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Perugia Social Photo Fest 2013

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Perugia Social Photo Fest 2013

Il PERUGIASOCIALPHOTOFEST è il primo festival di fotografia sociale e terapeutica che realizzerà la sua seconda edizione anche grazie al tuo aiuto. Il festival si svolgerà a Perugia dal 15 al 24 novembre 2013, organizzato dall’Associazione LuceGrigia. Il festival sarà allestito presso il CERP – Centro Espositivo della Rocca Paolina e presso alcuni spazi del Centro di Cultura Contemporanea di Palazzo Penna.  Questa seconda edizione nasce dopo l’enorme successo dell’edizione 2012 che si è svolta a Spello presso Villa Fidelia. Un successo decretato dai numerosi visitatori e dalla risonanza sui media locali e nazionali.

Perché il festival?

  • Perché crediamo che nella società attuale  ci sia una profonda esigenza di ricreare una cultura dell’immagine.
  • Perché crediamo che la fotografia sia un mezzo insostituibile per “fare memoria visiva”.
  • Perché la fotografia è indispensabile per comunicare idee e culture di singoli e comunità.
  • Perché la fotografia può ispirare un cambiamento sociale
  • Perché la fotografia può essere uno strumento  di comunicazione, di riattivazione della percezione e di una spinta interiore
  • Perché la fotografia può essere   strumento di inclusione sociale soprattutto in quelle persone che “non hanno voce”

Il festival si sviluppa su due canali distinti: fotografia sociale e fotografia terapeutica.

Fotografia sociale come mezzo capace di coinvolgere l’osservatore in una presa di coscienza su tutto ciò che nella propria società appare come straordinario, anomalo, non comune e che proprio per questo, pur essendo sotto gli occhi di tutti, viene spesso ignorato. Strumento di denuncia e riflessione, di riscatto di identità individuali e collettive, mezzo per dar voce agli “esclusi”

Fotografia terapeutica intesa come mezzo di riattivazione di una spinta interiore personale soprattutto laddove c’è una difficoltà di comunicazione per attivare un processo di autocoscienza e di esplorazione del sé.

Questi i numeri dell’edizione 2012.

  • 28 mostre fotografiche di autori provenienti da tutto il mondo
  • 4 workshop dedicati alla fotografia terapeutica e alla fototerapia
  • 1 conferenza internazionale
  • Oltre 1500 i visitatori provenienti da tutta Europa
  • Ospiti internazionali provenienti da Canada, Inghilterra, Finlandia, Spagna, Russia.
  • Il sottotitolo dell’edizione di quest’anno è DISUMANO dove il prefisso Dis rimanda a concetti come DISuguaglianza, DISfunzione, DISabilità, DISinformazione, DISinteresse, DISobbedire,   etc… il termine Umano vuole invece riportare l’attenzione sul rapporto tra l’io umano e l’umano territorio.
  • Anche per l’edizione 2013 il Festival mostrerà il suo duplice volto della fotografia sociale e della fotografia terapeutica. La definizione del programma e la selezione degli artisti sono  ancora in corso, tuttavia abbiamo alcune importanti conferme come la continuata collaborazione con il collettivo Shoot4Change, Photovoice, il collettivo Synap(see), Erik Messori, il vincitore del World Press Photo Fausto Podavini, Alessandro Imbriaco, Maurizio Gijivoich, e molti altri. 

    Due le novità importanti per quest’anno:

    Progetto “Cosmorama – paesaggi da un mondo plurale”: il coinvolgimento di quattro città italiane (Perugia, Modena, Catania, Pesaro) che saranno impegnate nella in un progetto di fotografia terapeutica indagando la relazione tra “l’uomo e il suo paesaggio”  come l’uno influisca l’altro e come l’uno genera l’altro. L’obiettivo del progetto “Cosmorama” è quindi l’integrazione tra le diverse realtà territoriali e lo scambio di esperienze per favorire la costruzione di una rete che ha come motore comune l’azione e l’integrazione sociale, valorizzando allo steso tempo il territorio e il capitale umano. Il progetto vedrà la realizzazione di una mostra collettiva in occasione del Perugia Social Photo Fest che sarà poi promossa, per tutto il 2014, nelle città coinvolte nel progetto.

    Presentazione in anteprima nazionale dell’edizione italiana del libro di Judy Weiser “PhotoTherapy Techniques: Exploring the Secrets of Personal Snapshots and Family Albums” pubblicato dalla Franco Angeli Ed. Judy Weiser è psicologoa, psicoterapeuta, fondatrice e direttrice del “PhotoTherapy Center” di Vancouver (Canada).

    E ancora workshops, incontri pubblici e una conferenza internazionale sull’uso della fotografia sociale e terapeutica. Il programma è in via di definizione. Il festival è sostenuto dalla Regione Umbria, Provincia di Perugia e Comune di Perugia.

  • A cosa servono i fondi ?

    ADOTTA IL FESTIVAL 

    Abbiamo deciso di organizzare il festival proprio per non soccombere alle drammatiche conseguenze di una crisi globale, che non è solo economica. Crediamo infatti che in un momento storico come questo sia assolutamente importante dimostrare che sia possibile “fare” qualcosa tutti insieme.

    Adotta il  festival. 

    • perché ami l’idea che esista,
    • perché ami la cultura
    • perché sai  che  è un bene di tutti e  in primo luogo un tuo  bene
    • perché ritieni  geniale  che i cittadini possano partecipare per  creare cultura

    e se Adotti il festival 

    • Entri a far parte del network  Quelli del Perugia Social Photo Festival
    • Ne farai parte liberamente  portando dentro le  competenze   che hai
    • Sarai rappresentato dentro il  festival e  sul web (blog o gruppo fb)
    • Sarai informato sulle nostre scelte  e le tue opinioni avranno un peso
    • Il festival avrà bisogno di te. Si  impegna a servirsi delle  tue  competenze professionali se queste sono presenti.
    • Sarai coinvolto, nella prossima edizione, alla realizzazione di un progetto di arte sociale partecipata.

     

    A COSA SERVONO I FONDI 

    Il tuo contributo sarà fondamentale per:

    • comunicazione e promozione: grafica e stampa cataloghi, manifesti, lacandine, gadget
    • media e press: ufficio stampa, video e foro report
    • logistica: allestimenti, mezzi di trasporto ospiti, attrezzature tecniche per le proiezioni
    • ospitalità: viaggi, vitto e alloggio per gli artisti 

    Informazioni sull’autore

    LuceGrigia è un’associazione di promozione sociale che a sede a Perugia. Nasce nel 2010 ma in poco tempo abbiamo promosso progetti che hanno avuto un riscontro a livello nazionale e internazionale. Il nostro scopo è quello di promuovere e realizzare progetti di solidarietà sociale per diffondere la cultura come strumento di inclusione sociale, con particolar attenzione alla fotografia.




Eur, tra il Velodromo e Tor di Valle. Roma sceglie il suo modello

 

Il quadrante sud-est di Roma è in movimento. Lo è ormai da alcuni anni. Nuove e vecchie architetture al centro di un progetto di città che prevede l’incremento dei servizi, l’implementazione di luoghi capaci di attirare l’attenzione. Definiti e in via di definizione come le torri di Purini-Thermes e Studio Transit e la Nuvola di Fuksas.

Peccato che in questa frenetica, a volte scomposta, ricerca di spazi nei quali produrre nuove architetture non sempre l’azione sembra essere stata il naturale esito di un ponderato ragionamento. Anzi, l’impressione che si ha è proprio quella di un colossale e timido sovrapporsi di criticità non affrontate preventivamente. Un’impressione rinsaldata da opere che, lontane dall’essere completate, hanno comportato un radicale stravolgimento dell’area dell’insediamento. Come accaduto per l’ Acquario del Laghetto. Ma anche da interventi che, dopo la fase della dismissione e quindi dell’avvio dell’asportazione di alcune parti, avrebbero dovuto contemplare l’abbattimento e quindi la ricostruzione. Come non si è verificato per le torri di proprietà del Ministero delle Finanze, affacciate su via Cristoforo Colombo. Un progetto firmato da Renzo Piano, avviato nel 2005. Come non differentemente non è accaduto al palazzone occupato dalla Banca Intesa San Paolo, tra viale Rembrandt e via dell’Architettura. Anche questo da anni ridotto a “scheletro”. La precarietà indiziata dall’architettura dismessa, ormai sclerotizzata.

Sfortunatamente non è tutto. Si è fatto molto di peggio. Al Velodromo Olimpico di viale della Tecnica, la struttura progettata da Ligini, Dagoberto Ortensi e Ricci. Inaugurata nel 1960 e scriteriatamente abbattuta nel 2008 per costruire un grande parco acquatico, la “Città dell’acqua”. Un progetto mai partito, targato Eur Spa, sui cui vertici pesa anche l’accusa di disastro colposo per la vicenda dell’implosione della struttura e per l’ipotesi di disastro colposo per amianto.

In compenso sull’area si sarebbero voluti realizzare secondo una delle delibere urbanistiche di Alemanno discusse nell’ultima seduta di giunta, quattro palazzi e due grattacieli. Per buona pace anche dei residenti della zona non se ne è fatto niente. Ma è più che evidente che espletate le eventuali, necessarie, ulteriori, opere di bonifiche, dell’area dell’ex Velodromo bisognerà fare qualcosa. Utilizzarne in maniera propria gli spazi. Magari, se non sarà possibile destinarli a verde pubblico, al potenziamento delle strutture a servizio dell’utenza del municipio.

Da un’architettura abbattuta ad una che potrebbe avere lo stesso destino. L’ippodromo di Tor di Valle di Lafuente, Rebecchini e Virago. Un’opera inserita nella Carta per la Qualità del piano regolatore e compresa nella selezione delle opere di rilevante interesse storico-artistico realizzate dal 1945 in poi.

Al posto delle gradinate dell’opera nelle vicinanze di via del Mare, quelle di uno stadio. Quello della AS Roma, progettato da uno specialista americano, Dan Meis. Il quale sembra volersi ispirare al Colosseo. Se ciò si verificasse davvero sarebbe l’ulteriore occasione persa. Di valorizzare il patrimonio architettonico esistente in nome di operazioni che non possono non definirsi a valenza prevalentemente commerciale. Come d’altra parte indizia in maniera tutt’altro che episodica il fatto che l’area è stata acquistata da Eurnova, una società dei Parnasi, una delle più note famiglie romane di proprietari terrieri-costruttori.

La crisi irreversibile dell’ippica con il conseguente numero progressivamente minore di corse e quindi la recente chiusura dell’impianto, sembra aver decretato la sorte dello storico ippodromo. Forse con troppa nonchalance si è deciso di disfarsi anche di questo pezzo di architettura moderna. Di non interrogarsi se sia possibile un’alternativa alla demolizione. Di ragionare se l’abbattimento sia l’esito scontato e quasi naturale della sua defunzionalizzazione.

È così che Tor di Valle elevandosi dal suo ruolo particolare può diventare un caso generale. Che travalica i confini del municipio e perfino quelli assai più complessi della città. Fino a farsi una vera e propria questione di metodo. Lo sforzo, indubitabilmente poderoso ma utile per costruire città-palinsesto, è quello di ragionare sul fatto che l’abbattimento di un edificio, di un complesso, non può essere considerato sempre ordinaria amministrazione.

L’idea che il centro urbano possa rinnovarsi soltanto attraverso una duplice operazione che preveda prima la cancellazione e poi l’aggiunta, non può essere perseguita in maniera acritica. La città “ferma”, museificata, è un nonsense quando non sia Pompei, Ostia, oppure uno dei centri urbani antichi e tardo-antichi sui quali non ci sia continuità di vita. Allo stesso modo è irrazionale sottrarre, con disinvoltura, alle città edifici importanti che non servono più.

Per queste ragioni, perché l’abbattimento del Velodromo è stato uno scempio architettonico e urbanistico e quello di Tor di Valle lo sarebbe non di meno, l’Eur, addirittura una parte di esso, diventa straordinariamente importante. Anche per capire cosa debba essere Roma. Come la si immagina.

U. Croppi

Huffingtonpost.it




Creative Europe: accordo sul nuovo fondo Ue per la cultura e l’audiovisivo

 Via libera del Coreper, il Comitato dei rappresentanti permanenti dell’Unione europea, al testo di compromesso sul regolamento che istituisce il programma ‘Creative Europe‘, il nuovo strumento comunitario da un miliardo e 462 milioni di euro a sostegno dei settori della cultura e dell’audiovisivo.

A partire dal 2014 Creative Europe riunirà in un unico strumento gli attuali programmi europei dedicati ai settori della creatività, cioè Culture, MEDIA e MEDIA MUNDUS, agevolando l’accesso ai fondi comunitari da parte degli operatori di tutta Europea e l’attuazione dei programmi nei diversi contesti dell’Ue.

Le risorse dovrebbero ammontare a 1,4 miliardi di euro, contro gli 1,8 miliardi proposti inizialmente dalla Commissione europea.

Alle sovvenzioni esistenti si aggiungeranno nuove modalità di concessione dei prestiti a favore delle pmi creative e una misura, la Guarantee Facility, per rafforzare la capacità degli intermediari di intervenire a sostegno delle aziende dei comparti interessati; a gestirla sarà il Fondo europeo degli investimenti e il suo ruolo sarà quello di fornire garanzie alle banche per incentivarle a concedere credito alle piccole e medie imprese creative.

Dopo il via libera del Coreper, la presidenza lituana del Consiglio dell’Unione può ora procedere a formalizzare l’accordo con il Parlamento europeo e una volta conclusa l’intesa tra Consiglio e Pe, la Commissione potrà lavorare alle regole per l’implementazione del programma.




Amicizia, angeli, coccole e primi amori. Il trionfo di Aria è la rivincita delle teen

Chi è Miriam Dubini, milanese di nascita e romana d’adozione, autrice del best seller che sta spopolando tra le ragazzine. “Greta è diversa dal prototipo della quattordicenne che viene propinata abitualmente da fiction, telefilm, dove sembra che tutte le ragazzine sognino di diventare cantanti o ballerine”. Dalle esperienze col circo ad Art Attack, la storia nasce a Corviale e in ogni personaggio c’è un po’ di lei…

I ragazzini di oggi sono ”vivi, vispi, attivi e reattivi, e anche competenti e preparati perché hanno più mezzi per apprendere. Ma sono anche selettivi, diciamo che tendono ad approfondire solo quello che trovano interessante”. Romantica e sgarrupata, una vita in bicicletta.

E’ l’idolo delle adolescenti: i suoi personaggi romantici e solari stanno facendo sognare una nuova generazione di piccole donne che si affaccia alla vita con il cuore che batte per i primi innamoramenti. Le sue storie di amicizia, angeli, dolci abbracci sulla spiaggia e pedali hanno conquistato il cuore di migliaia di ragazzine. Trentasei anni, milanese di nascita, romana d’adozione, occhi scuri vispi e due trecce da bambina, Miriam Dubini è l’autrice della trilogia “Aria”di un vero e proprio best seller tutto italiano, ambientato tra le strade di Corviale che i protagonisti attraversano con le loro biciclette e sulle ali della fantasia.
Laureata in semiotica, ha scritto e recitato per il teatro dei ragazzi, ha collaborato con la Disney, ha creato giochi per Art Attack, ha persino lavorato nel circo. Che esperienza è stata?
“Sono arrivata ad circo grazie al mio maestro dell’Accademia Disney di Milano, mi ha chiesto di sostituirlo per un lavoro e così ho conosciuto Ambra Orfei, una donna straordinaria, dolcissima, una donna che lavora da quando aveva quattro anni. Mi hanno chiesto di collaborare, penso che avrei detto di sì per qualsiasi cifra”.
E cosa faceva in particolare?
“Scrivevo idee e testi per spettacoli aziendali insieme allo staff dei coreografi, dei costumisti, e insieme ad Ambra naturalmente. Un’esperienza bellissima, potevo lavorare con la fantasia e creare situazioni magiche e impensabili”.

Mi racconti di Art Attack
“Ho collaborato per otto anni al mensile, lavoravo ai progetti e li realizzavo. Durante la costruzione veniva scattato il servizio fotografico per illustrare le fasi del lavoro”.
Un oggetto che si ricorda di aver inventato?
“Un pesce con tre occhi, costruito con il caschetto da bicicletta”.
Lei ha scritto libri per bambini e libri per ragazzi: quali sono le differenze nella scrittura, nello stile, nei contenuti?
“Quando scrivo libri per bambini sto attenta soprattutto alla costruzione del pensiero: un pensiero troppo complesso affatica i giovani lettori. Al contrario, una scrittura più complessa penso invece possa essere utile per i ragazzi per aiutarli a fare un salto di ragionamento. Inoltre le frasi complesse sono più appropriate per esprimere quegli stati d’animo che sono propri dell’adolescenza, l’incertezza, il dubbio, la sospensione, l’amore, si prestano a lasciare spazi personali di interpretazione che i ragazzi possono riempire”.
Cosa deve avere una fiaba per essere una fiaba?
“Mentre la favola ha sempre una morale, la fiaba è il racconto di qualcuno che ha capito qualcosa della vita e che vuole raccontarlo a chi ancora non ci ha capito niente”.
Ad esempio?
“Ad esempio Cappuccetto Rosso racconta dei pericoli che si devono affrontare per diventare donna, lascia intendere che esistono uomini cacciatori che possono rappresentare un pericolo o, al contrario, possono essere coloro che completano la vita. Una delle mie fiabe preferite è Hansel e Gretel, la fiaba a cui si ispira Aria”.
Cosa rappresentano per lei i due personaggi?
“Il maschile e il femminile, la madre cattiva rappresenta la minaccia, l’abbandono simboleggia la fase della maturità che sta arrivando, fratello e sorella, maschio e femmina uniscono le forze ed escono dal bosco con un tesoro”.
Come nascono i suoi personaggi?
“Mi vengono a trovare, mi bussano alla porta ed io li scelgo. Quando ho scelto il personaggio lo costruisco guardando la vita attraverso i suoi occhi. I personaggi che ruotano attorno al protagonista nascono attraverso il principio del contrasto”.
Veniamo al personaggio chiave della trilogia Aria, la ragazzina di cui tante adolescenti si sono innamorate: com’è Greta?
“Greta è diversa dal prototipo della quattordicenne che viene propinata abitualmente da fiction, telefilm, dove sembra che tutte le ragazzine sognino di diventare cantanti o ballerine. Un’immagine che non rappresenta la vita vera, evanescente e superficiale anche nei rapporti sentimentali. Greta è una giovane donna che non crede nell’amore ma poi tutto cambia e lei si trasforma”.
Nella trilogia ci sono tre personaggi femminili: Greta, Lucia ed Emma. Chi assomiglia più a Miriam?
“In ognuno di loro c’è qualcosa di me: diciamo che Greta è com’ero io a tredici anni, Lucia come ero a 8 anni, ancora bimba e infinitamente dolce, Emma rappresenta la fase della donna che sboccia, bella e intraprendente, già cosciente che la femminilità oltre ad essere una questione di sensibilità è anche una questione di strategia”.
E Anselmo?
“Beh Anselmo è il ragazzo che tutte sognano, beato chi se lo piglia direi, sfuggente e molto affascinante, misterioso ma solare”.
La storia è ambientata a Roma, ci sono luoghi di riferimento?
“La storia è ambientata nella periferia romana, in particolare a Corviale”.
Perché ha scelto la periferia?
“Perché io sono nata e cresciuta nella zona di via Meda, nella periferia milanese, popolata da persone simili a quelle che vivono a Corviale. E’ un’esperienza della mia vita di cui vado orgogliosa, mi piace pensare e trasmettere l’idea che si può emergere anche se si è cresciuti in quei posti e che conoscere quella realtà aiuta a comprendere le differenze, a capire le debolezze, ad accettare il male. Ma c’è anche un altro motivo direi sociale”.
Quale?
“La volontà di contrastare il modello preponderante proposto dalle fiction in cui tutto è ovattato e perfetto: credo faccia male ai ragazzi che stanno crescendo perché insinua l’idea che essere diversi dal modello proposto sia una loro mancanza, crea necessità finte spesso irraggiungibili che possono generare frustrazioni”.
Come sono gli adolescenti di oggi?
“Vivi, vispi, attivi e reattivi, e anche competenti e preparati perché hanno più mezzi per apprendere. Ma sono anche selettivi, diciamo che tendono ad approfondire solo quello che trovano interessante”.
Nei suoi libri esiste un oggetto simbolo, un leit motiv che rappresenta la libertà, la voglia di volare, il contatto con l’ambiente e la natura: si tratta della biciletta. Lei a quanti anni ha imparato a pedalare?
“Abbastanza tardi, a sei o sette anni, ho iniziato a utilizzare molto la bicicletta durante gli anni delle medie per andare a scuola”.
Quante biciclette ha avuto?
“Direi molte, ma ce ne sono alcune a cui sono rimasta più affezionata: la prima è stata Saltafoss una bici sgangherata recuperata nella casa diroccata di mio zio, a dodici anni è arrivata la prima mountain bike che usavo soprattutto durante le vacanze in montagna, poi c’è stata la bici del periodo universitario, originariamente era rosa ma, poiché è un colore che non sopporto, l’ho dipinta di giallo e ho disegnato dei soli. Successivamente ho adottato uno bici nera che era stata abbandonata, l’avevo chiamata Giuccamatta. Poi è arrivata la mitica Merlina: me l’aveva regalata il fidanzato di allora, avevo all’incirca trentadue anni, ci ero davvero molto affezionata”.
E che fine ha fatto?
“Me l’hanno rubata”.
Davvero? E dove?
“A Roma, a piazza della Repubblica, ero andata a fare una passeggiata a villa Ada, l’avevo legata ad un palo, hanno sfilato il palo e l’hanno portata via”.
Ed è rimasta senza bicicletta?
“Mio fratello me ne ha regalata un’altra, si chiama Irma, che in portoghese significa “sorella” ed è una bici da corsa azzurra”.
Quindi lei ha un fratello?
“E’ tre anni più piccolo di me, è il mio opposto, lui è un ingegnere meccanico, costruisce macchinari per fare le lamiere, è sempre in giro per il mondo”.
Ma lei non utilizza mai l’auto?
“Non ho l’automobile da cinque anni, ho fatto i conti, posso prendere il taxi per duecento euro al mese e risparmiare i soldi per la manutenzione della macchina”.
Non indossa mai i tacchi quindi?
“Al contrario, con i tacchi si va da Dio in bicicletta, certo non con il tacco dodici”.
E’ vero che pedalando le viene l’ispirazione?
“In effetti, quando scrivo e non mi viene l’idea giusta prendo la bici, il movimento, la sua velocità comprensibile mi permette di soffermarmi su quello che mi sta intorno e l’ispirazione arriva quando l’attenzione si appoggia su un dettaglio e si scalda”.
Le piace il nuovo sindaco di Roma in bicicletta?
“Marino arriva in un momento difficilissimo, spero riesca a realizzare le promesse che ha fatto in campagna elettorale, mi piace che vada in bici ma penso che stia caricando di troppi significati questo mezzo di locomozione che invece è l’oggetto più semplice che esiste”.
Che rapporto ha con Roma?
“E’ la città dove ho scelto di vivere, sono a Roma da quattro anni e l’innamoramento non è mai passato”.
Quali sono i progetti per il futuro?
“Nel futuro ci sono ancora libri per ragazzi, ma vorrei capire e affrontare argomenti diversi da quelli che hanno animato Aria”.
Quindi la trilogia è finita?
“Sì, la trilogia si chiude qui”.
La prossima non sarà una storia d’amore?
“Forse sì, forse no. Ci sto pensando”.
Si può vivere scrivendo libri?
“La risposta è sì se l’idea è quella giusta, altrimenti continua l’avventura”.
Da brava scrittrice, mi trovi due aggettivi che la descrivono…
“Li prendo in prestito da una frase della mia editor, la straordinaria Fiammetta Giorgi, che una volta mi ha definito romantica e sgarrupata”.

di Valentina Renzopaoli

da www.affaritaliani.it

http://www.ragazzimondadori.it/libri/aria-la-trilogia-completa

immagini di repertorio




Seminario a Corviale

      




Barucci, l’architetto del Laurentino 38: “Hanno tradito il mio progetto”

Le amare conclusioni dell’architetto Pietro Barucci a 40 anni dalla costruzione del Laurentino, di Corviale e di Vigne Nuove. “Era il contrario del quartiere dormitorio, guidato da degli assistenti sociali specializzati che avrebbero dovuto guidare questa comunità di 1500 persone. Case e servizi costruiti in contemporanea. Ma questo concetto, ispirato ai grandi progetti del Nord Europa, si è sfasciato subito scaricando su di me tutte le responsabilità.

Video pubblicato nell’inchiesta L’oro di Roma su repubblica.it.

Servizio di FRANCESCO ERBANI, riprese di ANNA TERRASSAN

vedi il video




Roma XI, al via il nuovo Consiglio municipale

Prende forma il Parlamentino del Municipio Roma XI, a maggioranza di centrosinistra.

Presiede i lavori dell’aula consiliare di via Mazzacurati al Corviale Emanuela Mino (Lista civica), affiancata dai vicepresidenti Antonino Panarello (PD, con funzioni di vicario) e Luigi Di Bella (PDL). I consiglieri hanno un’età media di 46 anni e sono per i 2/3 delle new entries rispetto alla passata consiliatura.

La maggioranza (PD, Lista civica, SEL) dispone di 16 consiglieri su 25 – tre in più del necessario -, che consentono sulla carta di deliberare agevolmente.

Sono iscritti al gruppo del PD 11 consiglieri: Gianluca Lanzi (capogruppo), Giulia Fainella, Vincenzo Crea, Ermanno Pascucci, Rosella Coltorti, Fabio Fadda, Angelo Vastola, Gaetano Cellamare e Antonino Cascio Gioia (quest’ultimo al posto della neo-assessore Marzia Colonna), più il presidente del Municipio Maurizio Veloccia ed il vicepresidente del Consiglio Antonino Panarello. Altri tre consiglieri sono iscritti alla Lista Civica: Claudio Barocci, Giuseppe Paloni e la presidente del Consiglio Emanuela Mino. Due consiglieri compongono infine il gruppo di SEL: Alberto Belloni (capogruppo) e Alfredo Toppi. Il documento di programma della coalizione è stato presentato lo scorso giovedì, e approvato in Aula con i 16 voti della maggioranza.

Più frammentario il quadro dei tre schieramenti di opposizione – Centrodestra, Grillini e Marchini -, 9 consiglieri in tutto.

Il Centrodestra schiera tre gruppi consiliari: il PDL con i suoi 4 rappresentanti Marco Palma (capogruppo), Daniele Calzetta, Rosella Paniconi e il vicepresidente del Consiglio Luigi Di Bella;Fratelli d’Italia con l’unico consigliere Valerio Garipoli e il Gruppo Misto, di cui fa parte il candidato mini-sindaco Francesco Smedile. Alla votazione sul documento di programma, che equivale ad un voto di fiducia, i tre gruppi hanno dato voto contrario, lasciando intendere di non voler far sconti alla maggioranza. Severo il giudizio del capogruppo PDL Palma: «Troppo generico, un po’ scopiazzato e limitato negli obiettivi: manca di personalità, così non si va lontano». Garipoli (FDI) analizza: «Bene gli strumenti d’indirizzo e controllo sui contratti di servizio, il codice etico degli eletti, la lotta ad abusivismo e illegalità, la riqualificazione della Valle Galeria, gli empori della solidarietà e i progetti ROAD e PICA. Male, per mancanza di fondi o velleità, il progetto per la Metro D e il prolungamento del tram 8 a Marconi, la non perfezionata Consulta dei Migranti, i progetti su immigrazione e Comunità Rom, le disparità nel recuperare gli spazi in disuso».

Linea di contrarietà anche quella espressa dal gruppo consiliare del Movimento 5 stelle, composto dal candidato mini-sindaco Alessio Marini (capogruppo) e Marco Realacci. «Peccato: molte idee sono le nostre e quindi buone – spiega Marini -, ma non si può accettare un documento così contraddittorio e onnicomprensivo da risultare una delega in bianco. Benché le linee programmatiche siano state infarcite di idee di stampo grillino, il risultato non è affatto simile al nostro programma: non c’è coerenza, sullo sfondo manca il piano. Non si sa da dove partire e con quali mezzi».

Prudente apertura di credito verso la maggioranza è invece la linea di Romantino De Luca, unico consigliere della Lista Marchini, che alla votazione sul programma ha preferito l’astensione al voto contrario. Attende la maggioranza alla prova dei fatti.




C’era una volta un bel paese

La chiusura di un antico negozio di provincia e un incontro per festeggiare la lunga carriera di un uomo di cinema: perché mai un giornale dovrebbe occuparsi di fatti del genere se non nelle cronache minori? È vero, ma forse la condizione di un Paese la si intende meglio proprio dai fatti all’apparenza minori. Dove la realtà appare più vera e colpisce più immediatamente magari perché capita, come in questo caso a chi scrive, di esserle stati in qualche modo vicino.

Entrambi i fatti di cui voglio dire hanno per teatro l’Umbria. A Perugia (una città che conosco bene per averci insegnato a lungo) ha appena chiuso i battenti – per le ragioni solite: un centro storico ormai semideserto, il costo del lavoro troppo alto, un livello qualitativo che ormai è richiesto da un sempre minor numero di clienti – un’antica pasticceria, la pasticceria «Sandri». Come altri negozi del suo genere sparsi qua e là nella Penisola, era stata fondata da un cittadino svizzero subito dopo l’Unità, e, rimasta a tutt’oggi di proprietà di una famiglia d’Oltralpe, ancora esibiva nel grazioso affresco ottocentesco che ornava in alto le sue pareti la croce bianca in campo rosso della Confederazione.
Dal punto di vista dell’arte dolciaria e gastronomica era un luogo di «eccellenze», come si dice oggi. Assai più contava però il suo essere da sempre punto d’incontro e di ritrovo dell’élite cittadina; ma non solo: con il tempo, infatti, «Sandri» era divenuto un luogo di autoriconoscimento dell’intera comunità, un luogo della sua identità.

Più o meno nei medesimi giorni e a poche decine di chilometri – ecco il secondo fatto «minore» di cui dicevo all’inizio – il Festival di Spoleto ha festeggiato Enrico Medioli, uno dei più importanti scrittori del nostro cinema (e poi anche della televisione): sceneggiatore di film memorabili, in specie di Visconti, che restano tra le glorie artistiche di questo Paese: Rocco e i suoi fratelli , Il Gattopardo , La caduta degli dei . È stato festeggiato con la proiezione di un documentario che ne ha ripercorso la carriera. Nel buio del piccolo teatro rivisse così quella mattina, attraverso alcune immagini delle opere ricordate sopra, attraverso i ricordi intrisi d’intelligenza e d’ironia dello stesso Medioli e di tanti che avevano lavorato con lui, una grande pagina della storia culturale italiana. Quella del nostro cinema dei decenni postbellici: con la sua passione e il suo amore per le cose e la storia del Paese ma anche con la sua conoscenza delle cose e della storia del mondo; con la qualità artistica dei suoi uomini e delle sue donne; con il gusto e la suprema abilità artigiana dei suoi costumisti, arredatori, sarti, scenografi.
Ma che ne è oggi di tutto questo? Dov’è andata a finire l’Italia della pasticceria «Sandri» o quella in cui Visconti girava i suoi film? La risposta ha un tono inevitabile d’angoscia: svanisce, e già ne stiamo quasi perdendo il ricordo. Svanisce l’Italia delle cento città, l’antica, degna Italia provinciale insieme ai luoghi simbolici della sua socialità. Stravolta, come a Perugia e in mille altri luoghi, da politiche urbane demenziali, dall’arroganza distruttrice di una «gente nova» quasi sempre di origine politica o alla politica in mille modi collegata, abbandonata da una borghesia incolta e indifferente. Ma insieme a lei svanisce anche l’Italia moderna del Novecento, e agonizza quella cultura – il cinema, appunto – che per antonomasia ne accompagnò la straordinaria ascesa. Marghera, Mirafiori, Bagnoli, Sesto San Giovanni, Terni, l’Ilva sono i cimiteri, ormai abbandonati o quasi, del suo grande apparato industriale di un tempo, i cimiteri del suo grande sogno di stare alla pari con la parte più avanzata del Continente.

Un sogno che sembra finito: dappertutto, da Nord a Sud, non si contano le fabbriche ormai silenziose, così come non si contano lungo le strade le saracinesche abbassate dei negozi chiusi. Mentre a questa paralisi che avanza fanno da simbolico contrappunto l’eguale abbandono di Cinecittà, la desolazione produttiva e di idee di quella che un tempo fu la Rai, le tante librerie che scompaiono.

È un’intera, lunga pagina della nostra vicenda nazionale quella che oggi sembra chiudersi. Una grande pagina: la cui fine non solo si ripercuote drammaticamente sulla vita concreta di tanti, ma si accompagna all’aprirsi di un vuoto angoscioso, anche se spesso inconsapevole, nel cuore e nella mente di tutti. L’angoscia di avere imboccato la via verso un precipizio senza sapere se e quando riusciremo a fermarci.

Ma la politica, la politica, percepisce questo vuoto? Avverte questa angoscia? Nella crisi italiana il discorso torna necessariamente, implacabilmente, sempre allo stesso punto: alla politica. Più che mai le chiacchiere sulla società civile stanno a zero, infatti: più che mai l’Italia è condannata alla politica. Perché solo da lì possono venire non il miracolo ma innanzi tutto la parola, l’indicazione di marcia, la speranza di un futuro. Come ci ha spiegato a suo tempo Michael Walzer, l’Esodo degli ebrei dall’Egitto sotto la guida di Mosè è l’archetipo politico di ogni situazione sociale in cui è necessario rompere con il passato, imboccare arditamente vie nuove. Abbiamo forse, allora, bisogno di profeti? Ebbene sì, oggi l’Italia ha bisogno di profeti. È sbagliato farsi spaventare dalle parole: non sta scritto da nessuna parte, infatti, che non possano esserci profeti democratici: Roosevelt e anche De Gasperi a loro modo lo furono. Così come non sta scritto da nessuna parte che non possano esserci anche partiti capaci di spirito e di capacità profetica. Che poi vuol dire nient’altro che la capacità di trasmettere convinzione, fiducia, coraggio. Ma la capacità di farlo, vivaddio, uscendo dal consueto, osando modi e gesti inediti, dando segni emozionanti di rottura: che cosa c’è mai di così pericoloso in tutto questo, mi chiedo, per la democrazia? Nei momenti di crisi è piuttosto la banalità, il tran tran, il conformismo ripetitivo delle frasi fatte, ciò che uccide la democrazia. Consegnando i suoi cittadini – come sta accadendo oggi in Italia – alla passività, alla sfiducia e al disprezzo per la politica.

E. Galli della Loggia

corriere.it




Una segnaletica per la Libera Repubblica di San Lorenzo

Come si abita un territorio? Quali sono le relazioni, le trame, le vicende che vi si tessono? Si può trasformare un luogo a partire dal desiderio? Come ci prendiamo cura del quartiere? Come difendiamo e come re-inventiamo lo spazio che abitiamo?
Vogliamo raccontarlo, narrarlo, leggerlo, con un linguaggio nuovo.

Una segnaletica per raccontare San Lorenzo, il suo patrimonio, i suoi spazi, il suo passato, il suo presente che continuamente si intreccia al nostro. Una segnaletica per la conoscenza, la cura e la condivisione degli spazi. Una segnaletica per valorizzare le tante realtà di san Lorenzo, nuclei di produzione di saperi, di cultura, di incontro, di relazione, che funzioni come modalità per riportare questa dimensione nelle strade e nelle piazze.

Facciamolo a partire dal 19 luglio: la data in cui ricorre il 70 anniversario del bombardamento di San Lorenzo. Una giornata che ci riporta bruscamente nel difficile passato e nella profonda memoria del quartiere, che ci riporta alle sue battaglie, alle sue lotte, alla strenua resistenza contro tutti i fascismi e all’orrore per la guerra. Ma una giornata che allo stesso tempo ci spinge a seguire il filo della Storia fino ad oggi e ad andare a cercare in quelle stesse vie i luoghi di conflitto, di lotta e di ricerca che ancora oggi resistono e liberano.

Riappropriamoci degli spazi, segnaliamo i nostri luoghi, la nostra storia, con una segnaletica che possa comunicare immediatamente a tutti la vita, la storia, i sogni e le lotte che attraversano il nostro quartiere, tra resistenza e creatività.

Per questo abbiamo inventato un codice visivo per San Lorenzo, fatto di brevi poesie, citazioni, piccoli scritti, segni, indizi, immagini e disegni, per una segnaletica che parli del territorio e di chi il territorio lo abita, attraverso linguaggi artistici, che sia direttamente leggibili da tutti. Ridisegnamo la città, facciamo sconfinare l’arte, la cultura, la memoria, fuori dai teatri, dalle università, dai musei,… nelle strade, nelle piazze, nei cortili.

Lo stiamo facendo insieme: con gli artisti, gli artigiani, gli abitanti e gli avventori di san Lorenzo.
Abbiamo raccolto delle citazioni sul quartiere, tante, e abbiamo comprato delle mattonelle. 
Gli artisti di San Lorenzo le stanno dipingendo, altri ci scrivono le citazioni, dei brevi testi, delle poesie…
Stiamo rifacendo la segnaletica! Ogni luogo avrà la sua mattonella, i muri di San Lorenzo parleranno. Le mattonelle saranno affisse nelle strade per il 19 luglio,  il nostro gesto di cura per questo quartiere bombardato, resistente, libero.




La capacità di correggere gli errori

Ricorre quest’anno il Cinquecentesimo anniversario della pubblicazione di uno dei capolavori del pensiero mondiale, Il Principe di Machiavelli, opera che rivaleggia con la Divina Commedia di Dante per traduzioni dalla nostra lingua. Se avrete la pazienza di rileggere la fatica del Segretario fiorentino resterete impressionati da come, nella sua visione del Potere, degli Interessi, della Forza e della Strategia nulla sia mutato dai turbolenti giorni delle Corti e dei Principati. Obama contro Putin, Xi Jinping contro il premier giapponese Abe, le manovre navali congiunte Mosca-Pechino, i marines che arrivano in Australia, l’intero nostro tempo ancora si inquadra nel Potere che si fa Leone, Volpe, che si cura di Essere o di Apparire, di far Paura o indurre Amore.

 

Tutto, tranne i social media, il web, l’epoca dei personal media che rendono il Potere sottoposto a un caleidoscopio di informazioni, controlli, dibattiti, trasparenza. Se i familiari di Muktar Ablyazov, dissidente kazako, fossero stati deportati dall’Italia al loro Paese nei giorni della vecchia diplomazia e del vecchio potere, secondo la sintassi feroce così genialmente studiata (non difesa, si badi) da Machiavelli, nessuno di noi avrebbe mai sentito parlare di loro.

 

E questo articolo non sarebbe mai finito in prima pagina su La Stampa. Soffrire di nascosto e in silenzio era la pena dei deboli, imporre la loro ferrea volontà a piacimento era il privilegio dei forti. L’esilio, l’oblio, l’emarginazione, condivise da Dante e Machiavelli, venivano comminate dal solo capriccio del Principe. Se oggi il governo di Enrico Letta, Angelino Alfano ed Emma Bonino, dopo una campagna di opinione pubblica guidata da questo giornale, torna sui propri passi e riconosce l’incongruenza di affidare profughi inermi ai loro possibili persecutori si deve al potere morale dell’opinione pubblica diffusa dal web, oltre naturalmente alla loro sensibilità umana.

 

In altri tempi, la regola burocratica poteva essere applicata passando inosservata, magari seguendo alla lettera la legge e il protocollo l’espulsione poteva anche essere comminata, ma il web rende il motto antico «Summum ius summa iniuria» una legge morale più forte di quella scritta. Seguire un diritto la cui conseguenza è l’ingiustizia può salvare la coscienza di un burocrate, ma oggi non è più difendibile davanti a tanti cittadini con in mano uno smartphone e una connessione internet. L’ambasciatore italiano a Washington Bisogniero ha chiesto a dirigenti della Casa Bianca, del Dipartimento di Stato e docenti Usa di dibattere la «cyberdiplomacy» tra Usa e Europa e il risultato è stato sorprendente: il consenso è che il web ha mutato per sempre i rapporti tra gli Stati.

 

Se per i tiranni, delle grandi e piccole potenze, questa è una minaccia che alla lunga potrebbe anche essere fatale, per i leader delle democrazie è insieme una costrizione e un’opportunità. A breve li rende soggetti a valutazioni da fare sotto pressione, come quelle opportunamente prese infine sulla famiglia Ablyazov. Alla lunga però concede un termometro di temperatura etica del Paese, dando ai governi, grazie al web, un dialogo fitto e continuo con la gente. La capacità di autocorrezione degli errori e il dibattito libero sono la vera forza della democrazia rispetto ai regimi autoritari, costretti sempre a restare ingessati nella volontà assoluta del Capo, e blindati ai loro errori.

 

Non si tratta di un antibiotico politico che cancella ogni male, naturalmente e presto i leader, anche studiando l’andamento dei Big Data sul web, riusciranno a manipolare e a guidare la discussione nei loro Paesi. Ma in profondo, oggi, i sistemi hanno una chance di essere davvero «società aperte» come sognava il filosofo Popper, che solo una generazione fa sarebbe stata illusoria.

 

Bene ha fatto dunque il governo Letta a recedere da una scelta non felice, bene hanno fatto tutti coloro che hanno lavorato online perché si arrivasse all’esito positivo. Meglio ancora se, in futuro, l’Italia saprà prevenire incidenti del genere, dandosi carattere da Paese amico dei dissidenti politici e aperto agli esiliati, come ricordano i libri di scuola è nella tradizione del nostro Risorgimento.

 

Quanto a Machiavelli, tornasse oggi tra noi a festeggiare il mezzo millennio del suo capolavoro, non esiterebbe ad includere un capitolo sull’online, indicando con la sua prosa lapidaria al Principe come governare il web da Leone e ai suoi rivali digitali come opporsi da Volpi internet.

G. Riotta

La Stampa