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Arte, cinema e musica: ecco il bando per “illuminare” le periferie urbane della tua città

Sostenere progetti di promozione e attività culturali nelle periferie urbane. È questo l’obiettivo di “Periferie Urbane”, il bando di concorso indetto dalla SIAE, Società Italiana degli Autori ed Editori, e indirizzato a giovani under 35 residenti in Italia. L’intento è sostenere iniziative che coinvolgano sotto il profilo organizzativo e/o produttivo giovani autori, artisti, interpreti ed esecutori di età non superiore ai 35 anni residenti nel territorio italiano, nei seguenti settori artistici: Arti visive, performative e multimediali – Cinema – Teatro e Danza – Libro e Lettura – Musica.

Come si legge sul bando, l’intervento è diretto ad animare le aree urbane dove la crisi economica e sociale è più intensa, anche allo scopo di promuovere una più ampia partecipazione e fruizione culturale da parte di tutta la popolazione e, in particolare, di quella dei giovani. I progetti finanziabili appartengono a due categorie. La prima relativa a rassegne, festival ed altri programmi rivolti al pubblico da realizzare in spazi teatrali e cinematografici, in spazi non convenzionali o all’aperto, per rappresentare narrazioni, drammaturgie o coreografie, opere visive e multimediali, opere musicali, opere cinematografiche e audiovisive che abbiano come ispirazione primaria il tema del confronto con “l’altro” o il diverso anche, ma non solo, rispetto alle popolazioni immigrate. La seconda categoria, invece, riguarda premi o concorsi destinati a opere nella forma di narrazioni, drammaturgie o coreografie, opere musicali, opere visive e multimediali, opere cinematografiche e audiovisive, che abbiano come ispirazione primaria il tema del confronto con “l’altro”.

Naturalmente requisito indispensabile è che la sede delle iniziative, nella forma di rassegna/programma o di premio/concorso, sia collocata nelle periferie urbane. Le proposte progettuali possono essere presentate dai soggetti pubblici e privati, aventi sede legale in Italia, in forma singola o in partenariato, che svolgono attività di produzione e/o distribuzione, management, edizione nei settori indicati. La dotazione finanziaria ammonta complessivamente a 1.893.000 euro. A ciascun progetto sarà assegnato un contributo massimo di 40 mila euro. Per partecipare c’è tempo fino al 15 novembre 2016.

Ma non si tratta dell’unico bando. Disponibili, infatti, altri 4 bandi di concorso rivolti ad aziende, enti e associazioni che presentino un progetto a sostegno di autori, esecutori ed interpreti under 35: Nuove Opere (rivolto al sostegno della creazione, produzione, edizione e fissazione di opere inedite di giovani autori); Residenze artistiche e Formazione (rivolto al sostegno della creazione di residenze artistiche anche in collaborazione con Istituzioni culturali e Università); Live e Promozione Internazionale (per il sostegno dell’esecuzione pubblica di opere di giovani artisti in contesti live nazionali ed internazionali); e infine Traduzione e distribuzione all’estero ( dedicato alla traduzione delle opere nazionali di giovani autori in altre lingue ed alla distribuzione all’estero di opere di giovani autori).

Testo integrale bando SIAE

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Al Goethe Institut le diverse periferie al centro del dibattito

Le periferie tornano al centro, almeno nei dibattiti. Ieri sul divano verde del Goethe Institut di Roma si sono incontrati Veddel, periferia multietnica di Amburgo e Torpignattara, quartiere multiculturale a sud di Roma.

Si sono incontrati attraverso le storie e le biografie dei loro attivisti: insegnanti, scrittori, urbanisti che ogni giorno cercano e trovano percorsi di convivenza possibile in queste giungle urbane composte da cittadini provenienti da più di 60 nazioni. Due quartieri molto diversi per dimensione, Veddel conta appena 5000 abitanti mentre a Torpignattara ci vivono 40.000 persone; ma con problemi e dinamiche piuttosto simili.

“Veddel è la nuova Amburgo”, ci dice Malte Jelden, “ed è nata proprio dai movimenti migratori dei nuovi cittadini, senza di loro non ci sarebbe quella Amburgo”. Il quartiere nasce a Sud-Est della città, lungo il fiume NorderElbe, che infatti lo rende particolarmente umido, è a pochi passi da Hafen City, il porto ancora in costruzione, noto per gli skyline fatti di scheletri delle gru e profili delle navi. È da queste parti che è nato Fathi Akim, regista turco tedesco diventato famoso con “La sposa turca” e con “Soul Kitchen” poi, ambientato proprio nella periferia di Amburgo.

Qui si organizzano corsi di lingua, si aprono caffè letterari e i progetti migliori sono finanziati dalle istituzioni; da anni i volontari impegnati lavorano in modo interdisciplinare tra arte, politica e pratiche sociali percependo anche un piccolo rimborso spese.

Malte Jelden è venuto a raccontarci di un progetto speciale: “The Veddel Embassy: Representing Germany”: un’ambasciata mobile organizzata per la Biennale di Venezia per raccontare la realtà di Veddel: una sessantina di abitanti del quartiere sono stati in questo mese a Venezia per inaugurare, nella Chiesa della Misericordia, “The Veddel Embassy” e lanciare, attraverso incontri, installazioni e musica la loro idea di Germania aperta e multietnica. Costo: 500 mila euro per un progetto che durerà tre anni e aiuterà a costruire un’identità forte e multiculturale a Vaddel. Insomma, i nostri amici tedeschi sulle politiche di convivenza ci investono, e molto, perché credono sia anche il miglior investimento sulla sicurezza. “Per costruire questa attività abbiamo lavorato sui legami, il nostro è un quartiere tendenzialmente di sinistra, non presenta problemi di neonazismo, per farci conoscere abbiamo cercato dei moltiplicatori che potessero sponsorizzare la nostra iniziativa nella propria comunità”, dice Jelden.

E poi c’è Torpignattara, Torpigna per gli amici, anche qui, in questo esteso e popoloso quartiere a sud di Roma, a 4 chilometri dalle mura aureliane, fioriscono tante iniziative, però tutte a costo zero per il Municipio, il Comune e lo Stato. Ci si arriva da Termini con il tram o il bus 105, qui a via dell’Acqua Bulicante c’è la scuola elementare Carlo Pisacane, salita agli onori della cronaca anni fa per la percentuale di alunni con background migrante, quasi il 90% dell’Istituto. I media ci sono andati giù pesanti con la Pisacane e l’hanno raccontata come una scuola di frontiera, “invasa dagli immigrati”, dove diventava difficile persino imparare l’italiano. Ma oggi questo istituto è un laboratorio faticoso, ma intenso e fantasioso di convivenza; con il suo orto didattico, le feste per genitori e bambini, i corsi di musica, i lavori di pulizia condivisi. Una scuola aperta e internazionale, una “casa di vetro” come l’ha definita Vania Borsetti che lì insegna da 9 anni e che propone un’offerta formativa così interessante e golosa che ha spinto anche moltissime famiglie italiane a sceglierla come scuola per il proprio figlio; e ora infatti gli alunni figli di italiani sono il 51%.

E poi a Torpigna c’è il Karawan Fest, festival del cinema migrante, che propone una selezione di commedie prodotte dai paesi di provenienza degli abitanti del quartiere (e quindi Bangladesh, India, Pakistan, Marocco primi tra tutti), Karawan si auto sovvenziona ed è migrante anche nella sede, perché il Municipio non gli concede uno spazio fisso. Per le donne immigrate c’è Asinitas, una bellissima e colorata scuola di italiano che funziona soprattutto la mattina, quando i bimbi sono a scuola e le mamme sono libere, e lo sappiamo quanto sia importante la conoscenza della lingua del paese ospite per essere liberi e autonomi. L’impressione, alla fine di questo incontro di realtà, di questo sfiorarsi di periferie, è che mentre in Germania si fanno le cose insieme allo Stato, in Italia, a Roma, le cose si fanno nonostante i freni che la burocrazia pone.

I comitati di quartiere e i volontari di Torpignattara lanciano un grido d’allarme: la lontananza delle istituzioni non ci rende europei, non ci apre l’accesso a fondi, ci rende faticoso il lavoro di costruzione di un tessuto cittadino coeso, dicono.

Ma nei volti di tutti, italiani e tedeschi, almeno per oggi si disegna un sorriso di soddisfazione: ci siamo riconosciuti nell’altro, ci siamo raccontati i problemi e i successi, ci siamo sentiti fratelli di questo mondo e un po’ più cittadini d’Europa.

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Forse il Corviale è a una svolta

Il controverso mega complesso realizzato negli anni 70 nella periferia romana verrà riqualificato. Firma il progetto StudioInsito, che ha vinto il concorso

I romani lo chiamano il Serpentone e non lo hanno mai digerito, da quando fu realizzato negli anni Settanta (su progetto di un team coordinato da Mario Fiorentino). Ma ora il mega complesso di ispirazione lecorbuseriana lungo un chilometro, sulla via Portuense, potrebbe essere a una svolta: per la sua riqualificazione la Regione Lazio ha messo a disposizione oltre sette milioni di euro, una prima parte dei 15 che occorrerebbero per realizzare al completo il nuovo progetto organico di restauro.

Lo studio romano di Laura Peretti, StudioInsito, ha vinto il concorso internazionale indetto dalla Regione e dall’Ater, superando 44 partecipanti di vari Paesi. La proposta di riqualificazione dell’edificio, tra i più grandi d’Europa (1200 appartamenti), si basa sul principio di “creare differenze in un ambito indifferenziato”.
Corviale

Si tratta, cioè, di eliminare per quanto possibile la straniante omologazione delle abitazioni ammassate in un unico corpo di fabbrica, sviluppando settori “personalizzati” in cui gli abitanti (oltre 5mila) possano riconoscersi. Il progetto di Peretti & C. elimina la strada ai piedi del falansterio e ne crea una simile più distante dall’edificio, con collegamenti specifici a diversi settori.

Una passerella coperta pedonale consente di raggiungere ciascuno dei 27 corpi scala, mentre oggi le entrate sono cinque. È così eliminato l’uso obbligato dei lunghi corridoi ai piani.
I marciapiedi e i collegamenti pedonali esistenti al Corviale e i nuovi ingressi introdotti da StudioInsito

Al centro di Corviale nasce una piazza che ospita negozi, un centro culturale e vari servizi. Questo nuovo spazio aggregante “sfora” dalla facciata al retro, verso la campagna, con un grande varco che risolve un dislivello di sei metri. Sono previste sculture (ieratici cavalli colorati) di Mimmo Paladino. In sostanza, anche ricorrendo a una nuova illuminazione interna ed esterna, StudioInsito cerca di ridurre l’alienazione del sito con ambiti più ristretti, più simili ad autonomi edifici abitativi. Da diversi anni Corviale ha registrato interventi migliorativi molto limitati: il nuovo progetto affronta il restauro in modo globale. Rispondendo al bando governativo per assegnare 500 milioni alle periferie, il Comune di Roma ha chiesto per il Serpentone solo due milioni, mancando l’occasione di un intervento decisivo.

Crediti progetto
Capogruppo
arch. Laura Peretti

Progettisti
arch. Giulia Fortunato
arch. Giuseppe Di Costanzo
arch. Andrea Amelio
arch. Erik Ingvert

Consulenti
arch. Silvia Milesi (strategie urbane)
Maestro Mimmo Paladino (artista)
arch. Carlotta de Bevilacqua (lighting)
ing. Paola Caputo (sostenibilità)
ing. Marco Bonomi (sostenibilità)
ing. Andrea Cinuzzi (strutture)
arch. Mara Filippi (paesaggio)
dott. Irene Ranaldi (sociologa)

Collaboratori
arch. Leonardo Ricci
arch. Nicola Fiorillo
dott. Laura Pessoni

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La vita creativa di periferia

Alla periferia romana e ai suoi abitanti è dedicato il recente lavoro di Sara Camilli, giovane ma affermata fotografa romana, che espone ora alle Officine Fotografiche dove ha studiato

Sara Camilli è una giovane ma già affermata fotografa romana. Alle Officine Fotografiche di Roma ha conseguito due master, il primo in Fotogiornalismo e il secondo in Fotografia amatoriale, ma è laureata in Antropologia Visiva. Nel 2014 ha esposto al FotoLeggendo e al SIFest, nel 2015 ha ricevuto una menzione d’onore all’Umbira World Fest di Foligno, e nel 2016 ha esposto al Museo Testaccio di Roma come prima classificata al concorso “Oltre le mura di Roma”.

IL LAVORO SULLE PERIFERIE ROMANE – Sara ha cercato di non perdere nulla della sua formazione, e nel suo lavoro ha sempre cercato di mettere in relazione fotografia e antropologia, considerando questi due ambiti inscindibili. Lo racconta lei stessa a proposito della mostra che si è appena aperta proprio alle Officine Fotografiche di Roma, dedicata al suo recente lavoro sulle periferie della Capitale: “Ammargine: Storie di confine sulla periferia di Roma”.

STORIE DI VITA CREATIVA – Scrive la fotografa: “Ho attraversato la periferia per scoprire da chi fosse realmente abitata: ho incontrato famiglie, coppie, uomini e donne che lottano ogni giorno per resistere e costruirsi come alternativa. Ho osservato queste persone con incanto, febbre e amore, fino a confondermi con le loro stesse vite. Ho impressionato volti, ascoltato molte storie e alla fine del viaggio ho capito che gran parte della potenza creativa di una società si trova in tutto ciò che la società stessa rifiuta. Così, ho aperto uno squarcio e lasciato entrare tutta la luce che ne è venuta fuori”.

Informazioni
Ammrgine- Storie di confine sulla periferia di Roma
Fotografie di Sara Camilli
Roma, Foyer del Goethe-Institut Rom, via Savioia 15
dal 25 ottobre 2016 al 28 gennaio 2017
lunedì 14 – 19; martedì – venerdì 9 – 19; sabato 9 – 13
www.officinefotografiche.org

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L’impronta di Pasolini

Il 2 novembre 1975 veniva assassinato ad Ostia Pier Paolo Pasolini. Quella di Pasolini è una memoria ancora viva, lo è soprattutto nelle periferie romane dove è impossibile non incrociare i tanti murales dedicati a lui. L’artista Nicola Verlato qualche tempo fa ne ha realizzato uno bellissimo “Hostia”, ribattezzato la “Cappella Sistina di Torpignattara”. «Questo lavoro rappresenta la discesa del corpo di Pasolini al momento della sua morte», dice l’artista. «Con lui Petrarca, suo mentore ideale e il poeta controverso Ezra Pound»

Nella notte tra il 1º e il 2 novembre 1975 Pier Paolo Pasolini veniva ucciso. Il suo corpo è stato ritrovato sulla spiaggia dell’idroscalo di Ostia. Quella di Pasolini è una memoria – per fortuna – ancora viva. Lo è in modo particolare in quelle periferie romane, in quella terra della “subcultura”, di cui lui stesso aveva fatto il suo oggetto di studio, indagine e anche creazione poetica principale.
 Prima le ha amate, poi aspramente criticate quando le ha viste sempre più velocemente. omologarsi lasciando appiattire quel fermento vitale che le accendeva tutte.
La città pullula di murales dedicati a lui. Li troviamo ovunque. Pigneto, Torpignattara, Quadraro.

Torpignattara in maniera particolare è stata una delle borgate più amate dal poeta. Ed è qui che nell’aprile 2014 l’artista Nicola Verlato ha “dipinto” quella che poi è stata definita la “Cappella Sistina di Torpignattara”. Un murale “Hostia” sulla facciata di una palazzina, alta circa dieci metri per sei di lunghezza, in via Galeazzo Alessi. Realizzato con acrilico su intonaco, il murale rappresenta biblicamente la morte, la caduta di Pier Paolo Pasolini.

«Questo lavoro rappresenta la discesa del corpo di Pasolini al momento della sua morte. In alto si vede la figura del presunto assassino Pelosi e due giornalisti che lo intervistano. Pasolini precipita verso un luogo allegorico, una sorta di isoletta in cui trova se stesso bambino seduto sulle ginocchia della madre cui dedica i suoi primi versi, mentre si rivolge a Petrarca, suo mentore ideale a quel tempo. Vicino a lui c’è anche il poeta controverso Ezra Pound, che lo scrittore incontrò nel 1969 per un’intervista», racconta Nicola Verlato. «Credo che i due artisti siano accomunati dall’essere stati respinti dalla società, ma speravano entrambi di essere poeti formatori della società stessa».

Nell’opera Pasolini, appena ucciso, sprofonda sotto terra, attraversando un girone infernale, che ricorda le scene del suo Salò; dall’alto lo osserva il suo assassino, trattenuto da un carabiniere e circondato dalla stampa; nella parte inferiore un gruppo scultoreo ritrae Paso- lini bambino, vicino alla madre, a cui dedica i suoi primi versi, Francesco Petrarca, maestro e punto di riferimento fin dalla giovane età, ed Ezra Pound, grande esponente della poesia del Novecento: due uomini lontani, per storia politica e riferimenti ideologici, ma vicini per via di una certa sensibilità poetica, per l’attrazione verso il tema delle radici e della tradizione, per quell’esprit romanticamente rurale, declinato con la forza di outsider e di pionieri. Tutto questo rivive nel grande murale di Verlato. Un dipinto che assomiglia a un gigantesco lavoro a grafite, in cui si fondono cinema, teatro, poesia, ma anche pittura, scultura e architettura, evocando la forza primigenia del disegno.

Come nasce l’opera dedicata a Pier Paolo Pasolini a Tor Pignattara?
Il Murale a Torpignattara nasce come un tentativo di contenere in una unica immagine una serie di pensieri su Pasolini che facevo da molti anni.
Avevo ascoltato una serie di sue interviste su Radio Radicale qualche anno fa e mi avevano molto colpito alcuni aspetti, soprattutto quelli relativi all’infanzia nei quali mi sorpresi di quanto mi riuscisse facile identificarmi. In più, nello stesso programma radiofonico, ho avuto modo di conoscere le teorie (non necessariamente condivisibili) di Zigaina sulla sua morte.
Un documento che mi ha molto colpito poi è stata l’intervista per la Rai che Pasolini ha fatto a Pound nel 1967: il confronto fra i due, provenienti come si sa da fronti opposti, si risolve nel loro comune antagonismo al sistema sociale in cui erano venuti ad operare, entrambi accomunati da una fede nel potere dell’arte che la modernità ha rifiutato.

Perché proprio Pasolini?
Io sono sempre alla ricerca di mitologie che mi permettano di articolare la superficie della tela secondo quella che io ritengo sia una funzione sociale che l’artista deve svolgere, dare forma alla produzione mitologica del proprio tempo. Pasolini è l’unica figura italiana recente che secondo me ha il potere di vedersi protagonista delle mie composizioni, proprio per la complessità della sua figura, insieme di intellettuale e di corpo, e quindi di un mito in formazione di cui lui stesso ha avviato consapevolmente la creazione.

Secondo te, da artista, che rapporto esiste tra Pasolini e Roma, anche considerato che sono tantissimi i murales dedicati a lui in città.
Credo che il rapporto sia quello di una sorta di processo di beatificazione popolare in corso. Pasolini, credo consciamente, ha voluto creare di sé un’immagine che sgorgasse proprio dai ceti popolari della città; quelli che vivono il territorio nel modo più intenso, e credo che non sia un caso che proprio il territorio ora si trovi ad essere il luogo privilegiato della materializzazione in immagini dipinte e della moltiplicazione della sua immagine. Pasolini ha riattivato un processo di figurazione che si fonda sull’eccezionalità corporea del suo protagonista. L’intellettuale che si fa corpo, è come, nella modernità secolarizzata, il logos che si fa carne, riproponendo la possibilità, nel mondo deserto di significati del capitalismo, che le immagini ritornino a formare il territorio.

Secondo te è un “più” di vitalità che in qualche modo cerca di rispondere a quello che PPP aveva ipotizzato alla fine degli anni ’70 sulla fine delle periferie e sulla loro qualità identitaria?
Credo che Pasolini avesse perfettamente compreso cosa fosse la radice della cultura occidentale. Egli sapeva bene cosa il mercato stava costruendo nelle periferie delle città che, proprio per la sua radice nichilista se non contrastata dal suo opposto dialettico (l’arte), produce dei mostri urbani. Le immagini e l’arte in genere, soprattutto se radicate forte- mente nei luoghi e connessa con le narrative proprie delle comunità che li abitano, vanno considerati, secondo me, come lo strumento per l’inizio di un possibile riscatto.

Nicola Verlato è nato a Verona il 19 febbraio 1965. Ha iniziato a dipingere all’età di sette anni, e a vendere i suoi quadri a nove. La sua formazione artistica è stata poco ortodossa. Lui si considera quasi un autodidatta. La sua prima mostra importante è stata organizzata quando lui aveva quindici anni nel municipio di Lonigo. Ha inoltre studiato architettura presso l’Università di Venezia dove ha vissuto per quasi 13 anni realizzando quadri e ritratti con scene allegoriche per dell’aristocrazia locale e gli stranieri benestanti che vivono in quella città. Durante questo periodo a Venezia, ha lavorato su quasi tutto ciò che era collegato con il disegno: scenografia, decorazioni temporanee, illustrazioni, fumetti, storyboard. Intorno ai 28 anni ha iniziato ad interessarsi di arte contemporanea, e a fare mostre, personali e collettive, in numerose galleria sia italiane che estere. Dopo aver trascorso 7 anni a Milano, nel 2004 ha deciso di trasferirsi a New York. In questi ultimi anni ha fatto mostre a New York e in varie gallerie e musei di tutti gli Stati Uniti. I suoi lavori sono stati esposti anche in Italia e Norvegia, India, così come in Germania, in Olanda e in altri paesi euro- pei. Ha partecipato con un’installazione di dipinti e sculture come rappresentante del Padiglione italiano alla Biennale di Venezia del 2009.

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Dall’impegno sociale all’ironia, i rifiuti vanno in scena a Torre Maura con ArteKreativa

Dall’impegno sociale all’ironia, i rifiuti vanno in scena a Torre Maura con ArteKreativa
ArteKreativa è un duo teatrale composto da Marco e Serena. I loro spettacoli, impegnati e ironici al tempo stesso, raccontano anche di rifiuti e periferie
Serena Damiani e Marco Tullio Dentale sono una coppia nella vita e sulle scene. Un duo consolidato da 25 anni che unisce il teatro impegnato all’ironia sotto il nome di “ArteKreativa” e nel pomeriggio di sabato 29 ottobre hanno messo in scena proprio nella sede del comitato di quartiere Torre Maura uno spettacolo dal titolo “Rifiuti”.

Serena e Marco vivono a Torre Maura, uno dei quartieri della periferia est della capitale, nel Municipio Roma VI delle Torri. E proprio qui hanno voluto omaggiare i residenti offrendo loro uno spettacolo affrontando il tema dei rifiuti attraverso la narrazione di storie, racconti anche con un “tappeto sonoro” perché Marco è anche un percussionista.

E’ proprio Serena a raccontare la filosofia del loro teatro che pur affrontando tematiche attuali e serie non manca di ironia dando un connotato brillante alle messe in scena. “Abbiamo parlato di rifiuti – spiega Serena – di educazione ambientale a cui teniamo in modo particolare ma anche di periferie”. Una sorta di dicotomia che si snocciola tra i vari aspetti del vivere quotidiano a cui il duo pone particolare rilievo.

“Spesso anche le persone diventano rifiuti all’interno di una società quando entrano in contatto con il consumismo – puntualizza – siamo consumatori ma siamo anche merce che quando che poi inevitabilmente diventa rifiuto”. E qui entrano in gioco anche le periferie: “Ognuno di noi è centro e periferia e nonostante in periferia vengano abbandonati principalmente i rifiuti è lì che si trovano anche i nostri sogni”.

L’attrice sottolinea infine un aspetto importante: “Affrontiamo sì tematiche impegnate ma lo facciamo con ironia”.

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Bando periferie urbane, 10mila euro a progetto: domande entro venerdì 11 novembre

C’è tempo fino a venerdì prossimo 11 novembre per partecipare al bando per la progettazione di interventi di riqualificazione di aree urbane periferiche promosso dalla direzione generale Arte e Architettura contemporanee e periferie urbane del ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo e dal Consiglio nazionale degli architetti pianificatori, paesaggisti e conservatori.

Chi può partecipare
Il concorso di idee è a procedura aperta e possono parteciparvi ingegneri e architetti con meno di 35 anni di età iscritti ai rispettivi albi. Ogni concorrente potrà partecipare al bando optando solo per una delle dieci aree oggetto del concorso.
Il bando si concluderà con la proclamazione di un vincitore per ciascuna area, al quale sarà affidato dal relativo comune l’incarico per le successive fasi progettuali, secondo l’impegno assunto dalle amministrazioni all’atto della presentazione della loro proposta.

Gli interventi
Le proposte riguardano aree che necessitano di interventi per il Ri.U.So e la rifunzionalizzazione di aree pubbliche e di strutture edilizie esistenti, per finalità d’interesse pubblico, il miglioramento della qualità del decoro urbano, l’accrescimento della sicurezza territoriale e della capacità di resilienza urbana, il potenziamento delle prestazioni e dei servizi di scala urbana, la mobilità sostenibile e l’adeguamento delle infrastrutture destinate ai servizi sociali e culturali, educativi e didattici, nonché alle attività culturali ed educative.

Le aree
Le aree oggetto del bando sono 10: Aprilia (Latina) – Area in quartiere Toscanini; Corato (Bari) – Area “Case minime” in rione Belvedere; Empoli (Firenze) – Area ex Casa Cioni in frazione Avane; Marsala (Trapani) – Area nel Parco della Salinella; Palermo – Area “Cittadella dello sport” in quartiere S. Filippo Neri (Zen); Reggio Calabria – Area in rioni Trabocchetto e Sant’Anna; Ruvo di Puglia (Bari) – Area ex Convento in rione Cappuccini; San Bonifacio (Verona) – Area in quartiere Praissola; Santu Lussurgiu (Oristano) – Area ex Collegio Carta-Meloni; Sassari – Area in quartiere Latte Dolce.

Risorse
Per l’attuazione dell’iniziativa, la direzione generale finanzierà i premi dei vincitori del concorso di idee, per un importo complessivo di 100mila euro. Ai dieci concorrenti che hanno sviluppato le proposte classificate al primo posto, una per ciascuna area, andrà un premio di 10mila euro.

La piattaforma “Concorrimi”
Come già avvenuto per il bando dedicato all’edilizia scolastica “Scuole Innovative“, anche il concorso per le periferie fa affidamento sul sistema “Concorrimi”, la piattaforma sviluppata dall’Ordine architetti di Milano per incentivare la trasparenza e la pubblicità nelle procedure di concorso.

Scadenza
Il termine ultimo per la consegna delle proposte è l’11 novembre 2016. A seguito della chiusura del bando, verrà elaborata una graduatoria di merito per ciascuna delle dieci aree oggetto del concorso.

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PATTO PER NAPOLI TRA RENZI E DE MAGISTRIS, ECCO COSA ACCADE

Una stretta di mano tra Renzi e de Magistris e la sigla del Patto per Napoli. Oggi in città, il premier e il sindaco hanno sottoscritto un accordo per un totale di 308 milioni destinati a trasporti, ambiente, periferie. Renzi arriva direttamente da Roma, anche se in ritardo, e, ad attenderlo, in Prefettura, ci sono il sindaco, il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca, e il sottosegretario Claudio de Vincenti.

Artefice, quest’ultimo, del preludio dell’incontro di oggi. Due settimane fa, infatti, fu lui a ricevere il sindaco di Napoli a Palazzo Chigi, dopo quasi due anni di ‘gelo istituzionale’ tra il primo cittadino partenopeo e il premier. “Con il sindaco abbiamo idee diverse dal punto di vista politico – ha affermato Renzi – ma Napoli è più grande dal punto di vista istituzionale”. E per de Magistris la firma del patto di oggi è “frutto del dialogo istituzionale, arrivato ad appena 15 giorni da quando siamo stati chiamati a Palazzo Chigi”.
Cosa porta il Patto per Napoli siglato tra Renzi e de Magistris

Il Patto per Napoli segna un momento di tregua tra Renzi e de Magistris per il commissariamento di Bagnoli. Un punto che, però,m ha assicurato de Magistris, non cambia. “Ribadiamo il no al commissariamento di Bagnol – ha assicurato il sindaco – Lo abbiamo fatto anche andando a Roma, alla manifestazione, con la fascia tricolore”. A conti fatti, secondo de Magistris, il Patto “una vittoria per la città”.

I soldi del Patto, i 308 milioni, sono destinati per lo più a trasporti, riqualificazione urbana delle periferie, ambiente per un totale di 15 interventi. Al settore dei trasporti, il Patto destina circa 180 milioni. In parte saranno utilizzati per completare la tratta della Linea 1 della metropolitana di Napoli, così da chiudere l’anello e raggiungere l’aeroporto di Capodichino. Sono previsti anche fondi per la seconda uscita della stazione della metro nel quartiere Sanità, nelle vicinanze della fermata Materdei e al completamento della Linea 6 Mergellina-Municipio che avrà un interscambio con la Linea 1. Gli inerenti riguardano anche il collegamento, tramite tram, che colleghera’ l’ area orientale con il Comune di Volla, dove ha sede il Centro Agroalimentare.

Alle periferie vengono destinati 30 milioni: serviranno per abbattere le Vele di Scampia, ne resterà una soltanto che sarà destinata a sede della Città metropolitana. Infine, per quanto riguarda l’ambiente, sono previsti interventi per la depurazione delle acque reflue, bonifica della falda e adeguamento dell’impianto di depurazione di Napoli est, ottimizzazione dei servizi di raccolta differenziata. Sono inoltre previsti interventi di restauro degli edifici privati, nel centro storico cittadino, patrimonio Unesco e la progettazione del parco archeologico di piazza Municipio.
Patto per Napoli, le proteste contro Renzi

E mentre nel palazzo di Governo Renzi e de Magistris sottoscrivono il patto, all’esterno un gruppo di manifestanti si è riunito esponendo striscioni contro l’accordo ribattezzato “Il Pacco per il Sud“. I “Disoccupati 7 novembre” hanno affisso uno striscione facciata di Palazzo Reale, poco distante dalla Prefettura, mentre nella vicina piazza Trieste e Trento altri manifestanti hanno esposto striscioni in difesa del lavoro, contro il commissariamento di Bagnoli e contro il referendum costituzionale di dicembre. Dopo un presidio in piazza, i manifestanti, in corteo, hanno percorso via Toledo intonando cori contro il Governo.

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Eserciti nelle megalopoli, il preoccupante futuro immaginato dal Pentagono

Il Pentagono crede che le megalopoli del futuro saranno un problema. E sta preparando gli eserciti a operare nelle città sovrappopolate.
Scriveva Jorge Luis Borges che “il futuro ha senso soltanto come speranza presente“. Speranza e futuro. Concetti legati tra loro e fatti della stessa materia dei sogni. Ma proprio come i sogni, non conoscono coerenza né rispondono sempre alle aspettative. Che futuro ci attende? Bella domanda. Da una parte siamo sommersi di incubi dalla letteratura distopica e dalle teorie del complotto, dall’altra illusi da promesse e visioni di governi e istituzioni. Il tutto si riduce sempre e soltanto a una gara a chi la spara più grossa.

Se qualcuno ci dicesse che il divario tra ricchi e poveri aumenterà vertiginosamente, che le megalopoli saranno infestate da gruppi criminali, mendicanti, hacker, abitanti dei sotterranei ed eserciti, forse penseremmo a alla visione paranoica di qualche complottista, o magari alla trama di qualche serie tv.

E invece no. Questo è lo scenario descritto dalla U.S. Army degli Stati Uniti d’America. Ricorda molto un fumetto del 1977 che è stato trasposto in un giocattolone cinematografico del 1995 con protagonista Sylvester Stallone: “Dredd: la legge sono io”.

Per chi non lo conoscesse, Dredd è ambientato nel futuro, in un’epoca in cui la maggior parte degli abitanti della terra (sopravvissuta all’olocausto nucleare) vive ammassata in città enormi e sovrappopolate chiamate Mega-City. Fuori dalla zona urbana ci sono le così chiamate Crusade Earth, terre di nessuno, contaminate da radiazioni e agenti inquinanti.

Gli abitanti di queste zone, criminali incalliti, spesso mutanti, vivono al di fuori della legge. A fare in modo che la rispettino, anzi a eliminarli, sono chiamati I Giudici, un corpo d’èlite specializzato del governo, tra cui proprio il nostro Dredd.

La storia inventata da John Wagner (testi) e Carlos Ezquierra (disegni) è chiaramente un’allusione a una visione fascista del governo. L’ispirazione veniva dalla situazione di molte città britanniche del dopoguerra, soprattutto Londra e Glasgow, in cui la popolazione aumentò a dismisura tra gli anni ’50 e ’60, costringendo il governo inglese a costruire enormi grattacieli, mostri di cemento ancora oggi presenti. Il piano si rivelò fallimentare e quei luoghi, popolati manco a dirlo dalle fasce più povere, divennero terre senza legge.

I creatori del Giudice Dredd ambientarono la storia nel 2139, ma potrebbero essersi sbagliati di 100 anni. In eccesso.

Questo almeno secondo quanto pensa il Pentagono.

The Intercept ha pubblicato qualche giorno fa il filmato Megacities: Urban Future, the Emerging Complexity. Si tratta di un video di cinque minuti utlizzato nella Joint Special Operations University del Pentagono e fa parte di un corso in Advanced Special Operations Combating Terrorism. Il fatto particolare è che il video non si concentra sulla minaccia del terrorismo come sarebbe normale attendersi, ma su un problema alla base di tutto: la sovrappopolazione nelle megalopoli.

Il video è realizzato in classico stile distopico: voce fuori campo minacciosa, musica malinconica e immagini di bassifondi e guerriglia urbana.

“…Le megalopoli sono sistemi complessi in cui le persone e le strutture sono compressi insieme in modi che sfidano sia la nostra comprensione della pianificazione urbanistica sia la dottrina militare. Questi sono il futuro terreno fertile, incubatori e rampe di lancio per avversari e minacce ibride…..

……Le tensioni religiose ed etniche saranno un elemento determinante del paesaggio sociale. Bisognerà coesistere con impoverimento, slum, baraccopoli in rapida espansione a fianco di grattacieli moderni, progressi tecnologici, sempre crescenti livelli di prosperità. Questo è il mondo del nostro futuro – ma è quello che non siamo preparati in modo efficace ad affrontare; ed è inevitabile”.

Il corso, di cui il video è parte integrante, è organizzato da Jsou che si descrive come “orientata verso la preparazione di forze per le operazioni speciali” ed è gestita da US Special Operations Command, l’organizzazione che raccoglie la maggior parte delle truppe di èlite americane.

Nel video si vedono città superaffollate, giungle urbane, scontri, hacker, criminali, poveri ammassati. La voce ci dice che il divario tra ricchi e poveri aumenterà vertiginosamente, che ci saranno labirinti sotterranei con un proprio codice sociale e di diritto, che fioriranno sofisticate economie illecite, che hacker useranno svariati mezzi per colpire la vita digitale. Ci parla di reti criminali, infrastrutture scadenti, tensioni religiose ed etniche, baraccopoli, fogne e discariche a cielo aperto, masse crescenti di disoccupati.

Tutto questo succederà nelle megalopoli, secondo il Pentagono. Megalopoli sono considerate le aree urbane con una popolazione di almeno 10 milioni di abitanti. Va detto che oggi sono una trentina, ma in rapida espansione. Nella tabella sotto le principali megalopoli e il loro sviluppo previsto nel 2030 (fonte: United Nations, Department of Economic and Social Affairs).

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La popolazione si sta sempre più raggruppando nelle grandi città e il loro numero continua ad aumentare. Nel 1800 solo il 3% della popolazione viveva nelle grandi città, adesso siamo intorno al 50% e si prevede di arrivare al 60% nel 2030. Ecco da cosa nasce questa fatidica data.

A prevedere e interpretare l’inquietante realtà delle megalopoli in chiave fantascientifica non è stato soltanto il Giudice Dredd, ma anche la Los Angeles di Bladerunner, tra cinesi e piogge acide, la New York di 2022 I sopravvissuti, e lo Sprawl di Neuromancer di William Gibson.

A rendere queste distopie plausibili, anche l’aumento della popolazione degli slum, che potrebbe arrivare a 2 miliardi entro il 2030, e il problema dell’acqua, con gli attuali 150 milioni di cittadini senza accesso sicuro che, secondo le stime, nel 2050 arriveranno a 1 miliardo.

In base a uno studio di McKinsey, diversa sorte spetterà alle metropoli di media grandezza (da 1 a 5 milioni di abitanti). Aumenteranno di numero, e conterranno il 13,4% della popolazione contro l’8,7% delle megalopoli, ma deterranno entro il 2025 il 45% del PIL del pianeta, contro il 15% attuale. Insomma, nelle megalopoli si farà più che altro la fame, mentre nelle metropoli vivranno ricchi e agiati.
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Il video del Pentagono non è stato progettato però per far conoscere questa realtà, ma per rispondere a una ben precisa paranoia dell’esercito americano per i conflitti urbani nelle megalopoli.

Come scrive lo US Army in un rapporto del 2014 dal titolo Megacities and The United States Army e ribadisce quest’anno in uno studio separato,“l’esercito degli Stati Uniti non è in grado di operare all’interno della megalopoli. Nonostante abbia una lunga storia di combattimenti urbani, non ha mai avuto a che fare con situazioni così complesse che oltrepassano lo scopo delle loro risorse. Dieci anni di guerre in Iraq e Afghanistan hanno fatto capire che bisogna modellarsi sulla complessa situazione in cui si va ad operare. Questo processo dovrà avvenire ora per le megalopoli”.

Quest’insicurezza ha radici lontane ma è ancora attuale: la débacle di Mogadiscio, che ha costretto il Pentagono a ripensare le sue operazioni militarizzate su terreni urbani (Mout). In uno studio pubblicato nel 1996 da Parameters, giornale dell’Army War College, si legge che “il futuro della tecnica sta nelle strade, nelle fogne, negli edifici multipiani, nell’incontrollata espansione che formano le città frammentate del mondo”.

Uno scenario previsto anche dai videogiochi.

Gli autori dello studio spiegano che “la nostra recente storia militare è punteggiata di nomi di città – Tuzla, Mogadiscio, Los Angeles, Beirut, Panama, Hue, Saigon, Santo Domingo – ma questi scontri sono stati solo un prologo, mentre il dramma vero e proprio deve ancora cominciare”.

La preoccupazione ha le sue ragioni. L’arsenale barocco di Washington non potrebbe infatti essere di grande utilità nei sobborghi, e l’utilizzo di droni in zone così popolate porterebbe a conseguenze sociali enormi.

C’è un perché anche della fosca previsione sulla criminalità nelle megalopoli. Con l’aumento del flusso di persone, di informazioni, e di merci lecite e illecite, secondo gli studi si darebbe luogo a una competizione tra i diversi attori in gioco per appropriarsene e utilizzarli per affari o terrorismo.

La disponibilità inoltre di dispositivi a basso costo per creare nebbia elettronica e informatica (bombe EMP) e l’utilizzo di comunicazioni cifrate, non renderebbero facile il controllo da parte del governo. Quest’ultimo potrebbe non essere un grande dramma per il sacrosanto diritto alla privacy, ma è un problema per tracciare transazioni finanziarie e movimenti criminali.
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Nonostante il video pubblicato da The Intercept abbia suscitato tanto scalpore, che l’esercito si prepari alla guerra nelle megalopoli in realtà non è una novità.

RAND Corporation, il think tank no profit dell’Air Force, si occupa infatti proprio di città. Ha iniziato a farlo negli anni ’90, prefiggendosi di studiare come i movimenti demografici influiranno sui conflitti di domani.

Rand crede infatti che l’urbanizzazione della povertà porterà a l’urbanizzazione della rivolta e che né addestramento né equipaggiamento statunitensi siano adeguati per contrastare queste insurrezioni. La stessa Rand, negli anni Sessanta, svolse un ruolo di primo piano nella formulazione della strategia bellica in Vietnam. Non andò proprio benissimo. Ecco forse perché si sta preparando da 30 anni.

Qualche mese fa, proprio un politologo della Rand, David E. Johnson, ha rivelato a Limes: “un giorno saremo chiamati ad operare nell’ambiente urbano: dobbiamo tenerlo in considerazione quando sviluppiamo dottrine, piani operativi e capacità future”. Secondo Mike Davis, si tratta però di una battaglia persa in partenza.

Intervistato da The Intercept, l’autore di Planet of Slums e di Buda Wagon: breve storia dell’Autobomba, ha detto: “L’idea che ci sia una speciale scienza militare delle megalopoli è fantasia. Non è plausibile. Sembrano immaginare grandi città con periferie e slum infestate da bande antagoniste, milizie, guerriglieri che si possono in qualche modo combattere con operazioni speciali. In realtà, è abbastanza inverosimile. Basta guardare a Black Hawk Down per capire che tipo di problemi che si avrebbero a Karachi, per esempio. Si possono fare operazioni speciali su piccola scala, ma è assurdo immaginare che qualsiasi tipo di strategia sia efficace per il controllo di una megalopoli”.

Rand e Pentagono sperano che si sbagli.

A febbraio, il ministero della Difesa americano ha formalmente richiesto la consulenza di innovatori tecnologici dell’industria privata e università per trovare nuove soluzioni tecnologiche adatte alla guerra urbana. Le richieste vanno dai sensori per l’intelligence ai dispositivi di protezione. Le expertise desiderate includono tecniche GPS per ambienti urbani sotterranei e sistemi di sorveglianza, ricognizione e sensori per l’utilizzo nelle gallerie. Lo scopo è quello di creare un rapporto di collaborazione tra governo, mondo accademico e industria per le guerre del futuro.

Come si può notare da questa richiesta e anche dal video, il Pentagono teme soprattutto l’utilizzo dei labirinti sotterranei da parte di criminali e terroristi. Si spera che in futuro non saranno anche le dimore della classe operaia, come in un’altra distopia famosa, quella di Metropolis.

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Se infatti al governo americano spaventa questo possibile teatro di guerra, a un normale cittadino preoccupa di più quel futuro che dipingono nei loro rapporti. E ritrovarsi in strada mezzi militari e pseudo Dredd armati fino ai denti non è certo il mondo che vorremmo. Si chiama infatti legge marziale.

Curiosamente, la visione cupa del governo statunitense, ma potremmo dire di tutta la letteratura a riguardo – e non intendo quella distopica della fantascienza ma quella dei rapporti scritti di governi, organismi multinazionali e think tank – si scontra totalmente con la famosa Agenda 2030 dell’Onu. Sempre 2030, la data fatidica.
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In questo programma per lo sviluppo sostenibile, l’Onu fissa i traguardi che intende raggiungere: sono esattamente agli antipodi delle previsioni che abbiamo visto. Eccoli:

1) Sradicare la povertà
La sfida è mettere fine entro il 2030 alla povertà estrema, in modo che nessuno viva con meno di 1,25 dollari al giorno.

2) Sicurezza alimentare
L’Onu si propone di garantire a tutti il diritto al cibo, di mettere fine alla malnutrizione, alla denutrizione e di promuovere l’agricoltura sostenibile.

3) Una vita sana
Ridurre la mortalità materna e infantile, accesso universale ai sistemi sanitari. E una voce ambigua: “salute riproduttiva”.

4) Educazione di qualità
Garantire a tutti i bimbi l’istruzione primaria e secondaria completa, gratuita e di qualità, lotta all’analfabetismo.

5) Parità di genere
Porre fine a ogni forma di discriminazione e violenza contro le donne, ma anche alle nozze forzate e alle mutilazioni genitali. Torna la voce sulla salute riproduttiva.

6) Accesso all’acqua
Garantire il diritto universale all’acqua, che dev’essere disponibile, pulita e gestita in modo sostenibile. Accesso universale anche ai servizi igienici, eliminando le latrine all’aperto.

7) Energia sostenibile
Aumentare la quota di popolazione in grado di utilizzare la rete elettrica. Ancora 1,3 miliardi di persone ne è esclusa. Ma aumentare anche la quota di chi usa le energie rinnovabili.

8) Piena occupazione
Incremento minimo del 7 per cento del Pil per i Paesi poveri. Non viene però quantificato il reddito nazionale pro capite.

9) Innovazione sostenibile
Industrializzazione inclusiva, costruzione di infrastrutture, innovazione tecnologica per lo sviluppo sostenibile.

10) Parità tra le nazioni
Ridurre le disparità fra le nazioni ricche e povere, ma anche tra ricchi e poveri all’interno dello stesso Stato.

11) Città più sicure
Case con servizi di base idonei, miglioramento degli insediamenti precari e delle baraccopoli, reti efficienti e sicure di trasporti pubblici, aree verdi.

12) Consumo sostenibile
Ridurre gli sprechi di cibo e la quantità di rifiuti prodotti, impiego equilibrato delle sostanze chimiche in agricoltura.

13) Cambiamenti climatici
Lotta contro il cambiamento climatico. Budget di 100 miliardi all’anno per aiutare i Paesi poveri a combattere gli effetti dell’inquinamento.

14) Conservazione dei mari
Preservare ecosistemi marini, prevenire l’inquinamento dei mari e ridurre al minimo gli effetti dell’acidificazione degli oceani.

15) Protezione del suolo
Riforestazione, recupero dei boschi e delle foreste degradate, lotta alla desertificazione, lotta al traffico illecito di specie rare, proteggere la biodiversità.

16) Una società pacifica
Ridurre ogni forma di crimine, mettere fine alla tratta, allo sfruttamento dei lavoratori, alla tortura e offrire a tutti un uguale e libero accesso alla giustizia per combattere la violenza.

17) Uno sforzo comune
Un’alleanza mondiale per lo sviluppo sostenibile. Donare lo 0,7 per cento del Pil per la crescita dei Paesi poveri.

Questi i punti dell’ambizioso e anche utopico programma delle Nazioni Unite. Chi avrà ragione? Non resta che aspettare il 2030 per saperlo. Intanto, meglio prepararsi. Come diceva Abraham Lincoln, la cosa migliore del futuro è che arriva solo un giorno alla volta.

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