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Settimo Torinese, la periferia che si candida a Capitale della cultura per il 2018

21 le città candidate che coprono un po’ tutta la penisola. La finalista la si scoprirà solo il 31 gennaio 2017. Ma nell’elenco delle prescelte ci sono dei nomi inaspettati. Uno di questi è Settimo Torinese, provincia di Torino, una città di periferia nata dall’immigrazione e fatta dalle fabbriche. «Perché cultura», spiega Elena Piastra, vicesindaco del comune, «non significa solo “bello”. Ma anche incontro, inclusione, innovazione»

Mantova è la capitale di oggi. Il prossimo anno cederà lo “scettro” a Pistoia. E nel 2018? Quale città sarà la “regina” della cultura italiana?. Ad oggi sono 21 le candidate finaliste a Capitale Italiana della cultura 2018. La procedura di valutazione si concluderà entro il 31 gennaio 2017. Ogni città, per aderire al bando, ha realizzato una bozza di progetto che sarà sottoposto alla giuria di sette esperti del settore della cultura, delle arti e della valorizzazione territoriale e turistica. A metà novembre ci sarà una prima selezione e le città finaliste dalle 21 attuali passeranno a 10.

Tra le 21 candidature proposte (a seguire l’elenco completo), una è veramente particolare e potrebbe sembrare – ma non fatevi ingannare dall’apparenza – una candidatura anomala, ma non è così. Noi, questo comune, l’abbiamo scelto come apertura della sezione Cultura del Bookazine di Vita di agosto, già nelle edicole. È Settimo Torinese, in provincia di Torino.

È una storia particolare la sua. «È un comune nato dall’immigrazione», ci ha raccontato Elena Piastra, vicesindaco di Settimo, è stata sua l’idea della candidatura. A Settimo Torinese, alla fine degli anni 50, ci vivevano poco più di 10mila persone. Era conosciuto come il “paese delle lavandaie”, le famiglie benestanti della vicinissima Torino – appena 13 chilometri di distanza – portavano qui i loro indumenti da lavare. Quando negli anni 60 sono arrivate le fabbriche, è arrivato pure il lavoro e con il lavoro le famiglie che venivano dal Polesine e – in gran parte – dal sud Italia.

In soli 10 anni la popolazione ha raggiunto 43mila abitanti che sono cresciuti fino a 50mila negli anni 80, dove ancora, alla scuola elementare, i bambini andavano divisisi in tre turni diversi perché le aule non bastavano per tutti. Qui c’erano tutti i presupposti perché il comune diventasse una periferia degradata simile alle banlieue parigine, eppure non è successo. E così dopo 60 anni il “paese delle lavandaie” si candida a diventare Capitale Italiana della Cultura per il 2018.

Settimo Torinese di “bello” nel senso canonico del termine forse non ha un granché. Anzi, è un paese che si è ritrovato ad avere la più alta concentrazione di case popolari in Italia. «Non abbiamo musei, né grandi chiese o monumenti o porticati in pietra», ammette Elena Piastra. «Ma il bando non parla solo di bellezza; ma di innovazione, inclusione, cultura ed incontro. Allora sì che una periferia può diventare capitale delle cultura». In comune è infatti presente il centro Fenoglio, il più importante hub del nord Italia per l’accoglienza migranti; il Teatro Laboratorio fondato da Gabriele Vacis, e una fabbrica di Pirelli ridisegnata da Renzo Piano che pure ha detto: «La bellezza naturale del nostro Paese non è merito nostro. Ciò che può essere merito nostro è rammendare le periferie per scoprirne la bellezza…».

Elenco città candidate a Capitale Italiana della cultura 2018

Alghero, provincia di Sassari, Sardegna
Aliano, provincia di Matera, Basilicata
Altamura, provincia di Bari, Puglia
Aquileia, provincia di Udine, Friuli Venezia Giulia
Candidatura congiunta Viterbo – Orvieto (Tr) – Chiusi (Si), Lazio/Umbria/Toscana
Caserta, Campania
Comacchio, provincia di Ferrara, Emilia Romagna
Cosenza, Calabria
Ercolano, provincia di Napoli, Campania
Iglesias, Sardegna
Montebelluna, provincia di Treviso, Veneto
La Spezia, Liguria
Ostuni, provincia di Brindisi, Puglia
Palermo, Sicilia
Piazza Armerina, provincia di Enna, Sicilia
Recanati, provincia di Macerata, Marche
Settimo Torinese, provincia di Torino, Piemonte
Spoleto, provincia di Perugia, Umbria
Trento, Trentino Alto Adige
Unione dei Comuni Elimo Ericini (Buseto Palizzolo, Custonaci, Erice, Paceco, San Vito Lo Capo e Valderice), provincia di Trapani, Sicilia
Vittorio Veneto, provincia di Treviso, Veneto

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Periferie, nascono le prime start-up dell’amministrazione Sala

Sono 19 le attività che oggi accendono le luci da Greco al Corvetto, dalla Barona al Lorenteggio passando per la Bovisa e Bruzzano, grazie al sostegno dell’Amministrazione.
Milano crede nello sviluppo degli esercizi commerciali e dei servizi in periferia. Sono 19 le attività che oggi accendono le luci da Greco al Corvetto, dalla Barona al Lorenteggio passando per la Bovisa e Bruzzano, grazie al sostegno dell’Amministrazione che ha messo a disposizione dei nuovi progetti d’impresa circa 1,5 milioni di euro. Ad annunciarlo questa mattina, presso il nuovo “ciclo-spazio” di Turro, il sindaco Giuseppe Sala con l’assessore alle Politiche per il lavoro, Attività produttive e Commercio Cristina Tajani, affiancati da alcuni degli aspiranti imprenditori che hanno deciso di far nascere e crescere le loro attività nelle aree periferiche della città.

“Milano è una città vivace, che sa reinventarsi ogni giorno, che permette ai giovani imprenditori di sviluppare i propri sogni, le proprie idee. I 19 progetti che presentiamo oggi ne sono un esempio concreto: sono la migliore espressione della capacità di innovazione e dell’intraprendenza della nostra città e dei suoi cittadini. Puntare sulle start-up, investire su iniziative di valore nelle periferie, aiutare nuove imprese a farsi spazio sul mercato non è un atto estemporaneo, ma sarà un obiettivo costante di questa Amministrazione, perché Milano ha tutte le caratteristiche per diventare un punto di riferimento internazionale, anche in questo settore”, afferma il sindaco Giuseppe Sala.

“Con questi primi 19 progetti d’impresa vogliamo dare nuovo slancio alla riqualificazione di tante aree decentrate, sostenendo nuove aperture artigianali e commerciali di vicinato che per noi rappresenta il modo migliore di far tornare a vivere le vie e i quartieri della periferia”.

Così l’assessore alle Politiche per il Lavoro, Attività produttive e Commercio Cristina Tajani, che prosegue: “Da oggi inoltre avviamo un nuovo dialogo con MM per identificare i tanti spazi commerciali degli immobili del Comune che possono ospitare attività imprenditoriali contribuendo anche a sviluppare processi aggregativi e di socialità diffusa”.

Diciannove i progetti d’impresa selezionati tra le oltre 70 richieste pervenute all’Amministrazione.

Cinque gli ambiti in cui spazieranno le nuove attività: dalla ristorazione innovativa a quella rivisitata, passando dall’artigianato, sino ai servizi alla persona e allo sport. Tra i vincitori 12 sono donne e 7 uomini, l’80% è under 35 e molti di essi sono in possesso di laurea o diploma, oltre ad aver maturato esperienze lavorative precedenti in linea con il proprio percorso di studi per poi diventare imprenditori di se stessi. Tutti hanno frequentato il corso di avviamento alla gestione d’impresa realizzando un accurato business plan dell’iniziativa.

Nascono dunque nuove attività in periferia, come “C’è pasta per te” a Villapizzone, nata dalla volontà di due giovani laureati non solo di produrre e vendere il più amato alimento nazionale, la pasta fresca, ma anche divulgare i segreti dell’arte bianca con lezioni, incontri e corsi. Legate al cibo anche la “kebabberia gourmand” a Greco, realizzata con prodotti a km 0, e l’hamburgeria in Bicocca, dove gustare sapori esotici come carne di canguro, struzzo, asino e cavallo. Nel segno dell’etnico la proposta di una giovane camerunense in Corvetto, che delizierà i palati dei milanesi con gli insoliti sapori della frittura di platano e salse tipiche del Continente nero. Non può mancare lo street food di “Sfrigola” a Lorenteggio con frittura di prodotti ittici.

Spazio anche al design con chi reinventa l’attività di famiglia a Bruzzano: dai marmi funebri ai più moderni mobili da giardino e chaise longue, ovviamente in marmo.

E ancora, mentre a Corvetto un giovane realizza il suo sogno, rilevando l’attività del suo datore di lavoro e facendo sua l’officina dove ha appreso i segreti della meccanica e dei motori, in Barona nasce la sartoria “Punto e Croce”, che proviene da una precedente esperienza a sostegno della Croce Rossa per il reintegro lavorativo di donne in difficoltà.

A Turro, poi, sorge il primo “ciclo-spazio”: noleggio e riparazione di biciclette oltre a un bar e garden market su 1300 mq lungo la ciclopedonale della Martesana (gli altri dieci progetti sono descritti in allegato).

Tutti i progetti vincitori potranno contare su un finanziamento dell’Amministrazione pari al 50% dell’investimento (fino a un massimo di 50mila euro, 25% a fondo perduto e 25% a un tasso agevolato dello 0,5%), volto a coprire le spese come ad esempio il rinnovo dei locali, i canoni di locazione, l’acquisto di software gestionali, le spese sostenute per la comunicazione o per il pagamento delle utenze. Per i progetti che abbiano necessità di una facilitazione di accesso al credito per il restante 50% delle spese sarà possibile richiedere l’utilizzo del Fondo di Garanzia che consentirà alle imprese di essere facilitate nell’accesso a un ulteriore finanziamento bancario.

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UISP – lo sport Sociale alla Biennale di Venezia

L’allestimento Sportivo #periferiainazione alla Biennale di Architettura di Venezia.
Il saluto ai Giochi Olimpici di Rio che stanno per partire, l’Uisp lo dà così: ricordando che sport è parola dai mille significati sociali e culturali. Seguiremo le imprese dei campioni ai Giochi di Rio cercando di raccontare il sociale attraverso lo sport, un’occasione per dare forma e contenuto al fenomeno del nostro tempo.

Chi non può andare a Rio de Janeiro faccia un salto a Venezia, alla Biennale Architettura, Padiglione Italia: troverà un allestimento inedito, dedicato allo sport come “bene comune” del nostro tempo insieme a salute, ambiente, cultura, legalità.

Il tema del Padiglione è “Taking Care – Progettare il bene comune” e per la prima volta l’archietettura punta su cinque allestimenti e cinque associazioni fortemente radicate nel sociale, una per ogni “bene comune”. Per lo sport è stata scelta l’Uisp-Unione Italiana Sport Per tutti (guarda le pagine del Catalogo ufficiale della mostra dedicate all’allestimento sportivo To Move).

Le altre sono: Emergency, Libera, Legambiente, AIB Associazione Italiana Biblioteche. L’obiettivo della creazione degli allestimenti mobili che da novembre, data della chiusura della Biennale Architettura di Venezia, gireranno varie città è quello di abbracciare una causa comune, in un programma di recupero sociale e culturale delle periferie italiane.

Da “Taking Care-Progettare per il bene comune” (curata dal team TAMassociati), nasce il primo progetto di crowdfunding civico per agire nelle periferie italiane. Con i fondi raccolti saranno realizzati i 5 dispositivi e garantita la loro operatività nelle periferie italiane per il primo biennio. Il progetto ha una piattaforma dedicata, www.periferieinazione.it, messa a disposizione da Banca Popolare Etica, che garantisce che tutte le transazioni avvengano nel circuito virtuoso della finanza etica.

Una volta realizzati, i dispositivi si caleranno dunque nella realtà, in luoghi in cui potranno dimostrare la loro utilità sociale, portando, in un progetto di sussidiarietà, qualità, bellezza e diritti laddove questi ora manchino o risultino limitati.

In mostra a Venezia sono esposti i fac-simile di cinque dispositivi mobili, moduli carrabili frutto di un lavoro congiunto tra da cinque studi italiani e le cinque associazioni: quello sportivo ideato dall’Uisp verrà realizzato dallo studio Nowa.

Così gli altri: Emergency con Matilde Cassani, Legambiente con ARCò, Libera con Antonio Scarponi / Conceptual Devices, AIB (Associazione Italiana Biblioteche) con Alterstudio Partners,

I cinque dispositivi mobili diventeranno un presidio per l’educazione alla convivenza e alla cittadinanza attiva attraverso il gioco e lo sport, un ambulatorio mobile e centro di mediazione culturale, un centro di monitoraggio e sensibilizzazione ambientale, uno spazio di socializzazione per adulti e bambini nonché punto prestito e reference di informazioni su cultura, biblioteche e tempo libero e, in ultimo, un presidio, situato nel cuore di un bene confiscato alle mafie, aperto alla riflessione e azione della cittadinanza.

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Periferie del terrore

La recente cronaca politica internazionale è stata ampiamente contrassegnata da tragici eventi strettamente collegati a due concetti fondamentali, affinché la pacifica convivenza nelle e fra le comunità politiche sia data per possibile.
La strage di Nizza da una parte e il presunto tentavo di golpe militare nella Turchia di Erdogan dall’altra, consentono, infatti, di riportare alla mente dei più attenti i grandi interrogativi e problemi circa i concetti di sicurezza e di effettivo controllo da parte dello Stato nei confronti del proprio territorio.
Le analisi di numerosi giornalisti, professori ed intellettuali, apparse sui più noti mezzi di informazioni in questi giorni, hanno tentato di spiegare più nel dettaglio le varie dinamiche sottostanti a tali eventi drammatici. Approfondimenti e spiegazioni di per sé già esaustivi, a cui non occorre replicare o aggiungere altro.

Piuttosto, vale la pena trattare nuovamente il tema (tanto dimenticato) dello status in cui versano, sempre più spesso, le grandi periferie cittadine. Ancora una volta, queste non esitano a mostrarsi al mondo come veri e propri casi esemplari di luoghi dimenticati dal potere definito legittimo, quindi date bellamente in pasto a forme di barbarie ed inciviltà assolute e spaventose. Sporche, vuote, esteticamente orribili. Sono il ritratto di una realtà degradante, la quale non sarà forse causa immediata, ma certamente fattore complice nella nascita e nel consolidamento costante di gruppi terroristici capaci di insanguinare mezza Europa.

Nelle periferie manca lo Stato. È spesso volatile, incostante e frammentato l’esercizio di quella che più propriamente viene definita come la “sovranità” statuale. Dominano, insomma, il caos e l’indifferenza totale nei confronti di atteggiamenti favorevoli ad un degno senso di legalità e di pacifica, ma soprattutto reciproca, integrazione. Una condizione deprimente che innesca un grande circolo vizioso e pericoloso, fatto di criminalità e terrorismo. Il rischio (in parte ampiamente già realizzatosi nella città di Bruxelles, come si è appurato durante i giorni di cattura di Salah Abdeslam in marzo) è, insomma, il prevalere d’una anarchia totale, congiunta alla ghettizzazione degli spazi che diventano invalicabili a qualsiasi forma di un “sentire comune” che unisce popolo e popoli.

Appare assurdo e vergognoso che, anche in Italia, le stesse forze dell’ordine non possano entrare in certi quartieri perché temono insubordinazioni eccessive nei loro confronti da parte dei residenti. Appare altrettanto assurdo e vergognoso che questi stessi quartieri siano dimenticate dalla politica e da chi ha il compito primario di garantire la sicurezza e il benessere della propria città. Non sono forse le periferie parte dello stesso centro che si è chiamati ad amministrare? Non sono forse le periferie zone in cui, comunque, vivono persone con gli stessi diritti e doveri civili, politici e morali che tutti, indipendentemente da dove abbiano casa, possiedono? Anche qui, lo Stato deve essere presente e la politica ha il compito e l’autorevolezza di assicurare questa presenza. Del resto, uno Stato che non è in grado di garantire la sicurezza e il controllo del proprio territorio è decisamente fallimentare, oltre che politicamente inconcepibile.

Occorrerebbe quindi ripristinare un’autorità pubblica legittimata, fortemente capace di sanzionare chi viola le norme socialmente diffuse e, in particolare, fortemente in grado di riaffermare un comune sentire, un senso di appartenenza condiviso in quanto membri di una stessa comunità. È una sfida prima di tutto culturale e di civiltà, oltre che prettamente politica e giuridica. Il cui positivo esito sarebbe certamente un presupposto essenziale per eliminare eventuali nuclei terroristici o potenziali cospiratori.

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“L’altro scudetto”. Il Napoli a Scampia contro il disagio e la devianza giovanile

Sono diverse le iniziative sociali della Società Calcio Napoli e riguardano soprattutto i più giovani. È esteso agli oratori di 60 parrocchie cittadine e coinvolge circa 2 mila e 500 ragazzi il progetto dell’Arriap Football Team. Diverse anche le attività a favore dei giovani reclusi di Nisida.
Ufficialmente non se ne vanta anche sono diverse le iniziative sociali della Società Calcio Napoli e riguardano soprattutto i più giovani. Lo scorso aprile la società ha presentato con il Comune di Napoli il progetto “Fratellanza Italiana Calcio”: un’iniziativa “di contrasto alla devianza della sub cultura sportiva in tutte le sue forme e alla violenza dentro e fuori gli stadi”, che prevede, a partire dal prossimo anno scolastico, l’avvio di attività sociali e sportive nel centro polifunzionale di Scampia dato in comodato d’uso all’associazione “Ciro vive”, intitolata alla memoria del tifoso del Napoli ucciso da un ultrà romanista due anni. Nel centro, che è in fase di ristrutturazione, si terranno attività sportive ma anche corsi per la formazione di pasticcieri, pizzaioli e cuochi, in modo da sottrarre all’emarginazione e al rischio di devianza i ragazzi del territorio.

È esteso invece agli oratori di sessanta parrocchie cittadine e coinvolge circa 2 mila e 500 ragazzi il progetto dell’Arriap Football Team, forse la più grande Associazione Sportiva Dilettantistica d’Italia nata dopo due anni di sperimentazione del programma Tutoring ideato dall’Arcidiocesi di Napoli e realizzato grazie al contributo del Calcio Napoli, dell’Asl Napoli 1 e di sponsor tecnici. Il torneo si tiene in parallelo al campionato di calcio di serie A e vede gareggiare oltre 150 squadre delle parrocchie dell’Arcidiocesi, con la competizione finale a maggio alla presenza sia del cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, che del presidente della Società Calcio Napoli Aurelio De Laurentis.

“Il Torneo – spiega don Rosario Accardo, responsabile della Pastorale dello Sport della Chiesa di Napoli – è nato con l’intento di togliere dalla strada i nostri ragazzi, quelli che non possono partecipare alle scuole calcio private, facendoli giocare ed allenare gratuitamente nelle strutture parrocchiali. Inoltre ogni atleta ha avuto gratuitamente un’assicurazione e una visita medica e va qui ricordato un altro grande risultato umano e sportivo: anche quest’anno un ragazzo è stato salvato, mediante un intervento chirurgico, da un serio problema fisico”. Il campionato, diviso per quattro categorie diverse di età e articolato in mesi di allenamento e oltre seicento gare, coinvolge tutti i quartieri di Napoli e ragazzi molto diversi per provenienza sociale, che si confrontano tra coetanei grazie allo sport.

Diverse infine le attività a favore dei giovani reclusi di Nisida, che la Società Calcio Napoli realizza in collaborazione con associazioni e cooperative sociali. Come quella che nel dicembre scorso ha visto chiudere la cena natalizia di Jorginho, Strinic, Rafael e Pepe Reina con panettoni prodotti nel laboratorio di pasticceria dell’Istituto Penale dei minorenni a Nisida.

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“Noi viviamo in periferia”: racconti dalla Bovisa

Pubblichiamo l’intervista a Stefano Pellegrini, autore di un libro che fa riflettere ed anche sorridere su una delle periferie milanesi più degradate, ma anche più sorprendenti di Milano: la Bovisa!
Il giovane protagonista di “Noi viviamo in periferia – Tutto quello che mi serve veramente sapere l’ho imparato in Bovisa” racconta la sua quotidianità immerso nel ‘mondo parallelo’ della periferia milanese. Uno stile dal taglio ironico conduce il lettore attraverso aneddoti, pensieri e riflessioni; racconti di vita tra palazzi, asfalto, tram, negozi e locali. Integrato da fotografie della periferia urbana, regala una visione alternativa, un microcosmo quasi surreale nel quale immergersi in un connubio tra sorriso e riflessione.
Per saperne di più di questo libro abbiamo intervistato l’autore Stefano Pellegrini.
Perché con tanti quartieri che ci sono a Milano di più forte richiamo, hai deciso di scrivere questo libro proprio sulla Bovisa?
Perché è il quartiere in cui sono approdato. Sono capitato qua e ho visto una realtà inaspettata e per nulla raccontata, per cui essenzialmente ho pensato che fosse giunto il momento di raccontarla.
Ti ha sorpreso?
Sì, ho avuto la piacevole sorpresa di trovare una dimensione paesana pur mantenendo delle fortissime connotazioni di periferia: una dicotomia davvero interessante. Cerco di essere più “neutro” possibile quando racconto, limitandomi a vedere e raccontare ciò che vedo. Ora sto facendo tutto un lavoro sulle altre periferie (1) e sto mettendo alla prova la tesi del fatto che nelle periferie si può vivere bene. Ma non so dove mi porterà: potrei anche arrivare alla conclusione opposta a quella con cui sono partito.
Desidero essere aperto e disposto a cambiare idea ed evitare di bermi tutto ciò che mi raccontano gli altri. Però c’è da dire che una cosa che si dice sulle periferie è sicuramente vera: le periferie sono brutte, questo è indubbio! Ma qua è dove vivono le persone: la stragrande maggioranza delle persone residenti in città vive in periferia. I “posti veri” sono questi, non è il centro pettinato. Il centro è come la donna il sabato sera, tutta truccata, pettinata; la periferia è la donna la domenica mattina, quando la vedi senza trucco, senza artifici.
Cos’è che ti ha colpito maggiormente di questa realtà?
Le reti: mi è sembrato di cogliere qua e là delle quasi delle famiglie allargate. Ad esempio uno degli episodi che sicuramente ha portato alla nascita del libro, è stato la scoperta di quel macellaio là (mi indica una macelleria chiusa: è mezzanotte ndr.), dove un signore solo è stato “adottato” simbolicamente dalla coppia di simpatici titolari e dalla tintoria di fronte perché passa lì intere giornate da vent’anni. Nella mia visione del mondo una delle grosse differenze tra una città e un paese è quella che un paese ha tutta una serie di reti sociali che sostengono quelle che sono le persone un po’ più deboli ed io là ho riconosciuto una rete di questo tipo: una rete paesana all’interno di una città, in periferia!
Beh, parliamo di una realtà che effettivamente era un paese…
Ma questo è vero per tutte le periferie di Milano. Ho visto un’antica mappa di Milano, credo del 1400, dove la città era essenzialmente quello che oggi è il centro città, la zona 1 e tutto il resto erano borgate agricole. C’erano tutte: da Quarto Oggiaro a “Bouisa” ad Affori, etc. Poi Affori ho la sensazione che abbia mantenuto ancora di più il suo spirito paesano perché non era ancora comune di Milano fino a poco tempo fa. Mi hanno raccontato che Bovisa e Dergano erano e sono due quartieri gemelli, nel senso che se tu prendi una mappa non hai assolutamente la possibilità di tracciare un confine certo. Sfido chiunque a prendere una mappa e dire: qua finisce Dergano e inizia Bovisa! Erano dei quartieri quasi simbiotici, anche perché questo Bovisa era un quartiere industriale e Dergano era uno di spedizionieri: qui a Bovisa producevano e a Dergano spedivano la merce. Ma si prendevano anche a sassate e prendersi a sassate è tipico dei paesi confinanti.
Per quale ragione consiglieresti la lettura del tuo libro?
È un libro che si può leggere benissimo in bagno! Perché è composto da tanti brani brevi. Un po’ un libro-blog in realtà, un libro di cui puoi leggere un pezzetto ogni volta che vuoi. Essendo poi breve, con due sedute in bagno si riesce a leggere tranquillamente! Spero poi sia un libro divertente, che racconta il tentativo di vedere la bellezza e la magia nel proprio quotidiano, per scoprire ciò che di bello e magico hai sotto gli occhi tutti i giorni; che è poi anche la cosa che ho cercato di rubare dall’autore da cui ho plagiato il titolo, che è infatti un plagio clamoroso di: “Tutto quello che mi serve veramente sapere l’ho imparato all’asilo” di Robert Fulghum che ha un po’ questa visione del magico nel quotidiano, che secondo me è davvero una splendida lettura. Anzi consiglio a tutti caldamente di comprare questo libro piuttosto che il mio, perché è molto più bello! Pensa che la prima versione del libro era uscita con una dedica a Robert Fulghum, sperando che mi denunciasse, poi il mio editore mi ha persuaso a toglierla! C’è da aggiungere che, curiosamente, un 90% di tutti i brani di cui si compone il libro sono stati ispirati tra Piazza Schiavone e la stazione di Bovisa: circa 300 metri quadrati: uno spazio incredibilmente ristretto eppure ricco di storie.
Come mai hai pensato di fare una cosa di questo genere e scriverne un libro?
È stato un gioco. Ho cominciato a scrivere qualche pezzo senza nemmeno accorgermene e poi ho pensato che potesse venirne fuori un libro; all’epoca avevo un coinquilino napoletano (Giancarlo Mongelli, che ora vive a Berlino) che tra le altre cose faceva anche il fotografo, il pizzaiolo, l’operaio, più precisamente, come si definiva lui, il saldatore. Lavorava anche per una casa editrice, dove abbiamo stampato di domenica la prima copia del libro. Poi ne abbiamo stampate 30 copie, poi 100, e così via e le abbiamo portate al Libraccio di Bovisa. Ora ne porteremo altre copie in Isola, Giambellino, al Mamuska di Dergano.
Dall’interesse che ha suscitato il libro, sembra proprio che le persone vogliano saperne di più sul loro quartiere…
Sai racconto in maniera spero divertente e leggera quella che è la loro realtà con anche un altro modo per guardarla, credo sia normale che incuriosisca. Poi l’altra faccia della medaglia è la stranezza di uno che arriva qua da tutt’altra realtà e scrive un libro sulla Bovisa. È anche vero che mi sono capitate delle cose quasi imbarazzanti, quando ad esempio raccontavo del quartiere e davanti mi sono trovato dei settantenni che erano nati e cresciuti in Bovisa! Però quello forse, in realtà è stato il punto di forza del libro: cioè una persona che arrivava dall’esterno e che non sapeva niente e quindi non aveva pregiudizi. Probabilmente i settantenni sono più legati alla Bovisa che fu…poi io sono un pervertito e quindi per esempio mi guardo avanti e leggo: “Quisque faber est fortunae suae”, ovvero: “Ciò che uno fa crea la propria fortuna”.
Mi sono chiesto chi caspita fosse venuto in mente di scrivere una frase in latino in Piazza Schiavone (dove ci troviamo durante l’intervista, ndr)! Poi in questo muretto (mi indica un muretto di piazza Schiavone che diventa mano a mano più basso, ndr) c’era anche la frase del così chiamato “Ivan il poeta”, che diceva: “siamo tutti sullo stesso livello, ma il livello è in pendenza”, la mia chiave di lettura è che “tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri (citazione tratta da “La fattoria degli animali” di George Orwell, ndr). Poi qualcun altro ci ha scritto sopra. In generale comunque sono una persona che ama osservare e scrivere ciò che vede, nulla di più di questo.
Parlaci del tuo lavoro con i Rom
Mi incuriosiva l’odio che numerose persone nutrono verso i Rom e se chiedi a qualcuno perché odia i Rom ti fa un elenco piuttosto nutrito ed anche in parte giustificabile, quasi fondato: ma è proprio qui che sorgono i dubbi perché capita sempre di parlare con qualcuno che ce l’ha con qualcun altro. Mi sorgeva spontanea una domanda: perché ce l’abbiamo tutti proprio con loro? Si dice che rubino ed in parte è vero, ma anche il tuo dentista quando non ti fa la fattura ti sta rubando, pure il Professore universitario quando manda l’assistente al posto suo a fare lezione sta rubando, però non nutriamo lo stesso tipo di odio. Per assurdo siamo più incazzati con i Rom che coi mafiosi! Da lì è partita l’idea di provare a capire le ragioni di quest’odio e approfondirle e così ho fatto un’intervista con Santino Spinelli, studioso e musicista Rom, che è nata dopo aver letto un suo libro molto interessante: “Rom, questi sconosciuti”. Gli ho chiesto se potevo intervistarlo e lui invece mi ha invitato a fare una presentazione insieme. È stata un’ottima occasione per approfondire ulteriormente la questione ed approcciarmi alla cosa in modo neutro.
Cosa hai imparato che non sapevi sui Rom?
Che i Rom vengono originariamente dall’India e che per loro lo spostarsi era ed è una forma di “difesa” rispetto ad una società che gli è sempre stata ostile. Ho anche scoperto che ci sono molte famiglie di origine Rom composte da gente che lavora a Milano da generazioni, intenta nelle professioni più disparate. Noi quando guardiamo i Rom vediamo forse solo quelli di recente migrazione che abbiamo sbattuto in posti dove non metteremmo a vivere altre persone e guarda caso quando crei un ghetto si crea un’economia di sussistenza e poi si dice che sia la cultura stessa dei Rom ad averla creata questa economia. Questa naturalmente è una mia personale riflessione e vorrebbe solo offrire un’altra chiave di lettura, nulla di più.
Cosa ti piacerebbe emergesse da questa nostra intervista?
Sai, la Bovisa era un quartiere operaio, con un esperimento sociale dato dal Politecnico che è stato un successo solo parziale, perché gli studenti, per la maggior parte, non vivono in Bovisa. Anche perché è così ben collegata che si spostano col treno o con la metro di Dergano. Questo flusso di studenti in transito ha favorito curiosamente la nascita di negozi (stamperie, paninoteche, etc.) che sono presenti solo lungo le strade che dal Politecnico portano alla Stazione di Bovisa e viceversa e solo in quelle due strade: via Candiani e via Andreoli. Ma se la Bovisa è un posto vivo, secondo me si deve anche e soprattutto ai “nuovi Italiani”: sono loro che l’hanno rivitalizzata. “Nuovi Italiani” è un termine che ho rubato dal Presidente canadese, che quando vivevo in Canada ho sentito parlare di “nuovi canadesi” riferendosi agli stranieri. Mi piace questo modo di definire gli stranieri perché penso che finché li chiami immigrati li allontani, se invece li definisci “nuovi Italiani” è tutto un altro discorso, perché li fai sentire accolti dal paese che li ospita. Dopotutto i loro figli parleranno molto probabilmente in dialetto milanese e abiteranno in una delle tante periferie di Milano, da cui nascono e nasceranno tante altre storie.
1. Ha infatti creato un blog che vuole essere un’ideale continuazione del libro, allargando il raggio, mettendo alla prova la tesi che si viva bene anche in altre periferie, magari anche più “malfate” di Bovisa, cercando di rispondere a questa ed altre domande: “è bello vivere a Quarto Oggiaro? C’è bellezza alla Barona?”, etc.

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Parigi è questa qui

Fotografie dalle periferie, lontane dagli stereotipi della Torre Eiffel e del lungosenna: grattacieli, cantieri, campetti da calcio e parcheggi deserti.
Nel progetto fotografico Color Cube il francese Edouard Sepulchre mostra una faccia insolita e poco nota di Parigi, ben distante dalle immagini della Torre Eiffel, dei caffè coi tavolini all’aperto, del lungosenna e dei maestosi Champs-Élysées. Quando lo iniziò, nel 2015, Sepulchre era appena tornato da un viaggio negli Stati Uniti e voleva «occuparsi di larghi spazi aperti tagliati da linee orizzontali e grafiche. Volevo lasciarmi sorprendere. La periferia di Parigi mi sembrò un buon punto di partenza». Le cosiddette banlieue sono un posto di grande trasformazione, dove «edifici e quartieri decrepiti vengono continuamente distrutti per ricreare un nuovo paesaggio urbano» oppure convivono con nuovi palazzi e grattacieli in costruzione.
Sepulchre si concentra soprattutto sui colori, sulle forme e le linee, raccontando una città fatta di edifici modernisti, enormi condomini, strade polverose, cantieri abbandonati, case popolari e campetti da calcio. La Parigi di Sepulchre – anonima, alienata ed esotica – ricorda le periferie delle città dell’Est Europa, il Nord Africa, gli Stati Uniti e il Giappone: tutte queste immagini contrastanti raccolte in serie compongono «una nuova realtà, una città immaginaria».

Sepulchre ha iniziato a lavorare in pubblicità ed è passato alla fotografia nel 2010, concentrandosi soprattutto sui suoi progetti personali e alternandoli a lavori su commissioni per aziende, agenzie fotografiche e riviste. Gli altri suoi lavori si possono guardare sul suo sito, su Tumblr e Facebook.

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Visita la pagina del Coordinamento delle Periferie

Abbiamo svolto i nostri seminari sul tema delle periferie a partire dal mese di gennaio, prima come gruppo ristretto e poi allargato, al CESV (Centro Servizi per il Volontariato) che ringraziamo.

In parallelo ai seminari abbiamo fatto due incontri per ogni Periferia interessata. Le conclusioni e le proposte le abbiamo presentate il 26 maggio presso La città dell’altra economia inviando dopo il 5 giugno la documentazione ai due candidati sindaci…(continua la lettura sulla pagina del Coordinamento)




Commissione d’inchiesta sul degrado delle città

Il deputato di Scelta Civica, Angelo D’Agostino, è relatore sulla proposta di istituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta monocamerale sulle condizioni di degrado delle città italiane e delle loro periferie.

Il testo del documento è stato discusso nella seduta odierna della Commissione Ambiente, territorio e lavori pubblici della quale D’Agostino è componente. Durante il suo intervento, il parlamentare irpino ha evidenziato che tra i compiti della Commissione vi sarà “l’accertamento dello stato del degrado e del disagio delle città e delle periferie, a partire dalle aree metropolitane, in relazione a diversi fattori, fra i quali l’evoluzione della situazione socio-economica e le implicazioni sociali e della sicurezza collegate alla presenza di organizzazioni criminali.”

“Si prevede di procedere – ha aggiunto il deputato – all’accertamento in relazione: al contesto urbanistico, infrastrutturale ed edilizio; alla composizione sociale dei quartieri periferici; alle realtà produttive e alla situazione occupazionale delle periferie; alle forme di marginalità e di esclusione sociali; ai livelli di istruzione, all’offerta formativa, alle reti tra le scuole e tra queste e il territorio, alla situazione della mobilità; alla distribuzione dei servizi collettivi; alla presenza di migranti, con particolare attenzione per i minori e per le donne, delle loro etnie e delle diverse realtà culturali e religiose, alle strutture e alle politiche messe in atto dalle realtà locali nei confronti degli stranieri, nonché alla presenza di iniziative volte all’inclusione dei migranti; alla presenza di varie forme di criminalità e alla capacità di controllo del territorio da parte delle Forze di polizia.”

Occorrerà, inoltre, “accertare il ruolo delle istituzioni locali e – ha aggiunto D’Agostino – le modalità previste e messe in opera per favorire la partecipazione dei cittadini alla gestione delle politiche rivolte alle periferie; di acquisire le proposte operative che provengono dalle istituzioni locali e dalle diverse organizzazioni coinvolte, al fine di favorire la rinascita sociale delle periferie, a partire dall’occupazione, dall’istruzione, dalla formazione professionale, dai servizi, dalla mobilità, dall’integrazione dei migranti, dalla cultura e dallo sport; di rilevare le condizioni di rischio e le connessioni tra il disagio delle aree urbane e il fenomeno della radicalizzazione e la relativa adesione al terrorismo di matrice religiosa fondamentalista da parte dei cittadini europei figli degli immigrati di prima generazione.”

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Periferie. Baldassarre: Garantire ovunque livelli essenziali

“Non ci chiuderemo negli uffici. Una volta a settimana andrò sui territori a mappare le tante possibilità che ci sono, per renderle fruibili”. Ai nostri microfoni Laura Baldassarre, neo Assessore capitolino alla Persona, alla Scuola e alla Comunità solidale. Commenta quanto emerso nella seconda puntata del reportage realizzato a Tor Bella Monaca, quartiere del Municipio più giovane di Roma e con il più alto tasso di disoccupazione. “Qui la criminalità si insinua tra povertà e onestà, controlla gli spazi producendo degrado”, ci spiega Francesco Montillo, dottore in Ingegneria all’Università La Sapienza, profondo conoscitore della zona. Gli abitanti lamentano un totale abbandono da parte delle istituzioni, hanno paura dei servizi sociali, sono delusi per la scomparsa delle cooperative, sono stanchi di sentire tutto il peso delle aspettative scaricato sulle famiglie, che presto si mostrano nella loro fragilità spesso grave. Il teatro ha riaperto da poche settimane ma manca un cinema. Si fanno tanti figli ma non se ne sa promuovere la crescita culturale. Molti ragazzi non hanno mai visto i monumenti del centro storico. “Trenta anni fa sentivamo una appartenenza, ora si è perso il senso di comunità”, racconta Fabiana Teti, a lungo educatrice in una scuola del quartiere. La scuola di via dell’Archeologia, dove lo spaccio e i baby pusher la fanno da padroni, manca di un preside da anni, nessuno vuole andarci a lavorare.

“Eppure Tor Bella Monaca non è un deserto”, precisa Carlo Cellammare, docente di Urbanistica all’Università La Sapienza. “C’è il cubolibro, una biblioteca autorganizzata pubblica laddove manca la biblioteca pubblica. C’è un gruppo di madri che ha allestito uno spazio per costruirvi una ludoteca. Uno dei ruoli dell’università – sottolinea – deve essere proprio quello di investire sulla ricerca e lo studio sul campo, invece molto spesso essa vive nella propria torre d’avorio e non si sporca le mani. Tutti sono bravi a scrivere trattati di sociologia e urbanistica ma nei luoghi bisogna andarci, in quelli ‘ultimi’, come li ha definiti il Papa, che spesso sono anche potenzialmente i più creativi. E si devono evitare gli stigmi. Bisogna creare lavoro valorizzando le risorse locali: manutenzione degli spazi verdi, creare orti, attività produttive a beneficio delle stesse periferie”.

Sulla stessa linea l’assessore Baldassarre che riprende: “Abbiamo ereditato un territorio pieno di macerie. Serve una risposta seria, valutata, efficace, frutto di una rete tra associazioni, parrocchie, organizzazioni e singoli. Non ci devono essere progetti che nascono e muoiono su questioni centrali legate alla vita delle persone”. E insiste sull’importanza della produzione culturale e dell’arte come valore che fa la differenza in situazioni di grandissimo degrado sociale. “Dobbiamo aumentare le opportunità di scelta e creare un nuovo ascensore sociale”, dichiara Baldassarre. Parla di “volontà di intervenire sulle povertà, al plurale” e annuncia un impegno per garantire l’accesso al reddito di cittadinanza. “L’Italia è una delle poche nazioni europee a non avere misure di sostegno al reddito. Nei prossimi mesi a Roma ci saranno novità su questo tema, abbinate ad un percorso di inserimento così da non mettere in piedi un approccio esclusivamente assistenziale. Abbiamo formulato l’ipotesi di una forza di volontariato comunale per cambiare il volto dei nostri quartieri, si entrarà nel merito nel corso delle prossime settimane. Le scuole devono tornare ad essere dei laboratori, luoghi di apertura al territorio, fulcro della rinascita di un quartiere. I centri anziani diventeranno centri polifunzionali per lo scambio intergenerazionale”. E conclude con l’invito alla partecipazione: “Bisogna incentivarla. Stiamo cercando di creare meccanismi di consultazione permanente. Ci saranno luoghi di confronto in assessorato. L’ascolto prima di ogni altra cosa”.

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