1

ROMA SU UNA BARCA CHE AFFONDA – 7 DOMANDE DI ALESSANDRA MAMMI’ ALL’ASSESSORE ALLA CULTURA

"una scatola vuota"

“una scatola vuota”

(PER MANCANZA DI PROVE) FLAVIA BARCA SUL DISASTRO DEL TEATRO PALLADIUM, ENNESIMA MERITORIA ISTITUZIONE CULTURALE SVENTRATA DALLA GIUNTA MARINO

Domani l’annuncio che il Teatro Palladium sarà tolto alla gestione di RomaEuropa, l’associazione internazionale che nel mese di gennaio, grazie a Peter Stein ed Emma Dante, ha contatto 28 “tutti esauriti” – 10 anni di successi, pubblico fedele, conti in ordine. Ora diventerà una scatola vuota “per la formazione”. Ma di chi? Perché?…

Che dirà Flavia Barca assessore alla cultura, domani alle 12 a Roma in via dei Magazzini Generali 20, quando gran parte della cultura romana si riunirà per l’infausto annuncio che il teatro Palladium verrà tolto alla gestione di Roma Europa?

Ci sarà? Verrà a spiegare il perché di fronte a artisti, addetti ai lavori, giornalisti più quel che resta del Macro dopo analogo trattamento?

Elencherà i motivi che l’hanno convinta dopo 10 anni di programmazione, un bilancio in equilibrio, uno scenario internazionale, un pubblico fedele, a dimezzare il budget di uno degli appuntamenti più seguiti della capitale e a togliere il Teatro alla gestione del festival?

Dirà che cosa intende per “Rilanciare il teatro Palladium puntando, come elemento strategico, anche alla formazione”, visto che in gennaio il medesimo teatro puntando invece sulla buona programmazione con Peter Stein ed Emma Dante ha contato 28 tutti esauriti?

E poi lo sa Flavia Barca cosa le rimarrà in mano mercoledì 12 febbraio quando a soli tre giorni dall’ultima replica di Emma Dante, Roma Europa armi e bagagli sarà sfrattata senza colpa come gli anarchici di Lugano?

E’ consapevole che quel teatro che ha visto arrivare in Italia i più importanti artisti, registi,coreografi, ballerini che si chiamino Kentridge o Jan Fabre, Peter Stein o Bob Wilson è stato costruito pezzo a pezzo dal festival?

Sa che appartengono a Roma Europa le luci, le griglie dell’illuminotecnica, le apparecchiature del suono, tutta le scenotecnica insomma e persino un pezzo di palcoscenico che era inesistente e che è stato da loro allungato e allargato?

E Roma Europa porterà giustamente via anche quello, lasciando però le seggioline colorate che a rigor di logica son moralmente sue, visto che le ha disegnate in omaggio al festival il molto famoso scenografo Richard Peduzzi, il quale non avrebbe sollevato una matita per il Rettore di Roma 3, che ora rivendica la proprietà dello stabile.

Una scatola vuota, signora Barca, dove può giusto puntare sulla formazione. E spero ci spieghi presto quale. Come se la migliore formazione per un paese, per una città e per i suoi abitanti non fosse invece quello che ha fatto Roma Europa finora, trasformando il Palladium in un crocevia dell’eccellenza artistica internazionale.

Alessandra Mammì

link all’articolo




Il mostro di San Lorenzo

quando a Roma si progettava l'utopia

quando a Roma si progettava l’utopia

perchè a New York sì e a Roma no?

perchè a New York sì e a Roma no?

 




IL CINEMA AMERICA STA PER ESSERE DEMOLITO

america

IL 17 FEBBRAIO DURANTE UN’ASSEMBLEA PUBBLICA ALL’INTERNO DEL CINEMA AMERICA PRESENTEREMO IL NOSTRO PROGETTO DI RECUPERO E RESTAURO. Il Cinema America è minacciato dalle ruspe della proprietà, la Progetto Uno s.r.l., che vuole distruggere questo edificio per farne un palazzo con 20 monolocali di lusso, con due piani di parcheggi sotterranei ed una galleria d’arte privata, che dovrebbe sostituire l’attività sociale e culturale che il Cinema America ha svolto sino ad ora. Come è ben facile intuire, si tratta di una vera e propria speculazione edilizia nel cuore di Trastevere: né un piano di edilizia sociale, né di valorizzazione culturale.

Progettato da Angelo Di Castro negli anni ‘50, il Cinema America, oltre a rappresentare una delle poche sale di quartiere ancora attive, testimonia la storia e la cultura della nostra città. Dove negli anni cinquanta e sessanta si assiste ad un vero e proprio boom: Cinecittà diventa la seconda capitale mondiale del Cinema, preceduta solo da Hollywood. A Roma si contano ormai più di 250 sale che, grazie ad un’altissima qualità, liberano al loro interno proprie individualità spaziali. Questa nuova tipologia edilizia del XX sec viene caratterizzata da pochi ma significativi elementi progettuali: la pensilina, l’insegna luminosa, il tetto apribile, l’uso del calcestruzzo e la combinazione fra arte-architettura. Elementi tutti che vengono esibiti e potenziati nella grande sala del Cinema America, ormai quasi un’eccezione.

A rileggere il D.M Interno 19 Agosto 1996, n 261 (regola di prevenzione incendi per la progettazione, costruzione ed esercizio dei locali di intrattenimento e di pubblico spettacolo) il Cinema America è anche a norma sui suoi punti più significativi, come i materiali usati all’interno, la distribuzione della sala e delle vie di uscita, la cabina di proiezione, le visuali verso lo schermo…ecc. Insomma, è predestinato ad essere Cinema.

Ma non è solo un edificio dall’alto valore artistico: per noi rappresenta un vero e proprio spazio di discontinuità urbana. In un rione in cui la gentrificazione e la messa a rendita del territorio conquistano ogni via ed ogni vicolo, l’America, controcorrente, propone l’accesso alla cultura ad un numero enorme di persone e mette a disposizione uno spazio di socialità svincolata dalle logiche di profitto.
Durante l’assemblea pubblica presenteremo il progetto della proprietà, attualmente in approvazione agli uffici dell’assessorato all’urbanistica. Ma, soprattutto, presenteremo il nostro progetto di restauro partecipato dell’edificio. Per noi il futuro di questo cinema è uno solo: gestione partecipata della programmazione cinematografica, cinema indipendente, presentazioni e dibattiti di film in collaborazione con registi ed attori, possibilità di fruire dello spazio anche nelle ore diurne trasformandolo da cinema ad aula studio, spazio espositivo per mostre, sala convegni pubblica, biblioteca e teatro, uno spazio in divenire che si modifica con le esigenze del territorio. Perché siamo convinti, e lo abbiamo dimostrato in questo anno di iniziative, che il Cinema America non è solo un cinema ma tanto altro. Per noi il tetto di questa sala cinematografica ha una storia e deve tornare ad aprirsi d’estate senza essere demolito.
Stiamo portando avanti un progetto di autofinanziamento popolare: l’8 marzo si concluderà con un’assemblea durante la quale i sottoscrittori decideranno come investire i fondi raccolti nel restauro e nella valorizzazione dell’edificio.

Il progetto di restauro ha visto anche le adesioni di personalità del mondo della cultura, dello spettacolo e dell’architettura che hanno preso parte a iniziative dell’occupazione del Cinema America: Paolo Sorrentino, Nanni Moretti, Toni Servillo, Carlo Verdone, Gianfranco Rosi, Nicolò Bassetti, Rocco Papaleo, Elio Germano, Libero de Rienzo, Daniele Luchetti, Elena Cotta, Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre, Daniele Vicari, Luca Vendruscolo, Francesco Pannofino, Stefano Benni, Marco Delogu, Ivano de Matteo, Andrea Sartoretti, Valerio Mastandrea, Claudia Pandolfi, Angelo Orlando, Ninetto Davoli, Roberta Fiorentini, Antonio Catania, Francesco Montanari, Gianni Zanasi, Giuseppe Piccioni, ing. Paolo Berdini Prof.ssa Alessandra Muntoni , Prof.ssa Maria Rita. Intrieri, Prof. Giorgio Muratore, Ing. Livio De Santoli, Prof. Silvano Curcio & 120 studenti “ghostbusters” diwww.fantasmiurbani.net Facoltà di Architettura Sapienza Università di Roma, Prof.ssa Simona Salvo e Prof. Andrea Bruschi e molti altri.
Restaurare il Cinema Ameria non è una speranza ma un progetto concreto: vi invitiamo tutti a venire qui per ascoltare la nostra proposta, formulata grazie all’architetto Cristina Mampaso: sullo schermo del cinema proietteremo le tavole del progetto di restauro e discuteremo insieme delle reali possibilità di sviluppo di questa proposta.

LUNEDI 17 FEBBRAIO ORE 18.00
ASSEMBLEA PUBBLICA AL CINEMA AMERICA OCCUPATO

Residenti di Trastevere – Comitato Cinema America – Cinema America Occupato

Per adesioni inviare un’email ad americaoccupato@gmail.com

————————–——————-

A seguire, alle ore 21, verrà proiettato:

“NUOVO CINEMA PARADISO” di Giuseppe Tornatore.

Le uniche poltrone a cui teniamo sono quelle di questo cinema.




Il social network per contadini in erba

orti

Un giovane italiano ha inventato terraXchange, il social network che mette in contatto proprietari di terre abbandonate e incolte con privati interessanti a crearsi un orto, un sistema tutto made in Italy di ”mezzadria” in salsa 2.0. Gli iscritti sono già oltre 200, soprattutto donne. Ecco come funziona

Vivete in città ma sognate un orto dove far crescere la lattuga e un cortile per allevare galline? Date un’occhiata a terraXchange, il nuovo social network inventato da un giovane agronomo italiano che mette in contatto chi ha terra ma non la usa con chi vorrebbe utilizzarla per coltivazioni private. L’affitto? Si paga in prodotti. TerraXchange è il nuovo sistema made in Italy di ”mezzadria” in salsa 2.0. Lanciato a novembre, ha raccolto già una ventina di offerte di terre, da Marsala a Trieste, e conta 220 iscritti. Oltre la metà sono donne. Iscriversi è gratuito: il social è finanziato dal commercio online di prodotti per l’orto e oggettistica per esterni.

L’inventore di terraXchange è Marco Tacconi, classe 1988, della provincia di Novara, laureato in “Valorizzazione e tutela dell’ambiente e del territorio montano” con tesi sull’allevamento caprino, alla facoltà di Agraria di Milano. A lui abbiamo chiesto di raccontare qualcosa in più su terraXchange.

Come è nata l’idea?
All’università avevamo creato un orto didattico di erbe aromatiche in un terreno incolto. Ho pensato di estendere questo modello a ogni terra abbandonata e un anno fa ho iniziato a sviluppare l’idea di un social network che potesse far incontrare domanda e offerta. Per 6 mesi ho fatto ricerche di mercato per verificare i numeri su cui stavo appoggiando il mio progetto. Da giugno a novembre abbiamo sviluppato il portale. Il 1°novembre lo abbiamo lanciato.

Chi sono gli iscritti a terraXchange? I miei utenti sono molto attenti, attivi e informati. Più della metà sono donne: 132 su 220. Non sappiamo l’età, ma stimiamo attorno ai 40 anni.

Cosa li spinge a coltivare?
Avere un passatempo che faccia bene a se stessi, ai cari e all’ambiente. Coltivare e mangiare i frutti del proprio orto dà molta soddisfazione. E ci riavvicina al ritmo naturale delle cose.

TerraXchange è un modello replicabile? Certo, è nato per poter essere utilizzato in tutto il mondo perché si basa su coordinate satellitari. Ogni terreno messo a disposizione ha coordinate geografiche, quindi a livello pratico anche se si trova dall’altra parte del mondo non ci sarà alcun problema ad inserirlo nel database.

Quanto impegno richiede un orto? Non è difficile coltivare, ma bisogna avere molta costanza e pazienza. In inverno l’orto ha bisogno di meno attenzioni.

Quanto si risparmia, coltivando in proprio?
Da un lotto di 20 metri quadrati una famiglia può trarre grosse soddisfazioni. Un metro quadro di orto produce da 0,5 kg a 3kg di ortaggi. Calcolando un prezzo medio di 2 euro al chilo, e considerando che l’orto può avere più cicli produttivi in un anno, il risparmio è evidente.

Che vantaggi ha il proprietario? Il terreno è mantenuto gratuitamente da altri e non perde valore nel tempo. Resta nelle mani del proprietario: niente occupazione abusiva o usucapione. Il proprietario può sempre vendere il proprio terreno o dividerlo in più lotti da far gestire a più persone, raccogliendo ortaggi da ognuno.

Come funziona il contratto?
Il ruolo di terraXchange finisce quando noi scambiamo i contatti mail tra proprietario e gestore interessato. Non ci occupiamo del rapporto contrattuale. Forniamo a chi lo desidera un contratto d’affitto standard modificato: il canone è rappresentato da ortaggi.

Come sapere se il terreno è inquinato? Non possiamo garantire la salubrità del suolo, questo è il compito di enti pubblici preposti. L’unico modo per sapere se è inquinato è un’analisi del terreno ma i costi sono elevati e non possiamo obbligare il proprietario a sostenerli.

Un orto vicino a una strada trafficata, è da evitare?
Più importante verificare se ci sono venti dominanti. Gli inquinanti viaggiano per molti chilometri se sospinti dal vento. Paradossalmente, un terreno vicino alla strada può essere meno inquinato rispetto a uno lontano. Ciò che possiamo suggerire è di avviare una coltivazione sana, senza uso di prodotti chimici.

link all’articolo




Cuore, mani, testa e rete: 7 consigli per diventare buoni artigiani digitali

Foto 2 Meme“Chi lavora con le sue mani è un lavoratore. Chi lavora con le sue mani e la sua testa è un artigiano. Chi lavora con le sue mani e la sua testa ed il suo cuore è un artista”. Così diceva Francesco d’Assisi. Oggi alle mani, alla testa, al cuore potremmo aggiungere anche la rete. E tutto il potenziale che ne consegue.

In questi ultimi tre anni ho conosciuto di persona oppure online centinaia di questi nuovi artigiani. Li ho intervistati, poi ho raccontato le loro storie su wwworkers.it.Vivono e lavorano nel nord come nel sud-Italia e operano nei più disparati settori merceologici. Tutti loro raccontano storie di passione, di cura maniacale per i dettagli, di lavoro continuo, di determinazione.

Storie di lavoro artigiano, di qualità delle materie prime, di creazioni uniche, di vero “made in Italy”. E storie di lavoro in rete, grazie al potenziale espresso dalle nuove tecnologie. Perché il nuovo artigiano digitale è colui che riesce a mettere a sistema il ruolo delle reti, interpretando Internet agorà e non solo come vetrina per presentare i propri prodotti e servizi, la rete come luogo privilegiato di confronto con una community anche alto-spendente.

Ecco la generazione degli artigiani digitali. Grazie alle nuove tecnologie vendono, dialogano con i propri clienti, si posizionano verso nuovi pubblici e mercati, portano il made in Italy all’estero. Una ricerca promossa dal Craft Council e ripresa anche dall’edizione online del Guardian ha fotografato questi professionisti. L’identikit tracciato dall’istituto londinese non lascia spazio ad equivoci: la rete, e in particolare i social network, permettono di vendere di più e meglio. Facebook, Twitter, Pinterest, Google Plus consentono a tanti artigiani di raccontare in modo innovativo il proprio lavoro e di costruire una rete di relazioni sociali (qui la ricerca completa).

Vendere online, posizionare il proprio brand, intercettare nuovi pubblici anche in mobilità grazie a smartphone e tablet. Ecco i vantaggi iniettati dal web. “La nostra ricerca suggerisce come i social rivestano oggi un ruolo fondamentale nell’evoluzione del mestiere. La relazione che si instaura con nuovi clienti e partner commerciali diventa strategica”, ha raccontato Karen Yair del Crafts Council al Guardian. Social network come potenziale per valorizzare un mercato interno spesso dormiente e rafforzare l’esportazione. “Si supera l’isolamento delle piccole realtà e si arriva direttamente al cliente finale”.

Al posto di tutelare-difendere-secretare occorre narrare storie, uscire allo scoperto, dialogare. E non è un cambio da poco. Si tratta di una rivoluzione copernicana, un cambio di paradigma. Però occorre spiegarlo ai geniali artigiani nostrani: perché mentre creano le loro opere spesso in laboratori chiusi e botteghe blindate, una nuova generazione di professionisti (che arriva anche da fuori Italia) impara ad usare oltre che la testa, il cuore e le mani, anche la rete. Quella rete ancora troppo sconosciuta che resta un valore aggiunto di pochi.

 

Eppure è quella rete che consente di scalare mercati, incrementare fatturato, creare sinergie e alleanze con le nuove reti di impresa, allargare la base clienti,. Internazionalizzare il proprio prodotto o servizio e più in generale competere.

Foto 1 ElaLo ha capito Ela Siromascenko, arrivata dalla Romania e che oggi è a tutti gli effettiun’artigiana digitale. Fa prodotti unici, aumenta la sua visibilità, ha un laboratorio che è una stanza con una connessione sempre attiva col resto del mondo. L’ha raccontata Elisa Di Battista sul suo blog Laureatiartigiani.it.

Ela Siromascenko a ventinove anni ha deciso di trasferirsi in Italia perché innamorata del nostro Paese. Dopo una laurea in marketing, un master in relazioni pubbliche, un dottorato di ricerca in scienze della comunicazione e dopo otto mesi da Visiting PhD Student all’Università di Milano ha aperto una sartoria che esporta soprattutto all’estero, grazie al digitale. L’ha chiamata Eloncha, ed è un negozio online su Etsy, la più grande bottega artigiana al mondo. Così ha dichiarato Ela a Laureatiartigiani.it: “Al momento l’80% delle mie vendite viene dal negozio su Etsy. Essendo situato su una piattaforma con oltre 20 milioni di utenti e oltre un milione di negozi è fondamentale avere una buona indicizzazione. Un’altra fetta di vendite la ottengo pubblicizzando il mio lavoro su Facebook”.

Il quartiere generale di Elochka si trova in una delle stanze dell’appartamento dove vivo col mio fidanzato. Abbiamo una stanza come atelier: ho un tavolo grande per il taglio, tre macchine da cucire tra cui una industriale, il tavolo del computer e della stampante, il manichino, l’asse da stiro e pure due faretti per la fotografia e le scatole delle buste per la spedizione”.

Eccola allora una nuova generazione di artigiani digitalizzati che rispetto alle botteghe blindate sceglie di abbracciare la rete. Con costanza, con passione, con tanto studio.

Ela è autodidatta, ma la rete le ha dato una mano. E la laurea è stato un valore aggiunto. “Al giorno d’oggi non basta più solo saper fare delle cose belle e di qualità, bisogna essere capace di farsi vedere e posizionarsi in un mercato competitivo”. Come ho già scritto sul mio blog del Fatto Quotidiano, Ela racconta un’altra Italia che magari non impugna il forcone e ragiona su come fare concretamente qualcosa, un’Italia che arriva sempre di più da lontano con un bagaglio culturale e di energia, che spera e costruisce, che lotta contro mille pratiche burocratiche e un sistema di comunicazione nel quale il modello positivo non fa notizia, non fa breccia.

Di Ela abbiamo parlato a Ferrara alcune settimane fa, nell’ambito del Meme. E proprio Ela è stata ricordata da Stefano Micelli, docente della Cà Foscari a Venezia e autore di quello che è diventato il testo cult: “Futuro Artigiano”, edito da Marsilio.

“Il vecchio mondo non tornerà più ma in fondo è il vecchio mondo con occhi nuovi. Perché il vecchio mondo è franato e occorre ricostruire un immaginario. Oggi viviamo questo dualismo fortissimo tra l’economia della conoscenza, rappresentata dai brevetti, dalle tutele, dal copyright, rispetto all’economia del fare dei Paesi in via di sviluppo”.

Per Micelli non può più esistere questa scissione, non ce la possiamo permettere, e stiamo perdendo tempo prezioso. “In cinque anni abbiamo perso il 25% della capacità manifatturiera , il comparto edilizio è franato del 38% e nel segmento automotive consumiamo con nel 1976 e produciamo le stesse cose del 1956. Non possiamo perciò riferirci a mondi passati che sono franati”. Occorre una discontinuità, e questa è data dalla narrazione, da un immaginario differente. I makers, o gli artigiani digitali, sono narratori in quanto hanno un capitalee possono proporre la cultura del racconto. “Occorre narrare, svelare i prodotti, renderli interessanti, occorre progettare un mondo diverso”..

Non solo ti racconto una storia, ma ti coinvolgo in un processo: ecco allora cheaccanto al maker c’è il maker-hub, una piattaforma digitale di co-creazione. Le idee esistevano anche in passato, oggi però vengono condivise”, afferma Stefano Maffei del Politecnico di Milano, evidenziando come esistano due elementi che connotano i cosiddetti makers: l’idea di progetto e l’idea del fare. “E il tutto è legato nel nostro caso ad una tradizione centenaria, anche se negli ultimi anni sono gli americani ad averci fatto riscoprire questa passione del fare. Comunque in tutto questo c’è il background della nostra cultura manifatturiera. In questo le merci nuove – prodotte da imprenditori o attuatori diversi – sono in un mercato nuovo”.

L’artigiano storyteller diventa un nuovo interprete del made in Italy, e questoscenario significa prodotto interno lordo. “Non si tratta di fare il pubblicitario, si tratta di ripensare il rapporto tra cultura e manifattura. Il vero binomio tra questi due elementi è proprio nello storytelling, anche attraverso le nuove piazze di socializzazione e le nuove dinamiche di dialogo”, precisa Micelli. Così diventa importante interagire, dialogare sulle varie reti sociali, presidiando la community.

Si può procedere per gradi, senza preoccuparsi di comprendere tutto sin dall’inizio, alfabetizzandosi nel percorso (è questo il consiglio del Craft Council). E’ preferibile adottare un “tone of voice” diretto, autentico, informale ma competente. Si può iniziare ad intercettare i pubblici con una fanpage su Facebook e imparando a raccontare il proprio lavoro, le materie prime che ne sono alla base, la cura dei dettagli e la ricerca dei prodotti.

Si può fare con testi, foto e qualora si riesca anche con brevi video. Non occorrono grandi rivoluzioni, si può procedere per gradi, con pochi messaggi alla settimana, ma opera però con costanza. E poi è fondamentale andare oltre la rete, con incontri dal vivo come barcamp con artigiani o corsi di formazione in bottega. In questo modo si rafforza la community, ascoltandola e coinvolgendola in prima persona. Perché ascolto e gratificazione sono alla base del successo in rete. E il consentire di incontrarsi di persona incrementa la fiducia. Le migliori community nascono in rete, ma si rafforzano fuori, perché ancora oggi niente è più potente di una stretta di mano.

Ecco però sette passi, sette consigli che ho raccolto proprio dalle testimonianze dei wwworkers artigiani digitalizzati.

Passo 1: costruisci una storia in rete. Racconta la tua attività in prima persona con informazioni sulla tua azienda e sui tuoi prodotti. Punta sul sito web, sui social network e su app consultabili da smartphone e tablet

Passo 2: valorizza la tua community. Crea una relazione costante e intercetta il tuo pubblico attraverso parole chiave. Dialoga con community verticali interessate ai tuoi prodotti

Passo 3: ascolta e dai il feedback. Rispondi in modo appropriato e in breve tempo. Cerca il confronto e richiedi il feedback sull’esperienza di navigazione (usabilità della piattaforma) e di acquisto

Passo 4: fai un patto tra vecchi e nuovi modelli. Continua a portare avanti l’attività classica, ma integra anche con la rete.

Passo 5: punta sulla rete, e credici fino in fondo. Costruisci una relazione di medio-lungo termine. In rete il risultato lo misuri nel tempo, così ha senso costruire una strategia di lungo periodo

Passo 6: affidati ai professionisti. Ad ognuno il suo mestiere. Se hai risorse daallocare, cerca professionisti dedicati per gestire le conversazioni e le vendite, provando comunque a presidiare il segmento.

Passo 7: dimostra coraggio. Pensa alla vetrina online come integrazione della tua vetrina fisica: punta con coraggio sulle foto e su descrizioni multilingua dei prodotti

Foto 3 English CutSaper fare e saper comunicare. È ciò che afferma anche Hugh MacLeod, pubblicitario e anima di English Cut, vetrina della storica sartoria inglese che si racconta attraverso un blog costantemente aggiornato. Sono i nuovi “global microbrand”, così li ha definiti MacLeod, ovvero piccole grandi imprese artigiane narrate sul web. Un modo per riannodare i fili di una rete che oggi più che mai coniuga innovazione e tradizione.

GIAMPAOLO COLLETTI

link all’articolo




Scultura abusiva al Circo Massimo Aprite gli occhi sulla città-museo

operaProvocazione fallita, nessuno l’ha notata ma il Comune ora tenga gli occhi aperti. Sarebbe occupazione di suolo pubblico
Sarebbe occupazione di suolo pubblico, secondo i regolamenti dell’amministrazione comunale. Oppure spesa proletaria, secondo una memoria del Sessantotto quando molti giovani praticavano l’appropriazione indebita di oggetti di consumo nei grandi magazzini. In questo caso, Francesco Visalli, si è appropriato indebitamente di un bene di consumo turistico, lo spazio del Circo Massimo con vista sul Palatino. Sul piano del costume, dobbiamo constatare una certa distrazione o mancanza di controllo del territorio.

Per circa tre mesi, esattamente dalla notte del 24 novembre, una installazione di cosiddetta arte contemporanea ha convissuto con un importante sito archeologico e anche con il monumento a Giuseppe Mazzini. Una coabitazione con due miti: uno della storia romana, un altro del Risorgimento italiano. Sul piano artistico e culturale, Inside Mondrian, questo il titolo che Visalli ha dato al suo lavoro, sembra appartenere piuttosto al clima del Situazionismo che teorizzava incursioni e corti circuiti con il quotidiano, fuori dagli spazi deputati (musei o gallerie).
Al di là dell’impertinenza dell’operazione, constato che il nostro operatore culturale ha realizzato un’opera di modernariato linguistico costringendo Mondrian a vivere all’aperto tra le intemperie della stagione invernale e lo smog del traffico. Ma il Situazionismo operava su una strategia di confronto eclatante, capace di suscitare reazioni e riflessioni. Perché nel nostro caso questo non è avvenuto? Nessuno tra cittadini e turisti ha reagito o si è posto il problema se l’installazione costituisse un’opera di arte pubblica autorizzata dal Comune. La risposta, sul piano culturale, è semplice. Prevalgono la silenziosa occupazione di suolo pubblico e l’appropriazione indebita di un bene collettivo (il paesaggio urbano e archeologico) in quanto l’opera non ha la forza di stabilire un confronto e si adatta, con buona educazione geometrica, a coabitare in silenzio con la mitezza di un clochard. Comunque, non drammatizziamo con una severità postuma. Piuttosto, vigiliamo con più attenzione su una città che è un museo a cielo aperto.
di ACHILLE BONITO OLIVA
(testo raccolto da Carlo Alberto Bucci)
link all’articolo




Ecco come sarà il Centro Polifunzionale Appio I

appioVi accorgerete che il nostro è diventato un paese normale quando un progetto – giusto o sbagliato che sia – non dovrà attendere una quindicina d’anni dalla prima formalizzazione burocratica alla posa della prima pietra del cantiere. E invece così accade, sistematicamente. Col risultato di posti di lavoro persi, investimenti (per non parlare di quelli stranieri) che fuggono via, e città in larga parte abbandonata a se stessa, quasi compiaciuta del suo degrado e della sua decadenza tutt’altro che poetica. E’ accaduto anche al Centro Polifunzionale Appio, un vecchio deposito di tram e trenini della Stefer (la linea che correva in mezzo all’Appia Nuova, i meno giovani si ricorderanno ancora i binari, e che poi, con l’arrivo della Metro A venne trasformata in… giardino lineare come accade in tutto il mondo tipo High Line a New York? No: in parcheggio) che attende da una vita la sua trasformazione urbanistica. La prima delibera risale al 2001 infatti: c’era ancora Francesco Rutelli e a Manhattan svettavano le Torri Gemelle pensate un po’. Dal 2001 tra tremila pastoie burocratiche, amministrative, archeologiche si arriva al 27 gennaio 2014 data nella quale il cantiere pare abbia definitivamente inaugurato (nel frattempo, almeno, sono state effettuate tutte le demolizioni).
Cosa si farà qui? Il progetto è di uno studio di architetti londinesi con sede anche a Milano (Chapman Taylor) e il rendering che riusciamo a pubblicare dice tutto e non dice niente su quali saranno le funzioni e quale sarà l’impatto estetico. Ci sarà un grande parcheggio interrato sia pertinenziale sia funzionale al centro commerciale (speriamo che questo consigli il Municipio a togliere un – bel – po’ di posti auto dalla superficie procedendo ad allargamenti di marciapiedi e pedonalizzazioni) e, ovviamente, ci sarà lo spostamento all’interno del mercato rionale dell’Alberone. Alcuni volumi sembrano spingersi un po’ in altezza e si notano dei possibili servizi di ristorazione sul tetto. Verrà qualcosa di bello? Ce lo auguriamo. Ci auguriamo soprattutto che il cantiere no si interrompa per altri 13 anni…
link all’articolo




Prospettiva verticale

hong konglink all’articolo




CORVIALE VISTO DA MIMOA.IT

corvialeCorviale is one of the housing projects built on the outskirts of Rome in the 1970’s as part of the 1964 regional plan to alleviate crowding in the older central city. It is well-known as the longest single residential building in Europe: an 11-story high slab of apartments nearly 1 km in length. Conceived as an independent community for about 8000 people including other facilities such as schools, shopping, recreation facilities and even a church, the building was based on the idea of social housing to provide all needed infrastructures of a city within the complex itself, and to encourage social contacts between the occupants. For internal and political reasons many of these originally planned structures were never realized or are, almost 20 years after the first occupants moved in, still unfinished. The area suffers from the lack of an adequate metropolitan infrastructure and it remains isolated from the greater city of which it was intended to be a part. Maarten_Scheurwater

Corviale è uno dei progetti abitativi costruiti nella periferia di Roma negli anni ’70 come parte del piano regionale 1964 per alleviare l’affollamento nel vecchio centro città.  Noto come il più lungo singolo edificio residenziale in Europa: una lastra alta 11 piani di appartamenti, quasi 1 km di lunghezza. Edificio concepito per una comunità indipendente per circa 8000 persone con servizi come scuole, negozi, strutture ricreative e persino una chiesa. L’idea di alloggi sociali collegati a infrastrutture necessarie per una città perfetta, progettata per favorire i contatti sociali tra gli occupanti. Per ragioni organizzative molte strutture originariamente previste non sono mai state realizzate e sono, dopo oltre 20 anni di insediamento , ancora incompiute. La zona soffre della mancanza di un’infrastrutture  metropolitane adeguate e rimane isolata dalla città. Maarten_Scheurwater

link al sito




PORTRAITS GÉNÉTIQUES

FilleMerePascaleGhislainelink al sito