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Scrivere su Roma, per parlare a chi?

Mentre la città affonda nelle macerie della sua fantastica Storia come un incubo nelle Carceri di Piranesi, scrivere su Roma è un po’ come scommettere, alle corse, su un cavallo zoppo: inutile sprecarci inchiostro, e poi per parlare a chi? Non certo ad amministratori afoni, preoccupati solo di rispondere a un codice etico stabilito dal loro partito o dal loro Capo, e neppure alle singole persone abituate, come solo succede ai romani, ad attraversare campi minati, scavalcare fili spinati, attendere inutilmente autobus sgangherati. Un suk di disperazioni. Chi si ricorda che questa città ha bisogno di idee e progetti? Chi si preoccupa del fatto che esiste una città di sotto dove invisibili presenze senza nome costruiscono rifugi e rovistano tra rifiuti? Eppure, magari perché poco inclini all’assuefazione, continuiamo ostinati a domandarci: sarà ancora possibile disegnare un modo diverso di essere moderni senza pensare di essere a Dubai?

Di Roma si parla ormai solo in occasioni di cronache giudiziarie, di scandali, di presunte o vere mafie, di aggressioni e stupri. Nel mentre la città affonda nelle splendide macerie della sua fantastica Storia, come nelle Carceri di Piranesi. «Siamo sereni, andiamo avanti» è il refrain della sindaca Raggi e della sua squadra, ma nessuno sa in quale direzione. Sarebbe più saggio affermare: «Fermiamoci e chiediamoci dove e in che direzione andare».

Scrivere su Roma è come scommettere, alle corse, su un cavallo zoppo: inutile sprecarci inchiostro, e poi per parlare a chi? Non certo a questi amministratori afoni preoccupati solo di rispondere a un fantomatico codice etico stabilito dal loro partito o dal loro Capo, e neppure alle singole persone ormai abituate, come solo succede ai romani, ad attraversare campi minati, scavalcare fili spinati, attendere inutilmente autobus sgangherati sperando che non cedano lungo il percorso.

Si è dimenticato che una città ha bisogno di idee e progetti; i quali, però, non sono quelli che dovrebbero renderla simile a Dubai o a qualche altra fantasmagoria ultra (o post) moderna. Si è dimenticato che esistono periferie in balia di attività illegali, droga, disagio esistenziale ed economico. E si è dimenticato che esiste una città di sotto dove invisibili presenze senza nome costruiscono rifugi e rovistano tra rifiuti.
Quando le cose vanno bene, l’amministrazione si limita alla pura ragioneria contabile, strozzata dai debiti. La rassegnazione dilaga incontrastata: è già tanto che qualche autobus arrivi alla fermata e raggiunga il capolinea o che una delle due metro funzioni.

È già tanto che non ci si azzoppi una gamba durante il percorso ad ostacoli per arrivare al lavoro. E una volta arrivati si tira un sospiro di sollievo: anche questa mattina ce l’ho fatta, sono salvo! Nel mentre sciami di cavallette travestite da turisti, scendono da torpedoni a due piani, pronti a divorare tutto ciò che incontrano: dall’Altare della Patria al Mosè di Michelangelo, non distinguendo l’uno dall’altro. Centri commerciali fioriscono come funghi intorno e oltre il raccordo anulare e si leggono, sempre più spesso, cartelli di affittasi o vendesi di antichi negozi e botteghe che non ce l’hanno fatta; fioriscono nuovi Bingo, nuovi negozi di «Compro oro», o creative insegne di «Non solo pane», «Non solo pizza»: un suk di disperazioni.

C’è chi ritiene che Roma sia afflitta da un ritardo di modernizzazione, una modernizzazione mancata o incompiuta, tanto che si invoca il trasferimento della sua funzione di capitale ad altre città (la solita Milano). Ma di quale mancata modernizzazione si parla? Non quella di far funzionare gli autobus, di dare pace a una metropolitana che non sa da che parte andare né di mettere fine al problema dello smaltimento dei rifiuti o di valorizzare (anziché far chiudere) quei centri sociali e quelle associazioni dove si creano lampi di possibili comunità conviviali, nuove culture e nuovi linguaggi. Né, ancora, di accogliere i diseredati del mondo o di intervenire sul risentimento delle periferie, prima che diventino polveriere pronte ad esplodere.

Roma non è mai stata, non lo è ancora adesso, e non sarà mai moderna se a questa parola si attribuisce il significato di competere nella classifica delle città globali, o di essere luogo indiscusso della finanza mondiale, o di essere smart o brand per attirare capitali. E insistere nella necessità di modernizzarla (leggi: politica delle grandi opere), è come tentare di normalizzare il collo della giraffa per farlo diventare come quello di un cavallo.

Roma non ha bisogno di aggiunte, di imbellettamenti per diventare una star nel firmamento della globalizzazione o un’attraente prostituta in attesa di clienti. Roma ha già quanto ogni altra città desidererebbe avere; non servono le grandi opere, serve, al contrario, far funzionare e valorizzare ciò che già c’è (non era questo il programma della sindaca Virginia Raggi?). Perché allora non utilizzare questa sua «mancata modernizzazione», questo suo cronico «ritardo», per trarne un vantaggio competitivo nella scena globale, per sviluppare un modo diverso di essere moderni?

Questo potrebbe essere il progetto. Valorizzare le sue bellezze (arte, cultura, tradizioni) e perfino quella sua lentezza e pigrizia, risorsa rara in un mondo che corre troppo veloce; valorizzare la sua tradizione antirazzista (forse più per pigrizia che per merito), per creare luoghi e occasioni di accoglienza, valorizzare quell’immenso patrimonio di verde dell’Agro romano minacciato dall’urbanizzazione, valorizzare le tante esperienze di centri e comunità che producono cultura, convivenza tra diversità e quel welfare spontaneo fatto di coltivazione di orti e di pratiche di sopravvivenza.

E poi ancora impegnarsi seriamente per il Progetto Fori rendendo finalmente giustizia a Antonio Cederna. Dovremmo insomma fare tesoro di questa sua diversità anziché tentare di accorciare il collo della giraffa per renderla simile a un cavallo di razza, del quale non se ne sente alcun bisogno.

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Il Politecnico ha elaborato le mappe di Milano piú belle che abbiate mai visto

Alcuni studenti del Politecnico hanno presentato alla commissione periferie del Comune di Milano una serie di progetti e idee per possibili riqualificazioni delle periferie cittadine.

Il sindaco Sala ha più volte dichiarato che le periferie della città sono “la sua fissazione.” Oggi, alcuni studenti del Politecnico hanno presentato alla commissione periferie del Comune di Milano una serie di progetti e idee per possibili riqualificazioni delle periferie cittadine. I ragazzi hanno esposto le proprie proposte attraverso alcune slide, che sono disponibili sul sito del Comune e di cui vi proponiamo qualche estratto. I risultati del loro lavoro sono soprattutto grafici: cartine tematiche, grafici, simulazioni.

Il progetto è stato seguito dai professori Boatti e Rossi, che hanno coordinato i 32 studenti al primo anno di magistrale nella realizzazione dei progetti. “Gli studenti hanno compiuto un’analisi su tutta la città, e poi sono passati ad occuparsi dei singoli municipi,” ha dichiarato il professor Rossi prima che gli studenti cominciassero ad esporre. L’idea è suggerire una città più vivibile, risolvendo alcuni punti critici all’interno dell’urbanistica cittadina. Molti progetti, ad esempio, evidenziano la cronica mancanza di verde in città e la barriera costituita dalle varie ferrovie, che tagliano interi quartieri in due o più parti.

Alcune mappe sono anche buffe, come quella sui quartieri che twittano di più.

“Il lavoro ha avuto una parte che ha riguardato l’accessibilità — non solo barriere fisiche, ma anche economiche e sociali, che limitano il funzionamento urbano,” ha proseguito Rossi.

Gli studenti hanno elaborato una serie di mappe sulle diseguaglianze sociali, come quelle sul diverso valore degli immobili in città e il grado di inclusività di ogni quartiere.

Ovviamente i ragazzi del Politecnico hanno affrontato anche l’argomento scali ferroviari, forse la sfida urbanistica più importante per i prossimi anni.

Alcune mappe sono un po’ più creative, soprattutto quelle composte dalla sovrapposizione di più cartine tematiche.

“Abbiamo impostato il lavoro sul rispetto delle norme vigenti — il Comune di Milano ha un PGT, e i lavori sono stati svolti partendo da questa base. Chiaramente, con un PGT migliore, anche i risultati sarebbero stati migliori,” secondo il professor Boatti. Il PGT è il Piano di Governo del Territorio, il documento fondamentale per l’edilizia di ogni comune: quello in cui si decide quante case costruire, quanto verde piantare, quante strade tracciare. In poche parole, quanto sia vivibile una città.

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Periferie romane assediate dal disagio sociale e dalla criminalità organizzata.

In campo la Commissione d’inchiesta parlamentare e quella anti-mafia della Regione Lazio
Il tempo sembra essersi fermato nelle periferie romane. In queste ore sono iniziate le ‘ispezioni’ della Commissione parlamentare di inchiesta, che ha scoperto una condizione dei quartieri periferici romani ai limiti della sopportazione umana. A descrivere la situazione il presidente della speciale commissione, Andrea Causin che con queste parole ha descritto la situazione: “Le audizioni dei rappresentanti dei consorzi di autorecupero‎ delle periferie, delle associazioni per la rigenerazione urbana e dei comitati e associazioni degli abitanti dei Piani di Zona di Roma, sono un contributo prezioso per i lavori della commissione da me presieduta. Il dialogo e il confronto con chi ogni giorno vive i problemi e cerca soluzioni, è fondamentale ed imprescindibile”.

Il quadro che emerge a Roma è drammatico e preoccupante. Opere primarie mai completate e un miraggio la presenza di polizia e carabinieri

“Il quadro che emerge su Roma è drammatico e preoccupante. Opere di urbanizzazione primarie mai completate, piani di zona privi di rete elettrica, telefonica, del gas, e allacci fognari, con la conseguenza che i cittadini sono costretti in alcuni casi a pagare di tasca propria. In alcuni quartieri, come la Borghesiana e Tor Bella Monaca, la presenza delle forze dell’ordine è un miraggio, il tasso di abbandono scolastico è elevatissimo, vi è presenza di piazze dello spaccio aperte 24 ore al giorno‎, lotti di terreno dove sono state edificate abitazioni per residenza agevolata che tutt’oggi risultano di proprietà di società malavitose. Le denunce dei rappresentati dei comitati e degli abitanti dei Piani di Zona di Roma saranno parte integrante della relazione che la commissione periferie presenterà al Parlamento. Non solo. Trasmetteremo al sindaco di Roma, Virginia Raggi, al presidente della regione Lazio, Nicola Zingaretti e alle istituzioni competenti, le relazioni dei comitati e delle associazioni ascoltate oggi”, conclude.

In Regione le audizioni del presidenti di IV e VI Municipio, quadranti ricchi di potenzialità ma assediati dalla criminalità

E mentre la Commissione parlamentare d’inchiesta sulle periferie va avanti con il suo lavoro, stessa cosa fa quella antimafia della Regone Lazio. E’ cominciato infatti l’ascolto dei presidenti dei municipi di Roma, a partire da quelli che amministrano i territori menzionati dal capo della polizia, Franco Gabrielli, durante l’audizione in Commissione parlamentare sulle periferie. L’incontro con i presidenti del IV e del VI municipio, ha permesso alla Commissione di approfondire le problematiche di zone quali San Basilio, Tor Bella Monaca e Ponte di Nona. Quartieri difficili ma al contempo ricchi di potenzialità, dove il basso livello dei servizi si associa spesso alle piazze dello spaccio, alla delinquenza minorile, a un’aspettativa di vita inferiore rispetto agli altri quartieri”. E’ quanto afferma la vice presidente della Commissione regionale sulla criminalità e le infiltrazioni mafiose nel Lazio, Marta Bonafoni.
“Un’audizione necessaria, quindi, per ascoltare questi territori, ma anche per individuarne le criticità maggiori e per chiedere risposte a chi si trova adesso a governarli – prosegue Bonafoni – Ripartire dal sociale, dalla cultura, dalla rigenerazione urbana sono le parole d’ordine emerse nel corso dell’audizione, ma anche la necessità di non criminalizzare i territori e di valorizzarne le risorse migliori, le associazioni, i comitati e le realtà che più di ogni altro conoscono il quartiere in cui vivono. Recepire prima di tutto le loro istanze, dunque, a partire dal grido di allarme lanciato proprio oggi dai rappresentanti di consorzi di autorecupero delle periferie e dalle associazioni per la rigenerazione urbana della Capitale, che durante la seduta della Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni delle città e delle loro periferie hanno descritto una situazione di abbandono inquietante. A questo degrado e a questa solitudine vanno trovate risposte nella partecipazione e nell’inclusione, quali strumenti a disposizione delle istituzioni per ridurre quel divario tutt’oggi presente tra la politica e i bisogni delle periferie”.

Giordano (Cgil Regione Lazio): “Sempre più evidente nelle periferie lo sfilacciamento dei rapporti sociali”
“Dai recenti fatti di San Basilio e del Trullo, dove è stato negato a due famiglie immigrate l’accesso all’abitazione di edilizia popolare loro assegnata, alla nuova manifestazione di sabato scorso: il dibattito cittadino continua a riaccendersi sul tema della casa mostrando come sia stretta la connessione con il sistema del welfare romano, il razzismo, il disagio sociale delle periferie, l’aumento della disoccupazione in un contesto politico di maggioranza e opposizione inconcludente”. Così, in una nota, Roberto Giordano, segretario della Cgil regionale. “Non apparteniamo alla squadra dei detrattori a prescindere – continua -. Crediamo anzi che la politica debba essere sempre protagonista ma siamo preoccupati per il sempre più evidente sfilacciamento dei rapporti sociali. Discutere di casa significa discutere del destino della città, dei quartieri e dei suoi abitanti. Chi ha manifestato sabato abita da più di dieci anni nei Caat, con un patrimonio che tra Ater e Comune di Roma ammonta a circa 73mila appartamenti e che totalizza il 47% del mercato degli affitti della Capitale”. “Nel patrimonio pubblico – precisa – vi sono molte rendite di posizione che non possono più essere tollerate e che vanno affrontate in maniera sistemica. Se si applicasse il Dgr 18 della Regione Lazio sull’emergenza abitativa e il nuovo Piano sociale di Roma, in fase di avvio, analizzando le criticità esistenti, si potrebbe davvero affrontare l’emergenza abitativa. Una maggiore mobilità del patrimonio Erp, la riforma degli enti gestori, la costituzione di un osservatorio e di un’agenzia per la casa, la rimodulazione degli alloggi: tutto ciò consentirebbe di evitare un nuovo consumo di suolo e ulteriori speculazioni. Naturalmente per fare questo ci vuole una regia politica, una politica appunto che torni a essere protagonista”.

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Noi cittadini di serie b, abbandonati dallo Stato

Le periferie romane in Parlamento: “Noi cittadini di serie b, abbandonati dallo Stato”
Una decina di comitati di quartiere sono stati ascoltati a Palazzo San Macuto dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di sicurezza e sullo stato di degrado delle città
Abbandono, degrado, criminalità, ma anche problemi di salute e in alcuni casi addirittura assenza dei servizi essenziali come acqua potabile, fognature o illuminazione. Da Tor Bella Monaca a Castelverde, da Borghesiana al Parco degli Acquedotti passando per Corcolle e Don Bosco, i rappresentanti di una decina di comitati di quartiere della periferia romana sono stati invitati e ascoltati questa mattina a Palazzo San Macuto dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di sicurezza e sullo stato di degrado delle città e delle loro periferie, presieduta da Andrea Causin (Area popolare-Ncd).

Tema centrale, senza dubbio, la sicurezza: “Troppo spesso siamo rimasti inascoltati in questi decenni – ha detto Riccardo Pulcinelli dell’Anacipe – nell’ultimo anno il numero di reati a Roma è diminuito del 15%, e allora ci domandiamo: perchè la percezione di sicurezza è ancora così bassa? Ci viene il dubbio che i cittadini, tra lentezza giudiziaria e burocrazia, hanno rinunciato a denunciare i reati. Oltretutto parliamo magari di Tor Bella Monaca e San Basilio, dove ci sono caserme e commissariati, e allora nella zona est dove la presenza delle forze dell’ordine è miraggio cosa dobbiamo pensare? In periferia il rapporto numerico forze dell’ordine/cittadini è vergognoso rispetto al centro. Percepiamo lo stato di abbandono in cui le istituzioni, soprattutto il Comune, ci hanno lasciato: enormi quartieri dormitorio dove vengono riversati immigrati e creati campi nomadi, senza mezzi pubblici adeguati, illuminazione a giorni alterni, parchi nel degrado. Zone in cui nascono veri e propri ghetti e zone franche”.

ECCO LE QUATTRO PERIFERIE PIU’ A RISCHIO DI ROMA

Andrea de Carolis, ex assessore della giunta M5S del VI municipio, esponente di Quartieri riuniti in evoluzione, parla di Roma est: “Noi non è che ci sentiamo, noi siamo abbandonati dallo Stato. Siamo ricchi di umanità, abbiamo la massima concentrazione di giovani, siamo pieni di bellezze naturali e archeologiche, da Villa Adriana alla necropoli dell’Osa, eppure siamo tagliati fuori da tutto. Ci siamo opposti all’ecomostro di Rocca Cencia perchè siamo già primi nei dati sulla diffusione del cancro da parte del dipartimento epidemiologico. C’è una condizione di illegalità diffusa, come nell’ex cava dell’Osa o nelle discariche di Lunghezza e Lunghezzina, siamo esposti ai veleni degli inceneritori. Ma noi ci siamo rivoltati contro questa Terra dei fuochi di Roma, ci siamo attrezzati per reagire e abbiamo proposto la creazione del parco nazionale dell’Agro romano: abbiamo avviato l’iter, ma ora vi chiediamo di aiutarci in questo percorso”.

C’è anche Matteo Gasbarri, dell’associazione Tor Più Bella: “Il municipio VI ha il dato di speranza di vita più basso di Roma, è una piazza di spaccio chiusa dove la droga si vende nei pianerottoli, nei palazzi, un caso unico. Solo tra febbraio e luglio 2016 sono state arrestate 200 persone nel raggio di 500 metri e i clan godono di consenso sociale, sostituendosi al welfare statale tramite la ‘retta’ per le persone meno abbienti”. Amedeo Del Vecchio, presidente di Valle Margherita e rappresentante dei consorzi di Valle Borghesiana: “Il toponimo Valle Borghesiana è bloccato per motivi di forma, perchè i lotti non sono di proprietà di chi li occupa ma sono di proprietà di malviventi riconducibili a Mafia Capitale e alla banda della Magliana. Noi non siamo solo abbandonati, ma dobbiamo combattere in prima linea incontrandoci con persone che, durante le riunioni, mettono la pistola sul tavolo”.

Per Francesco Giordano del Consorzio Osa “a Roma ci sono ancora interi quartieri senza acqua potabile a al buio, nonostante ci siano tutti i fondi necessari. Questo fa rabbrividire”. E ancora: Dario Piermarini, dell’Associazione per la rigenerazione di via Flavio Stilicone, ha spiegato che “nel VII municipio, un territorio grande come Bari, il filo conduttore sono la criminalità e il degrado”, mentre al Parco degli Acquedotti, ha raccontato Luciano Di Vico, dell’omonima associazione di volontari, “ci sono occupazioni abusive, spaccio, meretricio, furti e scippi grazie a barriere naturali incolte come arbusti, fusti e canne che diventano facile covo per persone poco rispettabili”. Da segnalare, infine, la proposta di Salvatore Codispoti, presidente dell’Unione borgate: “Proponiamo alla commissione un’assemblea in periferia dove siate voi a venire da noi per raccogliere le testimonianze dirette dei cittadini e rendervi conto con i vostri occhi della situazione che viviamo ogni giorno”.

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Periferie. Tor Sapienza a prova di accoglienza

Percorriamo il centro storico della borgata con Adriana Goni Mazzitelli, antropologa di origini uruguaiane, con un dottorato in Urbanistica all’Università Roma Tre, per la quale ha realizzato il volume ‘Vincere il confine’, ricerca frutto del lavoro di quasi cinque anni sul territorio. Quindici progetti che in forma capillare indicano i modi per recuperare spazi nel tentativo di capire le forme di convivenza e di dialogo possibili. Spesso le periferie vengono paragonate alle favelas: “Il problema è che qui non ci si occupa minimamente della cosiddette favelas – spiega – mentre da noi prendiamo atto che ci sono delle povertà strutturali e allora cerchiamo di attuare dei programmi per queste. Qui in fondo si ripetono tutte le condizioni tipiche delle favelas, dall’informalità nel lavoro alle diverse forme di precarietà. E’ una lotta tra poveri. Il 2014, con la rivolta per la gestione del centro immigrati, ha segnato uno spartiacque. Siamo di fronte ad una vera e propria banlieue”. Costeggiamo l’area militare del Sisde accanto a capannoni abbandonati e sporcizia: “Le catene della grande distribuzione si sono mangiate tutto il piccolo commercio – racconta Adriana – e anche la vita sociale di quartiere. C’era un carnevale tipico, lo spazio era molto più curato, ora sta diventando uno spazio più anonimo. Ci sono non luoghi diventati quasi esclusivamente di transito. Palazzi di nuova costruzione frutto di speculazione edilizia e che non si sono riusciti a vendere. Si rischia che questo diventi un cuore vuoto”.

Colate di cemento senza riqualificazione delle aree dismesse

“Si continua a creare volumi e non si riutilizzano gli spazi dismessi, spesso fabbriche o edifici scolastici. Siamo sotto infrazione europea per questo ma nessuno fa niente, si continua così”, lamenta Alfredino Di Fante, fondatore e segretario dell’Agenzia di quartiere Tor Sapienza, che rappresenta 23 associazioni sul territorio di cui molte onlus. Carlo Cellammare, docente di Urbanistica all’Università La Sapienza, che ci accompagna ad ogni tappa del nostro viaggio nelle periferie di Roma, insiste: “Potenzialmente ci potrebbero essere tante opportunità, sono territori dove si potrebbero insediare nuove attività senza dover andare ancora più lontano, fuori dalla città. Roma ha il grande problema di aree non riqualificate e che qui e altrove creano una sensazione di disagio e degrado”.

Un quartiere che deve ritrovare una integrazione tra sue parti sociali deve sempre ripartire dalle attività culturali. E’ un aspetto a cui tiene particolarmente la ricercatrice: “Gli anziani ci dicono che se non si ritrovano non possono risolvere i problemi di Tor Sapienza. Nel tempo i centri comunali si sono svuotati di risorse e non riescono per di più a lavorare in rete. Per esempio la biblioteca-teatro Quarticciolo è un centro bellissimo ma ormai insufficiente. Ormai ci basiamo solo sul volontariato”. E fa l’esempio virtuoso di Medellin, in Colombia, e di Torino, dove l’urbanistica sociale ha fatto passi avanti molto buoni.

Il volontariato cattolico e l’opera di prossimità

Nella parrocchia Santa Maria Immacolata e San Vincenzo de Paoli risuona con tenacia la testimonianza di Melania Nicoli, bresciana, qui da 35 anni, ex magistrato e presidente dell’associazione di volontariato “Vocators” (Volontariato cattolico Tor Sapienza) che tanto si spende per creare prossimità. Ci spiega come abbiano cominciato come propaggine della parrocchia a livello di carità immediata e in che modo dal 2000 sia cambiato completamente il tipo di approccio che veniva richiesto anche dall’insorgere di esigenze nuove. “C’è la zona tradizionale di Tor Sapienza e c’è la zona dei palazzoni”, descrive. “Io sono dell’avviso che noi non possiamo campare vicino a qualcuno che sta male ignorando il suo dolore. Abbiamo dovuto prendere atto che di là c’erano situazioni di maggior disagio ma anche di ricchezza umana, ci sono persone che vogliono stare con noi, che vogliono lavorare… non possiamo fare finta che non ci sono, e allora dobbiamo collaborare. Negli anni abbiamo realizzato una casa famiglia alla Rustica che accoglie mamme con i propri bambini, anche immigrati. In questa esperienza abbiamo avuto una risposta di straordinaria generosità da parte delle famiglie del centro della borgata. Abbiamo aperto uno sportello per problematiche legate alla coppia e alla genitorialità. In tre anni abbiamo 120-130 posizioni risolte. A inizio febbraio partirà, in collaborazione con l’associazione il Ponte, il funzionamento di uno sportello per famiglie con figli gravemente disabili”.

Razzismo?

Come la mettiamo con le accuse di razzismo che vi affibbiano?: “La gente dai cinquanta anni in su in questo momento è un po’ arrabbiata per la novità di compagine legata alla presenza di immigrati”, spiega ancora Melania. “Non c’è nessuna forma di discriminazione da parte nostra, anche se abbiamo registrato che gli episodi di vandalismo e ruberie sono aumentati molto proprio in coincidenza con la presenza più massiccia di immigrati, forse come ovunque. Ma io dico che per esempio la mia associazione ha trovato lavoro in questi anni a 640 badanti, tutte straniere. E’ che le regole devono essere comuni. Dobbiamo renderci conto che una vera integrazione si realizza nel tempo e, forse, dobbiamo realizzare che sono più maturi nell’accoglienza proprio coloro che vivono nella zona Tor Sapienza 2, nei palazzoni di via Morandi. Forse perché ‘obbligati’ a vivere gomito a gomito. Noi li vediamo invece ancora come qualcosa di molto diverso e allora dobbiamo camminare un po’. Bisogna continuare ad educare la gente. Noi ci impegniamo in questo. Magari hanno compassione di quelli che chiedono l’elemosina ma poi condannano. Dovremmo avere spazi di aggregazione per i giovani. Ripartire da lì. La sera non c’è nulla, neanche un bar aperto”.

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Versus. Il dibattito fra centro e periferia

Torna la rubrica “Versus” con un nuovo dialogo dedicato alle dinamiche tra centro e periferia. Vincenzo Trione e Andrea Bruciati tentano un’analisi dei limiti e delle opportunità che caratterizzano la vita culturale nelle grandi metropoli e nelle piccole realtà di provincia.

Per gran parte della storia dell’uomo il paradigma della “capitale culturale”, come laboratorio di idee e culla della creatività, ha conservato la sua validità: l’Atene di Pericle, la Roma imperiale, la Firenze dei Medici e del Rinascimento, la Parigi tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento sono solo alcuni tra gli esempi più noti. Poi, con la modernità, si è affacciata una tendenza alla svalutazione dello spazio, che la recente impennata tecnologica non ha fatto che accentuare. La rapidità dei trasporti, le potenzialità dei nuovi mezzi di comunicazione, la facilità con cui possono instaurarsi rapporti tra persone distanti hanno come ovvia conseguenza un profondo cambiamento di prospettiva, basato sulla stretta interconnessione tra locale e globale. Nonostante tutto, alcune città conservano un fascino magnetico e continuano a offrire, più di ogni altro luogo, spunti creativi e occasioni di crescita intellettuale. Per il terzo capitolo di Versus, dedicato al rapporto tra gli artisti e il territorio, intervengono Vincenzo Trione e Andrea Bruciati.

Per quanto nel mondo contemporaneo i confini tra i grandi centri e le periferie possano apparire sfumati, esistono ancora cifre identitarie connesse ai luoghi di appartenenza? In che modo esse condizionano, in positivo o in negativo, lo sviluppo culturale delle comunità?
Vincenzo Trione: Ritengo che l’antitesi tra centro e periferia vada ripensata e riarticolata. Oggi le grandi città si presentano come cantieri sempre aperti e in divenire. Sono cosmi che, al loro interno, ospitano microcosmi marginali di straordinaria vivacità. Ogni metropoli ha al suo interno sacche di “periferia”. Penso al mondo underground e agli spazi di aggregazione giovanile, che si muovono accanto e al di sotto delle realtà consolidate del mainstream, contrapponendosi talvolta ai sistemi di potere. In fondo è come se il corpo delle grandi città generasse al suo interno autentici anticorpi: è qui la ricchezza delle “cosmopoli”. Una simile molteplicità di sfaccettature non è riscontrabile nelle periferie.
Andrea Bruciati: Nella vulgata è solo il termine centro quello che assume una valenza positiva, ma già Alois Riegl ravvisava nell’arte tardoantica delle periferie un’azione proattiva e non derivativa rispetto ai canoni classici. In Italia non sussiste questo dualismo (non esistono reali sacche metropolitane) e parlerei piuttosto di Provincia (non a caso ci chiamiamo Paese). La storia della Penisola vive su questo network orizzontale diffuso, multipolare e articolato che si traduce in dinamismo creativo per sua natura “laterale” (il Made in Italy viene elaborato nei famosi distretti). Inoltre la interconnessione con il globale azzera le “difficoltà” logistiche e la Provincia può conformarsi quale laboratorio sociale per dei cambiamenti concreti e capillari sul tessuto delle comunità.
Giorgio Morandi e Vincenzo Agnetti, Differenza e ripetizione, Arteincentro, Castelbasso di Castellalto 2016
Giorgio Morandi e Vincenzo Agnetti, Differenza e ripetizione, Arteincentro, Castelbasso di Castellalto 2016

Cosa significa oggi, per chi si occupa di arte contemporanea, operare in un grande centro oppure in una zona periferica? In che misura sussistono i rischi della standardizzazione da un lato e dell’isolamento dall’altro?
V.T.: Ogni grande città è un sistema ramificato che consente di entrare in relazione con una pluralità di soggetti e istituzioni: dalle gallerie alle accademie, dai musei alle fondazioni. Le metropoli offrono una vasta rete di esperienze, che coniugano mainstream e ricerca. Non vedo rischi di omologazione, ma ampi spazi di libertà: ci si può adeguare al sistema dominante o sperimentare modelli alternativi. Le periferie? Rischiano di essere ambienti ristretti, pur se talvolta vivaci. Certo, esistono eccezioni, ma penso che nei grandi centri possano ritrovarsi gli stimoli giusti per chi si occupa di arte contemporanea. Al massimo, si può scegliere di lavorare in periferia dopo aver vissuto intensamente il rapporto con una grande città, per trovare occasioni di solitudine e di riflessione. Ma la provincia è troppo lontana dall’impero.
A.B.: Libertà di progettazione e ricerca sono alla base del mio lavoro e credo che la qualità risieda dove si ha cura e tempo da dedicare alla nostra visione. Nei grandi centri le aspettative sono sempre più pressanti perché l’importanza risiede nel soddisfare esigenze quasi essenzialmente quantitative, mentre a me piacciono le iniziative in dialogo e pertanto realizzate con passione e abnegazione. Trovo intellettualmente svilente rincorrere una filiera internazionale, di cui saremo pur sempre fotocopia o replica sbiadita, per assecondare appetiti di cassetta o il nostro narcisismo. Ritengo invece che l’isolamento si verifichi solo se non si è predisposto un terreno poroso e permeabile, centro o periferia che sia, dove preferisco al contrario costruire qualcosa di vivo, prezioso per la crescita culturale della comunità.
Jenny Holzer, New York 2005, 2005
Jenny Holzer, New York 2005, 2005

Il percorso di ricerca di alcuni artisti è strettamente legato ai luoghi in cui hanno scelto di vivere e operare. Ci sono lavori che testimoniano la storia e l’evoluzione di un territorio, che si nutrono delle sue atmosfere e riescono a coglierne l’essenza. In altri casi un intervento artistico può essere talmente efficace e d’impatto da produrre concreti cambiamenti nel tessuto dei centri urbani o delle periferie. Se vi chiedessi di sviluppare l’argomentazione per immagini, quali scegliereste e perché?
A.B.: Come operatore culturale credo nei progetti articolati, tanto più se reificati nel tempo come format, perché rappresentano uno stimolo concreto per il territorio. Io opero solo in questa prospettiva: manifestazione fieristica, museo, associazione culturale o azienda privata, fondamentale è la comunità come interlocutore, senza sottostare a facili populismi o pressioni di sorta. Alcuni episodi che ritengo particolarmente significativi vedono il coinvolgimento di un pubblico eterogeneo per una notte come in Painting as Performance, dove mi piace il relazionarsi con i giovani autori in tempo reale; un’esigenza che ad ArtVerona ho riproposto nel format atupertu, volto a un confronto diretto e informale con gli artisti negli stand. Trovo estremamente interessante poi quando si innesca una progettualità solida: quando ad esempio l’artista deve definire continuamente il suo linguaggio come in Moroso Concept, per un confronto del “prodotto arte” in evidente agonismo con il design, o in molte delle attività svolte per Monfalcone durante la mia direzione. Non da ultimo trovo un senso profondo del mio operare quando si tracciano nuove strade e così si ribaltano certi pregiudizi qualitativi, come quello fra centro e periferia. Quanto è avvenuto recentemente per arteincentro o nei collateral di ArtVerona va in questa direzione: ipotizzo una rilettura della storia dell’arte contemporanea secondo una prospettiva che dal presente si riflette sul passato, vivificandolo.
V.T.: Il rapporto tra gli artisti e lo spazio urbano può essere declinato sostanzialmente attraverso tre strategie. La prima è quella dell’idealizzazione: la città si fa spazio metafisico, disabitato e silente. In questo senso, esemplare il lavoro portato avanti dalla tradizione della fotografia oggettiva tedesca e ripreso in Italia, tra gli altri, da Gabriele Basilico. La seconda strategia coincide con un atteggiamento teso a recuperare frammenti, rovine e relitti dello spazio urbano, che vengono assemblati, quasi accatastati, all’interno di installazioni concepite come architetture instabili ed evocative. Il Merzbau di Kurt Schwitters è la matrice storica fondamentale di questo approccio, che accomuna artisti come Thomas Hirschhorn (penso a un’opera come Plan B), Jimmie Durham o Cildo Meireles. La terza strategia, infine, interpreta la città come una pelle sulla quale intervenire: simili a quinte, le facciate degli edifici accolgono lavori capaci di determinare radicali trasformazioni del territorio. Rientrano in questa categoria le proiezioni e le poesie luminose di Jenny Holzer, ma anche le iniziative ideate dall’attuale premier albanese Edi Rama, quando era sindaco di Tirana, che hanno completamente ridefinito l’immagine della capitale albanese. Nel medesimo orizzonte iscriverei le esperienze della Street Art: spesso i writer vengono demonizzati, mentre ritengo che abbiano una funzione civile ed estetica di straordinario rilievo.

L’Italia, nel panorama artistico contemporaneo, si può considerare centro o periferia?
A.B.: Siamo un Paese derivativo per responsabilità politiche che non avvalorano la nostra identità culturale. Solo costruendo progetti condivisi, con visione e coraggio, possiamo ritornare al centro del dibattito.
V.T.: Un Paese che non riesce a essere forte del suo stile unico e inconfondibile, inteso come combinazione tra senso inquieto della storia e capacità di inventare il nuovo. E, insieme, un Paese afflitto dal virus della replica di modelli estetici internazionali assimilati passivamente.

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La realtà si vede meglio dalla periferia che dal centro

Le occasioni perse e da non perdere

Come noto, la legge di stabilità 2016 ha istituito il “Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie”

Gli esiti del successivo Bando sono di questi giorni. 120 proposte di cui 24 ammesse al finanziamento nella prima annualità. Diverse proposte presentate rispondendo ai criteri del Bando hanno evidenziato “capacità di innescare un processo di rivitalizzazione economica, sociale e culturale del contesto urbano di riferimento;”

Infatti come riconosciuto anche in sede INU è stato “Attivato un protagonismo sociale e la costruzione di nuove forme di gestione. Gli attuali processi di trasformazione urbana investono sempre più sul capitale umano puntando all’acquisizione di competenze, di capacità e di saperi che rendono i cittadini e le comunità protagonisti e parte attiva e collaborativa, non solo nella fase di proposta/decisione progettuale ma anche in quella di gestione (attraverso strumenti pattizi di svariata natura) e attivazione di energie imprenditoriali in settori innovativi.”

Nel caso di Roma Capitale, l’intera vicenda delle scelte progettuali, per la partecipazione al bando, è stata gestita dai Dipartimenti dell’Urbanistica e delle Periferie con qualche timida richiesta ai Municipi. Ciascuno dei due Dipartimenti ha selezionato tra i progetti disponibili senza esprimere una visione strategica complessiva,

Senza un coinvolgimento dei Cittadini se non altro del Terzo Settore come per altro indicato nella stessa legge istitutiva del Programma.

Carenza di visione strategica che si riscontra anche nella mancata utilizzazione della quota del 5% delle risorse dell’investimento per la “predisposizione di piani urbanistici, piani della mobilità e studi di fattibilità”.

Tali scelte appaiono come tampone di basso profilo utilizzato per il completamento di manutenzioni, incurie e in assenza di una visione strategica della città.

Queste scelte non sembrano imprimere azioni di rilancio e di promozione delle qualità ambientali, culturali, produttive e sociali presenti nei territori.

La lettura della Città rimane periferica e come tali restano le Periferie.

Ora un’occasione da non perdere

I quartieri realizzati a Roma negli anni settanta come Corviale, Tor Bella Monaca, Laurentino, Vigne Nuove rappresentano rilevanti quote di patrimonio residenziale pubblico.

A questa significativa dimensione del patrimonio pubblico le Amministrazioni pubbliche non sono state in grado di assicurare adeguati standard di gestione, manutenzione e sicurezza.

In altre parole si è prodotta una distanza culturale fra la Regione e i centri amministrativi di ATER e di Roma Capitale che ad oggi non colgono le specifiche esigenze e le peculiari potenzialità di questi quartieri.

A fronte e per reazione di questa distanza culturale con i centri amministrativi, si è sviluppata una rete di associazioni e presenze attive sul territorio che oggi rappresenta, oltre che una generica risorsa, il primo attore del processo rigenerazione urbana.

Esempio concreto – Il Piano Verde di Corviale – Scade, infatti, nei prossimi giorni il bando di gara per l’affidamento dei Lavori di ristrutturazione edilizia con cambio d’uso dei locali non residenziali al 3°-4°-5° piano dell’edificio di CORVIALE promosso dall’ATER per € 7,6 ml.

L’appalto verrà aggiudicato all’offerta economicamente più vantaggiosa dove gli elementi di miglioramento qualitativo valgono il 70% mentre il rimanente 30% è attribuito al prezzo offerto.

Fra gli elementi tecnici di miglioramento qualitativo è indicato quello relativo Assistenza tecnica durante il periodo di esecuzione dei lavori per un valore massimo del 9%.

In dettaglio si chiede che in coerenza con quanto previsto dai Contratti di Quartiere la trasformazione del piano libero si dovrà realizzare con la presenza degli attuali occupanti.

Intanto perché occupanti se sono anche utilizzatori finali forse si poteva parlare di futuri assegnatari.

“A tale riguardo l’ATER ha previsto un programma di turnazione all’interno dell’edificio che consente di realizzare i nuovi alloggi in più fasi successive, senza dover spostare altrove le famiglie, che si trasferiranno di volta in volta negli alloggi di turnazione per essere poi spostati definitivamente in quelli completati ed a loro assegnati.

Per l’attuazione di questo programma si renderà necessaria la massima collaborazione degli abitanti che dovranno essere coinvolti attivamente in una “gestione partecipata di mobilità”. Per questa ragione dovrà essere sviluppato un “Progetto Organizzativo” di supporto alla D.L. che preveda un’assistenza tecnica necessaria per dei periodi limitati di tempo (2 o 3 giorni) in coincidenza di ogni fase di turnazione.

Le turnazioni previste sono 13 per l’intera durata del cantiere (5 anni circa).

Per la valutazione si terrà conto della presenza di una struttura qualificata composta da almeno due professionisti con esperienza in pianificazione territoriale, processi partecipativi, comunicazione sociale, mediazione dei conflitti locali e accompagnamento dei cantieri al fianco di Amministrazioni pubbliche e/o private, comprovata da curriculum; nonché della predisposizione di una relazione che illustri l’attività di supporto ad ATER, che si intende svolgere, consistente, ad esempio, in comunicazione e relazione tra le parti (ATER – impresa esecutrice – famiglie occupanti) e coordinamento delle operazioni di turnazione durante il periodo di esecuzione dei lavori, attraverso opportune tecniche di facilitazione e mediazione dei disagi sociali prevedendo, tra l’altro, riunioni periodiche con gli abitanti al fine di contenere ed appianare i possibili disagi generati dal cantiere, fornire indicazioni sullo stato di avanzamento dei lavori, distribuire materiale informativo e raccogliere segnalazioni di eventuali disagi e problemi”.

Conclusione: coinvolgimento degli abitanti solo fittizio.

Infatti, per fare tutto quello indicato se pure fossero 3 giorni per 13 turnazioni sono circa 40 giorni spalmati in 5 anni corrispondono ad una media di 8 giorni all’anno.

Chi li ha visti ?

In un appalto di lavori non si possono inserire servizi

L’argomento merita quindi più attenzione.

Per l’attuazione dell’intervento è necessario: in primo luogo il ripristino della legalità e lo sgombero degli occupanti che non hanno titolo per la futura assegnazione forse si rendono superflui gli alloggi temporanei.

In secondo luogo il coordinamento dei diversi soggetti oltre all’impresa appaltatrice e alla committenza quali le società di erogazione dei servizi pubblici e i responsabili per la sicurezza pubblica rendono necessaria una forma di forte coordinamento in capo alla Direzione Lavori che può rappresentare anche una forma innovativa nella gestione degli interventi nelle periferie.




Rigenerare le città creando comunità

Nei paesi del centro e nord Europa le politiche di rigenerazione urbana prendono la forma di grandi progetti di ecoquartieri, con il coinvolgimento diretto degli abitanti e delle imprese che li popoleranno: le agenzie di vendita si trasformano in forum di partecipazione per gli abitanti, promozione di start up e agenzie di sviluppo pubbliche o private. La nuova economia urbana si sviluppa insieme all’intervento edilizio. In Italia, intanto, dal basso, sul lato della domanda, le comunità condominiali e di vicinato aiutano a definire i nuovi bisogni e i nuovi desideri dell’abitare di oggi e di domani. Sono diverse le esperienze raccolte, raccontate e fatte incontrare sul sito viviconstile.org, il portale dedicato ai cambiamenti negli stili di vita promosso da Legambiente, che ha iniziato il censimento delle buone pratiche dall’area metropolitana di Milano. Nel condominio green di via San Gregorio, per fare un esempio, è stato realizzato l’angolo dello scambio, con attrezzi da cucina di uso saltuario, trapano e attrezzi faidate, tagliaerba, cesoie, caricabatterie, eccetera. In alcuni casi acquistati in condominio, in altri messi a disposizione dai singoli condomini. Utile un registro di entrata e uscita, libretti d’istruzione, garanzie, manutenzione regolare. Uno o più volontari/condomini ne garantiscono la funzionalità.

È un primo tassello dell’economia circolare. Un altro consiste ad esempio nell’informare i condomini sulla correttezza della raccolta differenziata, evitando così le multe al condominio a causa dei pochi che sbagliano. Un’altra soluzione sperimentata, ecologica e anti spreco, è quella della fontana dell’acqua. Si tratta delle stesse macchinette che garantiscono l’acqua potabile dell’acquedotto, regolando temperatura e dosando la gasatura desiderata, garantendo e controllando periodicamente igiene e manutenzione degli impianti condominiali: il costo può essere anche ripartito con tessere ricaricabili individuali. Si risparmiano costi, fatica e bottiglie di plastica da riciclare ogni settimana.

A produrre comunità non sono soltanto scelte che riguardano i consumi. Si sta diffondendo l’idea di allestire piccole biblioteche condominiali, anche per dischi, cd, e film in dvd. C’è chi ha messo a disposizione un semplice scaffale, con un quaderno, chi una vera e propria biblioteca che ha attirato l’interesse anche dei vicini (come in via Rembrandt, sempre a Milano) ed è divenuto un luogo d’incontro, per un caffè culturale e piccole presentazioni di libri. Una realtà che è diventata una case history dell’associazione Labsus per la promozione della gestione dal basso di beni comuni. In questo caso, la catalogazione e la presenza, seppur volontarie, sono strutturate come in un piccola biblioteca.

Dalla cultura al welfare. Il comune di Milano ha attivato da due anni un servizio di badante e baby sitter condominiale, che ora sta cercando di diffondere tra i condomini privati in accordo con l’associazione degli amministratori Anaci, grazie anche ad un finanziamento della Fondazione Cariplo. In futuro, quindi, ci sarà l’infermiera per gli anziani, anche per chi non ha diritto all’assistenza domiciliare, la badante, l’animatore, il fisioterapista, la baby sitter o l’animatore per i bambini, da utilizzare singolarmente nelle diverse fasce orarie della giornata ma anche con la possibilità di momenti di ricreazione e socializzazione condivisi. Un welfare a domicilio dedicato soprattutto agli over 65, che secondo il censimento del 2011 rappresentano un terzo della popolazione milanese.

Le risposte alla nuova domanda dell’abitare si trovano talvolta direttamente nel mercato tradizionale, talvolta nell’aggregazione in gruppi d’acquisto e cooperative per cercare soluzioni nuove: nasce così a Monza una nuova startup (Nuvidea srl) che si propone per installazioni internet e voce per gli abitanti dei condomini, sostituendo le bollette famigliari dei singoli operatori con le quote dei condomini ad un molto più efficiente, veloce ed economico servizio di telecomunicazioni di tipo aziendale. Il nuovo condominio è interconnesso, come i suoi abitanti che, se vogliono, possono godere di bacheca telematica, servizi cloud per i documenti e la gestione condominiale. La collaborazione e la smart community sostituiscono, così, l’assemblea condominiale!

Le cooperative di abitanti, soprattutto quelle a proprietà indivisa, hanno cominciato a misurarsi su temi del tutto analoghi, soprattutto nelle nuove costruzioni, come nel caso della cooperativa di via Caldera o nei condomini di via Scarsellini, ancora a Milano. In tutti questi casi – come è successo anche nei nuovi condomini in cui è stata coinvolta la Fondazione Housing Sociale (via Cenni, Forlanini, Figino) –, il gestore sociale, il nuovo amministratore dell’edificio “bene comune”, si trova a cercare e creare mercato per nuovi servizi, nuove tecniche e tecnologie dell’abitare. Dai gruppi d’acquisto per le cucine, sino ai nuovi servizi energetici. Coventidue (in corso Ventidue Marzo) rappresenta l’ultimo intervento di ristrutturazione (in classe A) di cohousing: gran parte delle famiglie, che si incontrano con i progettisti da un anno, hanno deciso di vivere senz’auto. E quindi la volumetria dei garage ha potuto essere destinata ad altri spazi in condivisione.

Anche la mobilità sostenibile (a cui è dedicato il capitolo 6 di questo Quaderno) suggerisce soluzioni di comunità. È il caso delle biciclette in condominio: sempre in via Caldera oltre alla rastrelliera sono state acquistate alcune bici, anche a pedalata assistita. Dopo due anni ancora non si è registrato alcun danno o furto, senza alcun controllo o registro di prelievo. Ultimo nato, il servizio di car sharing elettrico condominiale, frutto di una collaborazione tra Legambiente e Share’NGo, il primo importante servizio di car sharing elettrico attivo a Milano, Firenze e Roma, per il quale è da poco cominciata la ricerca di 100 promotori locali. Raggiunte le prime 100 quote di servizio, Sahre’NGo mette a disposizione la prima auto e la prima box charge per la ricarica, fino a 10 auto a disposizione per ogni singola comunità di utenti.

Rinascita di quartiere

L’informazione condivisa è la caratteristica fondamentale del progetto, come nel già citato caso del Pilastro di Bologna, con cui creare nuova comunità. Qui lo strumento on line si chiama corviale.com ed è un vero e proprio giornale promosso dall’associazione Corviale Domani, attiva da anni in questo quartiere della periferia di Roma, caratterizzato dal cosiddetto Serpentone, un unico edificio di case popolari lungo ben 980 metri. Nata come un’aggregazione informale di associazioni, enti, istituzioni, istituti di ricerca, operatori ed esperti in diverse discipline, Corviale Domani ha avviato un percorso, spontaneo, di progettazione partecipata dal basso “per coinvolgere l’insieme della comunità di Corviale, dell’intero Quadrante (Tenuta dei Massimi, Valle dei Casali, Casetta Mattei, Bravetta, Trullo, Magliana Vecchia) e della Città Capitale con cui interagisce”. Gli obiettivi, come racconta corviale.com, sono ambiziosi: “affrontare lo sviluppo urbano e sociale con un approccio globale; potenziare l’economia; creare e assicurare spazi pubblici e infrastrutture di qualità; progettare il territorio integrando l’urbano e il rurale; salvaguardare e valorizzare i beni paesaggistici e architettonici, sia storici che contemporanei; agevolare, offrendo spazi ad hoc, politiche e fruizioni culturali; portare in posizione primaria il tema dell’istruzione e della formazione; migliorare l’ambiente e l’efficienza energetica; valorizzare le diversità come un bene da tutelare”.

L’associazione di promozione sociale si è costituita formalmente nel 2013 e il concorso internazionale Rigenerare Corviale, promosso dall’Ater con il contributo della regione Lazio si è concluso, con la scelta del vincitore, nel maggio scorso. La dotazione prevista è di 7,2 milioni di euro, destinati a una prima parte degli interventi di riqualificazione. Nel frattempo a Corviale continuano ad essere i cittadini che danno risposte immediate e concrete a fenomeni di degrado. È il caso dell’Albergo delle piante, una sorta di vivaio collettivo realizzato per iniziativa di due giovani artisti nella Cavea di Corviale, ex sede del mercato ortofrutticolo, chiuso nel 2015, ridotta a una spianata di cemento. Oppure di Calciosociale, una società sportiva dilettantistica, che in questo caso anche grazie al sostegno della regione Lazio ha realizzato un centro sportivo polifunzionale, il Campo dei miracoli-Valentina Venanzi, con le tecniche della bioarchitettura. Calciosociale ospita attività rivolte in particolare a “uomini e donne, ragazzi e ragazze, giovani con disabilità e ragazzi con problemi di droga, precedenti penali, disagio familiare e senza alcun limite di età”.

La Villa comunale di Scampia, uno dei quartieri più problematici della periferia di Napoli, è il luogo scelto da una rete di associazioni, in collaborazione con le istituzioni locali (comune e municipalità in particolare) per sviluppare un progetto di ripristino di un bene comune. Il titolo del progetto, che prevede interventi di riqualificazione e manutenzione, è emblematico di una forte volontà di riscatto: Valorizziamo Scampia. Promosso da 18 realtà (cooperative, associazioni di volontariato, culturali e ambientali, dipartimenti universitari), con capofila la cooperativa sociale L’uomo e il legno, il progetto è stato finanziato grazie al contributo della Fondazione con il sud e ha coinvolto tantissimi cittadini e 5 scuole, con attività sportive, orti mobili, incontri e flash mob. Tutto con l’obiettivo di promuovere il cambiamento attraverso il protagonismo diretto dei cittadini.

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Abitare i territori metropolitani

In una città come Roma, ferita e umiliata sempre più dalle vicende giudiziarie e dalla sua rappresentanza politica, aggredita ogni giorno dai signori del cemento e dal business del turismo di massa, è forte il bisogno di guardare le cose da punti di vista diversi. Se, ad esempio, si adottano quelli delle persone comuni che abitano la città saltano molte gerarchie e luoghi comuni, emerge un’immagine complessa e per molti aspetti sorprendente della città. Fuori raccordo. Abitare l’altra Roma è una ricerca importante, non solo perché è il frutto di un gruppo di lavoro interdisciplinare ma perché prova a mettere al centro il punto di vista dell’abitare, inteso come casa e abitazione ma anche come organizzazione spaziale e temporale nella vita di ogni giorno, come forma di appropriazione dei territori. Per questo la ricerca, tra le altre cose, parla dei nuovi conflitti di carattere ambientale (comuni ad altre metropoli), ricorda il ruolo del mercato immobiliare, studia il processo in corso di «periferizzazione» dei territori (con le periferie che cercano di rendersi autonome), indaga temi come l’auto-organizzazione e l’informalità. “Si possono riconoscere nei territori locali – scrive Carlo Cellamare, che ha curato la ricerca (edita da Donzelli) – forme di riappropriazione e di autogestione e anche un protagonismo sociale che è forse anche una risposta alla generale mancanza di governo e di progettualità…”. Di seguito, ampi stralci di uno dei primi capitoli (Trasformazioni dell’urbano a Roma. Abitare i territori metropolitani) del libro. Le foto di questa pagina sono di Pas Liguori, autore della mostra Borgate. Uscita nella calma insolita di periferia.
Il libro sarà presentato il 20 gennaio presso la Facoltà di ingegneria di Roma (via Eudossiana 18)

1. Quale Roma?

Roma ha attraversato profonde trasformazioni, che in questi anni stanno emergendo con forza. Non è più, ormai da molto tempo, una città focalizzata sul suo centro storico circondato da una periferia più o meno consolidata. È una città-territorio che si estende per un’area molto vasta e molto articolata al suo interno, dove le persone vivono senza riferirsi (soltanto) al suo centro consolidato, più o meno ampio […]. I fattori nuovi sono diversi: il carattere integrato di tutti questi territori pur diversi tra loro; la vastità e la progressiva estensione (ormai ampiamente a carattere sovraregionale); il carattere di «territorio abitato», anche in quelli che possono sembrare «interstizi» o in quelli che una volta erano ambiti agricoli o inutilizzati (a tutto discapito peraltro dell’agro romano); una moltiplicazione e un’articolazione delle disuguaglianze; una diversa organizzazione spaziale che comporta anche una diversa organizzazione di vita degli abitanti (e quindi una trasformazione di ciò che intendiamo per «urbano»); di conseguenza, un cambiamento antropologico nei modi di abitare. E questo già a partire dalla fascia del Gra. Quando parliamo di territori circostanti, infatti, ci riferiamo non solo a quelli esterni al comune di Roma, ma anche a quelli «extra Gra».

L’obiettivo della ricerca è stato proprio quello di raccontare l’abitare e i suoi cambiamenti. L’idea forte di partenza del libro è l’assunzione di un altro punto di vista, quello degli abitanti, attraverso lo studio e la narrazione delle pratiche dell’abitare e dei fenomeni urbani connessi, per dare una restituzione complessa dei processi e dei fenomeni, e da lì ripensare le politiche e un progetto di convivenza. […]

2. Una ricerca sull’abitare.

Il libro intende documentare queste profonde trasformazioni, e intende farlo attraverso il punto di vista dell’abitare, inteso non solo come casa e abitazione, ma anche come organizzazione spaziale e temporale nella vita quotidiana, come forma di appropriazione dei luoghi, come interpretazione del mondo di significati che caratterizzano i territori. Attraverso questa lettura più vitale e più vissuta, si vuole fornire un’immagine più complessa della città. […]. Il libro è quindi l’esito del lavoro di tre anni di ricerca di un gruppo di lavoro interdisciplinare, composto da urbanisti, sociologi e antropologi […]

3. I territori romani nei grandi processi globali.

I territori romani sono inseriti in grandi processi globali di trasformazione dell’economia, della società e dell’urbano, che a Roma vengono poi declinati con proprie specificità.

Roma città globale?

[…] Non si può negare che Roma sia, a modo suo, una città globale, inserita in una rete di flussi di beni e servizi, economici e finanziari, di migrazioni, energetici ecc. di carattere fortemente internazionale. […] Roma, come noto, è più capitali insieme, che caratterizzano il suo diverso modo di essere «città globale». Oltre a essere capitale politica d’Italia, con tutti i pro e i contro di questo ruolo, è anche la capitale di un altro Stato, il Vaticano, e più in generale è la capitale della cristianità, nonché luogo di riferimento per molte fedi, destinazione di imponenti flussi religiosi e di eventi spesso fortemente caratterizzati dal punto di vista mediatico. È poi una capitale culturale, nella misura in cui detiene un patrimonio archeologico e storico-artistico unico al mondo, capace di attrarre notevoli flussi turistici (che si sommano a quelli del turismo religioso), imponenti rispetto alla popolazione residente (38 milioni di visitatori l’anno). A fronte di questo suo carattere internazionale, si deve registrare una carenza se non una mancanza sia di politiche internazionali sia di politiche mirate all’internazionalizzazione (D’albergo – Lefèvre 2007) che rivelano una forte debolezza «strutturale» in questo campo. Infine, è un crocevia internazionale di importanti flussi migratori. Roma non è mai stata considerata una città industriale e alcune politiche dello Stato centrale storicamente hanno teso a evitare un eventuale sviluppo in questo senso. Nonostante ciò, quasi come una contraddizione, Roma è diventata la seconda città industriale d’Italia (dopo Milano) per numero di occupati. Si tratta, soprattutto, di piccola e media impresa; di un tessuto debole e diffuso, spesso dipendente dal mercato locale piuttosto che destinato all’esportazione.

Urbanizzazione globale e trasformazioni dell’urbano

Anche le trasformazioni che caratterizzano Roma, come vedremo successivamente nel dettaglio, si collocano dentro un processo globale di trasformazione dell’urbano, così come evidenziato da molti ricercatori (Brenner 2014; Schmid 2014) riprendendo peraltro le riflessioni sviluppate da Lefebvre ne La rivoluzione urbana già molti anni fa (1974). Oggi rientrano nel processo di «urbanizzazione globale» (extendend urbanization), ovvero in quel processo complessivo di estensione dell’urbano sull’intero globo terrestre, attraverso le sue diverse forme: le reti infrastrutturali e di trasporto e i flussi di merci e persone; l’estrazione di risorse (e quindi di ricchezza) da tutti i territori, compresi quelli apparentemente più naturali (trasformando il pianeta in una grande miniera); la diffusione degli inquinanti e dei rifiuti (trasformando, d’altra parte, il pianeta in una estesa discarica); la diffusione dei sistemi insediativi urbani (e non solo delle città, per come le abbiamo conosciute storicamente) in maniera estensiva; ma soprattutto la diffusione planetaria dei modelli di vita e delle forme organizzative urbane (anche al di là della diffusione della «società dell’informazione» e delle reti immateriali). il cambiamento è quindi più forte nella dimensione sociale e culturale, più ancora che in quella dello stesso assetto insediativo. Ed è questo che caratterizza anche il vasto territorio abitato della città-regione romana. Non si tratta solo di una regionalizzazione dello sviluppo insediativo (che è già di per sé rilevante), ma di una trasformazione dell’urbano, del modo stesso cioè di vivere la città. Ne è un caso emblematico la recente notizia che Amazon, la grande multinazionale dell’e-commerce, collocherà la sua nuova sede per il centro-sud italia nell’area industriale di Passo Corese, a ridosso di un grande snodo autostradale. […]

La periferizzazione del mondo

Lo sviluppo urbano di Roma è stato fortemente caratterizzato, dal dopoguerra a oggi, dalla crescita delle sue periferie, sia quelle pianificate che quelle abusive che quelle prodotte dalla speculazione. Sebbene la dicotomia centro-periferia non sia più valida in senso stretto, permane una condizione di «perifericità» (e quindi di «marginalità») di molti territori della città di Roma. La periferia è la parte prevalente della città; si potrebbe dire che «Roma è la sua periferia». […] Più che diminuire, la disuguaglianza sociale è invece cresciuta a Roma, come in altre città. […]

Tra Nord e Sud del mondo

Roma si colloca a cavallo tra Nord globale e Sud globale, un mix particolare che determina alcuni fattori fortemente caratterizzanti, dalla debolezza istituzionale e dell’interesse «pubblico» alla precarietà e difficoltà del sistema economico locale e alla rilevante informalità, che spesso ne fa una «città fai-da-te». […]. In particolare, intorno al tema dell’auto-organizzazione e dell’informalità si è concentrata molta attenzione, anche a livello internazionale. Roma e il suo territorio, infatti, offrono da questo punto di vista parecchi esempi, anche molto diffusi sul territorio (sebbene spesso non particolarmente visibili). L’interesse internazionale è legato alla possibilità di ripensare le stesse forme di governo urbano o di gestione di alcune situazioni urbane (e persino di azioni realizzative), dalla gestione delle aree verdi al cohousing e al coworking, dal recupero di aree e immobili dismessi o abbandonati alla gestione degli spazi pubblici e dei servizi collettivi, dal problema della casa agli orti urbani, attraverso un maggiore coinvolgimento dei cittadini/abitanti, attraverso le loro forme organizzative e associative, siano esse formali o informali. Roma e il suo territorio sono sicuramente un laboratorio di esperienze e iniziative molto interessanti da questo punto di vista, sebbene non vi sia sempre un’intenzionalità e non vi siano politiche pubbliche realmente indirizzate in questo senso. Anzi, molto spesso le iniziative di auto-organizzazione sono sollecitate dall’assenza dell’amministrazione pubblica o dalla mancanza di politiche pubbliche. Siamo quindi di fronte a esperienze molto diverse tra loro, alcune molto discutibili e che pongono diversi problemi (pensiamo alla rischiosa deriva dei consorzi di autorecupero nelle aree ex abusive), altre di grande interesse, che costituiscono una punta avanzata e potenzialmente un’opportunità, dove pratiche e processi di auto-organizzazione sono anche pratiche e processi di riappropriazione e di risignificazione dei luoghi, dove sono messe in gioco le capacità creative e progettuali degli abitanti, le dinamiche della cura e della responsabilizzazione, una gestione non economicista dei beni comuni.

4. Le specificità del territorio metropolitano.

Una polarità sovraregionale e gli effetti sulla vita quotidiana

Oltre a essere una città di riferimento a livello nazionale e internazionale, Roma continua a rappresentare una polarità estremamente forte a livello locale e regionale, costruendo un vasto territorio circostante di dipendenza. In particolare, costituisce un polo attrattore per tutta l’Italia centrale (e, in parte, anche rispetto all’Italia meridionale), per quanto riguarda l’occupazione, il sistema di opportunità, i servizi, in particolare quelli sanitari (…); le polarità commerciali (parchi commerciali, centri commerciali di grandi dimensioni, outlet ecc.); le polarità del tempo libero e del loisir; le università […]

Il territorio investito dallo sviluppo e la «periferizzazione»

L’area investita dallo sviluppo insediativo si accresce enormemente. Il vasto territorio «metropolitano» romano è prima di tutto un’estensione di Roma ed è il modo con cui Roma si è proiettata verso l’esterno, è la città che deborda oltre i confini tradizionali e storicamente costituiti della città consolidata. Questo è dovuto essenzialmente a due fattori. In primo luogo, la vastità del comune di Roma. Si tratta, come noto, del comune più esteso d’Italia, la cui superficie (pari a 1287,36 kmq) è paragonabile alla superficie della provincia di Milano. I grandi fenomeni insediativi si sviluppano e si sono storicamente sviluppati al suo interno. In secondo luogo, l’espansione insediativa e il grado di attrazione della città non hanno paragoni nei territori circostanti e determinano una fortissima preminenza e dominanza della capitale. […]

Vi è poi, come anticipato, una stretta correlazione con l’andamento spaziale del mercato immobiliare e del reddito. Il costo della casa a Roma è stato elevatissimo in passato (prima della crisi del 2008), ma è rimasto a livelli molto alti anche dopo la crisi […]

Il processo di «periferizzazione» dei territori, cui si accennava precedentemente, connesso al processo di diffusione urbana in corso, non fa quindi distinzioni sociali: si spostano all’esterno del territorio comunale di Roma tutte le categorie sociali, anche se con motivazioni diverse. Piuttosto si generano «confini interni» tra i diversi territori; sono questi a marcare le disuguaglianze sociali, piuttosto che una stretta gerarchia centro-periferica (che pure, in parte, sussiste ancora). Si determinano quindi spesso situazioni di mescolanza urbana e sociale, come quelle che caratterizzano l’area di Roma est e i comuni limitrofi, Guidonia, fonte Nuova, Tivoli (si veda il contributo di Elena Maranghi, infra, pp. 95-109). In questi contesti sembra generarsi un fenomeno di mixité sociale, ma in realtà si tratta di una giustapposizione di situazioni che non dialogano tra loro: complessi residenziali esclusivi all’interno di campi da golf, aree residenziali abusive, poli tecnologici, aree industriali, aree agricole intercluse, quartieri residenziali ordinari, attrezzature di servizio anche di livello sovralocale, la «città del gioco» (poli del gioco d’azzardo di livello metropolitano), campi rom.

Conflitti e disuguaglianze

Allo stesso tempo si generano notevoli conflitti soprattutto di carattere ambientale (d’albergo – Moini 2011). […] Le diseguaglianze territoriali determinano forti e nuove conflittualità, sia tra il centro e la periferia (ovvero tra il comune di Roma e alcuni territori contermini), sia all’interno dei territori stessi: 1) conflitti intorno ai temi ambientali (ad esempio, la localizzazione delle nuove discariche o degli inceneritori); 2) conflitti intorno all’inadeguatezza dei servizi (ad esempio, il grande problema dei pendolari, o i conflitti connessi alla chiusura degli ospedali e dei servizi sanitari delocalizzati sui territori, in forza di una politica incentrata sul taglio del welfare e sull’accentramento e la specializzazione dei poli della sanità); 3) conflitti tra residenti più storici e nuove popolazioni, ovvero intorno a questioni di identità.

Allo stesso tempo, nascono forme nuove di auto-organizzazione o di collaborazione tra istituzioni e cittadini (in alcuni casi, grazie anche alla cooperazione con le amministrazioni comunali locali; ad esempio, nella gestione degli spazi verdi o dei problemi sociali), come risposta delle popolazioni investite dallo sviluppo alle nuove situazioni che si sono create. Particolarmente rilevante il fenomeno dei Gas (Gruppi di acquisto solidale) e delle «economie a chilometro zero», che esprimono lo sforzo di ricostruire una più stretta relazione tra produttori e consumatori e tra aree urbane e territori contermini, favorendo il recupero o la riattivazione (se non addirittura il nuovo impianto) di attività produttive soprattutto nel settore primario, così caratterizzante nel passato il contesto romano.

5. Processi di urbanizzazione: una stratificazione insediativa e un policentrismo problematico.

[…] All’interno del solo comune di Roma circa un terzo del tessuto urbano residenziale è di origine abusiva e una percentuale analoga della popolazione vive in aree nate come abusive (cellamare 2013e). Si tratta di valori particolarmente eclatanti per una capitale di un paese occidentale (compreso tra i G8). […] Sono processi non più legati all’emergenza abitativa; si tratta piuttosto di abusivismo di convenienza se non di carattere speculativo, che mira a realizzare residenze di qualità al di fuori del mercato formale, creandone di fatto uno parallelo.

Altri fenomeni hanno invece carattere innovativo: – il grande sviluppo di alcune polarità, connesse anche alla politica delle «centralità» sostenuta con il nuovo Prg di Roma del 2008 […]; – Lo sviluppo di alcune «città nuove», spesso senza alcuna connessione con la città consolidata. […]; – Lo sviluppo, anche nei territori contermini, di agglomerati insediativi senza alcuna relazione coi centri storici o consolidati e connessi piuttosto alle grandi infrastrutture autostradali e ferroviarie, spesso a ridosso dei caselli autostradali o delle stazioni ferroviarie […]; – Ancora più emblematico è lo sviluppo della cosiddetta «città del Gra» (…), l’evoluzione del Grande raccordo anulare da confine tra città (consolidata) e campagna a grande boulevard urbano, asse strutturante (e attrattore) dello sviluppo insediativo (…). […], – Una riorganizzazione delle gerarchie urbane, in relazione in particolare ai servizi, nei territori contermini, con situazioni diversificate [….]; – Una rinnovata attenzione ai territori agricoli periurbani e alle aree naturali e, in particolare, ai parchi che sono progressivamente attorniati dallo sviluppo insediativo […]

6. Una mutazione antropologica, un modo diverso di abitare.

Insieme all’assetto spaziale dei territori, cambiano anche i fenomeni socio-spaziali stessi. Questo cambiamento è riscontrabile in relazione, ad esempio, ad alcuni aspetti principali:

– i comportamenti sociali causati dai nuovi assetti territoriali o i cambiamenti nell’organizzazione di vita degli abitanti: pensiamo al ruolo che il loisir e il tempo libero hanno assunto nell’organizzazione di vita degli abitanti; o ai tempi di spostamento che si è disposti a sostenere […];

– le relazioni che evolvono nei confronti della città di Roma: molte ragioni alla base degli spostamenti hanno come riferimenti luoghi e attività distribuiti sul territorio esteso romano e non collocati all’interno della città consolidata; molti poli attrattivi collocati all’esterno della città tradizionale e consolidata – e non solo del centro storico – determinano un cambiamento dell’orientamento dei flussi

– ovvero dall’interno verso l’esterno; cambia il riconoscimento dei valori e della significatività dei luoghi; si invertono i flussi – anche se limitatamente – anche da Roma verso l’esterno non solo per funzioni e attività particolari come avviene per la costa (e le relative attività turistiche e del tempo libero), ma anche per le attività ordinarie e quotidiane;

– le relazioni che gli abitanti hanno con i propri contesti di vita. Ad esempio, la residenza (come attività sociale complessa) è sempre più avulsa dal territorio (in termini spaziali e localizzativi) in cui si colloca. Molte attività (compresa la scuola) si svolgono altrove, ovvero in territori che non appartengono allo spazio di azione quotidiana. […]

FuoriRaccordo

7. Il locale come risorsa.

Nel gioco tra distanze, allontanamenti e ricerca di autonomia da parte dei territori locali, e vicinanze e inglobamenti, spesso anche soffocanti, da parte dell’area urbana centrale, si creano nei territori, oltre che conflitti, anche dinamiche di nuovo radicamento. Quest’ultimo, sebbene in molti casi di non grande portata, si affianca a un radicamento «primario», in cui le popolazioni locali residenti da lungo tempo continuano a difendere la propria identità locale. Questi processi possono avere un carattere «subalterno», ovvero di minore portata rispetto alla fondamentale dipendenza nella quotidianità da Roma, e di «seconda generazione», ovvero interessare la nuova popolazione arrivata. I nuovi abitanti possono recuperare, in alcuni casi, identità locali preesistenti e ormai superate, ma di cui rimangono gli immaginari, facendo propri comportamenti della popolazione autoctona (le sagre, una finta popolanità, le feste tradizionali e/o in costume ecc.). In altri casi, invece, il nuovo radicamento della popolazione che si sposta nei territori esterni può costituire l’esito di una scelta intenzionale e di valore per una differente qualità della vita o semplicemente l’effetto di una quotidianità, che per esempio le famiglie giovani costruiscono attraverso la scuola dei figli o i servizi locali. Tutti questi sembrano sintomi dell’attivazione (o riattivazione) di un processo di ricostruzione di relazioni con il contesto locale, pur se i processi generali hanno un carattere di prevalente estraniazione e gli abitanti vivono una molteplicità di relazioni anche extraterritoriali. Si possono quindi riconoscere nei territori locali forme di riappropriazione e di autogestione e anche un protagonismo sociale che è forse anche una risposta alla generale mancanza di governo e di progettualità.

8. L’assenza della politica.

Il dibattito sull’«area metropolitana» romana degli anni ottanta e novanta era stato in gran parte inconcludente, pervaso com’era di retoriche e privo di rapporti con i processi reali che avvenivano sui territori. La ripresa del dibattito negli ultimi anni sulla «città metropolitana» e su «Roma capitale», che sta portando a una profonda riorganizzazione – più amministrativa che istituzionale –, ha il medesimo carattere inconcludente e retorico. […]

9. Roma «fuori Raccordo».

La ricerca di cui si dà conto in questo libro si è sviluppata, come detto, a diversi livelli. Per comprendere le dinamiche reali in atto si è ritenuto opportuno e necessario «andare sul campo», sviluppare cioè attività di ricerca che interessassero direttamente i territori, attraverso sia studi indiretti che studi diretti sul campo, utilizzando un approccio interdisciplinare […] Il presente volume non avrebbe senso se non avesse l’obiettivo di sollecitare un dibattito sulla città, sull’area metropolitana e sulle sue prospettive. Un dibattito che si prefigura in maniera più esplicita nell’ultima parte del libro […].

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I deputati in missione tra periferie e campi rom. «Qui c’è il fallimento dello Stato»

A Montecitorio è stata costituita una commissione di inchiesta sulla sicurezza e il degrado delle nostre periferie. Prima di Natale le prime visite a San Basilio e Tor Sapienza, presto i deputati saranno a Milano, Napoli e Palermo. Un viaggio per capire i motivi e trovare soluzioni all’esclusione.

«A San Basilio ho visto con i miei occhi il fallimento dello Stato». Pochi giorni prima di Natale, il deputato Andrea Causin ha guidato la delegazione parlamentare in alcune delle zone più difficili della Capitale. Veneziano, esponente di Area Popolare, da pochi mesi è il presidente della commissione di inchiesta sulla sicurezza e il degrado delle periferie italiane. In meno di un anno, i venti deputati che ne fanno parte effettueranno una decina di “missioni”. Visiteranno le aree del Paese più colpite dal fenomeno dell’esclusione sociale, tra povertà e assenza di lavoro, solitudine e criminalità. Contesti urbani spesso mal progettati, dove è palpabile la distanza, non solo geografica, dal centro cittadino.

Lo scorso 20 dicembre si è deciso di partire da Roma. San Basilio e Tor Sapienza, due periferie difficili. «Abbiamo preparato questi incontri con grande umiltà – continua Causin – E quello che abbiamo trovato mi ha molto sorpreso». Tra palazzine occupate e discariche abusive, «finalmente ho capito perché tanta gente si sente distante dalla politica e dalle istituzioni». Territori complicati, spesso al centro delle cronache, dove però non mancano segnali positivi. Frutto dell’impegno di tanti residenti. A San Basilio i deputati hanno visitato le case popolari e si sono confrontati con le realtà che vivono quotidianamente il quartiere. Il parroco, le istituzioni del IV municipio, le forze dell’ordine, gli insegnanti e le associazioni impegnate sul territorio.

San Basilio e Tor Sapienza, due periferie difficili. «Abbiamo preparato questi incontri con grande umiltà – racconta il parlamentare – E quello che abbiamo trovato mi ha molto sorpreso». Tra palazzine occupate e discariche abusive, «finalmente ho capito perché tanta gente si sente distante dalla politica e dalle istituzioni»

Dal confronto sono emerse diverse criticità, tutte componenti dello stesso disagio. La mancanza di case e di lavoro, la solitudine e l’esclusione sociale. Senza dimenticare un tema tipico della realtà romana: la forte percezione di immobilità, diretta conseguenza di investimenti mancati e progetti mai ultimati. Sullo sfondo, un quartiere dove lo Stato sembra essersi fatto da parte. E dove il controllo del territorio da parte della criminalità è tangibile. «Io l’ho avvertito chiaramente» racconta Causin. Proprio qui, alcune settimane fa, una famiglia marocchina è stata allontanata nonostante avesse regolarmente ottenuto un alloggio popolare. Non è una storia di razzismo. Non solo, almeno. Dietro a quella vicenda, come ha raccontato ai deputati il parroco di San Basilio, si nasconde soprattutto un tema di illegalità. Il controllo del territorio, di una piazza di spaccio, da parte di un sistema che non può permettere la presenza dello Stato e l’attribuzione di case popolari attraverso regolari bandi e graduatorie.

Dopo San Basilio, Tor Sapienza. Altra periferia romana, altro territorio difficile. Qui, un paio di anni fa, si è consumata una rivolta popolare contro alcuni giovani profughi eritrei ospiti di una piccola struttura. Ancora una volta razzismo, ma non solo. La vicenda nascondeva anche un altro tema: la rivalità tra cooperative d’accoglienza e il business dei richiedenti asilo. Da queste parti la commissione ha visitato il campo rom di via Salviati. Per molti parlamentari è stata una sorpresa. Bambini nel fango, baracche, degrado, abbandono. «Uno scenario toccante – ricorda Causin – Mi sono reso conto delle condizioni subumane in cui vivono alcune persone, nelle nostre città».

Quando riprenderanno i lavori parlamentari, l’impegno della commissione entrerà nel vivo. I prossimi due mesi saranno dedicati allo studio e all’acquisizione di dati sulle principali situazioni di disagio: un’istantanea delle periferie italiane, con particolare attenzione alle grandi città metropolitane. In questa fase saranno ascoltati il presidente dell’Istat e il capo della Polizia, ma anche il sottosegretario che riceverà le deleghe per il piano periferie del governo e l’architetto Renzo Piano, che sta coordinando una grande opera di “rammendo” delle periferie. Accanto al lavoro teorico, si tornerà sul campo. Dopo San Basilio e Tor Sapienza, i membri della commissione andranno a Milano (probabilmente presso i quartieri Corvetto e Pioltello), Napoli e Palermo. Si cercherà di fotografare le maggiori situazioni di difficoltà, inquadrando le tante componenti del disagio. Quella geografica è solo la più superficiale: «Spesso ci si dimentica che la periferia è ovunque – racconta Milena Santerini, deputata di Democrazia Solidale – Centro democratico ed esponente della commissione di inchiesta – Il carcere di San Vittore è nel centro di Milano, eppure è una periferia. Dove ci sono esclusione ed emarginazione, anche quella è periferia».

Dopo San Basilio, Tor Sapienza. Altra periferia romana, altro territorio difficile. Qui, un paio di anni fa, si è consumata una rivolta popolare contro alcuni giovani profughi eritrei ospiti di una piccola struttura. Da queste parti la commissione ha visitato il campo rom di via Salviati. Per molti parlamentari è stata una sorpresa. Bambini nel fango, baracche, degrado, abbandono

Entro un anno, la commissione dovrà stilare un documento conclusivo. Un’analisi sul disagio delle periferie italiane attraverso l’esame di una serie di fattori: l’urbanistica, la composizione sociale, la disoccupazione. Ma anche la povertà ed esclusione sociale. Senza dimenticare la mobilità, le infrastrutture e il trasporto, tutti elementi che contribuiscono ad acuire la solitudine di molti quartieri. E ancora la diffusione di scuole, servizi, strutture religiose e sanitarie. Inevitabilmente, la presenza di stranieri e migranti. Ecco la prima grande sfida. «Troppe volte – continua Milena Santerini – in periferie dove mancano case, lavoro e trasporti si prende un campo rom o uno stabile occupato da rifugiati come la causa del degrado». La ricerca di un colpevole può allontanare dalla soluzione del problema. Scegliere un capro espiatorio rischia di sottostimare il disagio dei cittadini senza comprendere le tante cause del problema.

Ma si deve anche guardare al futuro. La commissione ha l’obiettivo di raccontare le esperienze positive trovate nelle periferie. Le persone e le attività che si occupano di ricucire le lacerazioni sociali, il variegato mondo del volontariato. Il documento conclusivo dovrà puntare l’attenzione sugli investimenti e la progettualità. Spesso il degrado è la diretta conseguenza dell’assenza di politiche abitative e della mobilità, della poca attenzione verso i giovani e il sociale. Ecco perché la commissione dovrà offrire spunti al Parlamento sul piano legislativo e della gestione dei fondi a disposizione. Difficile fare previsioni. Il calendario dei lavori dipenderà ovviamente dalla durata dell’esecutivo. Se il governo proseguirà il suo cammino, la commissione farà altrettanto. «In ogni caso il nostro impegno non si esaurirà a breve – racconta il presidente Causin – Un argomento così importante dovrà essere approfondito anche nella prossima legislatura».

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