto del Ceriis (Centro di ricerche internazionali sull’innovazione sociale), costituito all’interno dell’Università Luiss Guido Carli e sostenuto dalla Fondazione ItaliaCamp. Un documento che si pone l’obiettivo di comprendere e descrivere i principali modelli utilizzati nel nostro Paese al fine di realizzare progetti di innovazione sociale. Temi snocciolati anche nel corso di un convegno organizzato da ItaliaCamp e Agenzia Nazionale per i Giovani nei giorni scorsi alla Camera dei Deputati. Durante il quale, per intendersi, sono stati portati ad esempio di innovazione una società di consulenza a cavallo tra il profit e il non, ma anche una banca e una società che recupera abiti destinati al macero per dar loro una seconda vita.

La caratteristica di base dell’innovazione sociale è quella di soddisfare un bisogno collettivo, in maniera migliore di quanto fatto in precedenza. Ma quali sono gli interventi dei quali ha bisogno la società italiana? Assistenza sanitaria, assistenza sociale, integrazione sociale, formazione e inserimento professionale, cultura e valorizzazione dei beni culturali; miglioramento dell’ambiente e dell’eco-compatibilità delle attività umane, rivitalizzazione delle aree urbane e del territorio, mobilità sostenibile, sicurezza, sviluppo e condivisione di dati e informazioni, condivisione di beni, attività, conoscenze (sharing economy). Perché si faccia innovazione sociale, dunque, il pre-requisito fondamentale è comprenderne il contesto di applicazione e le possibili criticità.

Con l’analisi di 462 casi, il report insiste sulla tipologia innovativa dei progetti analizzati, che può essere di tecnologica o relazionale. “Nel campione”, dettaglia una nota, “non vi è una netta predominanza di una tipologia innovativa rispetto ad un’altra: relazionale (35%), tecnologica (35%), progetti caratterizzati da entrambe le innovazioni (30%). Tuttavia, la maggior parte degli attori intervistati considera quali elementi innovativi della propria offerta di innovazione sociale proprio la relazione, la collaborazione e lo scambio con gli altri attori evidenziando un probabile effetto delle relazioni sul successo dell’innovazione sociale”.

Per quanto riguarda invece la sostenibilità economico-finanziaria, la maggior parte delle iniziative risulta scarsamente sostenibile (54%). Quanto al finanziamento, il rapporto mette in luce che nel 2014 e nel 20151 sono stati stanziati fondi pari a circa 39 milioni di euro. Sono stati censiti nei 2 anni di riferimento un totale di 33 bandi, di cui 6 sono stati lanciati esclusivamente nel 2014 e 19 nel 2015: “La recente nascita del fenomeno necessita ancora del ruolo dello Stato come attore finanziatore dei progetti”, si dettaglia.

Investimenti per tipologia di attore e investimento medio
(cifre espresse in migliaia di euro)

Soggetto finanziatore Privato Pubblico Fondazione Totale

Totale investimenti 1.775 14.935 22.385 39.095
Totale in percentuale 5% 38% 57%
Numero finanziamenti 8 16 10
Media finanziamento 222 933 2.239

I protagonisti dell’innovazione si rivelano senza troppe sorprese le organizzazioni del non profit.
A livello di politiche da attuare, proprio la necessità di un dialogo tra mondo profit e no profit, che fino ad oggi si sono mantenuti sempre distanti, è risultata come centrale. E’ bene invece che i progetti a base etica trovino anche una loro sostenibilità economica.

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Indice-e-Prefazione-del-Secondo-Rapporto-sullInnovazione-Sociale




Creare integrazione nelle periferie

L’esperienza di “Oltre i margini”.
Come si genera integrazione nel comune più multietnico d’Italia.
Baranzate è un comune della periferia milanese dove un abitante su tre è migrante. Qui ha preso vita Oltre i margini, progetto realizzato che si propone di offrire servizi concreti alla comunità e di favorire l’inclusione sociale attraverso due diritti fondamentali: salute e lavoro. Con l’obiettivo di coinvolgere oltre 2.200 persone l’iniziativa dimostra come, grazie a strumenti soft basati sulla collaborazione tra attori e comunità locali, si può provare a realizzare una vera integrazione e recuperare le periferie cittadine.

Baranzate: 1 Comune, 72 etnie

Il Comune di Baranzate è primo in Italia per concentrazione di migranti residenti (33% su 11mila abitanti) e comprende complessivamente 72 etnie diverse. Nella scuola cittadina 6 alunni su 10 sono stranieri.

Il 70% dei migranti residenti vive nell’area del Villaggio Gorizia, un piccolo triangolo ad alta densità abitativa chiuso tra le mura di cinta dell’ospedale Sacco, la SS Varesina, il campo nomadi di Via Monte Bisbino e un grande parcheggio all’aperto ad est che segna il confine con il comune di Novate Milanese. Il tipico quartiere periferico dunque con strade circondate da palazzi costruiti durante il boom di ormai 40 anni fa e capannoni dismessi ma che, nonostante le sue problematiche storiche, mantiene una certa vivacità grazie alla presenza di numerose attività commerciali aperte da stranieri.

Un luogo particolarmente adatto quindi alla sperimentazione di nuovi modelli di convivenza e integrazione tra culture previsti dell’Agenda Onu 2030, con particolare riferimento agli obiettivi 10 “Ridurre le disuguaglianze all’interno e tra i Paesi” e 11 “Città e comunità sostenibili”.

Lavoro e salute, le linee guida del progetto

Il progetto si articola intorno a due filoni di attività: il sostegno all’inserimento lavorativo e la promozione della salute.

Sul fronte dell’inserimento lavorativo, il progetto parte dalla consapevolezza che il contesto culturale e familiare di provenienza delle donne migranti rappresenta spesso un limite all’ingresso nel mondo produttivo, sia per le resistenze di molti mariti che per la difficoltà nel trovare strumenti adeguati di conciliazione famiglia-lavoro. “Oltre i margini” si propone quindi di far fronte a questa difficoltà principalmente supportando nella quotidianità lavorativa le donne inserite presso la sartoria sociale “Fiore all’Occhiello”, avviata dall’associazione La Rotonda nell’ottobre 2014. Il progetto propone ad esempio l’affiancamento di mentori, donne migranti vicine per lingua e cultura a quelle impiegate in sartoria, che abbiano superato con successo le difficoltà di inserimento lavorativo; l’attivazione presso la sede de La Rotonda di uno spazio baby-sitting part-time a cui le madri impiegate in sartoria potranno affidare i bambini nei periodi extra-scolastici; l’apertura di un “Caffè delle donne”, dove le donne in cerca di un luogo di relazione potranno incontrarsi e dialogare apertamente rispetto a problematiche comuni. Parallelamente, con lo scopo di sostenere le donne in questo percorso, “Oltre i margini” promuove incontri di informazione e sensibilizzazione rivolti ai mariti, condotti da Don Paolo Steffano, parroco di Baranzate. Rientrano in “Oltre i margini” anche la formazione professionale specialistica di 2 donne della sartoria (stilista e addetta alle vendite) e il sostegno nella ricerca attiva di lavoro per donne e giovani, entrambi le attività realizzate in collaborazione con AXA Italia.

Sul fronte della promozione della salute, attraverso il progetto “Porta della Salute”, attivo dall’ottobre del 2015, l’associazione La Rotonda ha scelto di ovviare alle carenze strutturali del Comune di Baranzate aprendo uno sportello medico (per due pomeriggi la settimana) e un servizio di assistenza pediatrica (un pomeriggio alla settimana) garantito dalla collaborazione di un pediatra del Centro Diagnostico Italiano. Partendo dalla consapevolezza dell’importanza di scelte alimentari corrette, saranno organizzati incontri di promozione per un’alimentazione sana ed equilibrata per le donne migranti in gravidanza e allattamento a cui si aggiungeranno 10 laboratori di cucina rivolti a circa 8 donne condotti da un nutrizionista dell’Ospedale Sacco e una mediatrice culturale. Attraverso il cooking e lo scambio di ricette le donne potranno sperimentare piatti sani a partire da ingredienti che fanno parte della propria cucina tradizionale. Per incentivare la partecipazione al laboratorio, al termine di ciascun incontro, sarà consegnato un pacco di alimenti freschi e secchi con cui preparare piatti sani e adatti alla propria condizione.

L’attenzione alla tutela della salute sarà indirizzata anche ad un altro target particolarmente vulnerabile: circa 80 adolescenti che frequentano regolarmente gli spazi de La Rotonda, a cui saranno rivolti incontri di informazione dedicati alle malattie a trasmissione sessuale tenuti da esperti dell’Ospedale Sacco. Particolare attenzione sarà dedicata alla prevenzione del Papilloma Virus tra le giovani donne e alla trasmissione dell’HIV. I giovani coinvolti negli incontri teorici saranno successivamente invitati ad attivarsi personalmente attraverso la partecipazione ad attività multimediali di sensibilizzazione rispetto al tema dell’HIV promosse da Cesvi in collaborazione con La Rotonda. In questo modo, loro stessi saranno protagonisti di una più ampia azione di sensibilizzazione da veicolare ai propri pari attraverso strumenti e linguaggi espressivi a loro vicini.

L’impatto atteso

Il primo elemento che suggerisce il potenziale del progetto è la rete attorno cui esso ruota. Al progetto partecipano Fondazione Bracco, Cesvi, l’associazione La Rotonda, Centro Diagnostico Italiano e Ospedale Sacco: una rete di attori diversi operanti sullo stesso territorio che portano le proprie competenze e risorse per raggiungere un obiettivo, quello appunto dell’integrazione, che singolarmente non potrebbero perseguire. In questo modo si persegue anche quell’integrazione tra policy fondamentale per migliorare l’efficacia delle risposte e ampliarne l’impatto: si stima che nei 12 mesi oltre 2.200 persone saranno direttamente coinvolte nelle attività (con attenzione prioritaria, ma non esclusiva, a migranti residenti, in particolare donne, bambini e adolescenti), 20 donne usufruiranno del servizio di baby-sitting, 14 persone lavoreranno alla sartoria in modo continuativo, 2mila persone accederanno allo sportello “Porta della salute”.

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Come ci ha spiegato Diana Bracco, Presidente di Fondazione Bracco, «a Baranzate sta operando un vero laboratorio sociale che tocca aspetti fondamentali della vita, come il lavoro e la salute. Di fronte al fenomeno migratorio che impatta pesantemente sulla vita delle periferie delle grandi metropoli abbiamo sentito l’esigenza di fare qualcosa di concreto. Con questo progetto siamo andati oltre alla semplice solidarietà, abbiamo guardato alla solidarietà creativa, basata sulla capacità progettuale».

Per don Paolo Steffano, parroco di Baranzate, a Villaggio Gorizia è stato creato «un nuovo trattato di Schengen con cui è stato messo a punto un sistema innovativo, un vero e proprio laboratorio sul futuro che fa delle differenze il suo più grande motore di crescita».

Effettivamrnte, al di là dell’ampliamento dei servizi offerti, la rilevanza del progetto sta nel tentativo di realizzare una reale integrazione tra le comunità di abitanti e di ricostruire il tessuto sociale delle periferie attraverso strumenti soft che creano valore dalle relazioni. Una sperimentazione che, viste le sfide che l’Europa si trova oggi ad affrontare – e che negli anni a venire saranno probabilmente ancora più grandi – potrebbe fornire un contributo davvero significativo sulla strada dell’integrazione.

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Teiuto la piattaforma di social e-learning

La startup Appsolut Studio, formata da quattro studenti dell’Università di Bologna, ha lanciato un servizio gratuito che mette in contatto tutor e apprendisti e permette di tenere lezioni in streaming anche a più persone contemporaneamente in discipline che vanno dalla fotografia all’economia aziendale .
Prendere ripetizioni di inglese o fotografia, imparare a suonare la chitarra o il pianoforte, anche se l’insegnante sta a 200 chilometri di distanza. E tutto gratuitamente per i tutor. L’idea di una piattaforma di social learning online che metta in contatto tutor e “apprendisti” è venuta a Appsolut Studio, un gruppo di quattro universitari dell’Alma Mater di Bologna tra i 20 e i 24 anni: Marcello Violini, Christian Filippetti, Lorenzo Nargiso (studenti di informatica per il management) e Federico Giuggioloni (studente di informatica).

“Teiuto” – così si chiama la piattaforma – dà la possibilità a chiunque abbia una conoscenza in una disciplina, di mettersi in “vetrina” e guadagnare da subito sfruttando le proprie doti. Le lezioni si svolgono in videoconferenza e il tutor può aggiungere una cerchia di allievi, organizzare un calendario, comunicare con gli studenti usando un servizio di messaggistica interna. Basta cliccare su https://teiuto.com, registrarsi come studente o tutor, selezionare la materia di interesse e la città e mettersi in contatto con l’insegnante scelto.

“Dei pagamenti non ci occupiamo noi altrimenti questo implicherebbe dei costi per noi e quindi per gli utenti, invece la gratuità è uno dei nostri punti forti, insieme alla qualità degli strumenti che mettiamo a disposizione” spiega Marcello Violini. “Lasciamo quindi che la questione economica se la gestiscano tra loro. Per ora noi non ci gaudagniamo niente, anzi… mettendo a disposizione anche lo streaming dei dati ci rimettiamo. Contiamo di monetizzare in futuro, senza però che costi un euro ai nostri iscritti. Per ora, a soli 3 giorni dal lancio contiamo già 450 iscritti tra tutor e ‘apprendisti’, solo grazie alla diffusione virale via social network. Con oltre mille materie tra cui scegliere, vorremmo diventare una community per la conoscenza”.

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Festa di primavera

Carissimi bambini,bambine e genitori siamo lieti di invitarvi
Alla “ FESTA DI PRIMAVERA “ che si svolgerà
VENERDI 15 APRILE alle ore 16.30 presso la sede
della Cooperativa Sociale IL CAROSELLO
via Mario De Renzi,44 ( zona Pisana – Colle Massimo )
Nel corso del pomeriggio con forbici, colle, collage e colori
organizzeremo insieme a bambini
LABORATORI A TEMA PRIMAVERILE.
Inoltre verrà proposto il LABORATORIO ARTISTICO MUSICALE di ascolto attivo
Dove i piccoli partecipanti saranno stimolati ad ascoltare
brani musicali interpretandoli con matite,tempere….
Sarà l’occasione per presentare i nostri servizi.
OPEN DAY.
INTERVERRA’ LA PRESIDENTE DEL XII MUNICIPIO CRISTINA MALTESE
Cari genitori ,cari bambini vi aspettiamo
per trascorrere un pomeriggio insieme

programma

Centro estivo 2016




Lupi(Ap): commissione d’inchiesta alla Camera sulle periferie

Proposta in discussione a giugno, previsto un anno di lavori.
Una commissione parlamentare d’inchiesta sullo stato delle periferie nelle città italiane. La proposte è di Maurizio Lupi, capogruppo di Area popolare alla Camera, che l’ha presentata al Gratosoglio, quartiere popolare di Milano simbolo della ricostruzione del Dopoguerra e oggi in gran parte restrutturato.

“Parigi e Bruxelles hanno dimostrato come i terroristi non vengono da fuori, purtroppo sono figli degli immigrati di prima e seconda generazione che sono diventati cittadini francesi o belgi e hanno vissuto in quelle periferie abbandonate. L’Italia non può permettersi questo lusso, deve investire in sicurezza, in prevenzione, in collegamento tra servizi segreti dei diversi Stati, ma deve anzitutto investire nella riqualificazione delle nostre periferie per evitare che le periferie milanesi, quelle di Palermo o di Napoli diventino delle banlieue o delle Molenbeek italiane”.

Autore della proposta, che sarà esaminata a giugno dall’assemblea di Montecitorio, è anche Andrea Causin, deputato di Area popolare secondo il quale la commissione dovrà concentrarsi su tre obiettivi: “Una forte azione di monitoraggio nei quartieri a prevelenza islamica, una forte mappatura del degrado, ma anche alcune idee da suggerire al Parlamento e al governo per poter agire sul versante della sicurezza e dell’integrazione”.

Se la proposta verrà accolta dalla Camera senza modifiche la commissione sarà composta da venti membri e avrà un anno di tempo per concludere i lavori.

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