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SALVIAMO IL CENTRO ANTIVIOLENZA DI TOR BELLA MONACA


Facciamo in modo che questo sfratto venga bloccato e il centro continui a vivere.




Corviale in rivolta, tariffa folle

Comune, maxi aumento del canone piscina: Corviale in rivolta, tariffa folle
La denuncia della Us Acli Roma. Periferia ignorata, costi incrementati del 1.000%

Il Campidoglio aumenta il canone della piscina comunale: da 550 euro a 5500. Corviale in rivolta, addio allo sport per 600 ragazzi.

Una decisione improvvisa, comunicata solo tramite una email. Così il Comune ha deciso di applicare un sostanziale aumento della piscina gestita dall’Unione Sportiva delle ACLI di Roma, che la tariffa crescere del 1.000%. Così in una nota Us Acli Roma: “Al Corviale, uno dei quartieri più difficili e degradati della Capitale, chiuderà presto la piscina comunale gestita dall’Unione Sportiva delle ACLI di Roma lasciando senza “sport” oltre 600 ragazzi tra loro anche molti under 18 disabili. Terminerà anche l’attività sportiva dedicata agli anziani del quartiere. Infatti, per una decisione unilaterale del Campidoglio, il canone dell’impianto che l’US ACLI Roma pagava, relativo alla concessione di servizi sportivi erogati ai cittadini in nome e per conto del Comune di Roma, passa da 550 euro al mese a 5500 euro. Un aumento esorbitante vista l’importanza sociale dove l’US ACLI ha da sempre applicato le tariffe sociali proposte da Roma Capitale. Una decisione comunicata via PEC il 13 marzo 2017 senza nessun preavviso e a stagione iniziata che mette in serio dubbio il regolare svolgimento delle attività della piscina da anni simbolo dell’integrazione attraverso lo sport. Inoltre, l’aumento ha valore retroattivo al 1 gennaio 2017 – si legge nel comunicato – L’US ACLI Roma è concessionaria dal 2004 della piscina del Corviale ed ha sempre pagato in maniera regolare l’affitto alla scadenza del 5 di ogni mese. Inoltre, il contratto con Roma Capitale è scaduto dal 30 giugno 2012 e a più riprese l’US ACLI ha chiesto in forma ufficiale – con PEC e raccomandate – a Roma Capitale di potere siglare un nuovo accordo senza avere nessuna risposta. L’Unione Sportiva delle ACLI di Roma, con i suoi 25 mila soci e le 265 associazioni affiliate, è una delle più importanti realtà sportive del sistema ACLI nazionale. La prima in Italia per il numero di associazioni aderenti e la seconda per iscritti. Un terzo dei suoi associati ha meno di 15 anni. Numerose sono le attività promosse nell’ambito di sport come calcio a 11, a 8 e a 5, nuoto, pallavolo, ciclismo, atletica, arti marziali e danza. L’US ACLI Roma, inoltre, pone la massima attenzione all’utilizzo della pratica sportiva a fini sociali”.

Delusione e sorpresa anche per Luca Serangeli, presidente di US ACLI Roma: “Una vicenda incredibile che dimostra come spesso chi amministra la città sia lontano dai territori non conoscendone le dinamiche sociali ed economiche. Aumentare del 1000% l’affitto ad una realtà come la nostra significa colpire i tanti giovani del Corviale che con noi hanno intrapreso un percorso di fuga dal degrado per una vera integrazione. Farlo poi a stagione iniziata è un ulteriore colpo all’economia di tante famiglie del quartiere che confidavano sulle tariffe comunali. La nostra associazione, non solo ha sempre pagato regolarmente l’affitto, – conclude Serangeli – ma ha più volte posto il problema al Campidoglio della scadenza del contratto. Proprio il 28 gennaio scorso abbiamo fatto il nostro congresso in un’altra struttura del Corviale, il calcio sociale. Per quella occasione l’assessore Frongia, se pur invitato, non si presentò. Sembra che l’impegno dell’Amministrazione capitolina per risolvere il problema nelle periferie si limiti solo all’invio di una PEC”.

http://www.affaritaliani.it/roma/comune-maxi-aumento-del-canone-piscina-corviale-in-rivolta-tariffa-folle-469301.html




A cosa serve un Ater che produce degrado e danni sociali?

Volevo scrivere un lungo e probabilmente noiosissimo articolo sull’insopportabile degrado dei complessi immobiliari pubblici della periferia romana, in particolare di quello situato a Ponte di Nona. Una situazione vergognosa, tale, in un paese civile, da far dimettere tutta la dirigenza Ater e la dirigenza regionale in quanto responsabile di Ater. Poi, scorrendo la rassegna stampa ho letto della nuova vendita di parte del patrimonio Ater a Roma. Certamente non si vendono gli immobili di questa vergognosa periferia chi li comprerebbe? Si vendono gli immobili in cui si garantisce agli assegnatari una vita decorosa. E perché si vende? Per far fronte ai debiti. Per risanare Ater. Questa è la risposta. Ma noi siamo stufi di essere presi in giro. Non è la prima vendita fatta con questo pubblico fine. Peccato che queste vendite non siano mai servite a nulla, se non ad impoverire il patrimonio pubblico, nella sua parte migliore. I debiti si formano perché Ater non è in grado di gestire il proprio patrimonio. Morosità, occupazioni, atti di vandalismo, sottrazione fraudolenta di energia elettrica si susseguono nei vari complessi senza soluzione di continuità e senza che qualcuno tenti di arginarli. Allora faccio un’unica domanda. La faccio al presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, all’Assessore alla Casa, Fabio Refrigeri, al Commissario dell’Ater di Roma, Giovanni Tamburrino: perché non regalate questo patrimonio che le istituzioni da voi rappresentate hanno fatto affondare nel degrado anno dopo anno, senza soluzione di continuità? Perché continuare ad incrementare degrado materiale e sociale? Un analisi tra i costi di questo carrozzone in sfacelo e un regalo a chi abita questi alloggi mette sicuramente al riparo da qualsiasi iniziativa della Corte dei Conti. Con il regalo del patrimonio pubblico ci guadagna Roma che la finisce di provocare degrado, danni economici e danni sociali e ci guadagna chi ci abita perché si rimette in gioco la voglia personale di riscatto e si rafforza chi in questo patrimonio vive con onestà. Una gestione delle famiglie divenute proprietarie dà forse una speranza a chi oggi vive in un degrado vergognoso e senza futuro Le istituzioni, l’Ater potrebbero avere un soprassalto di vergogna per il modo in cui fanno vivere migliaia di famiglie? Ci piacerebbe ma non ci crediamo. Mi piacerebbe una risposta anche se penso che non ci sarà.

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Periferie: le istituzioni, i diritti, la ‘sociologia’

Una mensa per le persone più povere, una novantina, e la cooperativa sociale per l’inserimento lavorativo di gente in difficoltà, con alle spalle storie di dipendenza o di carcere. Sono alcune anime del volontariato alla Magliana, di cui ci parla Giancarlo Gamba, da una vita impegnato in parrocchia: “Se creiamo comunità, anche il senso della legalità sarà più forte”.

Una realtà molto vivace è la scuola di italiano portata avanti nell’ambito delle attività dell’associazione In Senso Inverso, nata dieci anni fa, dove c’è anche un laboratorio di teatro impegnato a creare un prodotto culturale a vantaggio dell’intero quartiere. Il fondatore è Ugo Sestieri, per oltre trent’anni insegnante di matematica nelle scuole superiori, e autore di diversi romanzi, l’ultimo “Pantalassa” (Prospettiva editrice): “Abbiamo la media di 100-120 stranieri ogni anno, da tutti i Paesi del mondo. E’ nei fatti un vero e proprio centro di accoglienza, una situazione estremamente interessante. Anche il Tribunale ci manda dei ragazzi che sono agli arresti domiciliari. Con loro questa operazione funziona molto bene. Vengono a fare lezione anche le badanti e con loro le persone anziane di cui si prendono cura”. Si può dire che da voi c’è un buon livello di integrazione? “E’ complesso il discorso. A Magliana la gente di una certa età è più accogliente. Tra i giovani è già più difficile, ma questa è una tendenza che si registra ovunque. I giovani paradossalmente hanno paura non della diversità ma dell’uguaglianza. Hanno paura di diventare uguali a loro. Il problema è che l’Italia è stupenda nella fase della prima accoglienza, siamo forse all’avanguardia. Però questa è insufficiente”.

La lampada dei desideri è una associazione che offre ai diversamente abili progetti di inclusione. Hanno messo su una web radio, una casa editrice di libri per bambini, progetti contro il bullismo e perfino una banda musicale: la… banda della Magliana.

Accanto a questa effervescenza di progetti sociali, quale è livello di sicurezza percepito qui?: “Noi possiamo uscire la sera e non succede nulla – spiega il Presidente del Comitato di quartiere – non si registrano fatti significativi di pericolosità. Il mio cruccio è che purtroppo, pur nei loro ottimi risultati, non siamo mai riusciti a mettere in collegamento le realtà del volontariato e a farle diventare volano di occupazione anche per i tanti giovani immigrati per coinvolgerli in un senso di appartenenza. Quando cerco di parlare alle istituzioni del fatto che dovremmo cercare degli sbocchi lavorativi per loro, che sono diventati i nuovi ragazzi del muretto, inattivi, e anche facile preda di malavitosi senza scrupoli, mi rispondono: questa è sociologia, che c’entriamo noi?”.

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RIGENERAZIONE DELLE PERIFERIE E SICUREZZA URBANA

Una Piattaforma al servizio di una comunità interessata a sviluppare uno spazio di discussione virtuale e a divulgare idee e pratiche connesse al tema della RIGENERAZIONE DELLE PERIFERIE E SICUREZZA URBANA

Obiettivo del laboratorio: una riflessione comune che muova dalla pluralità dei contesti sociali e dalle legittime aspirazioni e necessità dell’uomo, coinvolgendo coloro che progettano lo spazio, coloro che lo governano e coloro che lo abitano, anche attraverso forme innovative di condivisione con gli utenti; a pieno diritto la periferia si pone come una delle realtà più complesse e difficili.
Responsabili: Marella Santangelo, Maurizio Geusa

Periferie: Rigenerazione o manutenzione Urbana ?“La realtà si vede meglio dalla periferia che dal centro”Una premessa per comprendere meglioLegge di stabilità 2016[1] ha istituito il “Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia, finalizzato alla realizzazione di interventi urgenti per la rigenerazione delle aree urbane degradate attraverso la promozione di progetti di miglioramento della qualità del decoro urbano, di manutenzione, riuso e rifunzionalizzazione delle aree pubbliche e delle strutture edilizie esistenti, rivolti all’accrescimento della sicurezza territoriale e della capacità di resilienza urbana, al potenziamento delle prestazioni urbane anche con riferimento alla mobilità sostenibile, allo sviluppo di pratiche, come quelle del terzo settore e del servizio civile, per l’inclusione sociale e per la realizzazione di nuovi modelli di welfare metropolitano, anche con riferimento all’adeguamento delle infrastrutture destinate ai servizi sociali e culturali, educativi e didattici, nonché alle attività culturali ed educative promosse da soggetti pubblici e privati.” Per la predisposizione di tale Programma, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha indicato, con apposito bando, le modalità per la trasmissione dei progetti nonché ha precisato con Decreto i criteri per la valutazione dei progetti, tra i quali la tempestiva esecutività degli interventi e la capacità di attivare sinergie tra finanziamenti pubblici e privati.Sempre per l’attuazione di tale Programma, e’ stato istituito un «Fondo per l’attuazione del Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie», per il quale è stata autorizzata la spesa di 500 milioni di euro per l’anno 2016.
Il caso di Roma Capitale
Nel caso di Roma, l’intera vicenda delle scelte progettuali, per la partecipazione al bando, è stata gestita dai Dipartimenti dell’Urbanistica e delle Periferie con qualche timida richiesta ai Municipi. Ciascuno dei due Dipartimenti ha selezionato tra i progetti disponibili senza esprimere, a nostro avviso, una visione strategica complessiva, senza un coinvolgimento dei Cittadini se non altro del Terzo Settore come per altro indicato nella stessa legge istitutiva del Programma. E’ mancata la valutazione preliminare di quali fossero le aree urbane caratterizzate da situazioni di marginalità economica e sociale, degrado edilizio e carenza di servizi sui quali orientare le proposte progettuali; carenza di visione strategica che si riscontra anche nella mancata utilizzazione della quota del 5% delle risorse dell’investimento per la “predisposizione di piani urbanistici, piani della mobilità e studi di fattibilità o per la costituzione di società pubblico/private e/o interventi di finanza di progetto, investimenti immateriali, marketing territoriale e anche formazione”. A nostro vedere, tali scelte ci appaiono come tampone di basso profilo utilizzato per il completamento di manutenzioni, incurie e in assenza di una visione strategica della città. Queste scelte non sembrano imprimere azioni di rilancio e di promozione delle qualità ambientali, culturali, produttive e sociali presenti nei territori.La lettura della Città rimane periferica e come tali restano le Periferie.Si tratta, quindi, di sviluppare un percorso che traguardi l’obiettivo di una più ampia riflessione. Un percorso che produca modalità e contenuti di un “Piano di azione per le periferie”. Un “Piano di azione” da estendere con le medesime regole all’intera città tenendo conto delle specificità e delle vocazioni rilette attraverso indicatori sociali ed economici, come chiesto per altro dal bando nazionale Un “Piano di azione” da sviluppare attraverso il coinvolgimento più ampio degli stessi residenti entro la primavera del 2017. Consideriamo il “Piano di azione” non tanto un ulteriore sovrastruttura normativa, quanto piuttosto una nuova modalità di azione della pubblica amministrazione che rimette i cittadini attivi al centro delle trasformazioni e individua azioni e progetti .La sintesi che si può trarre, da questo approccio urbanistico-economico, è che non sono sufficienti le sole regole urbanistiche per raggiungere una qualità urbana diffusa e migliorare le condizioni socio economiche degli abitanti. Infatti, se la crescita della città dettata dalle regole urbanistiche sull’uso del suolo ha generato quartieri senza qualità come continuare a pensare che sempre attraverso regole urbanistiche si riesca a produrre qualità?L’esito concreto di questi Programmi complessi e della grande attenzione da parte dell’urbanistica alla periferia mostra oggi il suo limite. Il limite, come detto, è rappresentato proprio da un approccio ancora monodisciplinare. I semplici meccanismi del mercato governato dalle regole urbanistiche sull’uso del suolo non riescono a fornire risposte in termini di miglioramento delle condizioni di vita delle periferie. Un limite che non ha tenuto conto di quanto i fenomeni di marginalità della periferia investono molteplici discipline e secondo molteplici profili andavano affrontati.Da ciò la necessità di un approccio integrato e a carattere interdisciplinare che investa diverse specializzazioni. Dove gli abitanti con i loro bisogni quotidiani sono rimessi al centro dell’interesse chiudendo così la fase della “sedazione” dei conflitti che di volta in volta emergono. Portare dentro all’approccio interdisciplinare il committente-cittadino è fondamentale perché cambia anche la scala economica del progetto. Agire in condivisione, condividere spazi e azioni di trasformazione non sono solo idee ma anche ormai pratiche dell’architettura e dell’urbanistica con riscontri a livello internazionale come ha dimostrato la Biennale Internazionale di Architettura di Venezia ancora in corso.I quartieri realizzati a Roma negli anni settanta come Corviale, Tor Bella Monaca, Laurentino, Vigne Nuove e molti dei Piani di Zona per Edilizia Residenziale Pubblica, rappresentano casi esemplari di impianti urbani modernisti in cui la forma degli spazi pubblici rimane residuale rispetto alla prevalente specializzazione delle singole funzioni. Infatti, le residenze, i servizi, il verde, le strade e i parcheggi si aggregano tra di loro senza realizzare luoghi in cui gli abitanti possano identificarsi e riconoscere come propri. In questo contesto morfologico si aggiunge la concentrazione di rilevanti quote di patrimonio residenziale pubblico destinata a soddisfare la domanda abitativa sociale non tenendo in conto le dinamiche sociali di chi ci andrà a vivere, per altro a causa del basso turn over si registra in questi quartieri una accentuata concentrazione di anziani. In questo modo si genera una separazione per categorie sociali che si estende a caratterizzare l’intero quartiere, fino a generare una classificazione mentale degli abitanti.I primi due casi presi in esame dal coordinamento e da sottoporre ad una discussione pubblica sono quello di Corviale e quello di Tor Bella Monaca da affrontare. In quanto questi sono i due più grandi complessi di edilizia residenziale pubblica a Roma. Si caratterizzano per il rilevante numero di abitanti. Corviale con 6.500 abitanti riverbera i suoi effetti sui 50.000 residenti nel quadrante. Tor Bella Monaca con 24.000 abitanti distribuiti su circa 200 ha. Un numero di abitanti che potrebbe far assumere a questi quartieri la dignità di centri urbani autonomi. In questi contesti la significativa dimensione del patrimonio pubblico, alloggi, aree e attrezzature, presente nei due quartieri diventa il primo elemento di criticità.A questa significativa dimensione del patrimonio pubblico le Amministrazioni pubbliche non sono state in grado di assicurare adeguati standard di gestione, manutenzione e sicurezza. In altre parole si è prodotta una distanza culturale fra la Regione e i centri amministrativi di ATER e di Roma Capitale che ad oggi non colgono le specifiche esigenze e le peculiari potenzialità dei due quartieri. La carenza di manutenzione, il degrado delle parti comuni degli edifici pubblici e il “lasciar fare” delle gestioni sia comunali che regionali rappresentano l’aspetto esteriore di una più seria e grave carenza di fruizione degli spazi urbani. La mancanza di luoghi identitari finisce per connotare l’intero quartiere. Le amministrazioni hanno preferito “non vedere” diventando esse stesse parte del problema.A fronte e per reazione di questa distanza culturale con i centri amministrativi, si è sviluppata una rete di associazioni e presenze attive sul territorio che oggi rappresenta, oltre che una generica risorsa, il primo attore del processo rigenerazione urbana.Dunque, è necessario ripartire dalle esperienze di azione maturate nei territorio e cogliere i caratteri propositivi di una vera e propria vertenza territoriale che si manifesta con percorsi e azioni definite dalla quale creare una concreta cooperazione per sostenere le spinte innovative dando sponda necessaria ed indispensabile alle sollecitazioni.Gli interventi di rigenerazione urbana richiedono il coordinamento di numerose competenze tecniche, amministrative e di coesione sociale. In primis, il ripristino di sicurezza e di legalità parte dal rispetto delle regole,dove le Istituzioni e la società civile si riappropriano del territorio. Il coordinamento dovrà farsi carico di allineare i diversi soggetti pubblici coinvolti nella gestione del patrimonio, nella gestione dei cantieri, in modo da districare tutti quei passaggi amministrativi che hanno reso, fino ad oggi, faticosa ed inefficace l’azione di recupero per il perseguimento degli obiettivi previsti dalla rigenerazione urbana.Il coordinamento deve accompagnare il riconoscimento delle azioni, la pianificazione e l’attuazione delle attività sociali, culturali, produttive e di recupero ambientale che sono state individuate come fattibili nelle fase di analisi e programmazione approvata con il progetto di partecipazione.Forti di questa esperienza la proposta che si avanza è quella di concentrare in un’unica figura supportata da un coordinamento delle Istituzioni e dei diversi soggetti interessati tutte le competenze attinenti all’area urbana di Corviale e di Tor Bella Monaca tale che siano definite funzioni e ruoli decisionali. Intenzione che era stata esplicitata dalla stessa Regione Lazio nel progetto “Rigenerare Corviale” a cui però non è stato dato seguito. Resta fermo che a queste scelte ratificate deve corrispondere in primo luogo un atto ufficiale assunto nelle sedi istituzionali proprie, programmato e scadenzato fino alla completa realizzazione.Al termine del percorso seminariale intendiamo presentare un atto amministrativo in cui, preso atto delle esperienze maturate, nel constatare quanto l’intreccio delle competenze finisce per paralizzare l’amministrazione, si propone l’individuazione di un soggetto unico per ciascun ambito territoriale con forti poteri di coordinamento e sostitutivi in caso di inerzia.Quindi, è necessaria una modifica del modello organizzativo da ratificare con uno specifico provvedimento deliberativo. Tale provvedimento deliberativo dovrà essere focalizzato sui compiti attribuiti al coordinamento e sul suo ruolo gerarchico nei confronti delle competenze diffuse. Infatti i continui richiami a ruoli e funzioni ricoperti da parte dei soggetti coinvolti e senza comunicazione tra di loro, fanno perdere di vista la possibilità di azione comune verso l’obiettivo della rigenerazione urbana.
Sicurezza urbana: lo spazio della pena e la relazione con la cittàIl riconoscimento del tema dello spazio del carcere, non solo in termini quantitativi, ma ancor più qualitativi, è divenuto centrale; è legittimo affermare che dove non c’è attenzione agli spazi della pena in generale non c’è neppure attenzione alla dignità del detenuto, alla sua rieducazione e al suo reinserimento sociale.Il tema della qualità dell’istituzione detentiva e del percorso di recupero di coloro che lo abitano è strettamente collegato a quello della sicurezza dei cittadini (Horizon 2020), trasformare la pena in un percorso di riabilitazione e reinserimento nella società significa, come dimostrano i dati e le statistiche, maggiore sicurezza e abbassamento della recidiva. Il percorso può avvenire se e solo se è legato alla volontà comune al mondo penale di affrancarsi da quello penitenziario come unica soluzione al concepimento e all’esecuzione della pena; ecco che il sistema dei luoghi in cui ciò avviene è fondante, la modificazione degli spazi, interni ed esterni, e una loro diversa configurazione e concezione rappresentano passaggi assolutamente necessari. In materia di sicurezza la UE punta, nel rispetto della privacy dei cittadini e sostenendo i diritti fondamentali, allo sviluppo di nuove tecnologie per combattere la violenza e per innescare processi alternativi alla detenzione con alti margini di garanzia.Uno dei principali obiettivi è la reinterpretazione progettuale del carcere come attrezzatura centrale della città e della società in relazione alla dimensione dell’abitare, al vivere collettivo e alla costruzione della forma urbana, questo passa per la riscrittura dei criteri centrali su cui basare gli interventi di progetto da realizzare. Ripensare i luoghi urbani del disagio e le attrezzature civili, il carcere, in relazione ai criteri di benessere sociale e ambientale, quegli stessi che animano la programmazione della ricerca europea e che puntano a creare sinergia tra scienza e società, significa ripartire dalle condizioni di vita dei ristretti.

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Quando la rigenerazione urbana ha anche valenza sociale

I progetti di La Spezia, Cosenza, Roma e Firenze presentati a Urbanpromo
Interpretare la pratica della rigenerazione urbana attraverso connotati a forte valenza sociale. È questo il filo conduttore di quattro tra i progetti che hanno partecipato all’ultima edizione di Urbanpromo, la manifestazione nazionale di riferimento per la rigenerazione urbana.

Abitare Toscana
Uno dei progetti di social housing è quello di Abitare Toscana Srl: un complesso residenziale inserito in un programma più vasto per oltre 400 alloggi in un’area periferica, a nord della via Pistoiese a Firenze. L’area è caratterizzata dalla commistione di aree industriali, edilizia residenziale privata e di preesistenze storiche di pregio. Il progetto propone un modello insediativo ad altezza contenuta ed elevata densità insediativi, con un impatto ambientale rispettoso del tessuto residenziale più prossimo, ma con caratteristiche innovative per quanto riguarda tipologie abitative e caratteristiche funzionali dell’insediamento.

Gli edifici destinati alla locazione comprendono 90 appartamenti di taglio piccolo destinati a singles e a giovani coppie, e sono organizzati attorno ad una corte edilizia con fruizione esclusivamente pedonale. Gli alloggi sono disimpegnati da ballatoi aperti sulla corte interna, che si dilata al piano terreno nei pilotis degli edifici, oggetto del progetto di comunità “In Sala”. Gli alloggi sono destinati alla locazione per famiglie disagiate a reddito basso, e propongono un canone medio di locazione di 400 Euro/mese, pari a uno sconto di circa il 30% sui canoni convenzionali L.431/1998.

Nova Casa Cosenza
Un altro progetto che ha forte valenza sociale è quello della Cooperativa Nova Casa Cosenza, che nella città calabrese propone una struttura per divorziati abbandonati dalla famiglia, lavoratori percettori di ammortizzatori sociali o in mobilità lavorativa, ragazze madri. La definizione del disegno del comparto è stata determinata dall’esigenza di dare un assetto che favorisse la realizzazione di spazi pubblici in modo da permettere un’articolazione dell’intera area funzionale ad una qualità dell’abitare conforme alle esigenze di un moderno vivere civile.

Nel disegno urbano proposto si prevede un edificio con destinazione d’uso plurima che in termini di funzionalità ha così definito gli spazi:
– parcheggi privati al piano interrato;
– piano terra interamente destinato ad attività per servizi connessi alle nuove residenze: spazio per la ristorazione, lavanderia, portineria con servizio notturno, spazio sociale, segreteria ecc.;
– gli altri sei piani per residenze di edilizia sociale con complessivi 48 alloggi di cui 30 in locazione permanente per particolari per categorie disagiate come uomini divorziati o ragazze madri.

L’ipotesi progettuale considera i luoghi dell’abitare, ed i servizi di cui necessita chi vi sarà ospitato, come un sistema unico ed integrato: il prodotto edilizio facilita l’aggregazione della domanda di servizi e la corretta interazione con l’offerta; il sistema dei servizi valorizza l’esercizio abitativo, innalzandone il livello di soddisfazione. Tutti i servizi previsti sono pensati per rispondere ad evidenti criticità sistemiche ma anche a tutta una serie di bisogni espliciti ed impliciti. Si è pensato cioè ad un centro residenziale nel quale concentrare e rendere fruibili i servizi per il benessere e la qualità della vita dei propri ospiti.

SB_HOUSE
Spazio nella gallery di Urbanpromo anche ai progetti di rigenerazione con forte carica innovativa. Tra questi SB_HOUSE, un programma operativo per residenze sperimentali dalle società LOIRA s.r.l. e ADB EDILIZIA. Progetto di ADLM architetti. Il programma prevede la ricucitura urbana di lotti rimasti inedificati nel quartiere di San Basilio, rappresentativo della periferia storica di Roma. Il quartiere nel tempo è stato interessato dal dopoguerra ad oggi da interventi di edilizia pubblica che ne hanno caratterizzato l’identità urbana e sociale, dall’intervento dell’arch. Mario Fiorentino ai successivi degli anni 60 e 70 che ne hanno completato l’assetto. Dagli anni 90, il quartiere è stato oggetto del Programma di Recupero Urbano denominato “PRU San Basilio”.

Il programma operativo verrà realizzato da operatori privati, all’interno dei comparti edificatori Z1 e Z2: nel comparto Z_1 sono previsti 3 corpi di fabbrica destinati ad ospitare 75 alloggi,. Contestualmente, sarà realizzato dagli stessi operatori nel comparto Z_2, un edificio di 840 mq (SUL) costituito da 18 unità abitative che entreranno nella disponibilità dell’Agenzia Territoriale per l’Edilizia Residenziale di Roma (ATER). L’edificato, oltre ad essere fattore dinamico per la ricucitura territoriale del quartiere nelle parti incompiute, caratterizza la costruzione con la forte innovazione tecnologica per il risparmio energetico con l’utilizzo di materiali costruttivi eco-sostenibili e innovativi, che coniugano l’innovazione abitativa con il recupero tipologico della morfologia abitativa dell’unità di vicinato romana.

AUT AUT – Autonomia Autismo
Il progetto “AUT AUT – Autonomia Autismo” promosso da Fondazione Carispezia nasce ad esempio per favorire l’inclusione sociale di persone affette da autismo residenti nella provincia della Spezia nell’ambito dei servizi turistici, che potranno essere estesi a ospiti con disabilità provenienti da tutta Italia e alle loro famiglie. Prevede la realizzazione – in collaborazione con le associazioni A.G.A.P.O. e Fondazione Domani per l’Autismo – di due strutture gestite in gran parte da persone autistiche, affiancate da operatori specializzati e volontari.

La locanda “Vivere la Vita”, in fase di realizzazione su terreni acquisiti da dismissioni Arpa – Liguria, sarà composta da strutture e spazi verdi destinati ad attività produttive, commerciali, ricettive e gestionali. L’intervento riqualifica l’area periferica di via Fontevivo alla Spezia, integrandosi con altri progetti e strutture adiacenti, tra cui il Polo Riabilitativo del Levante Ligure realizzato anch’esso dalla Fondazione.

Il complesso è formato da tre volumi disposti su tre piani affacciati su giardini pensili attrezzati e tra loro collegati dal corpo vetrato scale-ascensore. Le diverse funzioni degli spazi trovano riscontro nella diversificazione architettonica e dei materiali utilizzati (legno, intonaco e cemento colorato), mentre la separazione strutturale dei volumi garantisce, con particolari accorgimenti, un’adeguata risposta sismica del complesso, nel quale sono impiegate tecnologie idonee a coprire il 50% delle necessità energetiche. Negli spazi di “Vivere la Vita” sono previsti: un ristorante; un albergo con 10 camere vista mare; un’area dedicata ai laboratori per la produzione e la vendita di pasta fresca e secca; spazi residenziali riservati a ospitare, in cinque camere con annesse aree comuni, giovani adulti autistici e i loro familiari.

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Periferie geografiche e sociali

Occuparsi di periferie e di degrado paesaggistico ed ambientale significa occuparsi della qualità della vita. E’ uno dei traguardi dell’obiettivo 11 dell’Agenda 2030
Ci sono anche le periferie nell’Agenda 2030. L’agenda 2030 è infatti un programma d’azione che guarda alle persone e, pertanto, agli ambienti in cui queste persone vivono e sviluppano le relazioni sociali. La città è dunque fondamentale e l’obiettivo 11 “Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili” è affascinante, oltre che importante.

Vedo la necessità di attivare in città cantieri di idee e di lavoro, operando con gli abitanti di tutte le fasce di età. Delineare il nuovo futuro delle città (nel 2030 si prevedono 41 megalopoli con oltre 10 milioni di abitanti) significa incidere sempre più sul mondo e contribuire così all’obiettivo fascinoso associato a tutta Agenda 2030, cioè “Trasformare il nostro mondo”.
Una visione d’insieme

Non riesco a vedere distaccati i 17 obiettivi e i 169 traguardi, che ho letto con profonda volontà di sapere cosa i grandi del mondo hanno pensato. Mi consola sapere che se solo si riuscisse a centrare alcuni di questi obiettivi, avremmo un mondo migliore in cui far attecchire gli altri, generando un processo catalizzatore verso il futuro. Come ricordato nell’Agenda 2030, “Gli obiettivi e i traguardi stimoleranno nei prossimi 15 anni interventi in aree di importanza cruciale per l’umanità e il pianeta”.

I grandi della Terra hanno scritto “Noi immaginiamo un mondo libero dalla povertà, dalla fame, dalla malattia e dalla mancanza, dove ogni vita possa prosperare… Un mondo dove gli insediamenti umani siano sicuri, resistenti e sostenibili e dove ci sia un accesso universale ad un’energia economicamente accessibile, affidabile e sostenibile”. Un obiettivo sicuramente difficile da raggiungere, ma lavorando dal basso e assumendo come sub-obiettivi i singoli traguardi individuali possiamo farcela.
Can our cities survive?

José Luis Sert ha affascinato tanti con un libro che ho letto oltre 30 anni fa: Can our cities survive (un volume pubblicato negli Stati Uniti nel 1942 e dedicato ai temi urbanistici emersi al Congresso Internazionale per l’Architettura Moderna del 1937). Un abbiccì dei problemi urbani, con la loro analisi, le loro soluzioni. Oggi assistiamo alla riproposizione di temi fondamentali: le città dovranno sopravvivere perché in loro è il futuro dell’umanità, in quanto in esse si concentrerà la popolazione mondiale.

Ecco perché i 10 traguardi dell’obiettivo 11 individuano precisi compiti a cui non possiamo sottrarci, e puntano, per quanto ci riguarda, a recuperare il ritardo sulla spesa di risorse ”pronte” e “spendibili” e rivenienti dall’Unione Europea. Fa rabbia osservare che la quasi totalità delle risorse da spendere nel triennio 2014-2016 sono ferme, utilizzate solo in minima parte per alimentare i costi di una macchina pubblica che fa spesa e non investimenti.
Partire prima del 2030: il primo traguardo

E quindi occorre partire “prima del 2030” e dare il via ai bandi per la rigenerazione di nuove città e quartieri degradati, per costruire nuovi alloggi “adeguati, sicuri e convenienti” e garantire “servizi di base e riqualificare i quartieri poveri”, come prevede il traguardo 1 dell’obiettivo 11. E per massimizzare i risultati della spesa occorre dare spazio alla progettualità vera, quella che nasce dal basso e con la gente (come dice il sociologo Giandomenico Amendola), e da cui possono poi nascere i singoli progetti affidati a tecnici scelti per qualità e competenza, realizzati poi da imprese individuate per vera capacità e con trasparenza.

Occorre innescare quel processo virtuoso che dalla progettualità conduce al progetto e poi alla realizzazione, con una profonda bonifica della macchina pubblica e politica che consenta di risparmiare quel 50% circa di risorse che si perdono in tangenti e sprechi.
Il secondo traguardo: trasporti a misura di persona

Un traguardo ambizioso è anche il secondo, quello che punta, entro il 2030, a “garantire a tutti l’accesso a un sistema di trasporti sicuro, conveniente, accessibile e sostenibile, migliorando la sicurezza delle strade, in particolar modo potenziando i trasporti pubblici, con particolare attenzione ai bisogni di coloro che sono più vulnerabili, donne, bambini, persone con invalidità e anziani”. E l’attenzione all’uomo è evidente leggendo gli altri traguardi, perché la città è il luogo principe dello sviluppo delle relazioni sociali ed in cui si esplica la costruzione del futuro, che passa anche da un’organizzazione della città inclusiva e sostenibile, che possa anche “potenziare gli sforzi per proteggere e salvaguardare il patrimonio culturale e naturale del mondo”.
Le periferie sociali: Leave no one behind

Ritorna poi, con i successivi traguardi, un’esplicita attenzione ai poveri e alle persone più vulnerabili, bambini, anziani, diversamente abili, donne, nonché attenzione all’impatto associato alle attività umane. Infatti, se nelle città si concentrerà la maggior parte delle persone, è dalle stesse che deve nascere una differente gestione dei rifiuti, dell’acqua, dell’energia. Anche questo rientra nel motto stesso dell’Agenda 2030, che esorta a non lasciare nessuno indietro: leave no one behind.
Periferia di Lucera: un “non luogo” da rivitalizzare

Ovviamente la città è parte di un più vasto territorio con cui entrare in sintonia sviluppando le relazioni con il contesto rurale in cui la stessa si inserisce, con un diverso rapporto città-campagna, rafforzando i legami con le aree periurbane e rurali, attraverso un rafforzamento della pianificazione. Tutto questo deve poi costituire best practice per consentirne l’esportazione e l’applicazione in altri contesti e nei paesi meno sviluppati, anche fornendo assistenza tecnica e finanziaria, nel costruire edifici sostenibili e resilienti utilizzando materiali locali.
Dalle periferie del degrado ambientale alla progettazione partecipata

L’errore che occorre evitare di commettere è comunque quello di vedere gli obiettivi (ed i traguardi agli stessi associati) staccati e non integrati fra loro attraverso relazioni dirette e/o indirette. È così, guardando già ai primi obiettivi, che si massimizzano i risultati, incidendo con la rigenerazione delle città sulla “Povertà zero”, sulla “Fame zero”, come anche su “Salute e benessere” associati alle nuove città. Occuparsi infatti di periferie e di degrado paesaggistico ed ambientale significa occuparsi della qualità della vita.

In un recente articolo su Ambient&Ambienti ho infatti ricordato che la periferia è emarginazione “quando abbiamo progettato le città senza cuore ed affetto, oppure quando siamo stati politici ed abbiamo pensato alle vie dei salotti dimenticando le vie in cui c’è anche la gente semplice. O quando da giornalisti abbiamo parlato delle periferie solo in senso negativo, tralasciando di raccontare quando la gente richiede aiuto, manifesta difficoltà, chiede case, acqua, fognatura, illuminazione, giochi, contenitori per favorire la presenza di vita attiva.”
Visioni di città e progettazione partecipata

Per questo abbiamo bisogno sempre più delle “visioni” di città (per vedere oltre, dove pochi vedono, e lasciarci guidare da queste) e dobbiamo parlare di progettualità attraverso una progettazione partecipata, ottenendo adesione e ricevendo quel conforto che giustifica la voglia di continuare a costruire le città del futuro, con i servizi che servono per generare ricchezza da distribuire a chi ne ha bisogno.
Il “diritto alla città”

E di città del futuro se ne è parlato nell’ottobre 2016 a Quito, dove 193 stati hanno sottoscritto la Nuova Agenda Urbana come atto fondamentale della conferenza Habitat III, un’agenda che presenta nuove e più ampie strategie per le città al fine di incidere su queste nei prossimi vent’anni. E così, tra città compatte e trasporti pubblici sostenibili, si guarda al futuro e alla prevenzione di nuove favelas, nuove megalopoli di decine di milioni di abitanti, in cui i valori umani e l’attenzione all’altro rischiano di scomparire per sempre.

Nell’Agenda Urbana si propongono 5 punti e numerosi sotto-punti e si parla per la prima volta di “diritto alla città” (right to the city): si parla insomma di città per la gente e non per l’economia e si richiama la necessità di una visione condivisa dei principi e impegni della nuova Agenda urbana. Entusiasmante è quanto scaturisce dall’ Agenda di Quito, letta in stretta connessione con Agenda 2030: le città e gli insediamenti umani devono essere per tutti, garantendo la città per tutti, la parità dei diritti, il diritto alla casa, sistemi sociali e civili funzionali, parità di genere, una mobilità urbana accessibile per tutti, una gestione delle catastrofi e la capacità di recupero.

Insomma da Agenda 2030 si legge una vision importante che merita una traduzione operativa che dipende da noi e dalla nostra capacità di tradurre in realtà le visioni: tutto ciò è necessario e non rinviabile, al fine di prevenire delle rivoluzioni.

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DAL CALCIOSOCIALE ALL’IMPEGNO CIVICO IL PASSO È BREVE

A Corviale i ragazzi possono giocare e giocando diventare Giovani Custodi del territorio. Perché lo sport aiuta a maturare una coscienza civile
«Le scuole calcio non possono più trasmettere solo la tecnica, ma hanno il dovere di coltivare nei ragazzi qualità umane che formino una coscienza civile e sociale». Una scommessa vinta da Massimo Vallati insieme agli operatori e volontari dell’associazione CalcioSociale, che dal 2014 offre ai ragazzi del quartiere Corviale di Roma una struttura dove potersi formare alla legalità e all’impegno civico. Una casa dove loro stessi sono i custodi.

CalcioSocialePartecipare ad una scuola di calcio sociale non vuol dire solo intraprendere un percorso motorio e agonistico, ma anche incontrarsi e confrontarsi su temi come la lotta alla criminalità, la conoscenza delle mafie, il rispetto ambientale, la prevenzione da dipendenze: un percorso di educazione civica che in quartieri come quello del Corviale rappresenta un punto di rottura con i modelli proposti dalla malavita.

«Giovani Custodi è un momento di formazione che proponiamo ai bambini e ragazzi che frequentano la nostra scuola calcio», racconta Massimo, «un’ora e mezza in cui chiediamo loro di parlare, scrivere e dire la propria su certi temi. Ci rivolgiamo a ragazzi dai 12 ai 15 anni e a bambini dai 9 agli 11 e presto attiveremo un percorso anche per i bambini di 7-8 anni».
Il CalcioSociale è educazione civica

Incontri che nascono dalle stesse esigenze dei giovani del quartiere, dalla loro esperienza di vita e dagli ambienti che frequentano; in testa quelli digitali. «Nel primo incontro di Giovani Custodi abbiamo chiesto loro di mostrare dei post che avevano scritto su Facebook e di commentarli insieme ai loro amici. È stato interessante notare come alcuni ragazzi, davanti gli altri, si dissociavano da ciò che avevano pubblicato: con questa dinamica ci siamo accorti come molti di loro non si rendono conto che quando condividono o postano un contenuto, c’è sempre una conseguenza».

CalcioSocialeCalcioSociale diventa anche best practice di inclusione sociale. Dopo l’esperienza di questi anni vissuta al Corviale, l’associazione sta facendo rete insieme ad altre realtà sportive che operano in altri quartieri difficili d’Italia, proponendo il proprio modello di azione e i risultati raggiunti insieme ai ragazzi del Corviale. Inoltre, nei prossimi due anni, il percorso offerto da CalcioSociale sarà oggetto di studio di un progetto scientifico europeo che validerà la metodologia di intervento con bambini e adolescenti.

Dallo scorso 30 maggio continuano anche le dirette notturne di RadioImpegno, che dal Corviale racconta le storie, le difficoltà e le vittorie di tante associazioni e realtà che operano nel sociale a Roma. «La città che non vuole arrendersi esiste e lo dimostra il palinsesto della radio, che dallo scorso maggio è stato sempre ricco di contributi. Siamo cresciuti e continuiamo a farlo, perché vogliamo raccontare la capitale delle buone pratiche, sempre alla ricerca di amici e persone “radioimpegnate”. Abbiamo dimostrato che mettendoci insieme siamo più forti di chi ci voleva fermare».

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La birra che nasce a Corviale

La sfida di cinque ragazzi nell’estrema periferia di Roma
ternal City Brewing, il birrificio artigianale nato come beer firm senza impianto proprio, è arrivato a produrre 6000 bottiglie mensili e 700 ettolitri all’anno.
Luppoli, fermentatori e birre alla spina all’ombra del Serpentone di Corviale. Dietro la famigerata costruzione popolare che incombe torva sulla campagna compresa tra la Portuense e la Pisana, cinque giovani amici hanno realizzato un sogno: aprire un birrificio proprio. Maurizio, Giacomo, Enzo, Simone e Alessandro, dopo serate passate ai banconi di pub che hanno fatto la storia della scena brassicola romana, hanno deciso di rimboccarsi le maniche e produrre birra secondo i loro gusti.

La birra che nasce a Corviale: la sfida di cinque ragazzi nell’estrema periferia di Roma
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Nel 2013 nasce così il progetto Eternal City Brewing, una beer firm, ossia un birrificio senza un proprio impianto di produzione che si appoggia ad altri birrifici utilizzando le proprie ricette. Nei vari festival in giro per l’Italia non si sono fatti attendere apprezzamenti per le creazioni del birraio Maurizio Graziani. Due anni più tardi si raccolgono risorse e si decide di fare sul serio: viene acquistato lo stabilimento di produzione attuale in via del Ponte Pisano 84. ECB inizia a produrre con due fermentatori fino ad arrivare ai cinque attuali che permettono una produzione di 6000 bottiglie al mese e più di 700 ettolitri l’anno, divenendo così il più grande birrificio artigianale all’interno del GRA. “Il nostro obiettivo fin dall’inizio è stato sempre quello di essere riconosciuti come il birrificio di Roma, riprendendo la tradizione americana un po’ campanilistica che vuole che gli americani si riconoscano nel birrificio della loro città”, spiega Giacomo Mondini.

Un’identità che è cercata attraverso nomi come Urbe, Lupa, Tiber e Bulla, ma soprattutto grazie alle etichette, che “raccontano la storia della città”. Gran parte della produzione è costituita da birre di stile inglese e americano, ricche di luppolo che soddisfano la sete di romani e non solo. Tra queste spicca la Urbe, premiata Grande birra da Birre d’Italia 2017 di Slow Food e classificatasi terza nella categoria American e India Pale Ale nel concorso indetto da Unionbirrai. Non manca però anche qualche riferimento alla tradizione birraria belga, come la Tre Scrocchi in cui ai malti viene aggiunto miele proveniente dalla vicina Tenuta dei Massimi.
La birra che nasce a Corviale: la sfida di cinque ragazzi nell’estrema periferia di Roma
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All’interno del birrificio è presente una piccola tap room dall’ambiente informale dove sono presenti alcune spine e dove è possibile scambiare qualche chiacchiera con il mastro birraio Maurizio. Il locale di mescita è aperto dal lunedì al venerdì dalle 10 a mezzanotte per non fare concorrenza ai locali romani a cui il birrificio distribuisce i fusti e, vista la produzione “centimetri zero”, è possibile gustarsi una birra artigianale per 3 euro e mezzo. A breve aprirà anche la cucina, che punta a utilizzare malti e luppoli anche nei piatti e a recuperare prodotti di risulta, come i malti esausti per fare il pane. “Abbiamo molti progetti” ci racconta Giacomo, “Appena la cucina sarà aperta, organizzeremo cene improntate all’esaltazione del luppolo con alcuni chef. Inoltre a marzo ospiteremo per la prima volta una classe di scuola media per spiegare ai ragazzi come nasce una birra e faremo una cotta tutti insieme”.

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Rigenerazione urbana: le misure fiscali proposte dall’ANCE

Ridurre al minimo le imposte a carico delle imprese acquirenti i fabbricati usati, ed estendere la detrazione Irpef 50% per le ristrutturazioni edilizie agli interventi di demolizione e ricostruzione con incrementi volumetrici e con miglioramento dell’efficienza energetica
E’ necessario un nuovo approccio anche culturale al recupero urbano, con regole urbanistiche che rendano possibili le operazioni di riqualificazione e gli interventi di demolizione e ricostruzione.

Lo ha dichiarato il presidente dell’Ance Gabriele Buia nel corso di un’audizione che si è svolta ieri presso la Commissione monocamerale di inchiesta sulla sicurezza e il degrado delle città e delle loro periferie, istituita alla Camera dei Deputati.

LA LEVA FISCALE. Il presidente dei costruttori ha sottolineato l’esigenza di individuare misure fiscali che garantiscano la sostenibilità economica degli interventi. Al riguardo, occorre, in particolare:

– incentivare la “rottamazione dei vecchi fabbricati” e la loro sostituzione con edifici di “nuova generazione”, attraverso la riduzione al minimo delle imposte a carico delle imprese acquirenti i fabbricati “usati”;

– estendere la detrazione IRPEF del 50% per le ristrutturazioni edilizie agli interventi di demolizione e ricostruzione con incrementi volumetrici, ammessi come premialità da leggi o regolamenti edilizi locali, e che comportino un miglioramento in termini di efficienza energetica. Lo stesso dovrebbe valere per gli interventi antisismici dell’edificio (es. miglioramento di due classi sismiche definite dall’emanando Decreto del MIT).

Buia ha sottolineato la necessità di aprire un percorso normativo che consenta di intervenire sulle città in maniera rapida, con provvedimenti concreti e immediati per la definizione di politiche per la rigenerazione urbana strategiche per il Paese.

LE DIRETTRICI PER ACCELERARE IL RISANAMENTO DEL TERRITORIO. L’Associazione dei costruttori ha individuato alcune direttrici fondamentali al fine di consentire l’accelerazione delle attività di risanamento del territorio e quindi il suo recupero:

– chiarire che la riqualificazione e la rigenerazione del territorio rappresentano una priorità per l’intera collettività e sono azioni alle quali riconoscere l’interesse pubblico;

– obbligare gli enti locali ad individuare periodicamente gli ambiti di rigenerazione urbana sui quali formulare le proposte anche per sub ambiti;

– invitare gli operatori a presentare proposte di rigenerazione coerenti con gli indirizzi locali basate sull’equilibrio del piano economico finanziario;

– raccordare la pianificazione urbanistica con le altre normative di settore, prima fra tutte quella ambientale, con particolare riguardo alla disciplina delle bonifiche;

– predisporre un quadro di norme e procedure in grado di evitare le lungaggini procedurali e l’incertezza nei tempi di realizzazione delle opere;

– definire istituti e meccanismi attraverso i quali, superare l’immobilismo della proprietà ed il frazionamento della proprietà;

– creare un sistema di convenienze per tutti i soggetti coinvolti: dall’intera collettività ricadente nell’ambito ai singoli proprietari, agli operatori privati.

SISMABONUS. Il sisma-bonus fino all’85% previsto dall’ultima legge di Bilancio “è un ottimo incentivo ma occorre semplificare l’attuazione, sia in termini normativi condominiali, sia in termini di cedibilità del credito da parte dell’esecutore. Un ulteriore passo potrà essere l’individuazione dei meccanismi che rendano in qualche modo cogente gli interventi. Senza contare che intervenendo su edifici condominiali dove appunto la proprietà è frazionata i passaggi da fare si moltiplicano e non è sempre detto che poi si arrivi a deliberare di fare i lavori”.

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