1

La sostenibilità secondo gli architetti europei

sostenibilitaSebbene vi siano visioni diverse del concetto di sostenibilità da paese a paese, dal report di Arch vision emerge che non si dà più importanza solo all’efficienza energetica ma soprattutto la sostenibilitá economica
Di cosa parliamo quando parliamo di sostenibilità? Se nel 2012 gli architetti di tutta europa tendevano ad associare il termine al risparmio energetico, le cose sembra stiano cambiando. E il concetto di sostenibilità diventa un contenitore in cui far confluire una serie svariata di elementi, primo fra tutti il risparmio economico. A rivelarlo è l’ultimo report di Arch Vision “Q3 2013 European Architectural Barometer”, un sondaggio trimestrale svolto su un campione di 1600 architetti di otto paesi europei.
IL RUOLO-CHIAVE DEGLI ARCHITETTI. L’obiettivo dello studio è chiaro: dal momento in cui gli architetti hanno un ruolo fondamentale e trainante per il settore delle costruzioni e dal momento in cui la sostenibilità rappresenta il vero trend del settore, è importante capire il significato che viene dato a questa parola. Anche perché il mondo delle costruzioni prevede l’interazione di svariati soggetti, tra committenti, clienti, investitori, che dovrebbero “parlare la stessa lingua”.
LA SOSTENIBILITA’ SMETTE DI ESSERE SEMPLICEMENTE RISPARMIO ENERGETICO. E infatti il report conferma che il concetto di sostenibilità non solo cambia da paese a paese ma è mutato anche nell’arco del tempo, diventando sempre più complesso. Da semplice sinonimo di risparmio energetico, il termine viene oggi associato anche ad altri elementi, che comprendono il risparmio di denaro, la riciclabilità, i bassi costi manutentivi, l’utilizzo di materie prime naturali. Certo, il risparmio energetico rimane la maggiore caratteristica citata (sopratutto per gli architetti italiani e spagnoli), grande importanza viene data anche al risparmio economico (primo fattore per Regno Unito e Polonia) e agli altri elementi sopracitati, con percentuali in costante aumento.
link all’arrticolo




La ripresa vuole efficienza

amici terraLa prima giornata di lavori della Quinta Conferenza Nazionale per l’efficienza energetica organizzata da Gli Amici delle Terra si è focalizzata sulla riduzione dei consumi energetici che sta interessando il nostro Paese e le nostre imprese: crisi o efficienza?
I consumi di energia calano oltre gli obiettivi indicati dalla direttiva europea sull’efficienza energetica e gli impegni sulle fonti rinnovabili sono raggiunti con circa due anni di anticipo. Va tutto bene, allora?
Non proprio: la decrescita non è “felice” e il persistere della crisi economica in Europa non permette più un approccio superficiale ed ideologico alle politiche energetico-ambientali. Ciò è ancora più vero in Italia dove si scontano anche gli errori compiuti nell’incentivazione delle rinnovabili elettriche; errori che oggi gravano sulla promozione dell’efficienza energetica e sulla ripresa economica. Le politiche energetico-ambientali possono essere realmente un’opportunità per uscire dalla crisi solo se si sarà in grado di misurarne l’efficacia attraverso accurate analisi di costi e benefici.
Sottolinea Rosa Filippini, Presidente Amici della Terra: “Fuori dalla retorica della cosiddetta green economy, sono necessarie misure che consentano non solo alle piccole e medie imprese ma anche alla nostre grandi industri energivore di recuperare competitività attraverso investimenti nella qualità ambientale e nell’efficienza energetica, sia dei processi produttivi che dei prodotti. La vera sfida di una politica ambientale avanzata non è chiudere o delocalizzare le produzioni difficili ma renderle ambientalmente sostenibili”.
Dal Dossier sull’Efficienza Energetica realizzato da gli Amici delle Terra e presentato in conferenza è emersa la preoccupazione che, senza una revisione chiara delle politiche energetico ambientali, non si raggiungeranno gli obiettivi 2020.
In Italia, gli indicatori scelti dall’UE per valutare il conseguimento al 2012 dei tre obiettivi 2020 (riduzione dei gas serra, riduzione dei consumi primari e penetrazione delle energie a rinnovabili), mostrano risultati da interpretare con attenzione per evitare facili compiacimenti. I consumi di energia primaria – l’indicatore scelto per l’efficienza energetica – hanno fatto registrare nel 2012 una riduzione del 15% circa rispetto al – 20% indicato come obiettivo per il 2020.
“Apparentemente – spiega Rosa Filippini – sembrerebbe un ottimo risultato ma l’andamento non è positivo come appare perchè l’indicatore del semplice calo dei consumi non è adeguato: si rischia di contrabbandare gli effetti negativi della crisi come risultato delle politiche di efficienza energetica. Sarebbe necessario adottare (e negoziare) nuovi obiettivi che prevedano una effettiva crescita dell’efficienza negli usi dell’energia e che orientino in modo chiaro verso investimenti nel patrimonio abitativo e nei processi produttivi capaci di produrre, insieme al raggiungimento degli obiettivi ambientali anche risultati in termini ricchezza e competitività del Paese”.
Per quanto riguarda poi l’obiettivo 20-20-20 sulle rinnovabili, nel 2012, la penetrazione di queste ultime nei consumi elettrici ha raggiunto il 27,5% e, verosimilmente, nel 2013 raggiungerà il 30% superando quanto indicato dal PAN che prevedeva poco meno del 30% per il 2020. Purtroppo però in Italia sono state privilegiate installazioni non competitive e poco efficienti come le torri eoliche e le grandi estensioni di fotovoltaico. Per questo è presumibile che ora, finiti i soldi per nuovi incentivi, si arresti anche il loro tumultuoso sviluppo. Non finisce invece il peso degli incentivi già assegnati sulle bollette degli italiani con l’effetto di aumentare il costo dell’energia elettrica delle famiglie e delle imprese per i prossimi venti anni, proprio nel momento culminante della crisi economica.
Ma è sul raggiungimento dell’obiettivo di ridurre del 20% i gas serra che si nutrono i maggiori dubbi. Infatti, l’obiettivo 2010 di riduzione dei gas serra, – 6,5% rispetto al 1990 – è stato conseguito solo nel 2012, con due anni di ritardo, nonostante il calo di consumi dovuto alla crisi economica.
“Per poter conseguire il risultato di un calo del 20% al 2020 – spiega ancora Rosa Filippini – ci si dovrebbe , paradossalmente, augurare che la crisi si aggravi perché altrimenti la ripresa economica porterebbe con se un aumento più o meno accentuato di consumi di energia e di emissioni di gas climalteranti”.
Alla luce di queste considerazioni gli Amici della Terra hanno individuato sette proposte per porre su basi solide il raggiungimento degli obiettivi 2020 e la formulazione di nuovi e ambiziosi obiettivi per il 2030 di politica energetico-ambientale che risultino in accordo con una fase di ripresa economica basata sul consolidamento del tessuto produttivo, a partire da quello industriale:
1) Impostare il nuovo Piano nazionale di Azione per l’efficienza energetica con obiettivi 2020 che siano fondati su indicatori effettiva efficienza nei diversi settori di uso dell’energia.
2) Attivare tempestivamente una fase di consultazione sui contenuti del nuovo piano nazionale di Azione per l’efficienza energetica (che dovrà essere approvato entro aprile 2014) e un processo di concertazione con le parti sociali interessate di obiettivi di politica industriale che consenta un rilancio della competitività dell’industria basato su un nuovo ciclo di investimenti nel miglioramento dell’efficienza energetica e della qualità ambientale dei processi produttivi.
3) Interrompere subito le aste per l’incentivazione delle rinnovabili elettriche meno efficienti come l’eolico o le biomasse per la sola generazione elettrica; se già oggi il Governo si propone di attivare meccanismi parzialmente retroattivi per attenuare il costo degli incentivi già assegnati, innanzitutto occorre smettere di assegnarne di nuovi.
4) Concentrare tutte le risorse residue disponibili in iniziative di sostegno alle rinnovabili termiche e all’efficienza energetica attraverso criteri fortemente selettivi.
5) Privilegiare l’uso delle risorse dei fondi strutturali e dei piani di sviluppo rurale della programmazione 2014-2020 per la promozione delle rinnovabili termiche e dell’efficienza energetica;
6) Nell’ambito dei fondi strutturali della programmazione 2014-2020, destinati alla politica industriale dare priorità alle misure di sostegno che rispondano ai criteri di “aiuti di Stato per la tutela ambientale” secondo quanto previsto dalla specifica disciplina comunitaria . Il regime degli “aiuti di Stato per la tutela ambientale” consente un’intensità di aiuto più elevata di quella consentita ordinariamente, nei costi per investimenti nei processi produttivi che abbiano requisiti superiori in termini di prestazioni energetico ambientali a quelli obbligatori secondo la normativa ambientale ed energetica ed è utilizzabile anche per le grandi imprese.
7) Collegare i nuovi regimi tariffari dedicati alle imprese energivore a interventi qualificanti (sistemi di gestione ISO 50001) e investimenti nell’efficienza energetica dei processi produttivi.




Concorso Rebuild, i premiati

park associatiI progetti in gara sono stati selezionati secondo una complessa griglia di valutazione di efficienza energetica, sostenibilità ambientale, comfort e qualità costruttiva, sostenibilità economica e sociale
Il 26 Novembre, durante l’Aperitivo REbuild, è stato assegnato il Premio REbuild, il primo concorso in Europa per progetti di riqualificazione sostenibile. A classificarsi per primo è stato il progetto di Lombardini 22 presentato da Marco Amosso. Secondo e terzo rispettivamente Laboratorio di Architettura, presentato da Andrea Rinaldi, e Park Associati, presentato da Filippo Pagani.
IL RUOLO PRIMARIO DELLA RIQUALIFICAZIONE. «Lead by example, i migliori progetti che fanno da esempio per il mercato: questo il senso del Premio REbuild 2013», spiega Alberto Ballardini di Habitech, uno degli ideatori di questo contest. «Il premio è stato concepito per dare visibilità a quelle realizzazioni che in una fase di contrazione degli investimenti e di disorientamento hanno dimostrato la capacità mantenere la rotta verso una realtà di mercato dove il lavori si sposteranno dai nuovi volumi alla riqualificazione degli esistenti.».

L’80% DEI VOLUMI CHE AVREMO NEL 2050 SONO GIÀ PRESENTI OGGI. La prima edizione del premio, ideato da Habitech e Fraunhofer Institute per REbuild, intercetta i recenti sviluppi nel mercato della riqualificazione e la sensibilizzazione verso un consumo più consapevole delle risorse energetiche e del territorio. Un concorso per dimostrare come la riqualificazione sostenibile del patrimonio esistente rappresenti una risorsa immensa per l’ambiziosa sfida di riformare il mercato, limitare gli impatti e migliorare il paese. Secondo una ricerca di Think Project, infatti, l’80% dei volumi che avremo nel 2050 sono già presenti oggi.

CRITERI DI VALUTAZIONE. La griglia di valutazione è stata appositamente elaborata da Fraunhofer Italia con il supporto di Habitech per poter misurare i progetti di qualificazione e costituire un primo database di benchmark di progetti. Spiega Gabriele Pasetti Monizza, del Fraunhofer Institute, ideatore della griglia di valutazione del premio REbuild: «la metodologia messa a punto per il premio deve necessariamente evidenziare che gli aspetti prestazionali sono un elemento imprescindibile di un complesso quadro che include anche aspetti ambientali, economici e sociali. Sulla base di questa riflessione, i candidati sono stati valutati attraverso una griglia multicriteria, pesando algebricamente parametri che dovrebbero sempre essere considerati in occasione di interventi di risanamento.»

PRIMO PREMIO. In prima posizione troviamo il progetto Segreen Business Park, un’idea della società di progettazione architettonica Lombardini22. Si tratta di un esempio di riqualificazione immobiliare improntata al futuro e alla sostenibilità, posizionato in un’area che da sempre è un nodo strategico per il settore terziario direzionale, a 10 km dal centro di Milano e a 5 Km dall’Aeroporto di Milano Linate. Uno sviluppo di CBRE Global Investors, progettato interamente da Lombardini22.

SECONDO PREMIO. In seconda posizione ecco “Brennone21″, un’opera di architettura realizzata a Reggio Emilia da Laboratorio di Architettura Architetti Associati ed esempio reale di sperimentazione sul recupero a zero emissioni della città storica.

TERZO PREMIO. Il terzo premio è andato infine allo studio Park Associati Architetti per la loro ristrutturazione dell’edificio per uffici “La Serenissima”, sito in Via Turati, nel centro di Milano, una struttura progettata negli anni ‘60 da Ermenegildo e Eugenio Soncini.
* Sono state inoltre consegnate 5 menzioni speciali ad altrettanti progetti che hanno saputo eccellere in una delle 10 aree di valutazione. Le menzioni speciali vanno: Efficienza Energetica a Laboratorio Architettura, Sostenibilità e Ambiente a Agenzia CasaClima Srl, Comfort e qualità costruttiva a Park Associati Srl, Sostenibilità Economica a Lombardini22, Sostenibilità Sociale a C+D Architetti Associati.
link all’articolo




Un’immagine vale più di mille parole

cibo




Capovolti

capovoltiScheda del Progetto

Ambito: Cura e integrazione dei disabili

Progetto: In corso

Luogo: Battipaglia (SA)

Contributo: € 480.000

Descrizione:

L’iniziativa progettuale propone l’avvio di una fattoria sociale con l’obiettivo di consentire l’inserimento lavorativo di 10 persone con disabilità mentale attraverso la costruzione di una cooperativa di tipo a e b, che ne preveda il loro diretto coinvolgimento nella governance, insieme ai familiari. E’ prevista la gestione del fondo agricolo (coltivazione e raccolta), la trasformazione dei prodotti, la loro commercializzazione (vendita diretta, trasporto, e-commerce) e un piano di marketing sociale strategico (acquisizione di certificazioni e marchi di qualità, gruppi di acquisto solidale, sinergia con operatori del mercato equo e solidale). Si prevede l’impiego di animali da allevamento quali galline, conigli, animali da cortile e animali per attività didattica e di riabilitazione, con particolare riferimento all’onoterapia. L’iniziativa, inoltre, intende sostenere le famiglie in un percorso di coinvolgimento e responsabilizzazione che ne migliori la qualità della vita, l’accesso ai servizi, la reale partecipazione all’intervento e la sostenibilità dello stesso. Si intende, infine, realizzare attività didattiche formative ed educative con il coinvolgimento delle scuole e interventi sul territorio per la valorizzazione e la tutela dell’ambiente, dei beni comuni, del paesaggio, dei percorsi naturalistici ed enogastronomici, per favorire una reale integrazione e socializzazione dei destinatari dell’iniziativa all’interno della comunità locale.

Responsabile: ASSOCIAZIONE MAI PIÙ SOLI

Partner:

ASL SALERNO
ASSOCIAZIONE GIOVAMENTE
ASSOCIAZIONE LA VITA DENTRO
ASSOCIAZIONE MACROVERSO
COMUNE DI MONTECORVINO PUGLIANO
FEDAGRI REGIONE CAMPANIA
FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ SALERNITANA
FRIDA: ASSOCIAZIONE CONTRO LA VIOLENZA DI GENERE
ISPPREF – ISTITUTO DI PSICOLOGIA E PSICOTERAPIA RELAZIONALE E FAMILIARE
PRS – PROGETTAZIONE E RICERCA SOCIALE
STALKER COOPERATIVA SOCIALE

link all’articolo




Rugby nel cuore dalle isole Fiji

I mari del sud

I mari del sud

Mosese Tavutunawailala, per gli amici Mojee, è un bel ragazzo di 27 anni delle Fiji, dal cognome impronunciabile e dal sorriso disarmante. Gioca come centro della squadra di rugby di Arvalia di Corviale periferia popolare di Roma e la sua storia e il suo arrivo in Italia hanno il sapore della magia che si respira in una commedia romantica. Cosa ti ha spinto a lasciare le isole Fiji per venire in Italia? Giocavo in una squadra importante ma mi ero infortunato e così passavo il tempo della convalescenza in spiaggia. Un giorno ho incontrato una ragazza italiana, di Roma, che lavorava in Australia e che si era presa qualche giorno di vacanza da passare alle Fiji. È stato un colpo di fulmine, non ci siamo più lasciati. Lei non solo non è più tornata in Australia, ma neanche in Italia ed io ho passato tutta la convalescenza con lei, sono guarito ed ho ripreso a giocare. Federica, così si chiama, ha così deciso di rimanere con me alle Fiji, abbiamo cominciato a convivere e dopo quattro mesi ci siamo sposati. E poi cosa vi ha fatto cambiare idea e trasferire in Italia? E come è stato l’impatto da un paradiso terrestre al caos di Roma? Dopo circa sei mesi la famiglia di Federica ha avuto dei problemi che hanno reso necessaria la sua presenza in Italia. Per me non ci sono stati tanti problemi, il mio unico pensiero era: “Ma in Italia si gioca a rugby?” Ho chiesto, molto preoccupato, alla mamma di Federica. Perché sapevo che c’era una nazionale di rugby, ma sapevo anche che non c’era e non c’è una vera e propria tradizione rugbistica come nel mio Paese. Noi giochiamo a rugby e non a pallone. Noi abbiamo il rugby nel sangue. I bambini nelle strade con qualsiasi oggetto s’inventano una partita di rugby, in più c’è tutta una filosofia legata alle nostre danze di guerrieri che hanno significato di rispetto dell’avversario che sapevo non esistere in Italia. Eppure, nonostante l’Italia non fosse la patria del rugby, sei arrivato lo stesso qui. Sì, l’amore per mia moglie mi ha fatto superare ogni paura e diffidenza. E poi comunque quando siamo arrivati nel 2008, ho cominciato subito a cercare lavoro e a fare provini in alcune squadre del nord, dove c’è più tradizione nel rugby. Ho anche giocato in una squadra di serie A, però purtroppo ho avuto grandi difficoltà, perché nonostante fossi sposato con una italiana, per la federazione continuavo ad essere straniero e quindi ad avere problemi di tesseramento, di regole e così via. Cosa ti ha portato poi a Roma? Per prima cosa sono nate le nostre bellissime gemelle e così, visto che Federica aveva una casa vicino Corviale e aveva anche maggiori possibilità di trovare lavoro, siamo rientrati a Roma. All’inizio non è stato per niente facile. Roma è una città caotica, molto lontana dal mio mondo. È enorme e in più nel quartiere ci sono state anche delle insofferenze, mi chiamavano negro, e anche se sono stati episodi sporadici mi hanno comunque fatto pensare e preoccupare, anche per le mie figlie. L’incontro con la squadra di rugby Arvalia di Corviale come è avvenuto? Un giorno ero per strada e giocavo a rugby con una palla improvvisata. Si è fermato un ragazzo che fa parte della squadra maggiore dell’Arvalia e mi ha chiesto se volevo andare con lui presso il campo che si trova proprio sotto Corviale. È stato anche lì un colpo di fulmine. Ho incontrato persone meravigliose, che attraverso il rugby cercano di aiutare tanti ragazzi ad uscire da situazioni difficili, questo è un quartiere ad alto livello di disagio e loro credono in questo sport e mi hanno dato una nuova chance. Fai parte della squadra maggiore, per cui immagino che tu sia la loro stella. In fondo deve essere entusiasmante trasmettere ai ragazzi il senso di squadra, l’etica del rugby, e anche la velocità, le dritte di questo sport che voi avete nel sangue. Diciamo di sì. Cerco di trasmettere loro le regole che fanno grande questo sport, il senso di sacrificio, cosa non facile nei giovani di oggi e in un quartiere così, ma anche le furbizie atletiche, i passaggi in velocità, che per la verità gli italiani non hanno proprio nel loro dna. E poi i fondatori di Corviale Salvatore Gallo, Fabio Di Giovannantonio, mi hanno anche dato la possibilità quella di lavorare come barman nella zona ristoro del circolo, incrementare così le mie entrate. In pratica ho trovato una nuova famiglia. Ma insegni loro anche la danza maori, quella che per esempio fa sempre la nazionale delle Fiji quando gioca le sue partite? Assolutamente no! La danza guerriera fa parte della nostra tradizione, non è un gioco, è insita in noi e nel nostro concetto di rispetto dell’avversario, del nemico. Le tue bambine hanno difficoltà a scuola a farsi chiamare per cognome, è lunghissimo. Anch’io pensavo, e invece tutti i loro compagni lo dicono in un soffio come una filastrocca. Tavutunawailala.

Antonella Matranga
link all’articolo

 

il rugby a Corviale non ha eta




Cinema. Oscar, il corto “Tiger Boy” in corsa per le nomination

Cinema/Oscar, il corto "Tiger Boy" in corsa per le nominationL’Academy of Motion Picture Arts and Sciences ha selezionato il pluripremiato cortometraggio del regista italiano Gabriele Mainetti, “Tiger Boy”, tra i dieci finalisti per la nomination all’Oscar – categoria “live action short” – all’86esima edizione degli Academy Awards. Per poter accedere alla prima selezione degli Oscar un cortometraggio deve aver vinto un premio Academy® Accredited (premio riconosciuto dall’Academy).

Ne esistono circa 120 sparsi tra Festival Internazionali di grande prestigio. “Tiger Boy” il suo lo ha conquistato al Flickerfest in Australia. Di questi 120 i migliori dieci competeranno per le nomination. Il corto di Mainetti è uno dei dieci finalisti. Le nomination saranno annunciate il 16 gennaio 2014.

“Tiger Boy” si è distinto per aver vinto il Nastro d’Argento 2013, il riconoscimento italiano più importante per la sua categoria. Il piccolo protagonista, Matteo, aveva già impressionato la giuria del Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici, colpita dalla forza narrativa dell’opera: “Ina storia violenta raccontata con particolare delicatezza, per una molestia ripetuta e umiliante, che diventa riscatto e liberazione negli occhi di un bambino, vittima della pedofilia, capace di gettare la maschera solo quando si libera del proprio aguzzino”.

Tanti gli apprezzamenti per il cortometraggio di Gabriele Mainetti: l’opera è stata finalista al Globo d’Oro 2012 e al David di Donatello 2012, è arrivata seconda al 42esimo Giffoni Film Festival – Generator +13, si è aggiudicata il Premio Emidio Greco al Festival del Cinema Europeo di Lecce 2013 e il Premio Studio Universal al Maremetraggio 2013. Vincitore del Grand Prix du Film Court de la Ville de Brest al 27esimo Brest European Short Film Festival (Francia), “Tiger Boy” ha inoltre partecipato al 28esimo Santa Barbara International Film Festival (USA) come unico corto europeo in concorso, grande riconoscimento per il giovane regista da sempre affascinato ed influenzato dal cinema a stelle e strisce.

“Tiger Boy” è la storia di Matteo, un bambino di nove anni che si crea una maschera identica a quella del suo mito, “Il Tigre”, wrestler del popolare quartiere romano di Corviale. La maschera diventa una seconda pelle per Matteo e non vuole togliersela per nessuna ragione. Quello che a prima vista viene scambiato per un capriccio, in realtà è una drammatica richiesta d’aiuto che nessuno riesce a cogliere. Il dramma di “Tiger Boy” è al centro del cortometraggio realizzato nel 2012 dal regista Gabriele Mainetti, su soggetto e sceneggiatura di Nicola Guaglianone. Interpreti d’eccezione, il piccolo Simone Santini al suo esordio e gli attori italiani Lidia Vitale e Francesco Foti. Tiger Boy non è un esordio alla regia per Gabriele Mainetti, già apprezzato per il corto “Basette” del 2010 e per altri cortometraggi.

Il regista sta ora lavorando al suo primo lungometraggio “Lo chiamavano Jeeg Robot” (prodotto da Goon Films), che uscirà sul grande schermo nel 2014.

Questa è una notizia dell’agenzia TMNews.

link all’articolo

scheda film




Consumo netto di suolo zero

suolo«Entro il 2020 le politiche comunitarie dovranno tenere conto dei loro impatti diretti e indiretti sull’uso del territorio, a scala europea e globale, e il trend del consumo di suolo dovrà essere sulla strada per raggiungere l’obiettivo del consumo netto di suolo zero nel 2050». Ma cominciare domani è già troppo tardi
La necessità di limitare il consumo di suolo e in particolare di suolo agricolo (8 metri quadrati al secondo, secondo i dati di ISPRA) è ormai entrata a tutti gli effetti nell’agenda politica nazionale. Dopo il DDL Catania, presentato dall’omonimo Ministro del governo Monti e arrivato fino all’approvazione della Conferenza Stato-Regioni, nell’attuale legislatura sono stati depositati tre disegni di legge di iniziativa parlamentare che hanno come obiettivo dichiarato la limitazione del consumo di suolo, a cui va aggiunto un ulteriore disegno di legge promosso direttamente dal governo Letta.
Questi disegni di legge hanno suscitato un acceso dibattito sui principali quotidiani trovando critici e sostenitori. Senza entrare nel merito del dibattito, un dato abbastanza sorprendente è che nessuna delle quattro proposte pare prendere le mosse dagli indirizzi e dai principi espressi in tema di consumo di suolo a livello comunitario. Nella comunicazione della Commissione Europea “Tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse” [COM(2011) 571] uno specifico capitolo viene dedicato a terra (Land) e suoli (Soils). Per queste risorse, considerate a un tempo strategiche e vitali, viene fissato un obiettivo molto ambizioso e insieme di vasta portata per quanto comporta a livello urbanistico e territoriale: entro il 2020 le politiche comunitarie dovranno tenere conto dei loro impatti diretti e indiretti sull’uso del territorio, a scala europea e globale, e il trend del consumo di suolo dovrà essere sulla strada per raggiungere l’obiettivo del consumo netto di suolo zero nel 2050.
Purtroppo nella versione italiana della Comunicazione questo fondamentale principio del consumo netto di suolo zero (no net land take) non viene adeguatamente riportato e forse ciò può spiegare il suo mancato richiamo nei disegni di legge citati. Manca infatti nella traduzione italiana la parola chiave “netto”, un aggettivo solo all’apparenza accessorio che è stato invece volutamente inserito per le profonde implicazioni che sottende.
Consumo netto di suolo zero non significa infatti congelare l’infrastruttura urbana impedendo in assoluto di occupare nuovo territorio. Al contrario esso consente l’occupazione di spazi liberi purché questo avvenga a saldo zero, de-sigillando o ripristinando ad usi agricoli o seminaturali aree di pari superficie in precedenza urbanizzate e impermeabilizzate. E’ questa una specificazione fondamentale che introduce anche nella pianificazione urbanistica e territoriale il principio del riciclo e dell’economia circolare, già espresso nella strategia Europa 2020, con l’obiettivo finale di disaccoppiare lo sviluppo urbano dal consumo della risorsa suolo.
Con l’introduzione del termine “netto”, l’obiettivo del consumo di suolo zero da vincolo di fatto impraticabile si trasforma in motore di una nuova stagione di trasformazione urbana, fondata sulla riqualificazione dell’esistente e sul ridisegno del territorio urbanizzato, che non deve essere più considerato come un dato acquisito e irreversibile, ma come un corpo suscettibile di essere ridisegnato e ricucito secondo nuove e più funzionali orditure in grado anche di recuperare i guasti di uno sviluppo passato, di carattere spesso incontrollato e disperso, rivelatosi alla fine inefficiente ed anti-economico.
La sfida qui, più che fissare degli obiettivi quantitativi di consumo di suolo o enunciare principi generali di riuso che vengono poi sistematicamente disattesi, è quella di trovare gli strumenti e i meccanismi regolativi che consentano di avviare questo processo di rigenerazione urbana a consumo netto zero garantendo l’indispensabile sostenibilità economica degli interventi edilizi e infrastrutturali, sia per gli operatori immobiliari privati che per i soggetti pubblici.

E’ in quest’ottica, e come strumento di accompagnamento all’obiettivo fissato dalla Comunicazione sull’uso efficiente delle risorse, che la Commissione Europea ha successivamente pubblicato le Linee guida sulle migliori pratiche per limitare, mitigare e compensare l’impermeabilizzazione del suolo [SWD (2012) 101].
Il documento si rivolge agli Stati membri, agli enti locali, agli operatori del settore e in generale ai cittadini e ha come fine quello di fornire informazioni sul livello di impermeabilizzazione del suolo nell’Unione Europea, sulle cause e gli impatti, nonché sugli esempi di buone pratiche per contrastarlo. L’impermeabilizzazione del suolo è uno degli effetti del “consumo di suolo”, ma non coincide con quanto usualmente si intende con questa espressione, che riguarda piuttosto l’occupazione di aree agricole o semi-naturali per usi urbani (land take). In media circa la metà delle superfici urbanizzate risultano effettivamente impermeabilizzate con totale perdita delle funzioni del suolo. Anche in questo caso l’ordine delle parole del titolo non è casuale o secondario, ma stabilisce una precisa gerarchia di priorità in vista del raggiungimento dell’obiettivo più generale di fermare l’incremento di superfici impermeabilizzate e quindi il consumo effettivo di suolo.
Limitare l’impermeabilizzazione resta il principio di fondo che deve avere sempre la priorità su mitigare e compensare gli impatti, in quanto la perdita di suolo è di fatto irreversibile . Ai fini della limitazione è importante fissare obiettivi quantitativi che devono però essere accompagnati da adeguate misure di monitoraggio e controllo. La mitigazione interviene quando si occupano nuove aree per ridurre in situ le conseguenze negative dell’impermeabilizzazione del suolo, ad esempio utilizzando materiali di copertura permeabili che garantiscano l’invarianza idraulica. La compensazione dovrebbe essere utilizzata solo quando non è possibile limitare e mitigare e si traduce in interventi in aree diverse da quelle occupate per “compensare” su scala territoriale la perdita di funzioni dei suoli impermeabilizzati. Esempi di compensazione sono: il riutilizzo del suolo rimosso per ripristini in altri luoghi, la bonifica di siti contaminati, la rimozione o sostituzione di coperture impermeabili (manti stradali, edifici) con ripristino a verde (de-sealing), l’imposizione di un extra onere da utilizzare per interventi di tutela e risanamento dei suoli. In Europa, in particolare in Olanda e Germania, la compensazione è già oggi obbligatoria sia per gli interventi infrastrutturali che per le nuove lottizzazioni.
Sebbene la compensazione venga ultima come ordine di priorità nella gerarchia delle linee guida, essa agisce da rinforzo per limitare il consumo di suolo e può diventare la chiave per attuare la politica del consumo netto di suolo zero, soprattutto se intesa come ripristino di aree precedentemente occupate. E’ quello che succede in città come Dresda o Stoccarda dove sono stati introdotti regolamenti urbanistici che vincolano la costruzione sul terreno libero al recupero e ripristino, da parte del soggetto attuatore, di altri spazi già impermeabilizzati presenti all’interno del Comune.
Si tratta di fatto di una sorta di perequazione che attribuisce crediti di impermeabilizzazione a spazi costruiti relitti o inutilizzati (edifici e strutture con relative pertinenze in disuso quali parcheggi, aree cortilizie, piazzali) che una volta acquisiti attraverso il ripristino preventivo possono essere sfruttati per nuova occupazione di suolo in altre aree individuate dalla pianificazione comunale. E’ un modo questo di attivare un motore di riciclo delle aree urbane che consente di ridisegnare le città a parità di occupazione di suolo.
La priorità nelle politiche di contenimento del consumo di suolo rimane comunque quella di favorire la rigenerazione e riqualificazione del tessuto urbano esistente intervenendo sulle aree dismesse e sul patrimonio edilizio. Questo si interseca con un altro pilastro della strategia di Europa 2020 che è quello della de-carbonizzazione dell’economia e della transizione energetica. Un terzo dei consumi energetici, a livello nazionale come comunitario, proviene dal settore domestico e abitativo. La stragrande maggioranza degli immobili sono stati costruiti prima degli anni `90 e presentano pessime prestazioni energetiche (in molti casi consumi superiori di 10 volte alla classe A), bassa qualitá abitativa, inadeguati accorgimenti antisismici. Se si vogliono raggiungere gli obiettivi comunitari di riduzione delle emissioni e del consumo di combustibili fossili è soprattutto lì che bisogna intervenire
La “grande opera” del futuro deve quindi essere la riqualificazione edilizia promuovendo il riciclo delle aree e dei materiali di costruzione, nonché l`uso di tecniche di bio-edilizia che valorizzino le filiere produttive locali. Per fare questo bisogna approntare adeguate politiche regolative, fiscali e di facilitazione al credito con l`obiettivo di rendere più conveniente il recupero dell`esistente piuttosto che la costruzione del nuovo e orientare di conseguenza il mercato immobiliare. Tra queste azioni, oltre al vincolo del consumo netto di suolo zero, si annoverano:
defiscalizzazioni per interventi di ristrutturazione, di adeguamento sismico e di miglioramento energetico sulla base del modello già sperimentato con successo del 55 e ora 65%;
esenzione dal pagamento degli oneri di urbanizzazione, riduzione di altri oneri (occupazione di suolo pubblico, permessi, conversioni di uso), possibilità di incentivi volumetrici per interventi di riqualificazione, recupero, ristrutturazione che comportano un significativo abbattimento dei consumi energetici e delle emissioni;
forme agevolate di finanziamento e di ulteriore esenzione fiscali per condomini che deliberano di investire nella riqualificazione dell`immobile;
promozione e facilitazione d interventi sullo schema ESCO (Energy Service Company) con rafforzamento dello strumento incentivante dei certificati bianchi e del conto termico;
riforma della fiscalità comunale con disaccoppiamento delle entrate dal consumo di territorio e divieto di utilizzo degli oneri di urbanizzazione per la spesa corrente;
Ecco quindi che l’obiettivo comunitario del consumo netto di suolo zero va inteso non solo come un vincolo di una politica ambientale tesa a tutelare una risorsa strategica e vitale come il suolo, ma anche come stimolo e propulsore per avviare il grande cantiere della riqualificazione e del riassetto urbano in grado di rilanciare il settore delle costruzioni e di rendere al contempo più sostenibili e vivibili le nostre città. E’ solo su queste basi che si può uscire dalla crisi e costruire un reale e duraturo sviluppo coniugando le esigenze di sostenibilità e di tutela ambientale con quelle altrettanto stringenti di garantire lavoro e reddito di impresa.

postilla
Mi domando quale sarebbe il risultato di questa compensazione in Italia, dove l’unica legge rispettata dai forti è l’elusione della legge, deve la rendita e i “diritti edificatori”imperano, e dove la pubblica amministrazione è sempre meno motivata, autorevole, competente e attrezzata.
di NICOLA DALL’OLIO
link all’articolo




La bottiglia con la candeggina che illumina gratis trionfa nelle periferie di tutto il mondo

bottigliaAlfredo Moser è un meccanico brasiliano che ha avuto un’idea brillante nel 2002, dopo aver subito uno dei frequenti black-out che interessano Uberaba, la città dove vive nel sud del Brasile.

Stanco di guasti elettrici, Moser ha iniziato a giocare con l’idea della rifrazione della luce solare in acqua e in poco tempo ha inventato la “lampadina dei poveri”. “Wit” è semplice e disponibile a chiunque: una bottiglia di plastica riempita d’acqua da due litri a cui si aggiunge un po’di candeggina per preservarla dalle alghe. Il flacone è stato posto in un foro nel tetto e dotato di resina poliestere.

Il risultato? Illuminazione libera e organica durante il giorno, particolarmente utile per gli edifici e baracche che a malapena hanno finestre.

A seconda dell’intensità del sole, la potenza di queste lampade artigianali si aggira tra i tra 40 e i 60 watt. “E ‘una luce divina. Dio creò il sole e la sua luce è quindi per tutti “, ha riferito Moser alla BBC . “Non costa un centesimo ed è impossibile che si fulmini.”

Anche se l’inventore ha ricevuto piccole ricompense per le installazioni di Wit nelle case e in aziende locali, la sua idea non lo ha reso ricco.
Un grande senso di orgoglio: «Conosco un uomo che ha inserito le bottiglie e in un mese aveva risparmiato abbastanza per comprare beni di prima necessità per il loro bambino appena nato”, dice soddisfatto.
Un’idea che si è diffusa in tutto il mondo.

Ma la lampadina geniale non si è fermata a Uberaba. Negli ultimi due anni l’invenzione ha subito una grande espansione in tutto il mondo.

Ad esempio, la Fondazione MyShelter (mio rifugio) nelle Filippine ha accolto con entusiasmo l’idea. MyShelter è specializzata in costruzioni alternative utilizzando materiali come il bambù, pneumatici o su carta.

In Cina, dove il 25% della popolazione vive sotto la soglia di povertà e l’elettricità è particolarmente costosa, ci sono 140.000 famiglie che hanno fatto ricorso a questo sistema di illuminazione.

Il direttore esecutivo del MyShelter, Illac Angelo Diaz spiega che bottiglie-lampadine sono diffuse ad almeno quindici paesi, tra cui India, Bangladesh, Fiji e Tanzania.

“Non ho mai immaginato che la mia invenzione avrebbe avuto un tale impatto”, afferma Moser. “Solo a pensarci mi viene la pelle d’oca.”
link all’articolo




Le città volanti, le funivie alla conquista dei centri urbani

funiviaMolto più economiche, ecologiche, veloci e perfino belle le cabinovie stanno diventando sempre più un’alternativa a metro e tram. Dopo Londra, Rio e Medellin, nuovi progetti sono pronti per decollare in mezzo mondo, da Lagos ad Ankara, da Amburgo a La Mecca
È nei dettagli che si nasconde il diavolo. Così, tra un futuro visionario e uno molto più banale, la differenza può farla un semplice filo. Intere generazioni di autori di fantascienza hanno immaginato città avveniristiche dove il traffico è sparito, sostituito da un viavai di navicelle che si muovono libere nell’aria. Effettivamente è ciò che sembrano riservarci gli anni a venire, ma il merito non sarà di qualche rivoluzionario sistema di trasporto capace di vincere la gravità. A trasferire buona parte degli spostamenti a qualche decina di metri da terra sarà piuttosto una tecnologia vecchia di oltre un secolo: la funivia. Più ecologica, più economica, più semplice da gestire e spesso decisamente più bella, la funivia sta emigrando dalle cime delle montagne per conquistare sempre più spazi in città, dimostrando di essere anche nelle zone di pianura una validissima alternativa a bus, tram e metropolitane.

LE IMMAGINI

“Le cabinovie e i sistemi di transito a cavo sono al momento una delle tecnologie più dinamiche e a più rapida diffusione al mondo”, spiega Steven Dale, urbanista canadese a capo del Creative Urban Projects. “Mano a mano che un numero crescente di città fa a gara per realizzare reti di trasporti sempre più complesse, aumenta il ricorso alle funivie per risolvere i loro problemi”, sottolinea.

“È una tendenza generale, ma a trascinare il boom è soprattutto l’America Latina”, conferma Carlo Iacovini, manager di Clickutility e curatore di un recente convegno dedicato al tema dalla fiera Citytech. “L’economicità delle linee – osserva – consente l’accessibilità per quelle aree localizzate in collina e poco raggiungibili con servizi di terra. Spesso si tratta di periferie degradate ad altissima densità abitativa che si possono raggiungere solo sorvolandole. Medellin Metrocable in Colombia è in servizio dal 2006; ha reso accessibile il quartiere Aburra Valley trasportando seimila passeggeri all’ora e risollevandolo da una situazione di degrado e isolamento. Rio de Janeiro ha inaugurato la prima Teleferica Do Aleman nel 2011 con 3,5 km di lunghezza e sei stazioni che collegano alcuni quartieri residenziali con il centro, con una capacità di tremila persone all’ora. Il successo è stato tale che si è replicato con una seconda linea aperta in queste settimane che unisce il quartiere di Morro da Providencia (la più antica favelas di Rio) con il centro in pochi minuti”.

I numeri dei collegamenti via cavo sono sorprendenti. Ogni chilometro costa tra i tre e i quattro milioni di euro contro i cento di una linea metropolitana, ma può garantire lo spostamento anche di tre o quattro mila persone all’ora, con punte fino a ottomila. “Ancora più interessanti sono i costi di gestione, davvero bassissimi visto che queste linee hanno bisogno di poco personale di controllo e solo alle stazioni del capolinea “, sottolinea Maurizio Todisco, manager della Leitner, azienda altoatesina leader del settore. Molto più silenziose e meno inquinanti grazie ai motori elettrici, le funivie hanno anche tempi di realizzazione decisamente più rapidi visto che, se il percorso non prevede ostacoli particolari, un classico tracciato cittadino da 5-6 km richiede meno di un anno per la sua realizzazione mentre tram e metropolitane possono avere bisogno di oltre un decennio. Così, a fronte di questi vantaggi, la lista delle città che hanno già scelto o che si accingono a scegliere la mobilità via cavo si allunga di mese in mese.

“Nel giro di pochi anni la parte del nostro fatturato derivante da cabinovie urbane è passato dal dieci al venti per cento del totale e siamo convinti che il business del futuro ormai sia sempre più questo”, sottolinea ancora Todisco. La Paz, Tolosa, Groningen, Lagos, Amburgo, La Mecca sono solo alcuni dei nomi di un elenco di progetti che tocca ormai i cinque continenti, ma il caso più clamoroso è forse quello di Ankara dove è in via di realizzazione un vero e proprio reticolo di linee aeree che anche nella mappa ricorda a tutti gli effetti la tipica ragnatela di un efficiente sistema di metropolitane. E chi non passa alle funivie per risolvere i problemi di traffico lo fa per richiamare turisti, come Londra, dove la linea che sorvola il Tamigi inaugurata in occasioni delle Olimpiadi del 2012 è diventata una delle principali attrazioni.

Sostanzialmente assente da questo grande fermento l’Italia, malgrado abbia in casa un’azienda come la Leitner che insieme agli austriaci della Doppelmayr si spartisce il mercato mondiale del settore. Da noi, da Segrate a Genova, dal Ponte sullo Stretto all’Eur di Roma, siamo fermi a qualche progetto a corto di soldi o in attesa di passare dalle tante forche caudine burocratiche. Eppure non mancano le idee d’avanguardia. L’architetto Stefano Panunzi, docente di Ingegneria edile all’Università del Molise, sponsorizza da anni la proposta di una “circolare volante ” che unisca i vecchi forti dismessi che fanno da corona al centro di Roma, ma davanti allo stop della sovrintendenza collabora ora alla battaglia per la realizzazione di una cabinovia che unisca una zona periferica (Casalotti) al capolinea di una linea della metro (Battistini). “Ma non bisogna farne una questione ideologica, le funivie non sono una panacea, occorre promuoverle partendo dal basso, sulla spinta dei cittadini e dei comitati di quartiere finalmente consapevoli che esistono delle valide alternative, economiche ed ecologiche, per riqualificare i loro quartieri”.

Anche quest’ultimo progetto per il momento è solo un sogno, ma come spesso accade, nel paese dove il normale è quasi sempre impossibile, a volte succede qualcosa di eccezionale. È il caso di Perugia, dove dal 2008 è in funzione il primo esemplare al mondo di “minimetro”, una teleferica composta da 25 vagoni privi di conducente che adagiati su un binario vengono tirati da un cavo lungo un percorso di 4 km articolato in sette fermate, compresi i capolinea.
di VALERIO GUALERZI
link all’articolo