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Radio impegno, la prima web radio notturna contro mafia e criminalità

Un progetto sostenuto da 40 associazioni, racconta Massimo Vallati, responsabile del Calciosociale e tra i promotori della Radio, anche se entro Natale si conta di arrivare a quota 100. In collaborazione con Asl e i municipio “si lavorerà per offrire un servizio notturno di assistenza alle persone più in difficoltà”.
Sette mesi fa un incendio doloso aveva tentato di cancellare il Campo dei Miracoli a Corviale, Roma, il primo centro di calcio sociale al mondo dedicato allo sport, sì, ma soprattutto all’integrazione. Le fiamme, però, non sono bastate a cancellare quello che negli anni, con la collaborazione dell’associazione Libera di Don Luigi Ciotti, è diventato un luogo simbolo di legalità e lotta alla malavita. Il 30 maggio, infatti, sulle ceneri di quell’episodio, proprio al Campo dei Miracoli ha inaugurato Radio Impegno, la prima web radio notturna d’Italia nata per dire no alla mafia e alla criminalità. Un progetto sostenuto da 40 associazioni, racconta Massimo Vallati, responsabile del Calciosociale e tra i promotori della Radio, anche se entro Natale si conta di arrivare a quota 100. E che tra i suoi obiettivi ha “la denuncia delle piccole e grandi prepotenze della criminalità”, e l’invito, rivolto alla cittadinanza, “a partecipare alla vita sociale e politica della città”.
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“Vogliamo costruire una rete di tutti quei soggetti impegnati a diffondere la cultura della legalità e rispondere insieme e più forti contro chi vuole distruggere i nostri sogni – spiegano i fondatori di Radio Impegno – di notte hanno voluto colpire il Campo dei Miracoli, atto infame e intimidatorio contro di noi e contro tutti gli uomini e le donne che provano ogni giorno a cambiare questa città. Così anche noi scegliamo la notte, per mostrare il lato migliore di noi, la nostra capacità di far rete, di unirci solidali. Per la prima volta a Roma numerose associazioni potranno quindi unirsi insieme per dare una scossa: non si tratta solo di Corviale, ma della nostra città”.

Radio Impegno trasmetterà tutti i giorni, da mezzanotte alle sette del mattino, ospite per la puntata zero, andata in onda la notte tra il 29 e il 30 maggio, il capo della Polizia Franco Gabrielli, mentre il presidente di Anac Raffaele Cantone interverrà nel corso della prima puntata ufficiale, il 30. Ad appoggiare il progetto, poi, anche testimonial d’eccezione come Aldo Bonucci, Ricky Tognazzi, Marco Travaglio, Zoro e Don Ciotti.

Per quanto riguarda il palinsesto, invece, sarà in continua evoluzione. Si parlerà di legalità, di lotta alla criminalità, grandi opere e appalti, “per evitare che si trasformino nell’ennesima occasione mancata”, e in collaborazione con Asl e i municipio, “si lavorerà per offrire un servizio notturno di assistenza alle persone più in difficoltà”. Ampio spazio, poi, verrà offerto alle associazioni, sia quelle che hanno contribuito alla nascita del progetto, sia alle realtà sociali che vorranno partecipare. “Collegarsi sarà facile, anche con chi si trova fuori Roma, basta un cellulare. Speriamo che tanti decidano di partecipare, di essere protagonisti e di portare avanti assieme a noi le loro battaglie. Una voce sola non basta – precisa Radio Impegno – solo una rete solida e motivata potrà dar vita ad un progetto collettivo così ambizioso”.

Diffondere la cultura della legalità via web, spiega Vallati, “è il primo passo per cambiare nel concreto le cose. Non solo le voci ma anche le facce, per non perdere Roma. Noi saremo online ogni notte, per sette ore, un canale di controinformazione libero e indipendente”.

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COSTRUIRE IL WELFARE LOCALE È COSTRETTO AD INTERROMPERE LE PROPRIE ATTIVITÀ

Con grande rammarico vi comunichiamo che dal 2 settembre il Progetto Well-Fare | Tra mediazione e comunità, costruire il welfare locale nel Municipio Roma IV ha esaurito il proprio mandato ed è costretto ad interrompere le proprie attività. Il Municipio Roma IV ha infatti deciso di chiudere tutte le convenzioni con gli Enti attuatori del Piano regolatore sociale municipale e di rimettere i servizi a bando.

Ci dispiace dover interrompere bruscamente le nostre attività: speravamo infatti in una soluzione diversa che ci permettesse di operare in continuità fino alla nuova aggiudicazione dei bandi, ma cosi non è stato.

La situazione attuale, che vede l’interruzione drastica delle attività fino a nuova aggiudicazione, potrebbe causare l’assenza dei progetti per un lungo periodo non permettendo quindi nessuna programmazione. Vengono perciò interrotti percorsi educativi e di inclusione sociale nelle scuole e nei centri anziani, in quartieri multiproblematici in cui il lavoro di costruzione di un sistema di welfare locale dovrebbe avere una continuità nel lungo periodo per essere veramente efficace.

Vi scriviamo per darvi un arrivederci e per ringraziarvi delle bellissime esperienze fatte insieme che hanno visto nascere due reti sociali a San Basilio e Pietralata (San Basilio Social Street e Pietralata Social Street) che hanno raggruppato l’insieme delle Associazioni, del Privato Sociale e delle Scuole dei due quartieri.

A San Basilio, Pietralata e ultimamente a Settecamini, abbiamo avviato laboratori e performance dove gli anziani hanno recitato, le donne tessuto e condiviso, le associazioni collaborato. Con i bambini delle scuole abbiamo costruito tanti arredi urbani e con gli adulti abbiamo ripulito e riqualificato le piazze e le aree verdi del territorio. Con i bibliopoint e i centri culturali abbiamo organizzato attività culturali e con tutti voi abbiamo costruito indimenticabili, piccoli e grandi eventi di quartiere in cui molti hanno cucinato, altri suonato e ballato, in cui i bimbi hanno giocato, gli aquiloni hanno volato, gli adulti partecipato.

A tutti voi va il nostro commosso ringraziamento, sperando ci sia ancora un futuro insieme e che il lavoro comune non venga vanificato. Lo speriamo davvero con tutto il cuore.

L’equipe del Progetto Well-Fare | Tra mediazione e comunità, costruire il welfare locale

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Street Art: Tor Marancia sbarca a Venezia

Il progetto Big City Life selezionato per la Biennale

Il Progetto ormai nel quartiere lo conoscono un po’ tutti, difficile farlo passare inosservato, soprattutto per le splendide facciate dei palazzi Ater reinterpretate da grandi street artist internazionali. Big city life è stato realizzato a Tor Marancia nel 2014, grazie al Protocollo di intesa tra Municipio VIII, ATER, Associazione Culturale 999Contemporary e al contributo di Fondazione Roma.

Un progetto che ha già portato molta attenzione sul quadrante e che adesso riceve anche questo importante riconoscimento: la selezione per il Padiglione Italia alla 15° Mostra Internazionale di Architettura, che ha per tema “Taking Care – Progettare per il bene comune”. “Possiamo dirci davvero orgogliosi di portare l’eccellenza culturale del nostro Municipio VIII fino alla vetrina internazionale ‪della Biennale‬ di ‪Venezia‬ – afferma l’Assessore municipale alla Cultura, Claudio Marotta – Perché è con questo spirito che abbiamo lavorato al servizio del territorio: tentare di raggiungere risultati di eccellenza e, allo stesso tempo, insistere su ogni fronte con un attento lavoro di coesione sociale”.

Da sempre il progetto ha avuto il sostegno delle istituzioni municipali: “Un’esperienza unica, dove arte e rigenerazione urbana si sono incontrate per regalare bellezza e cultura al quartiere, al Municipio, alla città ed oggi al mondo intero, grazie alla visibilità universale della Biennale – scrive in una nota che annuncia la selezione il minisindaco uscente e ricandidato al Municipio VIII, Andrea Catarci – Big City life a Tormarancia rappresenta anche molto di più, per quel che è nato durante ed intorno alle opere dei 22 artisti internazionali. Si è attivata la partecipazione diretta degli abitanti dei lotti popolari, dove è nata l’esperienza dell’Associazione mast35 – seguita – Tanti giovani hanno abbracciato il progetto di recupero e hanno realizzato un vero e proprio museo a cielo aperto di arte contemporanea con visite guidate e cura dei lotti e delle opere”.

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Lo sport sociale alla Biennale di Venezia

Lo sport è un bene della comunità che fa bene a tutti, il simbolo per eccellenza dello stare insieme, emblema del valore della partecipazione e del coinvolgimento di tutti, senza lasciare nessuno ai margini. L’architettura, a sua volta, è uno strumento al servizio della collettività. Ecco perché lo sport sociale arriva alla Biennale d’architettura di Venezia con l’Uisp, l’Unione Italiana Sport per Tutti, che presenta il progetto To Moves – Torino Movement, Values, Expression, Sport, ovvero un presidio stabile per l’educazione alla convivenza civile, al rispetto e alla cittadinanza attiva attraverso il gioco, lo sport e il movimento.

“L’Uisp è alla Biennale Architettura di Venezia perché è parte di un progetto promosso dal ministero della Cultura”, ha detto Vincenzo Manco, presidente nazionale Uisp. “Abbiamo costruito, insieme ad uno studio di architetti, un dispositivo che possa essere installato nella periferia di Torino, al Parco Dora. Con questo strumento l’Uisp animerà le periferie con giochi di strada, sport, animazione e giocoleria. Lo facciamo perché c’è bisogno di rigenerare le periferie e costruire relazioni positive. Quel dispositivo sarà un presidio di costruzione di cittadinanza attiva, rispetto dell’ambiente e dei valori di solidarietà e fratellanza tra i popoli”, ha affermato.

Marco Navarra, l’architetto dello studio Nowa che ha pensato il dispositivo per l’Uisp, ha presentato il progetto spiegando che “lo sport cambia la vita delle persone perché riesce a cambiare lo spazio in cui vivono le persone, rompendo i confini in cui spesso siamo costretti a vivere. Stiamo lavorando ad un dispositivo mobile che può essere utile per le attività che l’Uisp svolge nelle periferie italiane, offrendo una serie di spazi e articolazioni che si prestano a diverse attività”.

Il progetto è stato presentato alla Biennale, nel Padiglione Italia, intitolato Taking care – Progettare per il bene comune, che promuove 20 progetti nati “dal basso”. Organizzato nelle tre sezioni Pensare, Incontrare e Agire, mostra cosa significhi utilizzare l’architettura per incidere sulle trasformazioni sociali ed economiche dell’ambiente costruito e sottolineare come l’architettura possa fare la differenza anche in contesti con grande limitazione.

To Moves fa parte del progetto più ampio Periferie in Azione e punta alla realizzazione di altri quattro container carrabili diversamente allestiti che da Venezia come destinazione cinque periferie urbane. C’è appunto lo Sport-box curato da Uisp che andrà a Torino (Nowa), un ambulatorio mobile gestito da Emergency (progetto di Matilde Cassani), un Green-box realizzato con Legambiente (cooperativa Arcò), un Legality-box che andrà a Cerignola su un terreno sequestrato alla mafia e gestito con l’associazione Libera (progetto di Antonio Scarponi) e, infine, un Culture-box con libri a disposizione realizzato con l’Associazione biblioteche italiane (Alterstudio).

Se l’idea vi piace, se credete che le periferie italiane siano luoghi ricchi di potenzialità e progettualità, se pensate che valga la pena sostenere processi di riqualificazione e rigenerazione urbana, allora potete visitare il sito dedicato al progetto Periferie in Azione, sul quale è stata lanciata la compagna congiunta di crowdfunding civico che contribuirà alla realizzazione di tutti i dispositivi.

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A Corviale con l’Albergo delle Piante

Un intervento artistico nato dal basso per mettere in moto “relazioni non previste”.
Nella Cavea di Corviale, in via Mazzacurati, a novembre ha preso il via quello che per i due ideatori, Mimmo Rubino e Angelo Sabatiello, è prima di tutto un progetto artistico: l’Albergo delle Piante. Complice lo stato di abbandono dell’area, rimasta inutilizzata dopo la chiusura del mercato coperto, i due artisti hanno quindi pensato di “ripopolarne i gradoni” con delle piante. In circa sei mesi le scalinate si sono riempite di vasi e piante delle dimensioni più disparate.

“Vengo dalla Street Art ma assieme ad Angelo avevamo la volontà di fare un intervento che fosse partecipato – ci spiega Mimmo Rubino – Non siamo partiti con un atteggiamento moralista o con intenti sociali, ma come puro intervento artistico, non avevamo volontà di riqualificazione”. La conversazione con Mimmo spazia, e arriviamo a parlare della differenza tra questo intervento e la Street Art: “Spesso si arriva nei luoghi, si impone un progetto e non sempre si lascia qualcosa. Noi volevamo fare un intervento più sobrio, che mettesse in moto delle relazioni non previste. Ora ne gestiamo la comunicazione, ma il sogno è che diventi autonomo e che in un paio di primavere si riesca a lasciarlo crescere da solo”.

La sensazione, quando si entra nella Cavea per partecipare ad uno degli appuntamenti del mercoledì pomeriggio (puntuali perché alle 17 si serve il tè), è quella di trovarsi al centro di un palco, con tanti spettatori, le piante, che aspettano un gesto. “Il sogno è quello di arrivare a 300 alberelli in buona salute. Non vogliamo riempire completamente questo spazio ma mantenere il gusto da cortile – seguita Mimmo – I gradoni non erano riempiti e le piante, in qualche modo, fungono da segnaposto per le persone. Ci piacerebbe che qualcuno organizzasse eventi, magari musicali. Questo deve essere un cavallo di Troia per fare altro”.

Pur rimanendo un intervento artistico, è innegabile che questo progetto una funzione sociale la stia svolgendo. Fin da subito infatti è partita una collaborazione con la vicina Comunità di Convivenza, che fa capo alla ASL e al vicino Centro diurno di salute mentale. Gli ospiti della Comunità ogni mercoledì si intrattengono con i visitatori (che mai devono dimenticare di trovarsi in casa d’altri) mentre annaffiano e curano le piante. “L’intento – ci racconta la Psicologa Sara Paci – è quello di parlare e collaborare. Il mercoledì è diventato un momento di incontro e integrazione tra i ragazzi della Comunità, i cittadini e le altre realtà del quartiere. Una volta alla settimana parlano con tutte le persone che arrivano davanti alla loro porta, la convivialità è utile a tutti, figuriamoci in questo frangente”. Oltre alla comunità terapeutica, partecipa anche il CAG (Centro di Aggregazione Giovanile) del quartiere, assieme ad alcuni abitanti incuriositi dall’esperimento. “È difficile avere una partecipazione attiva – continua Sara – ma noi pensiamo che stare sul territorio con la nostra presenza continua costruirà sostegno e partecipazione”. Con i ragazzi della Comunità abbiamo parlato a lungo, come con L. che ci ha raccontato quanto sia bello uscire di casa e trovarsi tra queste piante: “Prima questo posto era grigio, adesso è più bello e si può condividerlo con gli altri”.

In media ogni mercoledì una ventina di persone partecipa alla cura delle piante, ma con l’arrivo dell’estate, ci confessa Mimmo, “vorremmo avere qualcuno ogni giorno, perché con il caldo avranno bisogno di maggiore cura”. In questi mesi sono stati rubati vasi, ma poco importa “pensiamo che se le portano via è perché le cureranno meglio di noi – spiega Mimmo – Ci piacerebbe arrivare a un vivaio a pieno regime, magari organizzando delle vendite per raccogliere fondi”.
Prima di andarcene L. non manca di indicarci un angolo della Cavea, lì un alberello è cresciuto facendosi strada attraverso un tombino: “Se cresce vuol dire che sotto c’è acqua – ci spiega – e questo mi dà speranza”.

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Prezzemolo e dintorni, gli orti in condominio

Atdal over 40 si occupa da oltre 10 anni di fragilità lavorativa riguardante lavoratori e lavoratrici over 40 che escono dal circuito lavorativo e non riescono più a rientrarci.
Il progetto che abbiamo pensato riguarda i condomini spesso luoghi rissosi, dove ognuno vive per sé nell’indifferenza
Trasformare un condominio in un luogo di incontro e di condivisione è il nostro sogno in antitesi a ogni altra forma di isolamento e solitudine. E’ nel silenzio infatti che nascono le violenze sopratutto alle donne e ne ostacolano l’ inclusione anche nel mondo del lavoro.
Utilizzare spazi comuni come terreno di incontro, scambio e sostegno reciproco trasforma non solo il luogo, ma le stesse persone che lo abitano: da litigiose a solidali.
La nostra proposta vuole utilizzare gli spazi collettivi interni di un condominio e renderli produttivi, in termini non solo economici, ma anche di benessere sociale. I terrazzi, i tetti, i cortili e giardini condominiali sono luoghi spesso abbandonati, dove con facilità e poca spesa è possibili impiantare orti, anche verticali se lo spazio è ristretto. Un orto collettivo è un sistema di approvvigionamento, ma anche uno luogo di incontro,di costruzione culturale e di collaborazione.
I laboratori formativi di orto condominiale che immaginiamo sono finalizzati alla coltivazione di piante aromatiche perché usate abitualmente come condimento nella nostra cucina e, tuttavia, prodotte per il 70% all’estero, in alcuni casi, poi, benché presenti in molte ricette, anche difficili da reperire (cerfoglio, dragoncello,coriandolo ecc.)
Abbiamo usato la metafora del prezzemolo perché benché pianta comune e poco appariscente, è presente ed indispensabile in una molteplicità di ricette.
OBIETTIVI
Il principale obiettivo del laboratorio è quello di formare e sensibilizzare delle donne inoccupate over 40, alla creazione di orti verticali urbani o condominiali, come luogo di unione e di scambio dei saperi.
DESTINATARI
Ci rivolgiamo a donne over 40 inoccupate, le più fragili perché spesso senza una preparazione specifica e senza una identità lavorativa alle spalle ma che hanno immagazzinato una grande quantità di competenze. Valorizzare la loro esperienza vuol dire partire da quello che già fanno tutti i giorni e renderlo produttivo: saper coltivare un orto necessita di conoscenze nuove, ma si possono acquisire facilmente.
METODOLOGIA
Il laboratorio è strutturato in tre parti, con metodologie teoriche e pratiche. La prima parte è di conoscenza e di supporto anche psicologico alle donne partecipanti, la seconda di formazione alla coltivazione e creazione di orti verticali con erbe aromatiche e spezie, la terza di promozione all’auto-imprenditorialità. Gli incontri seguono una metodologia interattiva e ad alto valore esperienziale, proprio per rendere i laboratori pratici e facili da apprendere.
PERCORSO
I laboratori sono suddivisi in tre parti distinte, con un totale complessivo di 10 incontri della durata di 3 ore ognuno per tre edizioni.
1) SOSTEGNO E ORIENTAMENTO ( 2 incontri)
L’ obiettivo è quello di analizzare insieme i vissuti legati allo stato di non attività, per poter ascoltare i vissuti e le emozioni delle partecipanti, insieme al loro senso d’identità
2)L’ORTO VERTICALE: ERBE E SPEZIE (6 incontri)
Le erbe intense e resistenti. Dal rosmarino alla santoreggia, dall’alloro all’issopo,
Le erbe delicate e spontanee. Basilico e prezzemolo, origano e menta,
L’orto verticale – tecniche di coltivazione,
Raccolta e lavorazione – sostanze nutritive,
Avversità malattie/insetti nocivi
3 AUTOIMPRENDITORIALITA’ (2 incontri)
I due incontri hanno l’obiettivo di stimolare nelle partecipanti la voglia di fare frutto dell’esperienza acquisita e tradurla in opportunità professionale. Il laboratorio offre strumenti su come riconoscere e sviluppare la propria idea imprenditoriale da sole o in associazione con altre persone, e impostare una strategia d’impresa.

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RomArchè, una app per scoprire l’archeologia in periferia

Geolocalizzazione per creare mappe interattive che identificano i punti d’interesse più vicini e calcolano i percorsi. Nella app, aperta al contributo dei cittadini, anche informazioni su osterie e ristoranti, gallerie d’arte, musei e monumenti.
Dalle Mura Aureliane al Raccordo Anulare, lungo le antiche arterie viarie romane, per scoprire l’archeologia di periferia. È “RomArché”, il progetto multimediale che diventerà un sito web e una app per smartphone, sfruttando la geolocalizzazione per creare delle mappe della città interattive che identificano i punti d’interesse più vicini alla posizione dell’utente e calcolano i percorsi per raggiungerli. L’attenzione sarà focalizzata su tre aree tematiche: le strade, gli acquedotti e le fontane, e infine la Roma sotterranea. A guidare cittadini e turisti, saranno le principali strade, dalla Prenestina all’Ardeatina, fino alla Portuense, costellate da tesori antichi spesso dimenticati, che diventeranno delle schede multimediali con foto e descrizioni scientifiche.

La partecipazione. Il progetto – nato in seno al mensile archeologico “Forma Urbis” e alla fondazione Dià Cultura – diventerà accessibile solo a novembre, con l’app e il sito in italiano e inglese, fruibili gratuitamente. Ma in realtà lo sviluppo è già partito da mesi, perché la mappatura è in fase avanzata e oggi si apre al dialogo con i cittadini, accogliendo suggerimenti e segnalazioni all’indirizzo mail ad hoc info@diacultura.org. Infatti, oltre ai segreti archeologici, gli itinerari proposti saranno delle vere e proprie guide ai rispettivi quartieri, segnalando gli indirizzi di osterie e ristoranti storici dove fermarsi per una pausa golosa, ma anche associazioni attive sul territorio, gallerie d’arte e musei, oltre a monumenti contemporanei e moderni.

Gli itinerari. «Così l’archeologia di periferia diventa una chiave per far conoscere, anche a chi li abita, quartieri spesso dimenticati – spiega Simona Sanchirico della fondazione Dià Cultura – e grazie al contributo dei fruitori “RomArché” diventerò un progetto in continuo divenire, aggiornabile in ogni momento anche dopo la sua messa online». Allora il tracciato protostorico delle attuali vie Prenestina e Casilina, inevitabilmente prende il via da Porta Maggiore e dalla sua Basilica Sotterranea, per poi toccare il mausoleo di Elena e le catacombe dei Santi Marcellino e Pietro, ma anche il parco archeologico di Centocelle e il sepolcro di largo Preneste, spesso oscurato alla vista dei passanti dal brulicare di traffico, pedoni e caos della piazza. «L’obiettivo è quindi unire il centro alle periferie attraverso passeggiate ricche di storia e cultura, ma in maniera non convenzionale, capace di guardare anche al presente e connetterlo al passato», continua Sanchirico, spiegando l’aggettivo del sottotitolo dato al progetto: “archeoguida inconsueta delle periferie di Roma”.

La rassegna. Ma la chiamata a raccolta degli appassionati di archeologia, già
da subito invitati a segnalare i tesori nascosti del proprio quartiere, coincide anche con la settima edizione del Salone dell’editoria archeologica, in programma dal 26 al 29 maggio nei suggestivi spazi delle Terme di Diocleziano. Qui decine di case editrici del settore saranno protagoniste in un calendario di rievocazioni storiche, mostre, visite guidate sperimentali, laboratori e performance, secondo il filo conduttore dell’edizione di quest’anno, dedicata al Tempo.

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Piano Nazionale per la prevenzione della dispersione scolastica nelle periferie

Con D.M. n. 273 del 27.04.2016 sono stati stanziati 10.000.000,00 di euro (dieci milioni) per la realizzazione di interventi per la prevenzione della dispersione scolastica nelle zone periferiche delle città metropolitane caratterizzate da elevato tasso di dispersione scolastica.

Il Decreto riporta i criteri stabiliti e le modalità per l’avvio di un programma sperimentale di didattica integrativa e innovativa da realizzare in orario extra-curricolare nelle istituzioni scolastiche statali di ogni ordine e grado delle aree delle città metropolitane di Roma, Milano, Napoli e Palermo.

Le istituzioni scolastiche sono chiamate a candidarsi per ricevere un finanziamento, nel limite massimo di euro 15.000,00 (quindicimila), presentando un progetto di didattica integrativa e innovativa attraverso attraverso la compilazione del formulario online disponibile per le Istituzioni Scolastiche all’interno dell’area riservata.

Per accedere all’area riservata del sito, le istituzioni scolastiche dovranno utilizzare la medesima password assegnata per l’inserimento dei progetti per le “Aree a rischio”. In caso di smarrimento o non possesso della password potrà essere utilizzata l’apposita funzione “Richiedi Password”.

Il formulario online sarà modificabile fino alla data di chiusura della piattaforma – 20 giugno p.v.. Oltre la data di chiusura non saranno ammesse richieste di modifica per alcun motivo.

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La città invisibile

Tutto sommato non è passato molto tempo da quando autorevoli pensatori profetizzavano la fine delle città. Grazie alla rivoluzione digitale, con la globalizzazione che accorciava le distanze e connetteva tutti, ci spiegavano, ognuno avrebbe potuto vivere, lavorare, socializzare, senza muoversi dalla sua tenda nel deserto o dal suo sperduto eremo in montagna. E forse non avremmo più nemmeno sentito il bisogno di viaggiare, frequentando quotidianamente, attraverso internet, le persone e i luoghi più lontani, con il semplice ausilio di una webcam e di un microfono.

La storia è andata in un’altra direzione. E non solo perché un cittadino romano e un aborigeno australiano, su internet, non avevano poi molto da dirsi, come notava già Corrado Guzzanti in un memorabile sketch. L’evoluzione tecnologica ha semmai aumentato la centralità delle città, facendone gli epicentri della competizione economica globale: la sfida tra sistemi urbani si è fatta sempre più dura. Coltivare e attrarre capitale umano, intercettare flussi commerciali e finanziari, garantire una moderna rete di servizi sono divenuti obiettivi strategici di tutte le principali metropoli occidentali. La gerarchia delle città è cambiata. Alcune, a tutto questo, hanno pagato un prezzo altissimo – come la Detroit raccontata dal nostro Sergio Pilu nel numero 2 di Left Wing («Mercato») – altre, invece, ne hanno saputo trarre le risorse per crescere e modernizzarsi. Erano e restano, in ogni caso, il simbolo della società occidentale e delle sue contraddizioni, come ci hanno brutalmente ricordato i nuovi terroristi che dalle Torri gemelle di New York all’aeroporto di Bruxelles, passando per Madrid, Londra, Parigi, Istanbul, per sfidare l’occidente ne hanno colpito le capitali, spargendo sangue nei luoghi della nostra quotidianità.

Così ancora una volta la città è diventata il luogo della paura. Nulla di nuovo. Come scrive in questo numero Marco Filoni, la città, sia essa «immaginaria, antica o moderna, ha nella paura un dispositivo del suo funzionamento e della sua realizzazione». Se non fosse che questa volta il nemico non viene da fuori, ce l’abbiamo in cantina, e spaventa per questo molto di più: «È il nemico che non si vede e che alimenta il sospetto, il senso di persecuzione, a essere una minaccia per la città perché rimette in causa le sue strutture e architetture».

È proprio questo che oltre a spaventare ferisce di più la coscienza dell’occidente: i nuovi terroristi non vengono da fuori – nonostante populisti a caccia di facili consensi vorrebbero raccontarla così – ma sono figli delle nostre città, dei suoi nuovi conflitti e delle sue crescenti esclusioni. Perché non è cresciuta la distanza solo tra le città che ce l’hanno fatta e quelle che sono rimaste indietro. Anche all’interno dei centri che si contendono la leadership globale si è squarciato il tessuto della coesione: centri storici tirati a lucido, quartieri bene dedicati al business e al turismo, convivono, sempre meno serenamente, con periferie degradate e veri e propri quartieri ghetto abbandonati a se stessi.

Non è successo per caso: abbiamo raccontato nel numero che abbiamo dedicato al «mercato» le ragioni della crisi, misurando i danni dell’egemonia di un pensiero di destra che tanti guasti ha prodotto anche a sinistra. La scomparsa della parola «eguaglianza» dal nostro vocabolario, la rottura del nesso tra soggettività politica e lavoro, la conseguente auto-esclusione di un numero crescente di persone dai processi di rappresentanza. Nelle città dell’era fordista il rifiuto dell’ingiustizia individuale trovava luoghi in cui aggregarsi, come la fabbrica – dalla quale non a caso ci siamo messi in viaggio col nostro numero zero – e qui trovava, o si costruiva, gli strumenti per una battaglia di emancipazione collettiva, che era anche una scuola di democrazia.

Dopo la lunga stagione dell’egemonia liberista, con partiti, sindacati, associazioni e movimenti ridotti all’ombra di quel che furono, le città sono divenute terreno di coltura ideale per quel mix di esclusione e paura che alimenta populismi e spinte disgregatrici. E che ha finito per offrire nuovi soldati all’esercito del terrore.

Non è un caso se la città nasce intorno ai suoi luoghi pubblici. Paul Zanker cominciava il suo celebre saggio su Pompei spiegando che lo spazio pubblico è sempre stato un palcoscenico che la società si crea secondo le esigenze dell’epoca: «Non importa se siano stati interessi politici, sociali o economici a determinare le decisioni, numerose e tra loro indipendenti, che hanno preceduto le singole realizzazioni: l’immagine urbana che ne risulta offre in ogni caso allo storico l’autorappresentazione autentica di una società. In quanto palcoscenico e spazio della vita quotidiana, infatti, gli edifici pubblici, le piazze, le strade, i monumenti, così come le case e le necropoli con le rispettive decorazioni figurate, sono nel loro insieme un elemento sostanziale dell’autorealizzazione di chi in quello spazio vive. Proprio perché tali immagini urbane vengono a formarsi attraverso un complesso intreccio di singole decisioni, alla cui base sono anche interessi contrastanti, esse ci dicono molto sull’autocoscienza di una società».

Nelle ex borgate romane cresciute negli anni in cui si affermava l’egemonia liberista, per incontrare una piazza bisogna prima incrociare cento strade. Ognuna di quelle piazze è dunque un punto di riferimento per più di diecimila persone. Semplicemente, lo spazio pubblico non serviva più, contava solo la soddisfazione dell’interesse privato. Alle piazze si sostituiva il giardino della villetta unifamiliare, tipico modello abitativo di quei nuovi quartieri spesso abusivi che si moltiplicavano consumando suolo e disperdendo risorse collettive, ma creando rendita individuale.

Le nuove periferie sono figlie di un modello diverso, ma pagano anch’esse il costo dell’accrescersi della diseguaglianza: più povere, con servizi di qualità inferiore, spesso scollegate dai centri produttivi dove si crea lavoro. Nuovi luoghi di emarginazione e solitudine. Non per niente, come ha notato Papa Francesco, la solitudine è la cifra di questa modernità.

D’altra parte, se il mondo di oggi è guasto, è perché la politica ha smesso di fare il suo mestiere, lasciando il campo ad altri poteri. E questo è tanto più vero per quanto riguarda il tema a cui dedichiamo questo numero: quando più ci sarebbe stato bisogno di lei, la politica ha lasciato il dibattito sulla città ai sociologi e agli urbanisti. E forse questo è il segno più grande del suo fallimento, perché la politica nasce nella polis e dalla polis, invece, ha finito per auto-ostracizzarsi. Il risultato è che è rimasta solo l’urbs – la città nella sua forma urbana – ed è scomparsa la civitas, la comunità umana che ne costituisce la ragione e l’anima. In questo senso sì, ahinoi, hanno finito per avere ragione i profeti che ne annunciavano la scomparsa. Ma non sarebbe giusto rassegnarsi a quest’esito, perché nelle nostre città, in quelle periferie dimenticate, ci sono i problemi ma anche i germi della rigenerazione. «Ci sono frammenti di città felici che continuamente prendono forma e svaniscono, nascoste nelle città infelici», come scriveva Italo Calvino nelle Città invisibili. È nelle faglie aperte dai nuovi conflitti che può sprigionarsi una forza, un’energia nuova che ha però bisogno che la politica torni a incanalarla e a disciplinarla. E in fondo è questa la sfida che ci siamo proposti, il filo rosso che ha tenuto insieme la costruzione della piccola città ideale di Left Wing: l’idea che ancora e nonostante tutto sia possibile immaginare una città, una modernità e una politica che non siano solo una somma di angosciate solitudini.

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Pezzi

“Pezzi” verrà proiettato di nuovo giovedì 19 maggio alle ore 19:00 presso il padiglione del “Museo della mente” all’interno del “Santa Maria della Pietà”(ex manicomio di Roma) in Piazza Santa Maria della pietà 5.
Quella Roma fragile delle periferie che ti fa male come un pugno.
Il film di Luca Ferrari sul volto tumefatto dei margini di una città.
“Credo nei film che hanno una valenza critica e culturale. Come è avvenuto con “Pezzi” di Luca Ferrari, uno dei film che mi ha fatto più male”, ha detto Valerio Mastrandrea produttore del film in un’intervista a L’Espresso in cui racconta di Showbiz, il nuovo documentario di Ferrari che ha prodotto con Kimerafilm. “A fine riprese, sono subentrato nella produzione perché credevo nella capacità del regista di narrare un mondo che nessuno racconta”. Male. “Pezzi” fa male, ecco. La realtà che ci racconta, fa male. Storie di droga, di delinquenza, di morte. Storie di dolore che arrivano violente come un pugno sul volto.

Margini. Storie di chi non ce la fa, di chi rimane incastrato nella durezza della sua marginalità, di chi non riesce a uscire dall’angolo di inferno che si è scavato. Incastrati come pezzi di un puzzle mostruoso. Eppure così umano. Lontani dal frastuono della grande città, lontani dai problemi con cui Roma affligge i suoi figli, il traffico, la confusione, la disorganizzazione amministrativa e burocratica, lontani dai palazzi della politica e di quel che resta della maestosa bellezza della Città Eterna, c’è chi cerca solo di sopravvivere alla maniera che conosce e che di questa Roma ignora l’esistenza.

Scorrono immagini cupe, dure, forti, violente, sporche. Come sporche sembrano allo spettatore distratto le vite di questi reietti. Ma le riprese così strette, così vicine, così “dentro”, costringono a immergersi in una realtà estranea, a parteciparvi, a viverla. Per questo è impossibile volgere lo sguardo altrove. Impossibile non rimane toccati dalla straordinaria bellezza di queste anime perse che dall’angolo più oscuro della loro marginalità, inchiodano la nostra indifferenza, scavano negli abissi della nostra anima, ci costringono a stare in ascolto. Dolori che sono quelli di tutti, ma che nel buio della periferia che “Pezzi” ci mostra, fanno più male.

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