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Festival della cultura in condominio

Con “In & Out” anche laboratori, feste conviviali, animazioni: 10 giorni nei 6 quartieri di Bologna per portare teatro, arte e musica in luoghi insoliti. Alboresi (direttore artistico): “Ci sono zone più ricettive e altre meno, ma ci metteremo il consueto entusiasmo” .
“Quest’anno il festival è molto concentrato: 10 giorni, dal 10 al 20 giugno, nei 6 quartieri coinvolti. Alcune sono esperienze già rodate, altre sono assolute novità: anche da questo dipende la partecipazione dei condòmini. Ma noi ci metteremo sempre il consueto entusiasmo”. Mirco Alboresi, direttore artistico del Teatro dei Mignoli e del “Festival In & Out – La cultura in condominio” presenta così la sesta edizione della kermesse nata con l’obiettivo di portare la cultura sotto (talvolta anche dentro) casa delle persone. In pratica, una cultura a “chilometro zero”.

Anche quest’anno il Teatro dei Mignoli si avvarrà della collaborazione di ReSpirale Teatro, Teatro Nucleo di Ferrara e Lievito Madre, con cui porterà il teatro, l’arte e la musica in luoghi insoliti. Di quartiere in quartiere si succederanno cene condivise, spettacoli itineranti, laboratori, feste conviviali, animazioni. Ad accompagnare lungo il percorso gli abitanti e gli spettatori saranno i personaggi più stravaganti: pugili in attesa, poeti ubriaconi, fantasmi rionali, creature elfiche, antichi e nuovi contadini della collina. “Conosceremo leggende e storie di quartiere, semplici e incredibili allo stesso tempo che hanno come unico filo conduttore una parola: memoria. Anzi, la ‘memoria bella’, come il titolo di questa sesta edizione”, continua Alboresi.

Ad aprire il festival, via Rimesse al Quartiere San Vitale con “I.N.F.E.R.N.O. (Invasione Notturna Frivola E Ruggente Non Ostile)” del Teatro Nucleo di Ferrara con la partecipazione degli abitanti della via. Uno spettacolo itinerante liberamente ispirato a “Inferno” di Peter Weiss, a sua volta scritto sulla traccia dell’opera dantesca. “Si tratta di uno spettacolo che fonde una precedente esperienza del Teatro Nucleo e le vite degli abitanti di via Rimesse. Tanti bimbi, tante culture: un mix esplosivo”.

Tra le esperienze più consolidate, l’appuntamento del 12 giugno al Quartiere Savena, tra il Borgo di Monte Donato e il Borgo Lazzari. “È uno dei nostri successi: la partecipazione in questi due borghetti a un passo dalla città ma immersi nella campagna è straordinaria, i loro abitanti sono praticamente autonomi nell’organizzazione – sorride Alboresi –. Un tempo in quella zona ci abitavano i cavatori di gesso, e oggi vorremo raccontare quello che c’era e quello che sta per tornare”. Appuntamento di punta è proprio “La collina agricola”, spettacolo teatrale e musicale itinerante con il Teatro dei mignoli, Ginetta Maria Fino, Fiore Stavole e la Compagnia d’Arte Drummatica, con partenza da Monte Donato e arrivo a Borgo Lazzari.

Il tema della memoria sarà anche al centro degli appuntamenti del 14 e del 20 (quello conclusivo). Il 14 giugno alla Casa di Isabella di via Andreini, nel Quartiere San Donato, andrà in scena “Papaveri Rossi”, uno spettacolo itinerante, esito del laboratorio condotto da ReSpirale e Teatro dei Mignoli, che parte: “Anche in questo caso si tratta di una realtà di successo: sono 5 anni che collaboriamo in quella zona, e visti gli ottimi risultati Acer e Comune hanno addirittura deciso di darci una struttura ad hoc, la Casa di Isabella, appunto”. Il 20, invece, il Villaggio INA e al Biblioteca di Borgo Panigale ospiteranno “La memoria del villaggio”, un viaggio tra il presente e il passato con racconti di vita per conoscere gli abitanti di questo quartiere nel quartiere, nato nel 1950.

Il 16 giugno “Adrianaaa!” sarà l’appuntamento del Quartiere Porto: “Ecco, in questo caso si tratta di una realtà abbastanza ostica. Ci sono cittadini in prima linea, che ancora oggi si passano le crescentine dalla finestra, e altri che, invece, non si lasciano coinvolgere. Noi punteremo sulla piccola palestra di Yabasta! – dalla quale sono usciti 3 pugili molto conosciuti, il richiamo alla saga di Rocky non è casuale – che sorge in mezzo alla corte per raccontare una storia magica di libertà”. Saranno invece i fantasmi i protagonisti del 17 giugno al mercato Albani, quello per cui l’amministrazione sta portando avanti un progetto di riqualificazione: “Ecco! Ci vorrebbe qualcosa di straordinario” è lo spettacolo firmato da Lievito Madre: “È stato realizzato in collaborazione con i partecipanti del laboratorio dell’Happy Center di Piazza Grande: nasce dall’urgenza di raccogliere storie “stra-ordinarie” da mettere in scena in una nuova drammaturgia”.

Tutte le storie raccontate in 6 anni di “In & Out” saranno presto raccolte in un libro “sulla cultura in condominio”, anticipa Alboresi, realizzato grazie al contributo della Fondazione del Monte. “Purtroppo – conclude il direttore artistico – abbiamo sempre meno fondi. Questo ci spiace, perché pensiamo che anche piccole realtà come la nostra abbiano il diritto di lavorare. Non si deve smettere di collaborare con le periferie: si tratta di un investimento anche sul lungo periodo”.

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Babyvez

Babyvez nasce dall’idea di un giovane uomo che vuole semplificare e rendere economicamente vantaggioso il modo di vestire i bambini.

Quali sono gli oggetti di consumo più comprati ma che si utilizzano per pochissimo tempo? Vestiti, indumenti e accessori per bambini.

Scarpe alla moda da centinaia di Euro, passeggini, vestiti per cresime e comunioni…. Costano tantissimo e dopo qualche mese rimangono inutilizzati.

Semplicemente dall’osservazione della crescita dei bambini da 0 a 12 anni e la rapidità con cui alcuni capi, indumenti, giochi, vengono sostituiti e “messi in soffitta” (alcuni dei quali, quasi tutti, praticamente nuovi o utilizzati pochissimo), è nato questo portale di compravendita o scambio di indumenti e accessori.

In questo modo le famiglie potranno vestire i propri bambini in maniera economica, con capi nuovi e accessori alla moda, senza contare che si potrà addirittura guadagnare dalla vendita dei propri oggetti inutilizzati.

Chiunque potrà inserire annunci, in modo gratuito e immediato, e allo stesso modo fare un offerta per acquistare qualcosa già presente in bacheca.

Bambini alla moda? Si può fare, in maniera semplice ed economica.

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Bando per la riqualificazione urbana

Bando per la presentazione di progetti per la predisposizione del Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle citta’ metropolitane e dei
comuni capoluogo di provincia.

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Periferie, centrifughe di energia

Centrifuga è il titolo di una prossima antologia, in uscita in settembre: tanti autori per ragazzi e non solo con racconti che mostrano come le periferie abbiano molto da dire al centro, molto da aggiungere e insegnare.

Centrifuga, un’immagine che non solo evoca mescolanza ma “fuga del centro”. E ancora, suscita anche l’idea di motore di forze vive che possono diffondersi e modificare, creare nuova energia. In questi giorni si parla molto di periferie. Se ne parla a proposito degli investimenti del governo, ma anche spesso a proposito proprio di quelle buone idee e pratiche che le periferie portano. Il bell’articolo di Renzo Piano sul Sole 24 ore di Domenica 29 maggio parla esattamente di periferie come “crogioli di energia, libertà passione e persino pensiero”. “Difendo la periferia anche perché è un concentrato di energia, qui abitano i giovani carichi di speranze e voglia di cambiare”, scrive Renzo Piano.

Mi capitò -un paio di anni fa- di far parte della giuria del premio del Comune di Roma al miglior tema della maturità che quell’anno aveva tra le tracce proprio una frase di Renzo Piano sulle periferie. E scrissi qui, a proposito del valore dei libri e della lettura che “per avere fiducia nei ragazzi che leggono basterebbe leggere i temi di maturità degli studenti romani. Ragazzi preparati e lettori (grazie alla scuola!) che hanno piena consapevolezza dei mali responsabili del degrado, dell’ignoranza, dell’indifferenza”.

Mi capita spesso, come editrice per ragazzi, di frequentare le scuole, le biblioteche, le librerie di periferia. E capita che – come abbiamo visto grazie al progetto di Roma che Legge promosso dal forum del libro – a Tor Bella Monaca, a Borgata Finocchio, a Boccea avvengano miracoli. Reti tra scuole e biblioteche pubbliche, coinvolgimento di cittadini e di amministrazioni. Senza lamenti ma con forza ed energia nascono biblioteche innovative nelle scuole (senza alcuna normativa per ora che le regolamenti, anche se ben speriamo nella attenzione del bando del Miur che forse apre a delle possibilità) mentre nel centro di Roma una scuola con un bellissimo locale per la biblioteca fatica a realizzarla: impedimenti burocratici, scarsa volontà di chi la deve gestire. E uno pensa: ma come? Qui sarebbe molto più facile!

Evidentemente mancano motivazioni e determinazione. Quelle che ci sono a c’è a San Giuseppe Jato, dove è nata una biblioteca scolastica aperta al territorio in un luogo apparentemente vuoto di tutto, tra l’altro bellissima. Eh sì, perché – come ci ricorda Renzo Piano – le periferie possono essere belle e possono avere “spazio per piantare nuove piante”.

Periferica nella sua centralità è Lampedusa, dove ragazze e ragazzi autogestiscono una biblioteca di pubblica lettura, non appena grazie a Ibby Italia hanno avuto la possibilità di capire cosa fosse una biblioteca. Leggete che bello il racconto che fa di questo Fabio Stassi, che è stato l’autore adottato per il Salone del Libro ed è stato ospite di quella biblioteca.

Periferica è Isola del Piano, nelle Marche, dove in un bene sottratto alla mafia si costruiscono progetti di formazione ed educazione alla lettura e dove da poco si è festeggiato.

Periferica è la bella biblioteca da poco inaugurata a Roma, la Collina della Pace. Periferica
è la libreria Centostorie, che ha solo libri e giochi di qualità. E che li vende, a Centocelle.

Periferica è la libreria premiata dal premio intitolato a Gianna e Roberto Denti promosso dalla rivista Andersen e dall’Associazione Italiana Editori, la Libreria Controvento, con Filomena Grimaldi, libraia che dopo oltre dieci anni di esperienza in varie librerie italiane, è tornata nel suo paese, a Telese Terme “perché dove ci sono persone devono esserci libri”.

Ecco ditemi o no se tutto questo (e molto altro ancora che vi invito a scoprire, nelle periferie delle nostre città e del nostro paese) non sono meravigliose centrifughe?

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C’è speranza per Roma

C’è speranza per Roma quando tremila ragazzi, e qualche cresciutello, stanno seduti per terra per vedere un film problematico come “Non esssre cattivo”.
Un film sulla disperazione esistenziale delle periferie che diventa denuncia senza inutili paroloni, ma con la nuda crudezza della realtà di territori in cui la lotta quotidiana tra il bene e il male è la lotta tra il lavoro nero e lo spaccio.
Realtà in cui il desiderio di fuga da una vita senza prospettive diventa fuga dalla realtà e dalla vita stessa.
C’è speranza per Roma quando tremila ragazzi occupano una piazza intera non per un concerto o per un inutile comizio, ma per riflettere sulle alternative “nè nè” che questa realtà gli mette davanti.
C’è speranza per Roma se questa consapevolezza domani riuscirà a trovare “gambe istituzionali” per darle voce e strumenti.
C’è speranza per Roma se domani questa “meglio gioventù romana” non darà voce alla rabbia o, peggio, all’odio ma darà corpo e sostanza a questa speranza.
A domani…per un futuro migliore per la nostra “meglio gioventù romana”.




Questo spot di Carlo Verdone e Franco Carraro dimostra che Roma non è cambiata negli ultimi 20 anni

“Ricucire le periferie”, “rilanciare le periferie”, “le periferie luoghi da cui ripartire”. Tutti i candidati a sindaco di Roma hanno usato questi slogan durante i loro tour per la città. Da Giachetti a Marchini, da Meloni a Fassina fino a Raggi, il ruolo delle periferie in campagna elettorale è dominante. Perché i quartieri dimenticati, habitat dei cittadini che vivono ai margini della Capitale, restano comunque un invitante bacino di voti se si è capaci di incanalare il malcontento a forza di promesse di rinascita e riqualificazione.

Per questo fa un certo effetto rivedere uno spot del 1989 dell’allora candidato sindaco di Roma Franco Carraro in quota Partito socialista. Lui e Carlo Verdone passeggiano nel quartiere romano di Vigne Nuove dove, dieci anni prima, il regista ha girato alcune scene del suo primo film “Un sacco bello”. Verdone fa notare a Carraro come persista il degrado del quartiere e chiede cosa si potrebbe fare per riqualificare zone come quelle. Carraro spiega il problema delle periferie e le possibili misure: “Penso che questo sia uno dei grandi nodi della città, con periferie che in realtà sono lager. Eppure gli spazi ci sono, non ci vorrebbe molto a creare una piazza, luoghi di ritrovo, impianti sportivi. Queste zone potrebbero essere sistemate. In questo modo la gente vivrebbe meglio qui e intaserebbe meno il centro”.

Parole che oggi ci suonano come familiari dato che, se si butta un occhio allo stato in cui versano le periferie romane, di miglioramenti se ne sono visti ben pochi. Carraro, allora ministro del Turismo nel Governo De Mita, venne scelto sindaco dopo il “patto del camper” stretto tra i leader del Psi e della Dc, Bettino Craxi e Arnaldo Forlani. La sua amministrazione fu sconvolta da arresti eclatanti tra i membri della giunta. La sua esperienza terminò con le dimissioni dei consiglieri di opposizione e la nomina di un commissario. La storia che si ripete.

Al termine dello spot Carraro e Verdone si salutano sperando che fra ulteriori dieci anni la situazione sarà migliorata. A distanza di quasi trent’anni il loro auspicio non sembra essersi realizzato.

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Il sociologo: «Periferie abbandonate producono egoismi»

«Una vicenda inaudita, che mi indigna. Ma purtroppo non mi meraviglia». Fabrizio Battistelli, docente di Sociologia alla Sapienza, le periferie romane le ha studiate a lungo. E dunque non si sorprende per il disinteresse complice degli automobilisti che, alla Magliana, hanno ignorato la disperata richiesta di aiuto di Sara Pietrantonio, uccisa col fuoco dall’ex.

Professor Battistelli, perché non si meraviglia?
Non posso non pensare all’imbarbarimento delle nostre città. Una serie di fattori, il primo dei quali l’estensione stessa delle metropoli come Roma, sta facendo perdere la dimensione della convivenza tra le persone. Un’involuzione che si è già verificata nelle città non europee, ma ormai è un modello globale: la città come luogo di estraneità. Luoghi in cui viene meno la reciprocità, che ancora nei centri medi e piccoli fa ritenere a ciascuno di noi di poter avere già incontrato l’altro o di poterlo incontrare. Sto parlando della base dello scambio della socialità: condividere assieme una situazione comune.

Intende dire: succede a questa ragazza, ma potrebbe succedere anche a me, a mia moglie, a mia figlia?
Esatto. Una reazione primordiale dell’individuo, che è oggi spesso è totalmente soffocata, una luce che è in ognuno di noi, ma che ormai tende a spegnersi per colpa dell’isolamento, dell’alienazione e della paura. Era evidente che di trattava di un’assoluta emergenza: una persona fragile che chiede aiuto alle 3 di notte. Le reazioni di chi assiste a un episodio del genere possono essere diverse. C’è quella altruistica: è di chi decide di intervenire, anche mettendo in conto una percentuale di pericolo, per un beneficio grande per l’altro. Oppure c’è la reazione normale di chi prende il telefono e fa il 113.

Qui non si è verificata nemmeno quest’ultima.
Per una mancanza tipica di questo tempo – e di questo spazio, l’Italia – di cultura delle istituzioni, preposte alla sicurezza di tutti e di ciascuno. Consapevolezza che, devo dire, esiste più in altre società, quelle che nutrono più fiducia nelle istituzioni, che hanno più senso civico.

Siamo tutti costantemente connessi, sempre col cellulare in mano, ma nessuno ha pensato di chiamare la Polizia. Gli automobilisti, individuati, hanno detto che non avevano capito.
Non c’era possibilità di fraintendere. Non si trattava di una rissa tra extracomunitari o di un regolamento di conti. Nemmeno lo sforzo di fare una segnalazione anonima alle forze dell’ordine…

Come si è potuto arrivare a una tale chiusura a riccio?
Le città storicamente sono nate perché le persone hanno deciso di vivere assieme, proprio per difendersi dai pericoli esterni. Oggi però il deserto, che una volta veniva chiuso fuori dalle mura, si è trasferito dentro. È un processo di tutte le grandi città. Colpa di uno scarso capitale sociale, di una insufficiente fiducia reciproca che caratterizza un Paese come l’Italia. Anche la moltiplicazione delle differenze non ha aiutato l’omogeneità di condominio e di quartiere che esisteva fino a 30 anni.

Gestire le differenze è un’operazione complessa: scontiamo l’assenza di politiche di integrazione?
È proprio così. A tutto questo dobbiamo aggiungere amministrazioni che negli anni sono state sempre più lontane, sempre più inefficienti e ciniche… La Chiesa, presente fin dall’inizio nelle borgate e nei quartieri poveri, già nel 1974 aveva fatto la sua diagnosi sui «mali di Roma». Precoce ma lucida. Troppi sindaci invece hanno ignorato il tema della coesione sociale. E questa è una responsabilità che interpella chi si candida a governare Roma Capitale. Fatiche di Ercole.

Le responsabilità dei comportamenti però sono individuali: non si può criminalizzare un quartiere…
Questo è evidente, perché assieme agli automobilisti ‘indifferenti’ ci sono anche le persone che si fermano e pensano all’altro. Però non sono quelle che più spesso girano alle 3 di notte…

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La città che uccide

La città del silenzio della solitudine del rimuginare davanti alla televisione mentre scorrono immagini false di false donne di falsi uomini di false coppie di falsi amori
mentre la vita è dura anche quella dell’amore si sta bene e si sta male ci si vuol bene e si litiga si comincia e si finisce
e noi lì intossicati dalle false vite lucide e scorrevoli della televisione
a pensare che perchè a noi no perchè noi non abbiamo quella bella vita luccicante quel bell’amore eterno con le alucce e le nuvolette
e allora la colpa è di chi non ci vuol stare di chi non ci vuol stare più e si frappone tra noi e il nostro sogno
e allora la città della solitudine e della televisione diventa la città che uccide
e io passo e non ne so niente
e io passo e tiro dritto
e io passo e corro a casa che non sono fatti miei
che mi attende la televisione con la sua bella vita
e scappo dalla città che uccide
e non mi accorgo che sto scappando da me stesso
sto scappando dalla vita dalle brutture della vita
e rifiutando le brutture rifiuto anche le bellezze e alla fine rifiuto tutta la vita
per correre davanti alla televisione con la sua bella vita
questa è la città che uccide
un’eterna fuga dalla vita per non vederne i problemi le rotture i rifiuti lo sforzo di ricominciare la volontà
quello che manca davvero è la volontà di vivere di affrontare tutte le facce della vita belle e brutte
questa è la città che uccide
uccido la vita per non soffrire
uccido la vita e alla fine non so neanche più gioire
io sono la città che uccide




Periferie di Roma: sono fatte di persone, non solo di edilizia

Ripartire dalle persone, riavvicinare cittadini e istituzioni, uscire dall’emergenza e cominciare a pianificare: così si può fare la rigenerazione urbana.

Le periferie di Roma hanno preso la parola con il convegno “Periferie: adesso parliamo noi”: è stata l’occasione di parlare della rigenerazione urbana. Tra tanti temi, tutti sono d’accordo su un punto di partenza: le persone.
Quando si parla di periferie si tende sempre a concentrarsi sulle loro condizioni fisiche. Il degrado, che condiziona le vite dei cittadini, è la prima cosa che balza agli occhi. Per questo oggi, quando si dice la parola “periferie”, si pensa subito a interventi di natura edilizia, urbanistica, architettonica.

Ma c’è anche chi nelle periferie ci vive. Le persone, con le loro vite, il loro lavoro, le loro storie. Uno dei temi ricorrenti dell’incontro “Periferie: adesso parliamo noi”, organizzato dal Coordinamento periferie (che mette insieme comitati di Corviale, Statuario, Tor Bella Monaca, Torpignattara, Torrespaccata) il 26 maggio scorso con l’obiettivo di comunicare sette richieste a chi governerà in futuro la capitale, è stato proprio questo. Sì, perché per parlare di periferie, bisogna conoscere le persone che ci vivono. E capirle.

Periferia, un concetto ambiguo

Una ricerca dell’Università Roma Tre, presentata dal professor Pasquale De Muro, ad esempio, ci mostra dei dati preoccupanti rispetto ai livelli di istruzione di chi vive in periferia, livelli che sono comparabili a quelli dei Paesi a medio reddito. Il tasso di abbandono scolastico è altissimo, e ci sono persone che lavorano poco, male, con guadagnano scarso e hanno un livello di istruzione bassissimo, spesso al di sotto della scuola secondaria. E quindi poche possibilità di trovare un lavoro migliore.

«Tranne alcune piccole cose, per risolvere questo problema non c’è nessuna iniziativa», commenta De Muro. «Non possiamo andare da nessuna parte, se non risolviamo questi aspetti».
Oggi però non è semplice parlare di “periferie”, e il rischio è anche quello di essere fuorvianti. A Roma esistono infatti tante periferie diverse, ha ricordato Carlo Cellamare, urbanista dell’Università La Sapienza. Ci sono diverse periferie – anche l’Olgiata, ad esempio, lo è -, ci sono anche periferie benestanti. Il maggiore sviluppo di Roma oggi è fuori del Grande raccordo anulare, dove abita il 23% della popolazione. «Sta cambiando il modo di intendere le città», riflette il professore della Sapienza. «Anche la dicotomia centro-periferia non può essere intesa nello stesso modo. Quello che accomuna oggi tutte le periferie è la distanza delle istituzioni e della politica».

Le periferie di Roma sono piene di risorse

Ma le periferie oggi sono anche i luoghi dove nascono i fiori dal cemento. «Sono i luoghi dove c’è il fermento, dove ci sono le iniziative, la mobilitazione, le produzioni culturali. Sono un po’ un laboratorio sociale», ha spiegato Cellamare. «A Tor Bellamonaca abbiamo una grande produzione di musica, il rap». Anche questo fa pensare al punto da cui siamo partiti: per lavorare sulle periferie occorre lavorare sulle persone. «Non ha senso intervenire solo fisicamente, se non si lavora su un altro terreno», riflette il professore della Sapienza.

«Piazza Castano è una delle poche piazze pubbliche a Tor Bella Monaca. Spesso ciò che è pubblico diventa territorio di nessuno. Ma poi i cittadini hanno iniziato a rimetterla a nuovo». È una delle tante forme di riappropriazione della città e di mobilitazione che accomunano le diverse periferie di Roma. Un altro esempio è il Cubo Libro, sempre a Tor Bella Monaca, un edificio occupato dove un gruppo di cittadini ha messo su una biblioteca pubblica, con le donazioni degli abitanti del quartiere. «Questo tipo di realtà sono in rete in tutta Roma e organizzano anche il prestito interbibliotecario», ha raccontato. E poi ci sono le aree verdi, che sono state prese in carico da alcune associazioni, mentre altre si fanno carico del problema della casa.
Di tutto questo dovrà tenere conto chi governerà Roma. «Le amministrazioni dovrebbero fare un’alleanza con la città, con i cittadini», auspica Cellamare, «avvicinare l’istituzione ai cittadini. E risolvere il problema del lavoro. Il contrasto a problemi come lo spaccio lo facciamo portando il lavoro, energia forte per rilanciare le periferie».

Dall’emergenza alla pianificazione

Di queste persone, che ogni giorno lavorano insieme, e in silenzio, per migliorare la vita delle periferie di Roma in cui vivono, ce n’erano molte all’incontro del 26 maggio. Una di queste è Caterina. Fa parte di un’associazione di genitori delle scuole di Piazza Cardinali, L’albero di Gelsi, fatta da genitori dei bambini delle scuole riunite accanto a Piazza Cardinali. All’incontro rappresentava il comitato di quartiere di Torpignattara. Il suo intervento, molto sentito, ha messo l’accento sul grave problema che contraddistingue le politiche che riguardano le periferie. Sono politiche di emergenza, e mai di pianificazione. La non pianificazione è urbanistica: Torpignattara è uno spazio teoricamente tutelato, a livello paesaggistico e archeologico, ma, non essendoci pianificazione, è vittima dei costruttori. Non c’è una pianificazione della mediazione culturale, nonostante ci siano moltissime comunità diverse. Non c’è pianificazione dei servizi di sopravvivenza, come trasporti e nettezza urbana. «Questo provoca una tensione latente, che sfocia nella tensione culturale, la non corretta pianificazione di questi servizi è un colpo al cuore della società interculturale” è l’opinione del comitato di quartiere. E poi non c’è pianificazione del servizi culturali: non ci sono cinema, biblioteche, nemmeno una piazza al centro del quartiere. Infine, non c’è pianificazione dei servizi di sviluppo economico, con la quantità delle serrande chiuse che evidenzia la perdita di identità del un intero comparto produttivo.

Per rigenerare le periferie di Roma, e con esse tutta la città, occorre passare dall’emergenza alla pianificazione. Occorre pensare alle persone. E, una volta per tutte, ascoltarle. Il Coordinamento delle periferie ha diffuso un documento con sei richieste ai candidati sindaco. Le periferie aspettano le risposte.

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Rigenerare le periferie: sei proposte ai candidati sindaco

Un coordinamento di quattro grandi periferie chiede un Accordo di programma. Che comincia con la riorganizzazione dell’Amministrazione.

Sei proposte per i candidati sindaco, perché finalmente anche a Roma si avviino percorsi per rigenerare le periferie, ridando ai cittadini quella qualità di vita di cui hanno bisogno, occorre avere un modello di sviluppo condiviso e partecipato, ma servono anche strumenti e strutture in grado in realizzare quanto serve per raggiungere gli obiettivi. Ieri, durante il convegno CANTIERE APERTO. Periferie: adesso parliamo noi, è stato presentato il documento che redatto dal Coordinamento Periferie di Corviale, Statuario Tobellamonaca, Torpignattara e Torrespaccata. Contiene sei proposte ai candidati sindaco, che sono state elaborate durante un lungo lavoro di incontri, ricerca, dibattito cui hanno partecipato associazioni, gruppi, singoli cittadini delle periferie citate.

Il coordinamento chiede di fare alcune scelte precise, perché il problema delle periferie non si affronta con le ruspe, ma appunto in una prospettiva di rigenerazione, che tra l’altro valorizzi le risorse – umane, culturali, ambientali – che in questi quartiere ci sono, anche se sottovalutate o trascurate.

Un’Amministrazione meno rigida e più efficace

Fra i primi punti è indicata la necessità di riformare l’organizzazione l’Amministrazione comunale, sostituendo l’Assessorato alle periferie con un Assessorato per la rigenerazione urbana e ridefinendo l’organigramma dando spazio a Dipartimenti trasversali. L’Amministrazione è infatti troppo rigida e settorializzata, tanto da apparire inadeguata a qualunque politica che voglia essere innovativa.

Il primo passo per definire un piano per rigenerare le periferie, secondo Pino Galeota, è di «mettere tutti attorno ad un tavolo, insieme all’Amministrazione, Asl, scuole, trasporti… L’obiettivo è arrivare ad un Accordo di programma, con un responsabile di progetto e uno stato di avanzamento dei lavori opportunamente monitorato». L’alibi per non intervenire seriamente sulle periferie è sempre la mancanza di fondi, ma «non è vero che non ci sono risorse. Bisogna imparare a usare meglio quelle europee, ma anche a coinvolgere le aziende e soprattutto il privato sociale. E poi c’è il ruolo delle municipalizzate, da mettere a punto e valorizzare».

Luca Lo Bianco ha indicato una serie di fattori che sono di ostacolo ad una strategia che punti a rigenerare le periferie: tra l’altro, il fatto che negli ultimi anni l’idea di un forte decentramento è stato accantonata e che si punta alla rivisitazione delle società di servizio pubblico con riforme che prevedono la dismissione, cosa poi nei fatti impossibile… «Se si realizzasse un vero decentramento sui Municipi, anche il dibattito sulle periferie si sposterebbe», perché «al cosiddetto centro rimangono alcune politiche, integrate tra loro, ma tutto il resto si fa sui territori». Ed è evidente che questo implica una ridefinizione della macchina comunale. Tra l’altro, occorre usare di più strumenti nuovi come gli Uffici di scopo, organizzati attorno ad obiettivi ben delineati, raggiunti i quali si sciolgono». Tutto questo implica anche un «ragionamento con i sindacati, che riguardi la ridefinizione del senso del lavoro pubblico e affronti i temi delle funzioni, ma anche quello, molto concreto, degli orari di lavoro, e quindi di apertura al pubblico».
Processi complessi, ma non impossibili. Che andrebbero sviluppati, secondo torrespaccataAlfredo Fioritto, creando le condizioni per una vera «partecipazione alle scelte, a qualunque livello». D’altra parte, i cambiamenti sono già in atto e incidono fortemente sulla governace. La legge del 2014 sulle città metropolitane ha abolito le provincie, sostituite dalla Conferenza metropolitana (quella di Roma comprende 120 comuni) e ha istituito un Consiglio metropolitano e un sindaco eletti dai cittadini. Se questa è la strada, secondo Fioritto, «è evidente che anche l’Assessorato alle Periferie non ha più senso» e che bisogna ragionare in termini completamente diversi, perché cambia l’idea stessa di centro e di periferia.

Sei proposte per rigenerare le periferie

Le sei richieste sono frutto di un lungo lavoro di dibattito e approfondimento, che ha coinvolto associazioni, movimenti, singoli cittadini, università e centri di ricerca. Ecco una sintesi delle richieste:

Promuovere un forum dedicato alle periferie e quindi alla Rigenerazione Urbana entro la seconda decade di luglio.

L’abolizione dell’Assessorato alle Periferie e la costituzione dell’Assessorato per la Rigenerazione Urbana, attraverso la realizzazione di una effettiva interdisciplinarietà, che abbia funzioni e poteri di riconosciuto coordinamento.

La definizione di un nuovo organigramma dell’Amministrazione, che dia funzioni e poteri a Dipartimenti responsabili, che dovranno collaborare con chi verrà incaricato di coordinare i progetti individuati.

L’attivazione di sperimentazioni nelle cinque Periferie, congiuntamente con tutti i soggetti pubblici e privati interessati, che entro un anno definiscano contenuti, scelte e procedure per avviare le attuazioni. Il cosiddetto stato avanzamento lavori dovrà avere tempi, modalità e responsabilità note e forme di comunicazione partecipate. Va individuato un Responsabile del progetto, che abbia le competenze per coordinarlo e per seguire il suo iter amministrativo e interistituzionale.

La definizione di un modello di sviluppo delle periferie, che renda protagonisti i cittadini, le presenze territoriali e che preveda le necessarie connessioni con l’Area metropolitana, con la Regione Lazio e la governance nazionale, oltre che con i settori produttivi pubblici e privati.

La sottoscrizione di un Accordo di Programma o altro atto similare, che renda procedibile il progetto condiviso tra tutti i soggetti pubblici e privati interessati.

Il coordinamento chiede inoltre che, nella fase di transizione, a fronte delle problematiche sulla sicurezza e la legalità nei grandi agglomerati periferici, si pensi ad una presenza continua di Ater-Regione e del Comune di Roma sui territori.

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