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Si scrive legalità, si legge deserto sociale

Due sgomberi, un bando finto, i richiami alla legalità, il rifiuto di ascoltare quelli dell’acqua. L’arroganza della giunta Raggi contro quelli del Rialto, dove aveva sede il Forum dei movimenti dell’acqua, non è solo un’altra brutta storia romana di sgomberi, ma prima di tutto la conferma che l’amministrazione 5 Stelle “sta compiendo una svolta reazionaria – dice Paolo Carsetti del Forum dell’acqua – “L’unico obiettivo è accreditarsi con il sistema, dimostrare ai poteri forti di essere affidabile, così da candidarsi a governare il Paese intero… Poco importa se nel frattempo la legalità sarà trasformata in un simulacro, la trasparenza in opacità, il cambiamento in continuità, la comunità in solitudine competitiva, la città in un deserto sociale. Il Rialto e il Forum sono solo piccoli intralci nel cammino verso il potere…”

Sono passati tre mesi dal primo sgombero e tre giorni dall’ultimo… Quello che segue è un breve racconto di quanto avvenuto. Per chi l’ha visto e per chi non c’era e per chi quel giorno lì inseguiva una sua chimera. Sono tredici anni che chiediamo una soluzione definitiva attraverso l’attuazione della delibera di Consiglio Comunale 40/04 (tuttora vigente) che prevede lo spostamento delle realtà del Rialto all’ex autoparco dei Vigili Urbani (di Via delle Mura Portuensi) del Comune di Roma. Questa è la soluzione che abbiamo sottoposto da oltre due mesi e mezzo anche all’Amministrazione Raggi, già dopo il primo sgombero del 16 febbraio. Ma, in esatta continuità con le passate amministrazioni, non ha mai voluto prenderla realmente in considerazione.

Ci teniamo a ribadire che la soluzione esiste ed è sotto gli occhi di tutti: nulla osta a completare l’iter procedurale e amministrativo di detta delibera avendo già superato i vari passaggi della Conferenza dei Servizi; l’Amministrazione comunale negli anni ha già acquisito i progetti, ha utilizzato soldi pubblici a tal fine ed il mancato completamento dell’opera configura un sicuro danno erariale; la ricollocazione delle realtà del Rialto è, dunque, un atto approvato dal Consiglio comunale e ora necessita solo della volontà politica della Giunta di attuarla.

Il vero danno erariale per il Comune sta proprio nella mancata attuazione di questa delibera e non negli affitti degli spazi sociali che, tra l’altro, laddove fossimo stati messi nelle condizioni, non ci saremo sottratti dal corrispondere. Ma davvero qualcuno pensa di ridurre lo sgombero di uno spazio come il Rialto e della sede del Forum dei Movimenti per l’Acqua al mancato saldo di un affitto? La questione è ben più complessa e negli ultimi mesi gli sgomberi a Roma sono stati un incubo che ha toccato centinaia di realtà. La banalizzazione che sta costruendo l’Amministrazione, trincerandosi dietro il semplice ripristino della legalità, è preoccupante.

Parafrasando un nostro caro slogan referendario potremo dire: si scrive legalità, si legge deserto sociale. Il confronto con l’Amministrazione è stato avviato all’indomani del primo sgombero e in quell’occasione l’assessore Andrea Mazzillo e il suo staff si erano presi l’impegno di approfondire i termini dell’attuazione della delibera 40/04. “Pochi giorni e vi riconvochiamo”: questo era stato l’impegno assunto in quell’occasione.

Il 24 febbraio le catene che avevano chiuso il Rialto vengono spezzate e questo spazio viene restituito alla città. Poi per due mesi, nonostante le nostre reiterate richieste d’incontro, silenzio più assoluto. La risposta dell’Amministrazione è sempre la stessa: “Stiamo ancora studiando”.

All’improvviso, qualche giorno prima di Pasqua, ci giunge notizia fondata di un nuovo sgombero. Richiediamo con urgenza un incontro allo staff dell’Assessore che inizialmente viene negato e infine concesso per sfinimento.Dopo due mesi ci viene comunicato che ancora non si ha la più pallida idea se la delibera sia attuabile.

Due mesi persi, gettati al vento come nella migliore tradizione italica. In cambio ci vengono “offerti” dei locali del tutto inaccettabili. Principalmente per due ragioni: non garantiscono la possibilità di ricollocazione unitaria delle associazioni ora presenti al Rialto, facendo così venir meno il riconoscimento politico dell’insieme del Rialto e dello spazio sociale in sé, del suo percorso e quindi delle attività che lì vengono svolte in sinergia; i locali hanno come finalità di utilizzo l’emergenza abitativa e nessuna delle realtà del Rialto ha intenzione di sottrarre casa a chi ne ha fortemente bisogno, soprattutto alla luce della drammatica situazione degli sfratti che, procedendo incessantemente, vanno ad aggravare un’emergenza abitativa atavica.

Abbiamo sempre ribadito di essere disponibili a soluzioni transitorie nel momento in cui viene individuata la soluzione definitiva attraverso atti formali (delibera di Giunta e protocollo d’intesa). Altrimenti non si capisce perché definire transitorio qualcosa che evidentemente non lo è. Per usare una metafora: abbiamo segnalato a più riprese che non sussistono problemi da parte nostra ad accettare soluzioni ponte, e quindi uscire dal Rialto, purché siano ben definite le due sponde del guado.

Nel frattempo il 18 aprile la Corte dei Conti si è pronunciata dichiarando nullo il danno erariale e non esigibili i canoni di mercato sul patrimonio indisponibile facendo venire meno le motivazioni alla base delle riacquisizioni degli immobili da parte del Comune. Continuiamo per giorni a richiedere un nuovo incontro e a segnalare allo staff dell’assessore Mazzillo la necessità di una risposta chiara su tutto ciò.

Sabato 6 maggio 10.000 persone scendono in piazza, attraversano il centro di Roma per arrivare sotto al Campidoglio e ribadiscono anche alla Giunta Raggi che “Roma non si vende”!

L’8 maggio, all’improvviso, sul sito di Roma Capitale compare un avviso di bando finalizzato alla concessione di un immobile sequestrato alla criminalità per lo svolgimento di attività sul tema dell’acqua e dei beni comuni. Un bando cucito su misura del Forum Acqua che identificando l’oggetto nel solo tema dell’acqua e dei beni comuni cancella la pluralità degli ambiti su cui intervengono da anni le realtà presenti al Rialto.

Ci domandiamo: che differenza passa tra questo bando e le pratiche politiche che hanno portato a Mafia Capitale? Un bando che non è neanche tale fino in fondo in quanto si tratta di un avviso e infatti si afferma “La documentazione del bando di gara per l’assegnazione dell’immobile, in concessione in comodato d’uso gratuito, verrà definita solo al perfezionamento delle procedure di acquisizione e della effettiva disponibilità del bene confiscato e, pertanto, la presente procedura non è vincolante per questa Amministrazione”.

Un bando che svela il trucco: l’immobile non è ancora nell’effettiva disponibilità del Comune ma evidentemente c’era fretta di provare a costruirsi un alibi in previsione dell’imminente sgombero che, guarda caso, avviene il giorno successivo alla sua pubblicazione.

Il 9 maggio, infatti, all’alba veniamo svegliati dalle telefonate delle forze dell’ordine che stavano sgomberando il Rialto. L’assessore Mazzillo dice soddisfatto che si tratta di un atto dovuto volto al ripristino della legalità. Giustizia è fatta. La misura è colma!

Ci sottraiamo convintamente a questo ricatto, a questo tentativo di corruzione e intendiamo denunciarlo con forza. Ora l’Amministrazione può addurre mille altre scuse per lo sgombero, dall’ingiunzione di un fantomatico tribunale (quale, quando, a che titolo, per quali reati?) al rischio crollo dell’immobile. In questi anni, mesi, settimane e giorni non è mai stato notificato nulla, né a noi né all’Amministrazione. Chiunque ha un minimo di onestà intellettuale sa che si tratta solo di un ulteriore tentativo volto a rafforzare l’alibi.

Tutto ciò conferma che l’Amministrazione 5 Stelle di Roma sta compiendo una svolta reazionaria, tinta di nero, il cui unico obiettivo è accreditarsi con il sistema, dimostrare ai poteri forti di essere affidabile, così da candidarsi a governare il Paese intero nel 2018. Purtroppo, la strada intrapresa è quella giusta.

Poco importa se nel frattempo la legalità sarà trasformata in un simulacro, la trasparenza in opacità, il cambiamento in continuità, la comunità in solitudine competitiva, la città in un deserto sociale. Il Rialto e il Forum dell’Acqua sono solo piccoli intralci nel cammino verso il potere, quello vero. Ciò non toglie che la nostra mobilitazione proseguirà senza sosta perché intendiamo arrivare a una gestione pubblica, trasparente, democratica e partecipata dell’acqua a Roma e in tutti gli altri territori.

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Non c’è più distanza sociale tra centro e periferie

Rapporto Istat, Roma sempre più frammentata socialmente.
A Roma “emerge una decisa frammentazione sociale. Il centro storico mostra una morfologia compatta con una chiara prevalenza di aree residenziali a profilo medio alto, che rappresentano a livello spaziale il 38,9% della popolazione, intramezzate da alcune aree con prevalente popolazione anziana”. È quello che si legge a proposito della distribuzione sociale sul territorio urbano della popolazione capitolina in un approfondimento (dedicato anche a Milano e Napoli) del rapporto 2017 dell’Istat, presentato questa mattina a palazzo Montecitorio.”Accanto a questa tipologia sociale coincidente a grandi linee con i municipi centrali – prosegue l’approfondimento – si riscontra una base insediativa caratterizzata da aree del ceto medio. In questo mosaico composito si intrecciano aree popolari a rischio di degrado, spazialmente parlando, l’8,1% della popolazione, in cui convivono differenti tipologie di disagio sociale ed economico. Queste aree accomunano la popolazione italiana e quella straniera: occupazione di bassa qualificazione, grado di istruzione medio-basso, nuclei familiari con numeri relativamente alti di componenti”. Da registrare, sempre secondo il Rapporto “una perdita progressiva dei confini tra centro e periferia. Un processo spaziale derivante dal quadro evolutivo della struttura sociale urbana e perturbana in cui agli insediamenti preesistenti si sommano nuove tipologie di abitanti”.

Il secondo elemento comune tra le tre città è: “L’assenza di periferie uniformi e di segregazione residenziale dei gruppi più disagiati. Non emerge cioè un modello insediativo caratterizzato da grandi aree distinte dalla presenza esclusiva di specifici gruppi sociali”. Secondo l’Istat: “Questa porosità tra aree e gruppi diversi rappresenta un elemento di forza nella prospettiva dell’integrazione sociale, ma anche una possibile fonte di conflitti”. La terza caratteristica che accomuna Roma, Milano e Napoli è: “La presenza di aree compatte caratterizzate da una decisa presenza di profili medio-alti”.

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Rapporto istat 2017




L’Altra Italia: il calcio di Corviale, un progetto di inclusione sociale

E’ una storia che parte da lontano, quella del Calcio sociale di Corviale, “il serpentone” progettato negli anni ’70 come nuovo modello abitativo alla periferia di Roma, lungo un chilometro, abitato da seimila persone, e divenuto fatiscente e degradato. Lì, dopo alcuni anni di attività nomade per la capitale, è approdata la sede del Calcio sociale, progetto di inclusione che parte dall’amore per il calcio e dalle sue regole ‘buone’ per fare attività formativa, sociale e umana.
Gli esordi di Massimo Vallati

Tutto inizia dall’infanzia di Massimo Vallati, un bimbo – oggi adulto e presidente di Calcio sociale – che ama il calcio da morire, e che come tanti della sua età passa i pomeriggi a rincorrere la palla con entusiasmo ed energia da vendere. Ma piano piano arriva la doccia fredda, perché Massimo entra a contatto con il rovescio della medaglia del calcio: “Il contrasto profondo tra la bellezza dello sport e la violenza degli stadi”, racconta Vallati. Lui è tifoso della Lazio e ben presto entra tra gli ultras: i cori, le trasferte, l’entusiasmo, l’amicizia, la condivisione, fino a che la curva si divide e a fare da contraltare agli Eagles supporter – i ‘buoni’ – nascono gli Irriducibili, “xenofobi e di estrema destra”. E così, in curva, durante Italia 90, quel “metro di distanza tra i due gruppi, mi fece pensare alle guerre tra vicini di casa, quella tra Palestinesi e Israeliani, quella nella ex Jugoslavia, perché l’odio era diventato più grande del concetto di sport”, prosegue Vallati, che da quel giorno decise di allontanarsi dal mondo del calcio, per molto tempo. “Un allontanamento vero, dettato da una ferita profonda”. Ma una decina di anni dopo, come accade con tutte le passioni, l’amore riaffiora. “Facevo volontariato a Monte Verde e pensai che sarebbe stato bello organizzare un torneo diverso: lo slogan doveva essere ‘cambiare le regole del calcio per ridisegnare le regole del mondo’; quella che stavamo avviando era una battaglia sociale e politica, innanzi tutto. E visto che il calcio è il più grande fenomeno sociale al mondo, aveva senso per noi partire proprio da lì per cambiare le cose”, sottolinea Vallati. (continua dopo la foto)

Un campo biodegradabile e una palestra di legno e argilla

Così è nato il Calcio sociale nel 2005 che dopo aver girovagato per la capitale, è approdato, non senza difficoltà “e anche molte perplessità” a Corviale, luogo allora identificato dalla Regione come uno spazio da occupare con questa attività. “All’inizio non eravamo per niente convinti di fare una cosa giusta a fermarci in quel posto, ma poi abbiamo accettato la sfida”, ricorda Vallati, mentre ripercorre tutto l’iter che ha portato alla realizzazione del Campo dei miracoli (così si chiama la sede), interrotto ad un certo punto anche dal Marrazzo gate (era stato infatti l’ex presidente della Regione Lazio a sostenere il progetto). Finalmente, tuttavia, sono partiti così i lavori che hanno portato alla realizzazione e all’inaugurazione nel 2014 di strutture pensate con l’obiettivo di seguire criteri e modalità etiche e di portare bellezza in una periferia così degradata: il campo da calcio è stato costruito in materiale biodegradabile (e addirittura commestibile); per la palestra sono stati usati legno, argilla, canniccio ed è stato eliminato il cemento grigio; il tetto, unico caso al mondo – 900 metri quadri – è stato totalmente ricoperto di scorze d’albero: 5mila cortecce messe insieme dalle comunità terapeutiche che partecipano a Calcio sociale, dai ragazzi, dai residenti di Corviale, e che rappresentano tutte quelle persone. Grazie a questa particolarità il Campo dei miracoli ha ricevuto nel 2013 il premio per lo sviluppo sostenibile alla fiera internazionale di Ecomondo. Da lì, poi, è stato tutto un susseguirsi di riconoscimenti: il Governo nel 2014 ha riconosciuto l’esperienza di Calcio sociale come ‘best practice italiana per lo sport e l’inclusione sociale ’. “E’ poi partito un progetto europeo che prevede lo studio dei benefici del calcio sociale esportando l’esperienza in Francia, Inghilterra, Bulgaria e Ungheria”, spiega Vallati mentre racconta anche di come il mondo universitario e scientifico sia interessato a studiare approfondire questa realtà. (continua dopo la foto)

Un progetto di inclusione sociale

Perché, in fondo, Calcio sociale è un progetto di inclusione che si basa, nella pratica, su una società sportiva dilettantistica onlus, aperta a ragazze e ragazzi, adulti, uomini e donne, persone con disabilità, problemi di droga, penali, di disagio familiare che opera anche come attività di prevenzione: il calcio diventa una metafora della vita e si gioca sperimentando l’accoglienza e il rispetto della diversità nella convinzione, come recita uno degli slogan, che “vince solo chi si custodisce”. Il campo da calcio, insomma, si presenta come una palestra di vita, dove normodotati e persone disagiate stanno insieme: ognuno può fare richiesta di partecipare, dai 10 ai 90 anni, e una commissione tecnica si occupa di valutare gli inserimenti nelle squadre, che sono tutte equilibrate affinché nessuna parta svantaggiata per i tornei. “Non esiste la figura dell’arbitro, ma quella dell’educatore e del vice-educatore, alle squadre vengono assegnati dei coefficienti e accade anche che un disabile tiri un calcio di rigore che porta la squadra in finale!”, racconta Vallati. La componente agonistica non viene mai a mancare, ma ha lo stesso peso della condizione di parità in cui le squadre e i giocatori sono posti. E i partecipanti, oltre a prepararsi atleticamente e tecnicamente, seguono dei laboratori educativi parallelamente alla preparazione per le partite (questo è il senso dell’Accademia di Calcio sociale): “90esimo pensiero, ad esempio, è un ‘match’ in cui le squadre si confrontano su un tema e hanno 45 minuti di tempo per raccontarlo”. (continua dopo la foto)

L’attentato del 2015

Il Campo dei miracoli ormai è un punto di riferimento per le battaglie sociali e di legalità: nel 2014 è stato tappa dei campionati mondiali della Fifa perché a questa realtà è stato riconosciuto l’alto valore sociale e nello stesso anno, sempre a Corviale, si sono tenuti anche gli stati generali dell’antimafia. Perché la battaglia che è stata fatta contro la criminalità organizzata che pervadeva il quartiere è stata dura e incessante. E ha “portato anche, nello stesso giorno dell’attentato al Bataclan di Parigi, il 13 novembre del 2015, ad un attentato incendiario e intimidatorio al Campo dei miracoli: “Abbiamo reagito e deciso di presidiare quello spazio, non con delle guardie, ma con al presenza di una radio notturna, Radio Impegno, che racconta gli ostacoli e i progetti delle associazioni che a Roma si occupano di sociale. Non credevamo neanche noi che l’esperienza radiofonica, nata in quel modo, potesse proseguire, ma invece è passato già un anno e il 30 maggio festeggeremo il nostro primo anniversario”.

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A Cannes l’Italia delle periferie con le sue donne forti

A festival brutti, sporchi, cattivi ma veri. Per glam c’è Bellucci

Le donne forti che resistono, i bambini che colpe non hanno, la periferia: è con questo volto, tutt’altro che perfetto, certamente urticante ma anche molto realistico, che l’Italia va al festival di Cannes (17-28 maggio) grazie ai film di registi che non hanno paura di raccontare dove siamo e come siamo. C’e’ Fortunata (Jasmine Trinca) che nell’omonimo film di SERGIO CASTELLITTO (Un Certain Regard) si affatica dalla mattina alla sera, troppo giovane e confusa per crescere la figlia e resistere ad un marito violento che non si rassegna al fallimento del matrimonio come troppo spesso accade.

E l’indipendenza economica è l’occasione del riscatto di una vita piena di dolori. C’e’ Giovanna (Raffaella Giordano) che nel film di Leonardo Di Costanzo L’INTRUSA (Quinzaine des Realisaterus) alla periferia di Napoli ha fondato una masseria per bambini, un’oasi, per sottrarli al degrado ma che si trova ad accogliere, con tutti i drammi che ne conseguono, Maria che e’ la moglie di un killer camorrista che vuole sfuggire al ‘sistema’ della sua famiglia.

In SICILIAN GHOST STORY di Antonio Piazza e Fabio Grassadonia (Semaine de la critique) c’è Luna (Julia Jedlikowska polacco-palermitana), una ragazzina testarda che lotta nel paese dell’omertà perchè il suo compagno di classe Giuseppe (Gaetano Fernandez del quartiere Zisa di Palermo) di cui è innamorata è scomparso e nessuno lo cerca neppure la polizia, è figlio del pentito ed è meglio non parlarne (è l’atroce storia di Giuseppe Di Matteo il bambino sciolto nell’acido dai corleonesi di Brusca e il film sotto forma di fiaba ha il valore di ricordarcela).

C’è Agnese (Selene Caramazza) di CUORI PURI esordio di Roberto De Paolis (Quinzaine) che a 18 anni è sotto lo scacco della madre che le vorrebbe far prendere il voto di castità e invece perde la verginità dietro ad un ragazzo di borgata che arranca e si arrangia (Simone Liberati). E poi ci sono i bambini, le vittime di tutto, che colpe non hanno ma che da sempre sono a rischio di persecuzione per le colpe dei padri, i figli dei camorristi di Scampia e dei mafiosi di Altofonte oppure i rom di A CIAMBRA di Jonas Carpignano (Quinzaine), che vivono da sempre a Gioia Tauro in Calabria e che il regista per dare maggiore verità ha preso proprio nella loro comunità. Sullo sfondo, ma alla fine protagoniste più degli attori, ci sono le periferie, i territori dove i conflitti sociali diventano aspri, dove la guerra è tra poveri, dove legalità e illegalità si fronteggiano anche nelle piccole spicciole cose e dove il razzismo contro profughi, rom e migranti può diventare necessità.

Unica eccezione a quest’Italia brutta sporca e cattiva che va a Cannes è DOPO LA GUERRA, il film di Annarita Zambrano (Un Certain Regard) che racconta un dramma familiare all’interno di una famiglia borghese lacerata dalla violenza degli anni ’70, tra fuoriusciti accolti dalla Francia e parenti in Italia costretti a fare le spese della giustizia. Con Giuseppe Battiston, Barbora Bobulova, Charlotte Cetaire e Jean Marc Barr nel cast.

Per il glamour invece schieriamo il top, la madrina Monica Bellucci, sempre più internazionale mentre un pezzo illustre di storia del cinema come Claudia Cardinale danza sui tetti di Roma nell’immagine ufficiale del festival. Nell’edizione monstre, il 70/mo (17-28 maggio) nessun film italiano e’ in gara per la Palma d’Oro e la mappa tricolore si compone di 6 film in tutto.

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Bando alle periferie: il progetto del Comune di Milano per la rigenerazione urbana

Palazzo Marino lancia un avviso pubblico per i quartieri periferici della città. La riqualificazione passerà dalla valorizzazione del tessuto sociale.
Il Comune di Milano ha lanciato “Bando alle periferie”, avviso pubblico per l’erogazione di contributi destinati a progetti a sostegno della rigenerazione urbana nell’ambito delle periferie del capoluogo lombardo.

Lo scopo del bando è quello di intervenire sui quartieri periferici della città non solo riqualificandoli dal punto di vista estetico, ma cercando di rivalorizzare il loro tessuto sociale, rendendoli luoghi più vitali, solidali, aperti alle diversità e alle contaminazioni reciproche di culture, stili ed opportunità sociali. La sfida, quindi, è quella di superare l’idea di periferia come luogo di degrado fisico degli spazi pubblici e privati, mancanza di connessioni, percezione di insicurezza, mancata integrazione sociale, squilibri demografici, carenza di legami di comunità, ecc.

Chiunque volesse presentare la sua proposta ha tempo fino al 5 giugno 2017 per far pervenire la sua proposte alla Direzione Periferie del Comune di Milano.

I contenuti del bando

L’iniziativa mette a disposizione 540 mila euro per sostenere le proposte di associazioni di volontariato, fondazioni, associazioni di promozione sociale, associazioni sportive, associazioni culturali e tutti coloro che hanno a cuore il miglioramento della qualità della vita nei quartieri periferici milanesi. Il bando prevede però che l’iniziativa dovrà essere cofinanziata per almeno il 10% dall’associazione che la propone. Inoltre, tutti i progetti dovranno essere portati a termine entro e non oltre il 31 dicembre 2017.

Le aree cui dovranno essere destinate le risorse sono: Giambellino-Lorenteggio, Adriano-Padova-Rizzoli, Corvetto-Chiaravalle-Porto di Mare, Niguarda-Bovisa, QT8-Gallaratese. Gli interventi ammissibili sono svariati: si possono proporre iniziative culturali, sportive, educative, formative e più in generale di animazione territoriale, fino a progetti che prevedono percorsi volti allo sviluppo di organizzazioni di comunità e al rafforzamento delle reti sociali. Come è possibile leggere dal bando, in questi casi dovrà essere data particolare attenzione all’inclusione di quei gruppi sociali tradizionalmente poco inclusi nella vita pubblica, sociale ed economica della città.

Per conoscere in maniera più approfondita i criteri di valutazione e i restanti contenuti del bando, vi rimandiamo a questo indirizzo internet. Al suo interno, oltre che scaricare il bando, sarà possibile presentare il proprio progetto.

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Bando alle periferie – AVVISO PUBBLICO MILANO




Torpignattara compie 90 anni e festeggia con l’arte di strada

Il quartiere popolare più multietnico di Roma è al centro di una vera e propria rinascita artistico-culturale.
A Torpignattara, o meglio, a Torpigna, volendo usare lo slang romano, i rumori si confondono tra loro fino a diventare dei suoni, quelle che possono sembrare ombre sono spesso luci particolari, l’italiano si mescola con il cinese e il bengali, con il polacco e il rumeno, con il senegalese e il portoghese, creando una lingua che ha un ritmo a sé, unica come è unico questo posto della Capitale. Siamo nel quinto Municipio, in un’area popolare incastonata tra l’Acquedotto Alessandrino e la Prenestina sempre più vivace ed interessante (è attaccata al già “gentrificato” Pigneto), facilmente raggiungibile da piazza di Porta Maggiore con il pittoresco trenino bianco e giallo della linea Roma-Centocelle oppure percorrendo in auto la via Casilina.

Negli ultimi anni, la rinascita del quartiere è cominciata proprio in quelle sue vie principali dove, tra casette basse e palazzoni, il fischio del treno, i clacson delle auto e diverse insegne al neon, spesso color fluo, è facile trovare un negozio di frutta e verdura (con nomi come “Gram Bangla”, con la ‘m’ al posto della ‘n’), ristoranti etnici accanto a trattorie romane che sono qui più o meno da quando venne costruito (esattamente novant’anni fa), ma anche saloni di bellezza e subito dopo un tempio induista e una moschea, supermercati aperti ventiquattro ore su ventiquattro e persino un McDonald, uno dei più frequentati di Roma.

“Da quando è stato aperto, è diventato un ritrovo ‘elegante’ sui generis per tutte le comunità della zona”, ci spiega Simone Marchesi, bolognese di nascita, ma residente a Tor Pignattara da quasi quindici anni, esperto di Politiche Pubbliche d’investimento nonché vice presidente dell’Associazione culturale “Alice nel Paese della Marranella”. “La presenza di un Mc è di per sé banale, ma qui assume inattesi significati”, aggiunge. “Il quartiere cambia e migliora ogni giorno di più, sono tante le persone che decidono di venirci a vivere perché qui, in una maniera tutta speciale, si vive bene”.

È lui la nostra “guida speciale” per un giorno tra le strade di Torpigna, che inizia proprio da quella via della Marranella che sono in molti – da queste parti – a chiamare “la Banglanella”, la via che sabato prossimo, 20 maggio, si trasformerà, per il terzo anno consecutivo, in un grande spazio aperto dedicato alle arti figurative, performative e di strada. “Sarà un vero e proprio viaggio alla scoperta delle meraviglie di questo quartiere, per troppo tempo guardato con sospetto dai romani e ignorato dai non romani”, aggiunge Simone, dopo aver superato il Bar Latteria Italia, rimasto così come appariva negli anni Cinquanta. “La festa di Alice, che avrà come tema portante la bellezza della diversità, sarà anche stavolta un evento d’arte e di riqualificazione del tessuto urbano e sociale” e – tiene a precisarci – “rappresenta un’importante occasione per la valorizzazione del carattere multietnico e meticcio del quartiere”.

La valorizzazione e i cambiamenti sono evidenti in Largo Perestrello, la piazza del mercato, che per l’occasione si è rifatta il look proprio grazie ai membri di quell’associazione culturale (e a quelli di Retake Roma, specializzata nella riqualificazione e pulizia degli spazi pubblici cittadini) che, insieme, sono riusciti a darle una nuova bellezza ridipingendo le saracinesche dei chioschi dove, proprio nella giornata del 20 maggio, saranno montate le fotografie dell’artista Sara Camilli per una mostra en plein air promossa dal Goethe-Institut.

A proposito di pitture e quant’altro, vera attrattiva del posto, tra le tante altre cose, sono i meravigliosi murales di Torpignattara, tantissimi e spesso di grandi dimensioni, siti in ogni angolo o muro del quartiere. I primi vennero realizzati nel 2008, quando venne aperta la Wunderkammern Gallery (è al numero 124 di via Gabrio Serbelloni), un ex deposito di frutta, oggi punto di riferimento per street e urban art di alto livello (è diretta da Dorothy de Rubeis, Giuseppe Ottavianelli e Giuseppe Pizzuto) con sede anche a Milano.

I più belli sono sicuramente quelli di Nicola Verlato, pittore vicentino, che li ha realizzati in Via Galeazzo Alessi, al civico 215, un omaggio particolare al poeta e scrittore Pier Paolo Pasolini che qui ambientò parte dei suoi romanzi. Pasolini lo ritroviamo anche in via dell’Acqua Bullicante, sulla facciata esterna dello Spazio Impero (l’ex Cinema Impero), oggi sede della STAP Brancaccio, la scuola di Teatro e di Arti Performative – accanto a quelli dedicati a Ettore Scola e Anna Magnani realizzati David Diavù Vecchiato, fondatore di MURo, il museo di Urban art del Quadraro. Degni di nota sono anche quelli del francese Jef Aérosol, quasi sempre in bianco e nero su sfondo colorato, dove figure umane si accompagnano a farfalle o ad altri animali fantastici.

“La scuola elementare Carlo Pisacane (sempre in via dell’Acqua Bullicante, ndr) è nota per essere una delle più multietniche d’Italia” ci ricorda Simone, “ed è un ottimo esempio di integrazione culturale”. Si deve proprio ai genitori di quella scuola e alla loro associazione, l’Associazione Pisacane 0-11, la seconda edizione di ‘Taste the World’ (in programma dal 2 giugno prossimo), un evento che esalta il gusto delle differenze e supera le barriere con dieci cucine da dieci diverse nazioni, con musica dai quattro angoli della terra, laboratori, mercatini e incontri. Dal 6 giugno, ci sarà poi la nuova edizione del Karawan Fest, un festival di cinema nomade che porterà lo schermo direttamente nei luoghi comuni dove i cittadini di Torpignattara intessono rapporti e relazioni per riaffermare l’esigenza dell’incontro e del superamento degli stereotipi.

Di recente, in quella che a tutti gli effetti è la micro area più suggestiva del quartiere, la Certosa, si è tenuta una grande festa in ricordo di Ciro Principessa, il giovane operaio che la sera del 19 aprile del 1979 venne accoltellato da un neofascista (Claudio Minetti, legato al famigerato Stefano Delle Chiaie), sui gradini della sezione del PCI in via Torpignattara. Tra gli organizzatori c’è Vincenzo Libonati, sceneggiatore e scrittore di origine lucane (il suo ultimo libro si intitola “Millemari” ed è pubblicato da Lepisma Edizioni), proprietario di un posto davvero speciale che non potete non visitare una volta che sarete da queste parti.

È il bar-libreria “Shakespeare and Co”, che proprio sull’esempio della storica ed omonima libreria parigina a due passi da Nôtre-Dame, riesce a coinvolgere persone appassionate di letture di qualità facendo sorseggiare un buon vino a prezzi accessibili, un tè o un caffè con un piacevole sottofondo musicale. La trovate in via dei Savorgnan, una via nascosta ai più e lontana dal traffico e dal caos della Casilina, un vero e proprio mondo a sé con case dai colori pastello, fiori e aiuole con quell’aria un po’ délabré che è tutto fuorché costruita, un villaggio dove tutti si conoscono e dove la gente ti saluta anche se non ti conosce, come se ti incontrasse in un ascensore o nella sala d’attesa di un medico.

“Questo locale, in realtà, è nato al Pigneto, ma tre anni fa ho deciso di spostarlo qui, ed è proprio qui che ho deciso anche di venire a vivere”, ci spiega Libonati davanti ad una birra ghiacciata, seduto sul piccolo tavolino in legno che è poi il suo “ufficio” speciale sul marciapiede. Dentro, clienti abituali bevono vino vicino ad un biliardino posizionato sotto due bici appese al soffitto, mentre nel piccolo ed incantevole giardino, sciarpe, magliette, cappelli e altri oggetti dimenticati da alcuni clienti sbadati (c’è persino un reggiseno!) vanno a formare un’installazione tra piante ad alto fusto.

Prima di andare via, andiamo da “Betto e Mary” (sempre in via dei Savorgnan, ma al numero 99), la storica trattoria romana che vanta tra le sue specialità, la coda alla vaccinara, la coda di vacca, la trippa, il cuore, gli intestini di agnello, le animelle e i testicoli di toro. Lì è impossibile spendere più di quindici euro e le cravatte sono da lasciare all’ingresso. Diverso ambiente, ma sempre molto accogliente, da “Fatti di Farina”, forno, bar e ristorante al numero 245 della vicinissima via Alessi, di proprietà del pugile-fornaio Emanuele Della Rosa e di suo fratello Enrico, in società con il giornalista sportivo Stefano Piccheri.

Sul far della sera, quando le luci e i rumori si confondono ancora con i suoni e le ombre non proprio in quest’ordine, notiamo un foglietto appeso a un albero per strada con la scritta “il meglio deve ancora venire”, una frase può che essere solo di buon auspicio per questi posti e per l’intero quartiere che è tutto da scoprire e da conoscere se non ci siete mai stati, uno di quelli dove la bellezza – citando Peppino Impastato – dimostra di poter essere un’arma perfetta contro la rassegnazione, la paura e l’omertà.

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Rapporto sullo stato sociale 2017

Lunedì 15 maggio 2017, presso l’Edificio di Economia, si è tenuta la presentazione del “Rapporto sullo stato sociale 2017”, giunto alla sua dodicesima edizione. La presentazione del Rapporto, curato da Felice Roberto Pizzuti del Dipartimento di Economia e diritto con il sostegno del Master di Economia pubblica e il contributo di studiosi ed esperti esterni, rappresenta un appuntamento stabile di dibattito proposto dalla Sapienza sulle problematiche del welfare state nel contesto economico-sociale. Le questioni affrontate nel Rapporto di quest’anno riguardano la natura della “grande recessione” iniziata nel 2007-2008, le sue connessioni con l’ipotesi di una “stagnazione secolare”, la riduzione della dinamica della produttività, le proposte di decentramento contrattuale dei salari e i ruoli che possono essere affidati all’intervento pubblico e al welfare state per superare la crisi. Il Rapporto approfondisce le tematiche specifiche dello stato sociale in Italia e più in generale in Europa, le tendenze demografiche e migratorie, le politiche economico-sociali seguite dai responsabili dell’Unione europea e da quelli nazionali. In particolare, verranno analizzate le ultime riforme, le proposte e le tendenze nel mercato del lavoro, il sistema previdenziale pubblico e privato, il reddito minimo garantito, l’istruzione scolastica e universitaria, il sistema sanitario, gli ammortizzatori sociali e l’assistenza.

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Rapporto stato sociale 2017 Estratto




Periferie: il ‘Produci, consuma, crepa’ che nessuna campagna elettorale riscatterà

L’asfalto brucia sulle ginocchia dei bambini, il campetto da pallone con le porte senza reti, l’erba alta dentro cui nascondere l’immaginazione. La domenica un deserto, l’estate calda, i cui colori esplodono nella biancheria e nelle magliette appese ai palazzi. Grandi festoni di un compleanno mai festeggiato. L’idea del mare, dentro una conca di plastica verde. Alti muri, invalicabili, scale lunghe e articolate. Un gruppo di ragazzini gioca a picchiarsi.

Si picchiano per davvero, ma fanno finta di divertirsi. Ci si arrampica su un palo, una ringhiera per le capriole. E bar. Decine di bar e baretti, aggregazione a pagamento, noia e passatempo, le ore che scorrono senza un senso, cumuli di sigarette bruciate come metafora di ciò che sei. Slot machine, blister di psicofarmaci, buste di plastica, bottigliette; qualcuno all’angolo aspetta, piede e schiena al muro. Scuole sovraffollate, maestre in difficoltà, le mense e i suoi panini come soluzione all’inadeguatezza del sistema.

Diseguaglianze. Prepotenze. Porte chiuse dalla paura. Persiane rotte e porte buttate giù con un calcio, così come comanda l’istinto, perché una casa popolare del Comune non può essere lasciata lì a marcire. Porte sigillate con il cemento, nel degrado dell’abbandono. Spaccio. “Oggi il fumo non c’è, ma ho l’eroina”. Stagnola o siringa? La cocaina è venduta già pronta da basare, bottigliette di plastica con una cannuccia improvvisata, l’acqua a un terzo, e la stagnola bucherellata. Un foro dietro, per sfiatare, dello stesso diametro di una sigaretta dai mille usi insospettabili.

Brucia il tempo, bruciano le emozioni, la realtà si siede su un gradino e sembra di poterla schiacciare con qualche tiro. La testa rimbomba. Le orecchie fischiano, la musica non arriva mai fino a lì. Chiudi gli occhi. Il mondo è tuo e lo accartocci tra le dita. Un bel respiro. Tutto passa. Il risveglio che diventa inaccettabile. Il mercato due volte a settimana, pantofole di spugna, mestoli e scolapasta, plastica trasparente senza riflesso; cataste di maglie sgualcite, l’umido, il soppresso, mani che toccano e frugano, lanciano, contrattano. Non è ciò che voglio, ma è ciò che è alla mia portata. Non ho ambizioni, ma fantasie. Non ho bisogno di sognare, ma di soddisfare dei bisogni.

Un balcone al nono piano di un palazzone scrostato. C’è una bambina, guarda giù, la faccia piantata tra le sbarre della ringhiera verde. Gli occhi ci entrano entrambi. La bocca chiusa, tra le guance spinte di lato, sembra sorridere ma è solo un effetto, e pronuncia dentro di sé tutto ciò che ascolta e vede, senza elaborarlo mai. I soldi che mancano, i litigi incomprensibili degli adulti, la battuta sul suo sedere acerbo di qualche giorno prima, il suo seno che crescerà come quello di sua madre. “Presa!“, è solo un gioco, nascondino tra le macchine, il topo tira su la testa dal buco e si rintana. Presa. Le mani stringono il ferro freddo di quella ringhiera, sul viso i segni per non esser riuscita a infilare tutta la testa. Così, per guardare un po’ più in là, capire cosa c’è dietro, dentro, più avanti. Perché.

Le periferie. Queste entità astratte di cui tutti parlano riempiendosi la bocca e l’ego, fulcro fittizio e strumentale di campagne elettorali. Ora, chiunque riesca a restituire un motivo a quella bambina, per fare tutto ciò che si deve, per fare tutto ciò che è giusto, per fare tutto ciò che è bene, e normale. Chiunque abbia il coraggio di parlarci, e chiederle cosa le manca davvero, allora sarà credibile.

“Tutto il resto è noia”, come cantava Franco Califano. È l’inutilità della parola contro la potenza del contatto, dell’esserci, del vivere l’inadeguatezza e il silenzio sulla propria pelle. Il tempo infinito che non sa rivelare lo scorcio del cambiamento. “Produci, consuma, crepa. Sbattiti, fatti, crepa”. Chiunque abbia la capacità di ribaltare questo concetto nella testa di quella bambina, dandole input, strumenti di riscatto, e segnali concreti di speranza, non dovrà fare nient’altro. Ci penserà lei, e questo è ciò che sarebbe davvero necessario.

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Tra il degrado e la borghesia così Scampia prova a risorgere

Siamo andati in una delle periferie più famose d’Italia. Dove bene e male si confrontano ogni giorno.
Scampia è come un mosaico multiforme di grande raffinatezza in cui ogni tassello è finemente lavorato. Ciascun frammento è diverso, ma tutti insieme creano un lavoro molto complesso e a volte enigmatico. Potrebbe essere un’opera d’arte di un’antica cattedrale in cui si rappresentano il bene e il male.
Una di quelle in cui si vedono le anime dell’inferno, del purgatorio e del paradiso. In cui le anime sono contese tra la luce e il buio fino dall’adolescenza.

Scampia, fino a poco tempo fa, gareggiava con San Pietro a Patierno, per il triste primato di zona con la natalità più alta e il tasso più elevato di abbandono scolastico e disoccupazione in Europa. Un quartiere in cui le istituzioni sono state storicamente presente a correnti alterne e in cui la criminalità è invece ben radicata.
I cliché da sfatare

Ma vi sono alcuni cliché che vanno infranti. Il primo è che Scampia sia una periferia abusiva. Non lo è affatto, anzi è piena di spazi verdi ed edifici pianificati da grandi architetti (guarda le foto). Il quartiere fu pensato tra gli anni settanta e ottanta come modello di periferia ideale. Le Vele, come lo Zen a Palermo e il Corviale a Roma, furono costruiti in un momento storico in cui architetti, politici e sociologi pensavano che inurbare persone che provenivano dalle campagne o dai rioni popolari del centro, in enormi condomini con migliaia di abitazioni, fosse un grande passo verso la modernità. In realtà, come bene aveva intuito Pier Paolo Pasolini, che pur non vide mai le Vele, togliere queste persone da contesti che avevano una storia secolare, per metterli in realtà fredde e pianificate, si dimostrò un disastro. I quartieri popolari erano poveri, ma avevano reti sociali e culturali che proteggevano le persone. Nelle nuove periferie queste scomparvero e lo Stato non seppe costruirne di nuove. Questo vuoto ha finito per rafforzare la criminalità organizzata.
Nel quartiere esiste poi una certa separazione tra chi vive nelle case popolari e chi comprò casa negli anni ottanta attratto dall’idea di vivere nella nuova periferia verde di Napoli.

Il secondo cliché da sfatare su Scampia è che non si possa girare a piedi da turista nel quartiere. Scampia è oggi una zona relativamente sicura per i forestieri. È anzi piena di realtà interessanti da scoprire. Ha più di duecento associazioni che lavorano nel sociale, cattoliche come laiche ed è pieno di opere di street art. Da anni ospita anche uno dei carnevali più interessanti di Napoli, organizzato da Gridas.
Il muro che separa le periferie dal centro

La maggioranza delle persone non ha alcun contatto con la criminalità, ma ne sono vittime due volte. La prima perché sono comunque soggiogate dalla violenza della camorra o dai suoi soldi. La seconda perché sono comunque schiacciate dalla fama oscura che la criminalità ha dato al quartiere. La stessa Napoli bene, che si proclama aperta, in realtà sembra esserlo con tutti tranne che con le sue periferie. La tangenziale che separa il centro storico o i quartieri ricchi di Napoli come il Vomero dalle periferie sembra essere un muro. Napoli finisce lì. Dall’altro lato ci sono i leoni. Scampia è praticamente sulla stessa via di piazza del Plebiscito, ma nessuno se ne rende conto. Da via Toledo fino all’inizio di Scampia vi è un rettilineo di poco più di sette chilometri. La via cambia nome, sale una collina e ridiscende, ma sempre dritta è. Eppure se si dice a un napoletano che viale Miano è sulla stessa strada di via Toledo nessuno lo sa. Gli unici che ti dicono di saperlo sono quelli che confessano ridendo che ci andavano a comprare il fumo e che conoscono bene la strada. Questo isolamento è forse uno dei drammi del quartiere e la questione che il mondo dell’associazionismo sta tentando, con sensibilità differenti, di rompere.

L’altro muro da infrangere è quello del garantismo a senso alternato. La criminalità grazie allo spaccio di cocaina, eroina e droghe leggere ha sommerso il quartiere di contanti. Si può frequentare un liceo, lavorare al mercato o guadagnare 200 euro in un’ora facendo da “palo” agli spacciatori. Se poi si finisce in carcere, la camorra stipendia le famiglie e i criminali. L’economia reale è poi schiacciata dalle attività con cui la criminalità ricicla i soldi. Bar o negozi che non hanno nessun bisogno di guadagnare e che quindi hanno molto personale e prezzi concorrenziali. Il risultato è che le altre attività devono chiudere. Sono molte le persone che sono cadute nella rete, ma se si butta la chiave della cella lo Stato ha perso. Con questi ragazzini bisogna pur parlare se si vuole contendere la loro anima alla criminalità. Certo in alcuni casi si fallirà e torneranno in carcere, ma il quartiere è pieno di storie vincenti di figli di boss che hanno cambiato vita e oggi sono impegnati nel sociale. Se invece si continuerà a condannare le persone solo per il cognome, senza guardare se la loro vita è cambiata o meno, allora lo Stato ha perso in partenza.
La criminalità

La criminalità organizzata rimane un problema ed è sempre più ricca. Secondo la Direzione Investigativa Antimafia a Miano, Piscinola, Masseria Cardone, Scampia e Secondigliano “sarebbero in atto delle modifiche agli assetti criminali, in parte determinate dalla destabilizzazione del gruppo lo Russo. Non accenna poi a diminuire l’operatività del clan Di Lauro, che può contare sulla guida dei componenti della stessa famiglia, liberi o latitanti, e sulle ingenti risorse economiche accumulate negli anni, soprattutto dalla gestione della vendita di stupefacenti a Scampia. L’altro gruppo locale, il clan Vanella Grassi, in passato scontratosi con i Di Lauro, rimane punto di riferimento nell’area napoletana per quanto concerne il traffico di stupefacenti, sebbene sia stato colpito da arresti di elementi apicali e di numerosi affiliati”.

Se si vuole sconfiggere la criminalità, oltre che intaccare il mercato della droga con cui si finanzia, bisogna riappropriarsi degli spazi che ha strappato allo Stato. Conoscere Scampia e il suo splendido popolo è il primo passo da fare.

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Così cambieremo l’immagine di Scampia

De Magistris, audizione alla Camera.
La Commissione parlamentare di inchiesta sulle Periferie ha svolto un’audizione al sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, trasmessa in diretta dalla webtv della Camera dei Deputati.

«Siamo in condizione entro l’estate di cantierizzare e probabilmente abbattere entro l’estate la prima vela di Scampia», ha detto de Magistris nel corso dell’audizione. «Abbatteremo tre vele su quattro a Scampia e quella che resterà in piedi diventerà sede di uffici istituzionali: Scampia, periferia, diventa centro e centro della Città Metropolitana», ha aggiunto.

De Magistris, parlando del progetto Restart periferie ha detto che «prevede anche una rigenerazione urbana ed è un progetto di grande valenza sociale che porta anche la firma dell’Università di Napoli Federico II e del Comitato Vele. È questo il nostro modo di intendere l’amministrazione pubblica: al centro ci sono i cittadini e questo progetto ha un valore nazionale e oserei dire internazionale per l’immagine delle Vele che c’è oggi nel mondo».

«L’audizione del sindaco de Magistris conferma che Napoli è un laboratorio interessante sul tema delle periferie. Sicuramente la riqualificazione del quartiere delle Vele di Scampia è un modello e ha una portata nazionale, ma è interessante l’attenzione complessiva alla riqualificazione delle periferie che è stata messa al centro dell’azione amministrativa», ha detto Andrea Causin, presidente della commissione parlamentare di inchiesta sulle periferie.

«Dall’audizione sono emersi degli spunti interessanti di cui è necessario tenere conto, soprattutto per quanto riguarda la necessità di mettere mano al sistema dei poteri e dei rapporti tra città metropolitane e regioni» ha spiegato Causin. «Se si vuole investire su una strategia di rigenerazione delle periferie, le città metropolitane devono diventare centrali nelle gestioni di alcune competenze, legate ai servizi alle persone, come il trasporto pubblico e devono diventare centro di attrazione dei fondi europei» ha concluso.

«Stiamo per svuotare la seconda vela, il rischio è che altri vadano ad occupare o che intervenga la criminalità organizzata. Bisogna far presto e abbattere la prima vela entro l’estate anche perché quella struttura non può rimanere a lungo svuotata». Lo ha detto il sindaco di Napoli Luigi de Magistris nell’audizione alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle periferie della camera Il sindaco ha ricordato che a Scampia «interveniamo in un territorio che è difficile e dobbiamo fare in modo che le persone che escono da una Vela possono avere un alloggio popolare, se ne hanno titolo».

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