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Come trasformare Firenze in un desiderio

firenze

Via al concorso per inventare un brand che dia un sapore nuovo alla città

 

Matteo Renzi ha deciso di buttarsi in un’avventura forse più difficile della scalata a Palazzo Chigi, ovvero il «branding» della sua Firenze. Per questo ha pensato di lanciare online un concorso aperto ai creativi di ogni parte del pianeta anziché ai soliti guru del marketing, della pubblicità e della grafica. Chi sarà in grado di creare il nuovo «brand Firenze» vincerà 15.000 euro. Ma soprattutto avrà la soddisfazione di essere riuscito a dare un’immagine rinnovata a una delle città più famose ma anche più difficili al mondo. Suggerisco a ogni partecipante di registrare le proprie idee così che dopo, per il resto dei suoi giorni, il vincitore potrà avere una percentuale sui diritti di autore tutte le volte che il suo «I Fire», per esempio, sarà venduto su cartoline, magliette, cappellini e via di seguito.

 

Meglio però spiegare a chi non lo sa, e sono molti, cosa voglia dire inventarsi il «branding» di una città. Non significa semplicemente creare un logo, una griffe, un marchio. Bisogna inventarsi e trasformare una città in qualcosa di più di un semplice luogo.

 

Bisogna riuscire a far diventare la città un’idea, un desiderio, un oggetto da consumare e anche da comprare portandosi a casa un pezzettino di lei ogni volta che uno la visita. Non solo. «Branding» non vuol dire solo trovare un simbolo, ma anche costruire nella pratica opportunità e regole nuove per incentivare aziende, studenti, famiglie, imprenditori e turisti a venire in una città che è sempre esistita ma che ora ha tutto un sapore nuovo, nel caso di Firenze come direbbe il Pascoli «anche di antico». Chi pensa che a Bilbao sia bastato costruire il museo Guggenheim di Frank Gehry per dare un brand nuovo alla città, si sbaglia di grosso. Prima del museo la città basca ha messo in piedi un progetto di nuove infrastrutture gigantesco, da nuove linee di trasporto urbano alla riqualificazione di aree industriali. Il Guggenheim è stato soltanto la punta di diamante di una visione molto ambiziosa dei politici locali. L’ambizione di Renzi è sicuramente quella di far diventare Firenze una sorta di Grande Mela, New York in riva all’Arno.

 

E’ chiaro che non basterà un nuovo brand trovato grazie al contributo della Rete a risolvere i problemi di una città che ha una parte coperta di una patina gloriosa, quella del Rinascimento, e un’altra da uno spesso strato di polvere accumulatosi negli anni, parecchi, che sono passati dal tempo dei Medici a oggi. Ma l’iniziativa di Palazzo Vecchio è comunque un passo nella direzione giusta. New York, per la quale oggi tutti stravedono, agli inizi degli Anni 70 era data per morta, non proprio come Detroit ma quasi. L’Alitalia nel 1971 fece addirittura una pubblicità per spingere le nuove rotte su Boston e Washington che diceva: «Today New York City disappears», oggi New York City scompare. Firenze non è proprio in queste condizioni, anzi è amata e ammirata nel mondo più che mai. Ma come gran parte delle città d’arte e dei tesori culturali italiani, ha bisogno di lavorare sul look.

 

Il cammino, in questo campo, è lungo e complicato. Sempre per citare New York, solo nel 1977 la città iniziò a rialzare il capo. A quei tempi la rete non esisteva e quindi l’amministrazione pubblica si rivolse a un guru della grafica, Milton Glaser, che inventò il famoso slogan con il cuore «I (cuore) New York», I Love New York. Un branding cosi semplice e geniale che nessuno è mai stato in grado di superarlo in nessuna altra città del mondo. Ci riuscisse Firenze sarebbe un miracolo e glielo auguriamo tutti.

 

Amsterdam ha avuto la fortuna di avere all’inizio del suo nome «am», che sfruttando l’inglese – ormai lingua planetaria – è stato utilizzato per il branding «I (io) Am (sono) sterdam». Non so cosa voglia dire «sterdam», ma comunque pare abbia funzionato. «I Fire» – fire inteso come Fire-nze ma anche come fuoco – potrebbe funzionare. «Si fossi foco» lo cantava anche il poeta Cecco Angiolieri. Ma «I Fire» vuole anche dire «Io sparo» e forse non è il branding migliore. Andava bene per la Chicago degli Anni 20, non per la Firenze del 2020.

 

Matteo Renzi ha deciso di buttarsi in un’avventura forse più difficile della scalata a Palazzo Chigi, ovvero il «branding» della sua Firenze. Per questo ha pensato di lanciare online un concorso aperto ai creativi di ogni parte del pianeta anziché ai soliti di guru del marketing, della pubblicità e della grafica. Chi sarà in grado di creare il nuovo «brand Firenze» vincerà 15.000 euro. Ma soprattutto avrà la soddisfazione di essere riuscito a dare un’immagine rinnovata a una delle città più famose ma anche più difficili al mondo. Suggerisco a ogni partecipante di registrare le proprie idee così che dopo, per il resto dei suoi giorni, il vincitore potrà avere una percentuale sui diritti di autore tutte le volte che il suo «I Fire», per esempio, sarà venduto su cartoline, magliette, cappellini e via di seguito.

 

Meglio però spiegare a chi non lo sa, e sono molti, cosa voglia dire inventarsi il «branding» di una città. Non significa semplicemente creare un logo, una griffe, un marchio. Bisogna inventarsi e trasformare una città in qualcosa di più di un semplice luogo.

 

Bisogna riuscire a far diventare la città un’idea, un desiderio, un oggetto da consumare e anche da comprare portandosi a casa un pezzettino di lei ogni volta che uno la visita. Non solo. «Branding» non vuol dire solo trovare un simbolo, ma anche costruire nella pratica opportunità e regole nuove per incentivare aziende, studenti, famiglie, imprenditori e turisti a venire in una città che è sempre esistita ma che ora ha tutto un sapore nuovo, nel caso di Firenze come direbbe il Pascoli «anche di antico». Chi pensa che a Bilbao sia bastato costruire il museo Guggenheim di Frank Gehry per dare un brand nuovo alla città, si sbaglia di grosso. Prima del museo la città basca ha messo in piedi un progetto di nuove infrastrutture gigantesco, da nuove linee di trasporto urbano alla riqualificazione di aree industriali. Il Guggenheim è stato soltanto la punta di diamante di una visione molto ambiziosa dei politici locali. L’ambizione di Renzi è sicuramente quella di far diventare Firenze una sorta di Grande Mela, New York in riva all’Arno.

 

E’ chiaro che non basterà un nuovo brand trovato grazie al contributo della Rete a risolvere i problemi di una città che ha una parte coperta di una patina gloriosa, quella del Rinascimento, e un’altra da uno spesso strato di polvere accumulatosi negli anni, parecchi, che sono passati dal tempo dei Medici a oggi. Ma l’iniziativa di Palazzo Vecchio è comunque un passo nella direzione giusta. New York, per la quale oggi tutti stravedono, agli inizi degli Anni 70 era data per morta, non proprio come Detroit ma quasi. L’Alitalia nel 1971 fece addirittura una pubblicità per spingere le nuove rotte su Boston e Washington che diceva: «Today New York City disappears», oggi New York City scompare. Firenze non è proprio in queste condizioni, anzi è amata e ammirata nel mondo più che mai. Ma come gran parte delle città d’arte e dei tesori culturali italiani, ha bisogno di lavorare sul look.

 

Il cammino, in questo campo, è lungo e complicato. Sempre per citare New York, solo nel 1977 la città iniziò a rialzare il capo. A quei tempi la rete non esisteva e quindi l’amministrazione pubblica si rivolse a un guru della grafica, Milton Glaser, che inventò il famoso slogan con il cuore «I (cuore) New York», I Love New York. Un branding cosi semplice e geniale che nessuno è mai stato in grado di superarlo in nessuna altra città del mondo. Ci riuscisse Firenze sarebbe un miracolo e glielo auguriamo tutti.

 

Amsterdam ha avuto la fortuna di avere all’inizio del suo nome «am», che sfruttando l’inglese – ormai lingua planetaria – è stato utilizzato per il branding «I (io) Am (sono) sterdam». Non so cosa voglia dire «sterdam», ma comunque pare abbia funzionato. «I Fire» – fire inteso come Fire-nze ma anche come fuoco – potrebbe funzionare. «Si fossi foco» lo cantava anche il poeta Cecco Angiolieri. Ma «I Fire» vuole anche dire «Io sparo» e forse non è il branding migliore. Andava bene per la Chicago degli Anni 20, non per la Firenze del 2020.

FRANCESCO BONAMI

La Stampa

http://lastampa.it/2013/07/31/cultura/opinioni/editoriali/come-trasformare-firenze-in-un-desiderio-SomZA9wmisjNRwE4SRJiqI/pagina.html

 http://zooppa.com/it-it/contests/firenze/brief




IMU per l’edilizia pubblica

imu

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 196 del 2013, proposto dall’ ARTE Savona con sede a Savona in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati Sabrina Petroni e Francesca Cavaleri, con loro elettivamente domiciliata a Genova in via Roma 11.1. presso l’avvocato Francesco Massa;

contro

Comune di Albenga in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato Eleonora Molineris, con domicilio presso la segreteria del tribunale amministrativo adito;

per l’annullamento

delle deliberazioni 30.10.2012, nn. 120 e 121 del consiglio comunale di Albenga

 

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Albenga;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 maggio 2013 il dott. Paolo Peruggia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO e DIRITTO

ARTE Savova si ritiene lesa dalle deliberazioni 30.10.2012, nn. 120 e 121 del consiglio comunale di Albenga per il cui annullamento ha notificato l’atto 1.2.2013, depositato il 14.2.2013, con cui denuncia:

violazione di legge, difetto di motivazione e vizio istruttorio, eccesso di potere per manifesta disparità di trattamento, ingiustizia manifesta e palese irragionevolezza.

Violazione di legge, difetto di motivazione e vizio istruttorio, eccesso di potere per sviamento ed eccesso di potere per difetto istruttorio, difetto assoluto del presupposto, della motivazione, arbitrarietà, illogicità e manifesto sviamento ai sensi dell’art. 7 della legge 7.8.1990, n. 241.

Violazione dei canoni di ragionevolezza e buona amministrazione di cui all’art. 97 cost, e violazione degli artt. 15 e 53 cost.

Il comune di Albenga si è costituito in giudizio con atto depositato il 1.3.2013, ed ha chiesto respingersi la domanda.

La difesa ricorrente ha depositato ulteriori atti ed una memoria.

 

 

Arte Savona riferisce di essere proprietaria degli immobili destinati all’e.r.p., e si duole degli atti impugnati con cui il comune di Albenga ha determinato le obbligazioni dei soggetti passivi all’IMU.

Il ricorso introduttivo contiene una premessa in fatto e diritto, a cui fanno seguito le enunciazioni formulate come motivi di impugnazione; la memoria conclusionale richiama solo in parte le asserzioni esposte nell’atto introduttivo della lite, e si sofferma su alcuna delle censure proposte, nonché sulle doglianze di illegittimità costituzionale.

Il collegio non può considerare con ciò abbandonate le originarie argomentazioni addotte a confutazione del comportamento amministrativo del comune di Albenga, per cui è necessario soffermarvisi.

 

 

L’asserzione per prima esposta dalla difesa ricorrente concerne la diretta derivazione dell’IMU dall’ICI, con la conseguente necessità di operare un riferimento interpretativo a quest’ultima imposta nei casi in cui non sia chiara la disciplina di quella applicabile.

Il collegio rileva che la legge concretamente istitutiva dell’IMU, il d.lvo 14.3.2011, n. 23, aveva concepito il tributo come sostitutivo dell’ICI in un’ottica di riformulazione della fiscalità immobiliare e di concessione di maggiore autonomia impositiva agli enti locali; il d.l. 6.12.2011, n. 201, convertito con la legge 22.12.2011, n. 214 (c.d. salvaitalia), ha invece ritenuto di anticipare l’entrata in vigore delle disposizioni sulla nuova imposta in ragione della ritenuta gravità dello stato della finanza pubblica, ma ha operato soltanto dei riferimenti specifici all’abrogata disciplina dell’ICI, che nelle intenzioni del legislatore del marzo del 2011 avrebbe dovuto permanere in vigore anche per il periodo di imposta a cui si riferisce la controversia.

Ne consegue che l’acquisita autonomia della disciplina vigente non permette di condividere l’argomentazione con cui l’interessata chiede operarsi la lettura delle disposizioni menzionate nell’ottica che aveva ispirato il legislatore del 1992 (d.lvo 30.12.1992, n. 504), apparendo la disciplina contestata organica e non bisognosa di integrazioni.

 

 

Non sembra poi supportata dal testo normativo da applicare l’allegazione con cui si contesta il superamento operato dal comune di Albenga dei limiti massimi di aliquota applicabili agli immobili ubicati nel territorio di competenza. L’assunto non risulta ripreso nella memoria conclusionale, e non può ricevere favorevole considerazione in conseguenza della formulazione dell’art. 13 comma 6 del d.l. 6.12.2011, n. 201, che prevede un carico massimo previsto dello 0.76 % aumentato con il 0.3% (1,06 %).

 

 

Viene poi dedotto che il comma 9 dell’art. 13 del d.l. 6.12.2011, n. 201 prevede una diminuzione dell’imposizione che grava sugli immobili di proprietà degli enti qual è quello ricorrente: il tribunale deve osservare che solo il successivo comma 10 ha riguardo ai beni esistenti nel patrimonio del soggetto interessato, e che esso è relativo alla detrazione di euro 200,00 (duecento/00) per i beni utilizzati come abitazione principale, previsione che gli atti impugnati hanno puntualmente applicato.

Anche questo profilo è pertanto sfornito di fondamento.

 

 

Non può essere condivisa neppure la censura con cui si denuncia la mancata applicazione del comma 7 dell’art. 13 del d.l. 6.12.2011, n. 201, nella parte in cui non è stata considerata l’equiparazione dei beni nel patrimonio della ricorrente alle prime case di abitazione: la censura non appare infatti coerente con la restante parte del gravame, atteso che agli immobili di proprietà ARTE è stata riconosciuta la detrazione d’imposta che compete alle prime abitazioni, e che i due trattamenti tributari si differenziano solo per l’aliquota applicata.

La censura è oltre a ciò manchevole nell’indicazione di quale sia il carico tributario che, in concreto, graverà sugli immobili di pertinenza dell’ARTE Savona: si tratta infatti di numerosi immobili tutti accatastati per importi non elevati, sì che il riconoscimento della ricordata detrazione vale ad abbassare in modo rilevante il debito del soggetto interessato.

 

 

Ciò premesso in merito alle premesse alle censure concretamente dedotte, possono essere esaminati i motivi di gravame.

 

 

Con il primo di essi si lamenta innanzitutto lo sfondamento che il comune avrebbe operato dei limiti massimi ammissibili per l’imposta in questione; il collegio ribadisce che l’aliquota dell’1.06 % è consentita dal comma 6 dell’art. 13 del d.l. 6.12.2011, n. 201, sì che il motivo non può trovare favorevole considerazione.

 

 

Si denuncia poi la mancata osservanza delle linee guida del ministero dell’economia e delle finanze, che avrebbero prefigurato l’opportunità di un trattamento di favore per gli immobili di proprietà degli enti gestori del patrimonio di e.r.p.

Il tribunale rileva che le norme interne del ministero non possono vincolare un’amministrazione comunale (artt. 114 e 119 cost.), che potrà soprattutto essere valutata dai propri cittadini nella sede elettorale, ove abbia fatto governo troppo esoso delle norme tributarie vigenti.

Anche questa censura non può pertanto essere favorevolmente apprezzata.

 

 

Viene poi denunciato che le previsioni contestate non concordano con la ragionevolezza e la non discriminazione che avrebbero dovuto ispirare la condotta del consiglio comunale di Albenga, che ha invece gravato oltremisura la finanza dell’Arte Savona.

Il tribunale nota che le norme sull’IMU sono derivate da un momento di acuta crisi finanziaria dello Stato centrale, e che alla causazione di tale sfavorevole situazione ha concorso la poco oculata gestione della finanza locale. In tale contesto l’ordinamento non esclude la possibilità che le preminenti ragioni dell’unità economica della Repubblica (art. 120 cost.) possano conculcare le altre osservazioni esposte dall’ente ricorrente, sì che la censura non può essere condivisa.

 

 

Con il secondo motivo si denuncia la violazione delle norme sul procedimento amministrativo, nella parte in cui esse non riportano un’adeguata motivazione delle scelte operate dal comune resistente, così come non è stata attribuita la necessaria considerazione all’intervento procedimentale spiegato dall’interessata con la missiva 28.9.2011.

Il tribunale deve solo ricordare a questo riguardo che l’art. 13 delle legge 7.8.1990, n. 241 non impone l’osservanza delle norme denunciate per l’adozione di provvedimenti generali di carattere normativo, come sono quelli in contestazione.

Oltre a ciò si deve richiamare in questa sede quanto osservato in precedenza circa l’effetto che il meccanismo contestato ha avuto nella determinazione del complessivo onere della ricorrente: l’applicazione delle aliquote massime risulta infatti controbilanciata dalla possibilità ammessa dal regolamento impugnato di detrarre quanto ogni titolare di prima casa di abitazione può portare a scomputo dell’obbligazione che gli deriva. Ciò comporta una consistente diminuzione del debito che ARTE deve sopportare, tanto che l’articolazione così individuata dal regolamento impugnato permette di ravvisare i profili di congruità dell’impianto normativo complessivamente delineato.

Per le ragioni esposte anche questa censura è infondata.

 

 

Con il terzo motivo vengono dedotte le censure di incostituzionalità delle norme applicate dal comune resistente.

Viene lamentata la violazione dell’art. 97 cost., nella parte in cui il comune non ha fatto buon governo della possibilità concessagli dalla legge di graduare l’imposizione sugli immobili, in relazione alle diverse situazioni che si presentano; quella degli immobili destinati all’e.r.p. è di particolare momento, posto che il tributo colpisce un patrimonio a cui sono difficilmente adattabili i concetti di proprietà e reddito.

In ordine a tale rilievo il tribunale osserva che la richiesta equiparazione ai fini dell’IMU degli immobili in questione alle case di prima abitazione non comporta un vincolo assoluto all’attività dell’ente locale, tale per cui gli atti impugnati si porrebbero in violazione dell’art. 97 cost. In tal senso va osservato che gli atti allegati non consentono di comprendere quanto il meccanismo complessivo del tributo applicato ad Albenga per il periodo d’imposta in contestazione si differenzi, per ciascun immobile in titolarità, da quello che riguarda le prime case di abitazione di simile pregio.

Tale profilo istruttorio non risulta compiutamente delineato dalla difesa ricorrente, sì che non è decisivo il contributo che avrebbe potuto essere fornito in sede di vaglio della ragionevolezza delle norme regolamentari.

 

 

Il ricorso è pertanto infondato e va respinto, salva la possibilità per l’ente interessato di adire il giudice competente a sindacare i singoli atti impositivi.

Le spese vanno opportunamente compensate, data la natura delle parti in causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Seconda)

Respinge il ricorso a spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2013 con l’intervento dei magistrati:

 

Giuseppe Caruso, Presidente

Oreste Mario Caputo, Consigliere

Paolo Peruggia, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

     
     
L’ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 03/07/2013




100 milioni di euro per start-up e PMI del settore tecnologico: un sostegno concreto della Commissione

ueLa nuova tornata di finanziamenti del partenariato pubblico-privato sull’Internet del futuro della Commissione europea prevede sovvenzioni per 100 milioni di EUR a favore di circa 1000 start-up e altre imprese altamente innovative per lo sviluppo di app e altri servizi digitali in settori quali i trasporti, la salute, la produzione intelligente, l’energia e i media.

Neelie Kroes, Vicepresidente della Commissione europea, ha dichiarato: “Durante la conferenza «Le Web» a Parigi, nel dicembre scorso, ho promesso un’azione concreta che ora è in fase di attuazione. L’Europa ha bisogno di più innovazione e di puntare maggiormente sull’economia digitale, e ciò comincia con un migliore ecosistema per le start-up. Stiamo dando un sostegno concreto lì dove crediamo ce ne sia bisogno.”

Questa terza fase del finanziamento del partenariato mira a sviluppare nuovi servizi e nuove applicazioni Internet in diversi settori. I fondi verranno erogati attraverso 20 consorzi – appartenenti all’ecosistema Internet – tra cui: acceleratori d’impresa, piattaforme di crowdfunding, società di capitale di rischio, spazi di co-working, organismi di finanziamento regionali, associazioni di PMI e imprese tecnologiche. I consorzi vincitori saranno selezionati in base alle modalità con cui intendono massimizzare l’impatto economico dei fondi nell’ecosistema Internet.

I servizi e le applicazioni si baseranno sulle tecnologie sviluppate nell’ambito del programma di partenariato pubblico-privato (PPP) della Commissione Europea sull’Internet del futuro.

Contesto

Questo annuncio di finanziamento rappresenta il terzo e ultimo invito a presentare proposte del PPP sull’Internet del futuro, un partenariato da 500 milioni di EUR avviato nel 2011 per aiutare imprese e governi a trarre il massimo vantaggio dall’Internet mobile e dalla rivoluzione informatica, stimolando l’innovazione e l’occupazione nel settore digitale in Europa (IP/11/525).

Il partenariato mira a rendere più intelligenti infrastrutture e processi aziendali (il che vuol dire anche più efficienti e più sostenibili) attraverso una maggiore integrazione con la rete Internet e le capacità di calcolo. Si rivolge a diversi settori quali i trasporti, la salute, i media, la produzione intelligente e l’energia, e definisce possibili modelli aziendali innovativi per tali settori. Esso ha sviluppato tecnologie europee uniche e posto le basi per nuovi strumenti e servizi in settori quali il cloud computing, le città intelligenti, i megadati e l’Internet degli oggetti. Nel 2013 sono stati avviati cinque test su larga scala per convalidare in contesti d’uso reali le tecnologie sviluppate. Le piattaforme settoriali specifiche messe a punto da questi test saranno messe a disposizione di PMI e imprenditori del web per lo sviluppo di servizi e applicazioni.

Il finanziamento rientra anche nell’iniziativa della Commissione StartUp Europe, volta ad accelerare, collegare e celebrare gli ecosistemi europei per l’imprenditoria, affinché le start-up tecnologiche nascano e rimangano in Europa. L’iniziativa include i seguenti elementi:

  • il Leaders Club (IP/13/262): gruppo indipendente di fondatori nel campo dell’imprenditoria tecnologica che si propongono come modello per gli imprenditori del web europei;
  • premi e concorsi. Europioneers: iniziativa per celebrare gli imprenditori europei del settore delle tecnologie, con la proclamazione dei due imprenditori tecnologici dell’anno (IP/13/359). Tech All Stars: concorso volto a individuare le migliori giovani start-up d’Europa per porle in contatto con le principali fonti di finanziamento dell’UE, imprenditori di successo ed altre personalità influenti (MEMO/13/557);
  • networking. EU Accelerators Network avvia e facilita la creazione di una rete europea di acceleratori di imprese web;
  • promozione dei talenti del web in Europa (attraverso la formazione, per esempio con i corsi aperti online (“Massive Online Open Courses”), il sostegno alla creazione di reti, programmi e risorse ai fini dello scambio tra imprese, la loro accelerazione e incubazione, nonché iniziative di patrocinio).



State of the Internet, l’Italia è ancora dietro

internetIn base al report trimestrale di Akamai, l’Italia ha mostrato miglioramenti nelle velocità medie e di picco, ma rimane ancora molto lontana dalla vetta.

Akamai ha pubblicato la nuova edizione del suo report State of the Internet relativo al periodo compreso tra il quarto trimestre 2012 e il primo trimestre 2013. Lo studio è focalizzato sulla diffusione e la velocità delle connessioni a banda larga fissa e mobile, oltre che sugli attacchi di sicurezza rilevati all’inizio dell’anno. Nessuna novità per quanto riguarda le vette delle classifiche, occupate stabilmente dai paesi asiatici. L’Italia migliora leggermente rispetto al trimestre precedente, ma rimane nelle retrovie.

 

La velocità media globale è aumentata del 4% e ha raggiunto i 3,1 Mbps. I miglioramenti più netti sono stati rilevati in Danimarca (+13%), Svezia (+10,8%) e Olanda (+10%), dove sono disponibili connessioni con velocità medie comprese tra 8,2 e 9,9 Mbps. La Corea del Sud conserva il primo posto con una velocità media pari a 14,2 Mbps. Anche in Italia c’è stato un discreto aumento delle velocità media (+4,4%), ma con solo 4,4 Mbps il nostro pese rimane molto lontano dalla vetta. Il “paese più veloce del mondo” è Hong Kong con un picco di 63,6 Mbps, seguito dal Giappone (50 Mbps) e dalla Romania (47,9 Mbps). In Italia, la velocità di picco è 21,8 Mbps (50esimo posto tra i paesi dell’area EMEA).

Per quanto riguarda, invece, la percentuale di connessioni “broadband” (>4 Mbps) e “high broadband” (>10 Mbps), Akamai ha rilevato che in Italia è aumentato maggiormente il numero delle prime rispetto alle seconde. Solo 3,2% degli utenti può navigare a velocità superiori a 10 Mbps, mentre il 35% deve accontentarsi di velocità superiori a 4 Mbps. Almeno leggendo i numeri, sembra che nel nostro paese si cerchi di ridurre al più presto il digital divide, offrendo una connessione base a tutti i cittadini (tagli permettendo).

Anche nel settore mobile, Hong Kong occupa la prima posizione con una velocità di picco pari a 45,6 Mbps. Per l’Italia sono riportati i dati di tre operatori, identificati con le sigle IT-2, IT-3 e IT-4. Le velocità medie e massime sono comprese tra 2,2 Mbps e 19,6 Mbps. In Europa, il primo posto è occupato dalla Russia con una velocità media di 8,6 Mbps e massima di 43,7 Mbps. Il volume del traffico dati continua a crescere: in soli tre mesi è aumentato del 19%, raggiungendo quasi i 1.600 Petabyte al mese.

http://www.webnews.it/2013/07/24/state-of-the-internet-litalia-e-ancora-dietro/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=Newsletter:+Digital&utm_content=25-07-2013+state-of-the-internet-litalia-ancora-dietro&goback=%2Egde_2920132_member_260731342&ref=post




Wifi, grazie a voi 24 mila hotspot in una app.

wifiOggi manteniamo una promessa che vi abbiamo fatto esattamente un mese fa. Presentiamo il più grande database del wifi italiano. Con il vostro aiuto in poco più di quattro settimane abbiamo individuato, verificato e mappato più di 24 mila hotspot. Venti. Quattro. Mila. Nemmeno si sapeva che ci fossero 24 mila hotspot in questa Italia che non sa legiferare sul wifi e che leva i soldi alla banda larga per darli alle tv locali. Fatemelo dire: tutti assieme abbiamo realizzato una operazione di sistema per l’innovazione che definisco “straordinaria”. Straordinaria perché non è costata un euro al contribuente, anzi non è costata un euro a nessuno; straordinaria perché si è realizzata solo grazie alla passione di tanti; e straordinaria perchè l’abbiamo realizzata senza aspettare niente e nessuno. Abbiamo fatto una cosa che forse avrebbe dovuto fare l’Agenzia Digitale, o l’AgCom. Non lo so. So che potevano farlo e non lo hanno fatto. Non mi interessa perché. Le polemiche sono inutili. So che intanto lo abbiamo fatto noi e il frutto di questo sforzo è e sarà per sempre gratuitamente a disposizione di tutti.

Il risultato finale della campagna #chewifi è una fotografia di una Italia viva, che scommette sulla innovazione nonostante l’incertezza normativa che ci penalizza dal luglio del 2005, quando venne varato il decreto Pisanu e il controllo del wifi venne considerato da allora uno strumento per contrastare il terrorismo. Prima di entrare nel merito dell’intera operazione voglio dire subito che dietro i numeri che vi offriamo ci sono persone eccezionali. Dirigenti pubblici che hanno creato reti civiche gratuite trovando i fondi chissà come; ci sono imprenditori privati che hanno investito sulla possibilità di creare del valore e quindi del business dal servizio di connettività senza fili; e ci sono anche semplici cittadini che hanno deciso di aprire la propria rete ai clienti e ai turisti. A tutti e a ciascuno va la nostra gratitudine, perché hanno fatto fare tanti piccoli passi avanti all’innovazione e al digitale in un paese che nel migliore dei casi li ha ignorati.

E dopo la premessa veniamo ai dettagli, perché è nei dettagli che ci sono le considerazioni più importanti.

  1. Il database è stato letteralmente costruito a mano, usando Twitter e Facebook per chiedere aiuto, prendere contatti e ricevere informazioni. In questo momento gli hotspot che ci sono stati segnalati sono oltre 24 mila; quelli già presenti nel database perché verificati sono circa la metà. E’ un lavoro che è appena iniziato: negli ultimi giorni il flusso di dati è stato continuo. Tantissime amministrazioni pubbliche hanno aderito in extremis ma con entusiasmo. Voglio dire che non saremmo mai stati capaci di reggere l’urto di tante richieste se non avessimo un team eccezionale: oltre al mio partner di sempre, David Casalini, voglio pubblicamente elogiare Manuela Cervetti e Sabina Montevergine che non si sono spente mai. Al loro fianco fin da subito abbiamo avuto la Netics di Paolo Colli Franzone che si è offerto volontario via Facebook: la sua esperienza è stata preziosissima. Il tutto è stato poi inserito nel database da Damiano Bolognesi che ha anche sviluppato la app di Chefuturo! che parte proprio oggi e di cui parlerò dopo. Ho voluto fare alcuni nomi e alcuni cognomi (solo alcuni, ce ne sono altri) perché è vero che spesso l’innovazione è gratuita, ma questa gratuità è alimentata dalla passione di chi ci mette tutto sé stesso. Grazie è il minimo.

  2. Il database sarà rilasciato in opendata: questo vuol dire che chiunque potrà scaricarlo, verificarlo, riutilizzarlo. Farci sopra una app. Magari. A questo serve l’opendata: alla trasparenza; a favorire conoscenza e quindi integrazioni di offerte; miglioramenti di servizio; applicazioni. Ma l’opendata è una cosa seria che richiede standard elevati: per questo abbiamo deciso di affidare il base ad una associazione che ho contribuito a fondare, Wikitalia, che si occupa di open gov. In particolare lo affidiamo a Maurizio Napolitano e Matteo Brunati che sono fra i massimi esperti mondiali del tema, affinché rendano l’operazione una best practice internazionale (intanto anticipo che la licenza sarà OdbL, quella di Open Street Map).

  3. Come dicevo le segnalazioni di hotspot e di reti di hotspot sono circa 24 mila, mentre nel database ieri sera ne avevamo verificate e caricate solo la metà. Le altre aggiungeremo giorno dopo giorno. I numeri totali però già dicono molto dello stato del wifi in Italia: parlano di un nord che ha più di metà di tutti gli hotspot; di un testa a testa fra Roma e Milano fra le città più connesse; di una vivacità notevole di Piemonte e Emilia fra le regioni. Ma soprattutto il database serve a evidenziare difetti da migliorare: la duplicazione di hotspot pubblici fra reti diverse a Roma; il vuoto inspiegabile in certe città anche ricche del nord che contrasta con l’attivismo di posti come Pesaro, Prato, Lecce dove la volontà di alcuni ha creato valore per tutti; la virtù di Firenze che ha federato tanti reti diverse sotto un unico denominatore, così navighi da una via all’altra senza staccarti mai.

  4. Chewifi! è un progetto aperto e tutt’altro che finito: se in queste prime quattro settimane ci fossimo persi per strada qualche storia (inevitabile che sia così) segnalatecela. Quanto alla classifiche, qui non vogliamo dare le pagelle di buoni e cattivi a nessuno. Vogliamo solo crescere tutti assieme. Stimolare chi è rimasto indietro, ispirarci a chi guida il gruppo. Punto.

  5. Con il database lanciamo oggi anche la app di Chefuturo! E di questo dobbiamo ringraziare sentitamente Chebanca! che di questo sito è l’editore. Quando ci hanno chiesto di portare in una app i contenuti del “lunario della innovazione” avremmo potuto limitarci a trasferire i post dei nostri 115 autori (ebbene sì, sono un piccolo esercito) con qualche infiocchettamento. E invece abbiamo proposto di usare la app per fare qualcosa di davvero utile al sistema della innovazione. La app infatti consente di leggere i post ma anche trovare il wifi più vicino e partecipare alla costruzione del database. Se tutti gli editori fossero così aperti e si fidassero di chi li guida senza provare a condizionarli per obiettivi di bottega, avremmo giornali migliori.

  6. La app è presente sullo store di Google, sta per arrivare su quello di Apple (nei giorni scorsi l’App Store è stato vittima di un attacco informatico e questo ha ritardato il rilascio anche della nostra app); e a settembre ci sarà la versione per Windows Phone. Per tutti però è possibile intanto scaricarla da questo sito diventando subito beta tester. Sicuramente ci saranno delle cose da sistemare: siamo grati a coloro che ce le segnaleranno.

E quindi scaricate, leggete, diffondete. E soprattutto navigate. La rivoluzione è appena iniziata. 

RICCARDO LUNA

http://www.chefuturo.it/2013/07/wifi-grazie-a-voi-24-mila-hotspot-in-una-app-cambiare-tutto-si-puo/




Finanziamenti europei a Corviale!

tettiEcosistema digitale  e sistema sociale: l’Europa mette in connessione il mondo della rete e il disagio sociale destinando obbligatoriamente il 20% dei suoi fondi a quest’obiettivo.

Per Corviale, con il suo terrazzo più grande del mondo, firmata la convenzione tra l’ATER e l’Università del Molise per sfruttare il suo spazio per orti urbani e produzione di energia.

 




Il libro “Nessuna notte è infinita” di Maurizio Carletti

carlettiUn autore a me molto caro, Maurizio Carletti, grande amico della Biblioteca Renato Nicolini ci ha inviato in anteprima la sua ultima creazione letteraria in attesa di pubblicazione: “Nessuna notte è infinita”.
Si tratta di un romanzo dalla scrittura lineare, semplice e diretta.
“Pareva quasi godere nel separare le lenti, rese solidali tra loro attraverso un elaborato sistema di aggancio. Poi, et voilà!, ecco che gli occhiali ridotti allo stato di collana propiziatoria si ricreavano attraverso la mano rapidissima di un quasi prestigiatore che, compiuta l’azione, sembrava attendere l’applauso fissando il pubblico in ammirazione, quel  pubblico che in quella situazione io rappresentavo.”
Il personaggio principale attorno al quale si sviluppa la trama è Sergio Serpieri, un uomo sostanzialmente solo, ma padre affettuoso e manager sessantenne di grande successo.
Sergio, il nostro eroe, si trova ad affrontare inaspettatamente
uno dei temi più importanti della vita di un uomo.
Senza svelare troppo quello che possiamo dire è che Sergio segretamente cambia il suo modo di vivere da un giorno all’altro, alla ricerca di una esistenza più legata allo scorrere quotidiano del proprio tempo. In questa situazione il tempo si dilata e il giorno per giorno diventa la sua nuova dimensione.
“Poi come spesso succede accadde l’inatteso: tacemmo per ascoltare il rumore sommesso del mare. Io mi persi osservando il volo imprevedibile dei gabbiani intenti a disegnare le loro eterne geometrie…”.
In questa realtà così diversa dalla precedente Sergio incontra sentimenti nuovi e anche Lucilla, ma la vita è sempre in agguato e per scoprire il resto aspettiamo che il romanzo sia pubblicato per poterne parlare insieme.
Complimenti all’autore.

Sito: www.mauriziocarletti.com/Maurizio/

da: http://webappunti.blogspot.it/2013/03/nessuna-notte-e-infinita.html

 




Wi-Fi, il Governo lo liberalizza. Cosa cambia rispetto a prima

Il Wi-Fi diventa libero o, meglio, libero come in Italia non lo è mai stato prima. Da anni si parla del digital divide che ci vede inseguire altri Paesi nei quali l’alfabetizzazione al digitale è arrivata prima, con effetti benefici sull’economia e sulla vita quotidiana. In Italia la politica ha sempre fatto “cartello”, bloccando le iniziative per ampliare l’accessibilità al digitale. Ora però, con la modifica all’articolo 10 del Decreto del Fare, il wireless pubblico viene alleggerito delle zavorre burocratiche del passato per tutti quei negozianti, esercenti, albergatori e ristoratori che non hanno nel medesimo la principale fonte del loro business.

La modifica è una grande vittoria per i sostenitori di Internet libero. Il testo approvato alcune ore fa chiarisce che “l’offerta di accesso alla rete internet al pubblico tramite rete WIFI non richiede l’identificazione personale degli utilizzatori. Quando l’offerta di accesso non costituisce l’attività commerciale prevalente del gestore del servizio, non trovano applicazione l’articolo 25 del codice delle comunicazioni elettroniche di cui al decreto legislativo 1° gennaio 2003, n.259 e successive modificazioni, e l’articolo 7 del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155, e successive modificazioni”.  Un ulteriore passo in avanti dopo quello fatto nel 2011 con la scadenza di alcuni obblighi imposti dal Decreto Pisanu che nelle norme contro terrorismo e criminalità includeva l’identificazione degli utilizzatori degli hot spot pubblici.

Il cambiamento questa volta è radicale e riguarda tutti gli obblighi per gli esercenti che offrono il Wi-Fi, da quelli del codice delle comunicazioni a quelli sopravvissuti del Decreto Pisanu contro il terrorismo. Negozi, ristoranti, bar, alberghi e bed & breakfast, ma anche biblioteche ed edifici della pubblica amministrazione, possono attivare un hot spot e fornire il libero accesso ai loro clienti e/o visitatori, senza dover tracciare gli utenti e le loro connessioni e fornire account e password come avveniva prima. Un’apertura che rappresenta una sostanziale revisione della precedente versione del Decreto del Fare che avrebbe imposto agli esercenti la tracciatura dei codici del dispositivo (computer, tablet o smartphone) e la compilazione di un registro con gli indirizzi IP associati ai terminali utilizzati. Un obbligo che, oltre a far perdere parecchio tempo, avrebbe avuto un costo (stimato dal parlamentare di Scelta Civica Stefano Quintarelli) di circa 800-900 euro annui.

Una volta tanto ha prevalso il buonsenso. In Italia si parla spesso di  “semplificazione” e di cambiare il passo di una burocrazia che soffoca l’iniziativa: l’accesso libero a Internet nei luoghi pubblici è, in tal senso, un passo importantissimo. Un passo che non è ancora definitivo: perché la legge diventi realtà occorrerà attendere che si esaurisca l’iter del Decreto con l’approvazione alla Camera e al Senato.

Se decade l’obbligo di identificazione resta comunque “consigliabile” tenere traccia di chi utilizza gli hot spot visto che in caso di reati telematici chi fornisce la connessione può essere ritenuto corresponsabile. In Germania e nel Regno Unito, per esempio, ci sono stati casi in cui il Wi-Fi pubblico è stato utilizzato per lo scambio di file pirata o in violazione delle norme sul copyright.

In Francia il registro c’è e deve essere conservato per dodici mesi, in Italia l’accesso alle reti è sempre più sicuro e avviene tramite identificazione del cellulare. Se il Decreto del Fare nasce con l’intento di rilanciare il Paese, la digitalizzazione e il libero accesso alla Rete ne sono una parte imprescindibile. Un Wi-Fi pubblico libero e senza troppi vincoli è un buon punto di partenza.

yahoo.it




Crowdfunding il finanziamento arriva da Internet

crowdfunding

LA CONSOB REGOLAMENTA, PRIMO CASO IN EUROPA, LA RACCOLTA FONDI EFFETTUATA VIA WEB CHE ORMAI RIGUARDA NON PIÙ SOLO CAMPAGNE ELETTORALI O EVENTI CULTURALI, MA INIZIATIVE ECONOMICHE ANCHE DI LARGA SCALA: OBBLIGO DI TRASPARENZA

L’ Italia apre ai finanziamenti in Rete per le start-up. Dal 27 luglio entra in vigore il regolamento Consob per il crowdfunding, la raccolta di capitali attraverso portali online. Pratica nata negli ultimi anni – il primo utilizzo della parola risale al 2006 – e resa famosa a livello planetario dall’attuale presidente degli Usa Barack Obama che la utilizzò per finanziare la sua prima campagna nel 2008, il crowdfunding è sostanzialmente una colletta online, il cui obiettivo è raccogliere i capitali diffusi. L’idea è di usare una piattaforma web per chiedere a piccoli e piccolissimi investitori di finanziare un progetto, di qualsiasi tipo esso sia: un film, un libro, una causa umanitaria o sociale, addirittura prestiti personali. Ci sono tre tipi di crowdfunding: la donazione, il prestito personale (chiamato social lending) e il crowdfunding reward-based. Quest’ultimo prevede una ricompensa per i finanziatori del progetto: il più delle volte si tratta di una copia del film, del software o del prodotto su cui si è investito. E’ quanto accade sui portali web più noti del settore, come Eppela e KickStarter. Nel caso degli imprenditori che chiedono alla Rete di finanziare la loro idea in cambio di una partecipazione nella nuova azienda, si parla di equity crowdfunding: un processo che sostituisce o integra con il finanziamento diffuso la tradizionale raccolta di fondi tra i venture capitalist. Con il varo del regolamento Consob l’Italia si pone all’avanguardia

in quest’ultima categoria, almeno dal punto di vista normativo: siamo il primo Paese europeo ad adottare un pacchetto di regole per conferire alle start-up la possibilità di reperire capitali tramite la Rete, aumentando allo stesso tempo le protezioni per gli investitori. Tutto nasce introdotta dal decreto crescita 2.0 del ministro Passera per la realizzazione degli obiettivi dell’Agenda Digitale. Lo scopo è favorire l’accesso al pubblico risparmio da parte di aziende innovative: un ambito in cui il crowdfunding eccelle, almeno a giudicare dall’aumento di popolarità dello strumento: le piattaforme dedicate alla raccolta di capitale nel 2012 erano 452, il 60% in più rispetto all’anno precedente. Nel 2011 e nel 2012, il capitale raccolto è stato pari rispettivamente a 1,5 e 2,8 miliardi di dollari, mentre nel 2009 e nel 2010 era di 530 milioni e quasi 1 miliardo. E la crescita non è finita: secondo Deloitte, nel 2013 il valore raddoppierà a 6 miliardi di dollari. Un gettito importante, soprattutto in un momento così difficile per l’economia. Per questo l’arrivo di una regolamentazione in Italia ha riscosso l’attenzione di molti operatori web, che guardano all’Italia come possibile trampolino di lancio per la raccolta di capitale via web. L’intervento di Consob per ora è ristretto alle start-up a carattere innovativo: ma lo strumento giuridico è stato varato, ed è possibile che venga esteso ad altre tipologie. Il regolamento Consob introduce il registro dei portali Internet abilitati al crowdfunding, un albo a cui può iscriversi chi rispetta i requisiti di onorabilità e professionalità, dalla fedina penale intonsa a un background adeguato, richiesti dalla Commissione. Ci sono poi obblighi di trasparenza, diligenza e correttezza dei gestori dei portali, che devono informare con completezza gli utenti i quali godono comunque del diritto di recesso in sette giorni. Due sono le procedure: chi investe meno di 500 euro può fare tutto in rete, mentre chi vuole impegnare cifre maggiori dovrà passare per il controllo del gestore, che dovrà stabilire con l’aiuto della banca se il finanziamento non costituisce un azzardo per il cliente. Per ora l’equity crowdfunding è la tipologia meno popolare: sempre secondo Deloitte, nel 2013 dovrebbe generare circa 100 milioni di dollari. Un cifra decisamente inferiore ai 2 miliardi stimati per social lendinge donazioni e ai 700 milioni che verranno investiti in portali di crowdfunding reward-based. Ma l’equity crowdfunding potrebbe valere circa un miliardo di dollari in caso di adozioni di normative specifiche come quella italiana. In Italia, segnala Consob, sono attive già 27 piattaforme di crowdfunding, 17 reward-based mentre 10 utilizzano solo donazioni. Quelle riconducibili ai prestiti sociali (che prevedono il pagamento di un piccolo interesse) sono invece solo 3, mentre quelle assimilabili all’attività di equity crowdfunding sono 7. Il numero è destinato ad aumentare: vista la stretta creditizia, si prevede un futuro, massiccio ricorso da parte delle start-up allo strumento nei prossimi mesi. A fianco, la campagna elettorale che ha portato alla vittoria di Barack Obama nel 2008 è stato il primo esempio mondiale di crowdfunding su larga scala; in alto Ouya, la console per videogame finanziata col crowdfunding

Valerio Maccari

Affari e Finanza




Wi-fi libero, l’Italia è ferma al Medioevo

wifi Un emendamento al Decreto del fare rende impossibile per baristi e negozianti offrire il servizio

Non c’è verso, dare ai clienti del proprio bar un servizio wi-fi gratuito in Italia è impossibile. Un emendamento al Decreto del Fare presentato ieri in Commissione trasporti e telecomunicazioni fa tornare l’Italia indietro al medioevo. Imponendo ai gestori di esercizi commerciali obblighi stringenti di tracciabilità degli utenti praticamente impossibili da affrontare come dice a Repubblica Stefano Quintarelli, parlamentare di Scelta Civica ed esperto di internet. Che implicano, ad esempio, server dedicati. Con tutte le spese del caso e con un expertise che di certo un barista, un ristoratore o un libraio non hanno.

A voler pensar male, i continui lacci e lacciuoli che impediscono lo sviluppo del wi-fi libero in Italia sembrano fatti apposta per difendere la pletora di società di installazione degli impianti, circa 1500 tutte sviluppatesi all’ombra della Telecom pubblica. Due anni fa ad esempio è scaduta la consultazione sulle misure predisposte dall’ex ministro dello Sviluppo Economico, Paolo Romani, sul regolamento attuativo del decreto legislativo 198 dello scorso ottobre, che riguarda l’installazione, allacciamento e collaudo di «apparati di rete».

Una definizione che comprende telefoni, reti internet, digitale terrestre, digitale satellitare e qualsiasi aggeggio un po’ più complesso della semplice presa elettrica. I quali dovranno essere, d’ora in avanti, installati soltanto da «imprese titolari di autorizzazione generale per l’installazione e la fornitura di reti pubbliche di comunicazione elettronica per l’espletamento del servizio telefonico accessibile al pubblico (…)», regolarmente iscritti al nuovo albo «per i servizi di comunicazione elettronica e di radiodiffusione». Occhio al fai da te, dunque: si rischia una multa che va dai 15 ai 150mila euro.

Questi professionisti dell’installazione, che arrivano in tre – un direttore dei lavori e due aiutanti – devono avere una comprovata esperienza nel settore (almeno tre anni in un’impresa abilitata, quattro anni in un’impresa del settore), oppure un «diploma di laurea in materia tecnica specifica», oppure ancora un diploma di specializzazione presso un istituto «legalmente riconosciuto» seguito da un periodo di inserimento di almeno due anni. Le imprese, invece, devono avere una dotazione tecnica minima che comprende un misuratore di tera, un misuratore dei parametri trasmissivi, un misuratore d’isolamento e un multimetro digitale.

Gli installatori ufficiali, a cui l’abilitazione viene concessa dall’ispettorato territoriale del ministero (che si riserva di compiere almeno un sopralluogo non annunciato nel corso del triennio di durata della licenza), una volta conclusi i lavori devono rilasciare un certificato di conformità dell’impianto appena montato, oltre a un rapporto di avvenuta “prova” che tutto l’impianto sia perfettamente funzionante. Un pezzo di carta da custodire gelosamente.

Eppure, la soluzione per risolvere il problema dell’identificazione dei cittadini che vogliono navigare via wi-fi e prevenire eventuali violazioni esiste già da quattro anni. Senza mettere in moto tecnici ed esperti di tre ministeri, infatti, basterebbe recuperare il parere fornito dal dicastero dell’Interno ad Assoprovider e Asstel il 27 novembre 2007. Un documento in cui si legge chiaramente che: «Per quanto concerne il punto realtivo all’identificazione dell’utente che si connette alle reti di comunicazione elettronica attraverso la tecnologia wireless, si reputa condizione sufficiente, per soddisfare i requisiti della normativa vigente, l’utilizzo del telefono mobile quale mezzo per attivare le procedure necessarie ad ottenere le credenziali di accesso alla rete stessa, in quanto consente l’identificazione, seppure indiretta, dell’utente stesso». In sostanza, basta registrarsi al servizio fornendo il proprio numero di cellulare, ricevere un sms con un codice per accedere al servizio e navigare in modo “tracciabile” dalla Polizia Postale, l’autorità che vigila sui crimini informatici.

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