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Rifiuti, recuperare materia dalla frazione secca residua

rifiutidi Giuseppe Miccoli da ecodallecitta.it

E’ possibile recuperare materia dalla frazione secca residua a valle della raccolta differenziata porta a porta. Quali tecnologie? Ne abbiamo parlato con Gianluca Intini, professore del Politecnico di Bari ha introdotto il tema “Remat: raccogliere la differenziata a valle del ciclo” al focus tematico della regione Puglia dal titolo ‘Monitoraggio della qualità della Raccolta differenziata in Puglia’

 

Professore Intini, è’ possibile recuperare materia dalla frazione secca residua a valle della raccolta differenziata porta a porta. Quali tecnologie secondo Lei sono le più appropiate?
Oggi ho presentato qui per il Politecnico di Bari i risultati di una sperimentazione condotta nell’ambito della redazione del Piano regionale della gestione dei rifiuti urbani, la quale sostanzialmente ha analizzato la frazione secca residua della raccolta differenziata, in diversi comuni della regione Puglia e ne ha fatta un’analisi merceologica, al fine di verificare ancora la presenza potenziale di imballaggi da avviare a successivo recupero. È emerso sostanzialmente che, anche nei comuni dove la raccolta differenziata aveva dei valori elevati, ad esempio nella provincia di Brindisi, nell’ex consorzio Brindisi2, ancora esiste, in particolar modo per la plastica e per la carta, una discreta frazione, un 10%, che ancora potrebbe essere recuperato. Perciò si è posto il problema tecnologico di come poter recuperare questo 10%, ed è stato proposto, nell’ambito del piano regionale, l’introduzione di questi che noi abbiamo chiamato “remat”, cioè “recupero materia”, vale a dire l’introduzione di un separatore balistico che sostanzialmente differenzia le frazioni 2d dalle frazioni 3d, cioè le frazioni piane da quelle che hanno un volume, e poi ognuna di queste frazioni, attraverso i separatori ottici, possono essere utilizzate per recuperare quello che effettivamente oggi ha un mercato, e quindi attraverso il Conai o il libero mercato possono essere vendute per trarne un vantaggio. Questo comporterebbe un duplice vantaggio. Uno: si risparmierebbe sui costi di conferimenti di quella frazione al recupero energetico (oggi in Puglia si paga circa un cento euro a tonnellata); due: avvieremmo al recupero di materia e non al recupero energetico ancora una frazione di raccolta differenziata, quindi aumenteremmo il tasso di raccolta differenziata. Quindi c’è un vantaggio sia ambientale che economico.

Stiamo parlando di raccolta differenziata a valle della raccolta porta a porta, in cui si riesce ulteriormente a separare e a recuperare materia. È corretto?
Esatto, oggi esistono impianti di questo tipo, non stiamo parlando di fantascienza, in Europa, in particolar modo in spagna ,in Germania, ne ho visto uno in Canada, a Cipro, e c’è anche l’esempio di Granada e anche a Roma. A Roma c’è un impianto che in realtà lavora l’industriale e non i rifiuti urbani e so che recentemente credo sia stato inaugurato un impianto a Bologna. Quindi a mio parere può essere una soluzione. Certo, questi impianti lavorano molto bene sul multi materiale, in generale, però se noi facciamo una raccolta differenziata spinta dove abbiamo tolto l’organico, che porta dei problemi nella fase di selezione, secondo me può essere un sistema che può essere adattabile. Quindi vediamo se qualche gestore implementerà questo sistema e vedremo i risultati.

In cosa consiste il recupero di questa materia, esiste già un mercato?
Si, esiste un mercato, nel senso che chiaramente si preferirebbe recuperare la bottiglia in pet, ma la bottiglia in pet ha già un mercato, quindi una volta che noi le selezioniamo anche quell’1% presente in impianti di questo tipo, che poi tra l’altro sono automatici, non hanno bisogno di grossa forza lavoro, in realtà è un 1% che tu puoi avviare con un costo di mercato notevole, pensiamo al cartone, all’alluminio, all’acciaio, cioè ci sono materiali che effettivamente tu paghi, è chiaro che non mi metterò a separare un materiale che ha un basso valore aggiunto,perché diventa poi molto complessa la linea, quindi ovviamente qui si tratta di andare a integrare impianti esistenti cercando di togliere il separabile,io le chiamo le frazioni buone, che comunque rappresentano una piccola percentuale all’interno del rifiuto indifferenziato, che ancora sconta un tasso di raccolta differenziata non ancora elevato.

 



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Green Economy, le indicazioni dell’indagine conoscitiva conclusa alla Camera

green-economy-150x150Attuare una riforma fiscale ecologica che sposti il carico fiscale, senza aumentarlo, a favore dello sviluppo degli investimenti e dell’occupazione green.

“Il percorso di riconversione in chiave green del sistema produttivo italiano deve passare, e sta passando, non solo attraverso il fattore “capitale”, espresso dall’impegno delle imprese nell’investire in tecnologie green per ridurre l’impatto ambientale delle produzioni e trasferire un di più di competitività ai beni e servizi prodotti, ma anche attraverso quello del “lavoro”, per mezzo della ricerca di figure professionali le cui competenze, se ben formate, sono in grado di imprimere all’impresa un salto di qualità verso la frontiera della green economy”.

È quanto si legge nella proposta di documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sulla green economy, approvato il 18 settembre scorso all’unanimità dalle Commissioni Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici e Attivià Produttive della Camera dei Deputati.

RIORIENTARE RISORSE, INVESTIMENTI, COMPORTAMENTI. “La green economy fa già parte del presente della nostra economia. E può diventarne il futuro”, sottolinea il documento. “Affinché ciò avvenga e si imbocchi definitivamente la strada della green economy, in Italia bisogna immaginare e tradurre concretamente un vasto programma di riforme strutturali in grado di riorientare risorse, investimenti, comportamenti.

Se questo è vero allora green economy significa investimenti ingenti su scuola, formazione e ricerca; significa ridare impulso ad una politica che sia in grado di programmare e orientare nel medio-lungo periodo; significa cura scrupolosa del territorio nelle sue diverse declinazioni: città, ambiente, cultura, agricoltura, paesaggio, infrastrutture”.

DAL POSSESSO DEI BENI ALL’ACCESSO A SERVIZI. Green economy, sottolinea il documento conclusivo, “significa massimizzare l’efficienza in tutte le sue declinazioni: nella trasformazione delle materie prime, nell’uso di energia, nell’uso del suolo, efficienza nell’impiego di prodotti e servizi.

In particolare Green economy sposta l’attenzione dal possesso dei beni all’accesso a servizi. Questo significa ripensare la produzione di massa dei beni di consumo da un lato, e dall’altro, invertire l’attuale tendenza alla sempre più rapida obsolescenza dei prodotti di consumo sostituendo parte della produzione di beni, con la produzione di servizi di manutenzione e riparazione, nonché con forme di accesso a beni condivisi”.

LE PRIORITÀ. In tal senso “è possibile individuare alcune priorità e urgenze intorno a cui rafforzare, in questi mesi e nei prossimi anni, un impegno istituzionale capace di aiutare il Paese a superare alcuni suoi limiti e ritardi e imboccare la strada della crescita”:

– Attuare una riforma fiscale ecologica che sposti il carico fiscale, senza aumentarlo, a favore dello sviluppo degli investimenti e dell’occupazione green.

– Incentivare la penetrazione di strumenti credibili ed oggettivi di quantificazione degli impatti ambientali associati alle attività umane, con lo scopo di misurarne la sostenibilità.

– Attivare programmi per un migliore utilizzo delle risorse europee e per sviluppare strumenti finanziari innovativi per le attività della green economy.

– Attivare programmi di informazione in merito ai finanziamenti esistenti anche in termini qualitativi e quantitativi.

– Attivare programmi di semplificazione e di trasparenza in merito all’accesso al credito sia nell’ambito degli investimenti pubblici che privati.

– Attivare investimenti che si ripagano con la riduzione dei costi economici, oltre che ambientali, per le infrastrutture verdi, la difesa del suolo e le acque.

– Innovare le procedure previste per i bandi pubblici e le gare d’appalto mettendo al centro la qualità dei materiali usati, la qualità del prodotto finale, la qualità e la sicurezza del lavoro.

– Un programma nazionale per l’efficienza e il risparmio energetico eliminando le barriere allo sviluppo dell’efficienza energetica; barriere culturali, barriere economiche, barriere normative.

– Attuare misure per sviluppare le attività di riciclo dei rifiuti.

– Promuovere il rilancio degli investimenti per lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili.

– Effettuare programmi di rigenerazione urbana, di recupero di edifici esistenti, nonché di eventuale sostituzione di edifici, di bonifica, limitando il consumo di suolo non utilizzato.

– Rendere stabili le misure di incentivazione su ristrutturazioni edilizie, risparmio ed efficienza energetica nelle abitazioni e negli immobili.

– Investire nella mobilità sostenibile urbana.

– Valorizzare le potenzialità di crescita della nostra agricoltura di qualità.

– Promuovere la valutazione degli effetti occupazionali dei diversi interventi “green”.

– Attivare un piano nazionale per l’occupazione giovanile per una green economy.

indagine conoscitiva sulla green economy della camera dei deputati

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Agenda digitale: documento per programmazione 2014-2020

agenda digitaleNel corso della Conferenza delle Regioni del 5 agosto 2014 è stato approvato un documento sulla programmazione dell’Agenda digitale 2014-2020.

Già nel 2013 era stato approvato un “Contributo delle regioni per un’Agenda Digitale a servizio della crescita del Paese” (vedi “Regioni.it” n.2315). Il nuovo documento è un altro passo in avanti per un’Agenda Digitale che permetta al Paese di passare alla fase esecutiva della digitalizzazione infrastrutturale, nel rispetto dei principi delle politiche regionali dell’Europa.
Si intende così organizzare i livelli e gli strumenti di intervento sugli obiettivi dell’Agenda Digitale europea e dell’Agenda Digitale italiana.
Il digitale può liberare la crescita e funzionare da volano. Le Regioni propongono un insieme di azioni in piena collaborazione interregionale per rendere sostenibile la loro realizzazione. L’attuazione delle agende digitali regionali è uno strumento per arrivare ad un vero cambiamento strutturale del Paese. In questo quadro si può favorire  una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva da qui al 2020.
L’Agenda Digitale è un’idea di futuro, una visione dell’Italia e delle Regioni nell’era digitale, non è un documento programmatico di settore, né solo l’articolazione di un insieme di azioni o interventi. In pratica l’agenda deve ergersi a vero piano industriale e non solo documento di auspicio e indirizzo per l’ adeguamento infrastrutturale e culturale.
L’Italia deve attuare interventi strutturali per essere in grado di sfruttare appieno le opportunità del digitale per produrre cambiamento nell’economia, nel tessuto sociale e nelle istituzioni. L’Italia ha straordinari punti di forza culturali, sociali ed economici per essere protagonista della rivoluzione digitale anche in Europa e nel mondo.
Le politiche per il digitale devono quindi concorrere a creare un quadro normativo ed un ecosistema digitale favorevole alla crescita economica, alla volontà di investire ed innovare, allo sviluppo delle reti tecnologiche (infrastrutture), delle reti sociali tra le persone, delle reti tra istituzioni e tra le imprese.
Per questo occorre una mobilitazione delle migliori energie del Paese per affrontare l’emergenza del divario digitale culturale che ostacola lo sfruttamento delle nuove opportunità del mondo digitale: occorre superare la logica dell’informatizzazione dell’esistente e ripensare i processi profondamente, cambiare l’organizzazione del lavoro sia nel pubblico che nel privato, scoprire nuovi mercati e modelli di business, affrontare le sfide sociali emergenti con l’innovazione sociale, accrescere la partecipazione e l’inclusione, migliorare la qualità della vita, affermare nuovi diritti.
Il Documento integrale è stato pubblicato della sezione Conferenze del sito www.regioni.it :
Documento Approvato – PROGRAMMAZIONE 2014-2020: LE AGENDE DIGITALI PER LA CRESCITA



Le notti dei giovani cantautori, nuovi talenti al premio De André

de andreVenerdì e sabato sera alla Magliana quindici musicisti alla rassegna dedicata all’artista genovese.

“Mi è rimasta impressa l’intervista fatta all’epoca dell’inaugurazione della piazza dedicata a Fabrizio alla Magliana. Una persona del quartiere diceva che lui “era uno che amava la gente come noi”. In effetti Fabrizio ha sempre avuto la sensazione che il pubblico gli riservasse grande rispetto, oltre che attenzione”. Dori Ghezzi, la compagna di una vita di De André, ricorda quando  –  alcuni mesi dopo la scomparsa dell’artista avvenuta quindici anni fa  –  fu inaugurata quella piazza. Spazio che dopo un paio di stagioni ritorna ad ospitare il gran finale del Premio De André, la kermesse delle nuove leve della canzone d’autore italiana, con quindici nuovi talenti pronti a contendersi la vittoria. Che per Dori Ghezzi, fin dagli esordi del Premio presidente della giuria, non è la cosa più importante: “Per molti ragazzi scrivere e cantare storie è un momento della loro vita che poi si conclude rapidamente alla fine del periodo di studi, quando prendono piede altri progetti di vita. Lo sport e la musica fanno crescere meglio, anche se fatti in modo non professionale, come esperienze di vita. Questo è lo scopo veramente importante, non necessariamente diventare celebri…”.

Ma ecco tutti i giovani che tra stasera e domani saliranno sul palco: Cff e il Nomade Venerabile da Bari con “Il mio inverno”; Losburla da Torino con “Dilettanti”; Domenico Imperato da Pescara con “Nino”; Chiara Dello Iacovo da Asti con “Donna”; Maltese da Torino con “Io non ti voto più”; Simone Spirito da Napoli con “Al centro storico”; La suonata balorda da Campobasso, con “Magari fumando”; L’Istrice da Rovigo con “Il fiore e la nuvola”; Francesco Mircoli da Fermo con “Carolina Bruno Vidal”; 4 Soldi Project da Agrigento con “Italia”; Gerardo Pozzi da Treviso con “Badabum”; Lelio Morra da Napoli con “Elena”; Ruben Coco da L’Aquila con “Blu”; Piergiorgio Faraglia da Roma con “L’uomo nero”; Fadà di Benevento con “Non ne posso più”. Tutti quanti già on line sul sito Repubblica. it con le canzoni che hanno proposto per l’occasione.

Oltre ai giovani, sul palcoscenico della kermesse che fa parte del cartellone dell’Estate Romana oltre ad essere sostenuta dall’XI Municipio, stasera toccherà alla band degli Scooppiati e all’ospite speciale Fiorella Mannoia: la signora della canzone d’autore che riceve il Premio De André alla carriera. Domani invece sarà la volta di Alessio Bondì e Maldestro. Oltre che di Diodato: ormai più che un giovane cantautore sulla rampa di lancio, premiato per la reinterpretazione dell’opera di Fabrizio De André (per l’originale versione di “Amore che vieni, amore che vai” inserita nella colonna sonora del film di Daniele Luchetti “Anni felici”). Il compito di introdurre e coordinare le decine di artisti che andranno in scena è affidato a Massimo Cotto, affiancato a colpi di ironia da Andrea Rivera

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Codice dei beni culturali e del paesaggio

guLEGGE 22 luglio 2014, n. 110 
Modifica al codice dei beni culturali e  del  paesaggio,  di  cui  al
decreto  legislativo  22  gennaio  2004,  n.  42,   in   materia   di
professionisti dei beni culturali, e istituzione di elenchi nazionali
dei suddetti professionisti. (14G00124)

(GU n.183 del 8-8-2014)

 

 

 Vigente al: 23-8-2014

 

 
 
  La  Camera  dei  deputati  ed  il  Senato  della  Repubblica  hanno
approvato; 

                   IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 

                              Promulga 

la seguente legge: 

                               Art. 1 

Introduzione  dell'articolo  9-bis  del  codice  di  cui  al  decreto
  legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in  materia  di  professionisti
  competenti ad eseguire interventi sui beni culturali. 

  1. Nella parte prima del codice dei beni culturali e del paesaggio,
di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, dopo l'articolo
9 e' aggiunto il seguente: 
    «Art. 9-bis. - (Professionisti competenti ad eseguire  interventi
sui beni culturali). - 1. In  conformita'  a  quanto  disposto  dagli
articoli 4 e 7 e fatte salve  le  competenze  degli  operatori  delle
professioni gia' regolamentate, gli interventi operativi  di  tutela,
protezione e conservazione dei beni culturali nonche' quelli relativi
alla valorizzazione e alla fruizione  dei  beni  stessi,  di  cui  ai
titoli I e II della parte seconda del presente codice, sono  affidati
alla  responsabilita'  e  all'attuazione,   secondo   le   rispettive
competenze,     di     archeologi,     archivisti,      bibliotecari,
demoetnoantropologi,  antropologi  fisici,   restauratori   di   beni
culturali e collaboratori restauratori di beni culturali, esperti  di
diagnostica e di scienze e tecnologia applicate ai beni  culturali  e
storici dell'arte, in possesso di adeguata formazione  ed  esperienza
professionale».
                               Art. 2 

           Elenchi nazionali dei professionisti competenti 
              ad eseguire interventi sui beni culturali 

  1. Sono istituiti presso il Ministero dei beni  e  delle  attivita'
culturali e del turismo elenchi nazionali di archeologi,  archivisti,
bibliotecari, demoetnoantropologi,  antropologi  fisici,  esperti  di
diagnostica e di scienze e tecnologia applicate ai beni  culturali  e
storici dell'arte, in possesso dei requisiti individuati ai sensi del
comma 2. 
  2. Il Ministro dei beni e delle attivita' culturali e del  turismo,
sentito  il  Ministro  dell'istruzione,  dell'universita'   e   della
ricerca, previa  intesa  in  sede  di  Conferenza  permanente  per  i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento  e
di  Bolzano,  sentite  le  rispettive   associazioni   professionali,
individuate ai sensi  dell'articolo  26  del  decreto  legislativo  9
novembre 2007, n. 206, e successive modificazioni, e della  legge  14
gennaio 2013, n. 4, e le organizzazioni sindacali  e  imprenditoriali
maggiormente rappresentative, per  gli  ambiti  e  nei  limiti  delle
rispettive competenze, in conformita' e nel rispetto della  normativa
dell'Unione europea, stabilisce, con proprio decreto, le modalita'  e
i  requisiti  per  l'iscrizione  dei  professionisti  negli   elenchi
nazionali di  cui  al  comma  1  del  presente  articolo  nonche'  le
modalita'  per  la  tenuta  degli   stessi   elenchi   nazionali   in
collaborazione con le associazioni professionali. I predetti  elenchi
sono pubblicati nel sito internet  istituzionale  del  Ministero  dei
beni e delle attivita' culturali e del turismo. Il decreto di cui  al
presente comma e' emanato entro sei mesi dalla  data  di  entrata  in
vigore  della  presente  legge,  previo  parere   delle   Commissioni
parlamentari competenti per materia. 
  3. Gli elenchi di cui al comma 1  non  costituiscono  sotto  alcuna
forma albo professionale e l'assenza dei  professionisti  di  cui  al
comma  1  dai  medesimi  elenchi  non  preclude  in  alcun  modo   la
possibilita' di esercitare la professione. 
  4. Per i restauratori di  beni  culturali  e  per  i  collaboratori
restauratori  di  beni  culturali   resta   fermo   quanto   disposto
dall'articolo 182 del codice di cui al decreto legislativo 22 gennaio
2004, n. 42, e successive modificazioni. 
  5. All'attuazione del presente  articolo  si  provvede  nell'ambito
delle  risorse  umane,  strumentali  e  finanziarie   disponibili   a
legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la
finanza pubblica. 
  La presente legge, munita del sigillo dello Stato,  sara'  inserita
nella  Raccolta  ufficiale  degli  atti  normativi  della  Repubblica
italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla
osservare come legge dello Stato. 
    Data a Roma, addi' 22 luglio 2014 

                             NAPOLITANO 

                         Renzi, Presidente del Consiglio dei ministri 

Visto, il Guardasigilli: Orlando

 

   

 




Documento della Conferenza delle Regioni: governance programmi della Cooperazione europea 2014-20

ueLa Conferenza delle Regioni e delle province autonome, nella riunione del 5 agosto ha adottato una posizione sulla governance dei programmi di  cooperazione territoriale europea 2014-2020.

Il documento (pubblicato sul sito www.regioni.it) è stato inviato dal Presidente Sergio Chiamparino al sottosegretario Graziano Delrio, auspicando l’apertura di un confronto politico sul tema.
Si riporta di seguito il testo integrale.
Posizione delle Regioni e delle Province autonome  sulla governance dei programmi di cooperazione territoriale europea 2014-2020
Le Regioni e Province autonome ribadiscono l’importanza di conservare un forte ruolo nella governance dei Programmi di cooperazione territoriale, anche alla luce dei buoni risultati ottenuti nel periodo di programmazione 2007-2013.
Nel richiamare le posizioni già espresse nel “Documento di posizionamento e proposte operative delle Regioni e Province autonome sui temi prioritari della cooperazione territoriale 2014-2020”, le Regioni e le Province autonome manifestano la propria contrarietà rispetto ad alcune proposte, contenute nella Nota tecnica del 25 giugno 2014 relativa alla “Governance nazionale dell’attuazione e gestione dei Programmi di cooperazione territoriale europea 2014-2020”, che sintetizza le proposte del DPS, del MEF-IGRUE e dell’UVER, in quanto disallineate rispetto all’obiettivo del miglioramento della governance dei programmi di cooperazione territoriale.
Infatti, a fronte dell’affermato intendimento della conferma sostanziale del sistema di governance della programmazione 2007-2013, contraddistinto dal ruolo primario delle Regioni e delle Province autonome, i cambiamenti proposti con la Nota tecnica comportano l’accentramento in capo alle Amministrazioni centrali delle funzioni di indirizzo e sorveglianza dei programmi di cooperazione territoriale, riservando alle Regioni e Province autonome un ruolo sostanzialmente ancillare, e lo spostamento di compiti gestionali e amministrativi, attualmente in capo alle Amministrazioni centrali, alle Regioni e alle Province autonome, senza cenno, peraltro, ad un corrispondente trasferimento di risorse finanziarie e umane. Di seguito sono specificate le questioni problematiche sulle quali occorre trovare un punto di accordo tra Governo e Regioni.
COMITATI NAZIONALI – Le Regioni e Province autonome non condividono la proposta di affidare la presidenza dei Comitati Nazionali dei Programmi per i quali detto organo è previsto (Italia-Croazia, Adriatico-Ionico, Spazio Alpino, Europa Centrale, MED, Interreg Europe, Espon, Urbact, ENI-CBC Mediterranean Sea Basin) ad un’Amministrazione centrale (DPS-MAE-MIT).
Chiedono sia confermata l’assegnazione della Presidenza e Vice – Presidenza di detti Comitati alle Regioni e Province autonome, in quanto se, come sottolineato nella Nota tecnica del 25 giugno 2014, il sistema di governance 2007 – 2013 ha ben funzionato, la ragione è da ricercarsi nell’impegno congiunto delle Presidenze/Vice-Presidenze regionali, nei risultati ottenuti nell’assolvere detta funzione e nella sinergia sviluppata tra livello statale e regionale, anche assicurando un forte coinvolgimento di altri stakeholders del territorio.
Le Regioni e Province autonome evidenziano la debolezza delle argomentazioni poste dalle Amministrazioni centrali a supporto della propria proposta, argomentazioni che richiamano la necessità di garantire l’applicazione del “Codice di condotta sul partenariato nell’ambito dei fondi strutturali e d’investimento europei” e di garantire una posizione di terzietà rispetto agli attori dei territori.
In ordine al primo punto, già per il periodo di programmazione 2007 – 2013 sono componenti dei Comitati Nazionali – oltre alle Regioni – i soggetti del partenariato istituzionale e socioeconomico, come da Delibera CIPE 158 del 21 dicembre 2007 e i componenti dei Comitati (tutti) sono stati sistematicamente aggiornati con le informazioni disponibili e coinvolti nelle decisioni che le delegazioni italiane nei Comitati di sorveglianza hanno riportato. Per quanto concerne invece la necessità di assicurare una posizione di terzietà, non si condivide che detta esigenza possa essere garantita solo dal livello centrale. Si evidenzia, infatti, fra le varie circostanze elencabili, che chi siede nei Comitati nazionali in rappresentanza delle Regioni e Province autonome non è coinvolto direttamente nella realizzazione di progetti.
COMITATI DI SORVEGLIANZA – La Nota tecnica del 25 giugno 2014 conferma il ruolo di capo delegazione al DPS per tutti i programmi transnazionali, interregionali, per il programma transfrontaliero Italia-Croazia e per il Programma IPA-CBC Italia-Albania-Montenegro ed al MAE per i Programmi ENI-CBC (Italia-Tunisia ed ENI-CBC Mediterranean Sea Basin).
Le Regioni e Province autonome chiedono che la Delegazione italiana sia sempre composta da almeno due rappresentanti delle Regioni e Province autonome (con esclusione dei Programmi per i quali la delegazione di ogni Stato è unipersonale), in particolare, delle Regioni e Province autonome che hanno assunto la Presidenza e Vicepresidenza dei Comitati Nazionali, in coerenza con quanto sopra esposto.
La Delegazione italiana presente nei Comitati di Sorveglianza dovrà esprimere la posizione convenuta nell’ambito dei Comitati nazionali dei rispettivi Programmi.
CIRCUITO FINANZIARIO – Le Regioni e Province autonome, nel convenire sulle modalità di erogazione del cofinanziamento nazionale, già adottate nel periodo di programmazione 2007-2013 per i programmi transfrontalieri con Autorità di gestione italiana, modalità da estendere ai programmi transnazionali con Autorità di gestione nazionale, esprimono invece forte contrarietà rispetto al nuovo meccanismo proposto dal MEF-IGRUE per le procedure di erogazione del cofinanziamento ai beneficiari italiani in caso di programmi transnazionali e interregionali con Autorità di gestione estera.
Tale meccanismo, che prevede il trasferimento alle Regioni e Province autonome delle quote di cofinanziamento nazionale destinate ai beneficiari italiani delle singole operazioni, non rappresenta una semplificazione bensì un appesantimento procedurale e del monitoraggio, con ripercussioni negative per i beneficiari italiani; impatta negativamente sui vincoli del patto di stabilità delle singole Regioni e Province autonome; sposta sulle Regioni e Province autonome la responsabilità di eventuali oneri per il recupero di somme indebitamente versate; non garantisce alle Regioni e Province autonome certezza di risorse, creando un problema di anticipazione di risorse regionali; sposta sulle Regioni e Province autonome l’onere di assicurare un adeguato assetto organizzativo, anche in termini di risorse umane, sempre più scarse in tempi di revisioni della spesa e blocco delle assunzioni.
Le Regioni e Province autonome chiedono venga confermato il circuito finanziario operante per il periodo di programmazione 2007-2013, dimostratosi pienamente soddisfacente e funzionale, e propongono di porre in capo al DPS o alla neo-costituita Agenzia per la Coesione Territoriale l’erogazione della quota di co-finanziamento nazionale destinata ai beneficiari italiani dei Programmi transnazionali e interregionali con Autorità di gestione estera, circuito che pone direttamente in capo all’Amministrazione centrale l’erogazione della quota di cofinanziamento nazionale.
SISTEMA NAZIONALE DEI CONTROLLI – Le Regioni e Province autonome ribadiscono l’intenzione di ricorrere, sulla base di scelte diverse operate dai vari Programmi, o ad una organizzazione dei controlli di primo livello centralizzata nell’Autorità di gestione italiana, che potrà svolgerli direttamente, anche attraverso l’utilizzo di apposite liste di controllori esterni ancorché validata dalla stessa Autorità, o delegare alle Regioni partner i controlli di primo livello sul territorio italiano del Programma, oppure ad una organizzazione decentralizzata, con il coinvolgimento della Commissione mista Stato, Regioni e Province autonome.
Inoltre, le Regioni e Province autonome ribadiscono che deve essere chiaramente e tempestivamente individuato l’organo nazionale responsabile dei controlli di primo livello nel caso di Programmi per i quali viene attivata la predetta Commissione mista.
Evidenziano altresì che permane scarsa chiarezza sull’organo nazionale responsabile dei controlli di primo livello per i Programmi con Autorità di gestione estera, qualora detta responsabilità non sia ricondotta in capo all’Autorità di gestione medesima.
PERSONALE OPERATIVO DEI SEGRETARIATI TECNICI – Come già riportato nella scheda 9 “Personale operativo nel JST. Modalità di gestione contrattuale al fine di garantire continuità operativa” del Documento di posizionamento approvato dalla Conferenza dei Presidenti in data 11 luglio 2013, le Regioni e Province autonome ribadiscono la necessità siano adottati provvedimenti finalizzati a superare i vincoli temporali o di spesa imposti dalla normativa vigente per i contratti a tempo determinato e di collaborazioni, al fine di allinearne la durata al periodo di programmazione 2014-2020, fino alla chiusura dei programmi stessi.
RISORSE FINANZIARIE – Le Regioni e Province autonome ribadiscono la necessità sia assicurata dallo Stato adeguata copertura finanziaria, anche a valere sulle risorse del PON Governance, per le funzioni che le Regioni e Province autonome si impegnano con questo documento a svolgere.
Inoltre, posto che le risorse di assistenza tecnica dei Programmi non coprono la governance interna degli Stati partner e che non tutti i Programmi finanziano i contact points, le Regioni e Province autonome ribadiscono la necessità che detti costi, non coperti dalle risorse di assistenza tecnica dei programmi, siano finanziati a valere sul PON governance o su altri strumenti eventualmente individuati.
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Alfabetizzazione digitale: gli otto principi cardine

internet cose

Alcune amministrazioni locali hanno intrapreso, o stanno intraprendendo, attività di alfabetizzazione digitale della popolazione. Mi permetto, di seguito, di elencare alcuni principi di fondo da osservare per evitare di ingenerare inutili aspettative, e per ottenere risultati duraturi nel tempo.

1) Non si è alfabetizzati digitali una volta per sempre. Il mondo dell’Information Technology è in costante trasformazione. Il mondo dell’Information Technology muta a velocità mai conosciuta nella storia del genere umano. L’alfabetizzazione digitale deve dare gli strumenti culturali per scavare con curiosità questo mondo e trarne tutti i benefici disponibili.

2) L’alfabetizzazione digitale non andrà rivolta solo agli anziani, come comunemente si pensa. Tutta la popolazione, a partire dai principali decisori e Stakeholders, versa in un penoso stato di divide digitale. Avere un tablet sotto il braccio o usare il telepass non è sintomo di alfabetizzazione digitale.

3) L’alfabetizzazione digitale è un moderno diritto di cittadinanza. Internet è una straordinaria miniera di sapere. Bisogna però conoscere e condividere dove c’é l’oro da scavare e dove invece c’é solo inutile pietrisco. Tuttavia, non tutti sono (e saranno) interessati ad Internet. Molte persone di ogni generazione vivono bene senza Internet. Non facciamogliene una colpa.

4) Abbandoniamo quell’aria di superiorità che contraddistingue i “guru del digitale”. Internet non è una religione, né costituisce la terra promessa. Se vogliamo che Internet si affermi come strumento di progresso civile ed economico (quale può essere) non abbiamo bisogno di sprezzanti sacerdoti. Per affermare la cultura di Internet abbiamo bisogno di utili e umani volontari.

5) L’alfabetizzazione digitale è, prima di tutto, una lezione di consapevolezza. Internet é la rivoluzione della conoscenza e del sapere. Internet é uno strumento nelle mani del genere umano per dialogare meglio.

6) L’alfabetizzazione digitale non si riduce ad insegnare a spedire una mail o ad accendere un account su Facebook. Né tantomeno l’alfabetizzazione digitale è una lezione ai dipendenti comunali sulle inutili leggi che impediscono a Internet di affermarsi nella Pubblica Amministrazione. L’insegnante é un umanista che si è impadronito del web.

7) L’alfabetizzazione digitale è una lezione sulla sharing society (prima ancora che sulla sharing economy). Alfabetizzare é insegnare le virtù, i vantaggi, le modalità della condivisione.

8) ….. traete ora tutte le considerazioni che volete sulle cosiddette “competenze digitali”. L’alfabetizzazione digitale non é una cosa da affidare agli informatici.

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Sistema wireless per ridurre la congestione del traffico

traffico-150x150Il MIT lancia RoadRunner, un dispositivo che sfrutta lo standard wireless 802.11p e che mappa le aree cittadine, stabilendo un numero massimo di vetture in ingresso e l’offerta di percorsi alternativi.

Tratti stradali a pedaggio, app che avvertono sul livello di congestione del traffico, navigatori in grado di suggerire percorsi alternativi. Sono diverse le soluzioni proposte dal mercato per migliorare la viabilità stradale ma nessuna finora ha realmente risolto il problema, sopratutto in quelle aree urbane particolarmente congestionate.
Ora ci prova il MIT con un sistema GPS chiamato RoadRunner, che è stato accolto con fervore all’Intelligent Transportation Systems World Congress, svoltosi a Detroit la scorsa settimana, dove è stato presentato e premiato come ‘uno dei progetti più innovativi’.

Un modello per Singapore

Il dispositivo, creato ad hoc per la città di Singapore, si propone come alternativa ai sistemi attualmente vigore, che prevedono la delimitazione di alcune aree accessibili soltanto attraverso il pedaggio, opportunamente segnalate da alcuni trasmettitori radio installati nei vari punti strategici. RoadRunner, invece, è un dispositivo palmare installabile direttamente nel cruscotto delle auto e che, dalle prime simulazioni, è in grado di aumentare dell’8% la velocità della vettura durante i periodi di picco. I ricercatori si sono avvalsi dei modelli stradali ricavati dal sistema di pedaggio vigente ma modificando quei modelli- e quindi incoraggiando o scoraggiando percorsi alternativi- si potrebbero avere dei risultati nettamente più efficienti. “Con il nostro sistema, è possibile disegnare un poligono sulla mappa e dire, ‘voglio controllare questa intera regione'”,spiega Jason Gao, uno degli sviluppatori del sistema.

Test

Il sistema è stato testato su 10 vetture a Cambridge, in Massachusetts. Se il test su 10 auto non è sufficiente per influenzare la viabilità è stato però utile per valutare l’efficienza del sistema di comunicazione e dell’algoritmo utilizzato.

Stabilire un numero massimo di vetture

Il primo principio su cui si basa RoadRunner è l’assegnazione di un numero massimo di vetture che possono accedere in una determinata zona. Qualsiasi vettura deve ricevere un’autorizzazione virtuale che i ricercatori chiamano “gettone.” Se non vi sono più ‘gettoni’ disponibili, il dispositivo seleziona percorsi alternativi che conducono l’automobilista passo per passo verso la sua destinazione. 

Utilizzare lo standard wireless 802.11p

Il sistema utilizza uno standard wireless chiamato 802.11p, un’alternativa al Wi-Fi che utilizza una fetta ristretta dello spettro elettromagnetico, ma è concesso in licenza per trasmissioni di alta potenza, in modo che si possa avere una frequenza di trasmissione molto più alta.

Nei test i ricercatori hanno utilizzato cellulari per controllare i sistemi radio 802.11p, che hanno la dimensione di un tipico sistema di pedaggio installabile nel cruscotto, ma in futuro potrebbe essere possibile incorporare le radio direttamente nei cellulari, sviluppando quindi un’app scaricabile.

Ricerca sui materiali
Altra questione affrontata, quella dei materiali. Nel corso del Simposio Internazionale in Low Power Electronics and Design  i ricercatori del Mit in collaborazione con la Nanyang Technological University di Singapore, hanno presentato un paper che dimostra come una radio 802.11p composta da nitruro di gallio e controllata da un sistema elettronico in silicio consumerebbe la metà della potenza rispetto alle radio tradizionali. Inoltre, il Singapore-MIT Alliance for Research and Technology (SMART) ha sviluppato una tecnica per integrare il nitruro di gallio nei processi di produzione del chip attualmente proposto in silicone. 

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Agire, le agende digitali per la crescita: la proposta delle regioni

ueLa Conferenza delle regioni e province autonome, nella riunione dei presidenti del 5 agosto scorso, ha approvato un importante documento intitolato Agire le agende digitali per la crescita, nella programmazione 2014-2020.

Il documento è probabilmente passato inosservato per via del periodo di ferie, ma si tratta di un documento rilevante in cui l’attuazione delle agende digitali regionali è presentata come uno strumento per arrivare ad un vero cambiamento strutturale del Paese nel quadro di una strategia unitaria, “usando il digitale per riprogettare la Repubblica“.

Ci troviamo in un momento importante rispetto ai fondi strutturali: a luglio si è completata la fase di costruzione partecipata dei Programmi Operativi regionali (POR) che declinano la programmazione 2014-2020. Essi comprendono anche gli interventi legati all’agenda digitale ed alla specializzazione intelligente (ricerca&innovazione). Restano da definire alcuni Programmi Operativi nazionali (PON), sperabilmente in una strategia complessiva che sia coerente e riconosca il ruolo di AgID.

I Programmi Operativi delle regioni dovranno ancora attraversare una fase di confronto e perfezionamento con la Commissione europea, e lo stesso Accordo di partenariato di livello nazionale non è ancora chiuso. Ma il quadro delle risorse e delle priorità è ormai chiaro, ed è necessario pensare in breve tempo a come rendere effettiva la fase di esecuzione.

Le politiche per il digitale devono concorrere a creare un quadro normativo ed un  ecosistema digitale favorevole alla crescita economica, alla volontà di investire ed  innovare, allo sviluppo delle reti tecnologiche (infrastrutture), delle reti sociali tra le persone, delle reti tra istituzioni e tra le imprese.

Considerando le possibilità d’azione sul lato delle Pubbliche Amministrazioni e quelle per la “Crescita digitale”, le principali priorità si possono sintetizzare nella figura seguente:

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A fine di rendere efficaci gli investimenti che saranno portati avanti in uno spettro d’intervento così ampio come quello sopra raffigurato, le Regioni individuano nel documento quattro azioni “leader” da portare avanti con una piena  collaborazione inter-regionale per rendere sostenibile la loro realizzazione ed il loro completo dispiegamento sui territorio, da sviluppare in rapida successione:

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Tali azioni sono abilitanti a tutti gli interventi della programmazione 2014-2020 e sono in stretta sinergia sia con l’Agenda Digitale europea e nazionale, in particolare con le azioni  leader nazionali su fatturazione elettronica, ANPR e SPID, sia con le azioni dell’Agenda  Urbana e delle Aree interne nell’ottica dei processi continui delle “smart city&communities” (comunità intelligenti).

Tali azioni sono abilitanti non solo per gli interventi delle regioni, in quanto le regioni si propongono come asse infrastrutturale portante per una coerente strategia nazionale che abbia un duraturo effetto strutturale e di sistema.

Proprio per questo le azioni leader proposte dalle regioni sono pensate in stretta connessione al percorso del disegno di legge delega sulla riorganizzazione delle PA da poco presentato dal Governo e con l’Alleanza istituzionale per una “Italia Semplice” approvato in Conferenza unificata.

La proposta è quindi di attivare le azioni prima di arrivare ai decreti legislativi, in modo che i  decreti legislativi non siano solo un “inizio” ma facciano parte di un percorso progettuale esecutivo già in atto per la riprogettazione della Repubblica con il digitale.

Le quattro azioni sono sintetizzate nel modo seguente:

1) Community cloud & cybersecurity

Vision: Dare al cittadino servizi pubblici digitali sicuri ed efficaci, basati sullo sfruttamento pieno del paradigma cloud, con servizi infrastrutturali (identità, interoperabilità, ecc) gestiti a livello regionale al massimo livello di sicurezza dell’informazione e nell’ottica dell’economia di scala e di scopo, abilitando al tempo stesso la concorrenza tra i privati nello sviluppare servizi applicativi in cloud in un ecosistema digitale che sia driver della crescita con il digitale anche del settore privato non-ICT.

Lo sviluppo dell’amministrazione digitale e dell’economia digitale non può prescindere da  una effettiva garanzia della sicurezza delle reti e dell’informazione e quindi la fiducia da  parte dei cittadini verso i servizi on-line.

La riprogettazione della Repubblica deve avere solide e sicure fondamenta digitali.

Bisogna evitare di replicare la prima fase dell’egov italico, con una serie di progetti isolati, sconnessi da veri cambi organizzativi negli uffici, senza economie di scala, senza vere logiche “open”.

Il documento afferma un importante principio: le PA non possono continuare a sviluppare software in una logica ormai superata dall’evoluzione tecnologica ed insostenibile nel tempo sia per complessità che  per costi di mantenimento.

Il “riuso di software” ha ormai dimostrato abbondantemente i suoi limiti e va anch’esso superato.

Viene delineato per le regioni il ruolo di “cloud service broker” per il livello locale, ma non solo, in una logica di specializzazione dei sistemi di cloud che in rete fra loro erogano servizi a più territori e a più livelli di PA (locale, regionale e nazionale), rimuovendo gli ostacoli allo sviluppo di un ecosistema di servizi applicativi erogati dai privati in cloud.

Non è più possibile, infatti, fermarsi oggi al “solo” consolidamento dei data center pubblici, operazione comunque da portare a termine quanto prima, ma occorre puntare veramente sul cloud.

2) Centri inter-regionali sulle competenze digitali

Vision: Realizzare un sistema inter-regionale di centri di competenza digitale, ricercando la specializzazione di gruppi di regioni su singole tematiche in modo da avere personale pubblico in grado di fornire supporto a tutte le Amministrazioni territoriali e centrali.

Avere nelle PA capacità organizzative stabili per la gestione di programmi & progetti (programme&project management) e strutturare funzioni associate per gli uffici ICT dei comuni e reti scolastiche per la gestione associata dell’innovazione didattica e digitale.

Il documento prevede l’attuazione di  trasformazioni organizzative per arrivare a servizi pubblici integrati ed interoperabili (joined-up public services), ovvero servizi delle PA erogati attraverso una integrazione dei processi tra le diverse amministrazioni coinvolte ed una completa interoperabilità nello scambio dei dati tra di esse che vada anche oltre la semplice dematerializzazione dei documenti.

3) Una PA con servizi digitali che superino la logica dei procedimenti

Vision: Rendere noti e riorganizzare i servizi delle PA per erogarli attraverso un ecosistema di servizi digitali sviluppati in collaborazione tra pubblico e privato, con le amministrazioni che lavorano “senza carta” (digital by default) e “scambiando dati e non documenti” superando quindi la logica dei procedimenti a favore di quella centrata sui servizi multicanale. Avere nelle PA le capacità organizzative stabili per valorizzare il patrimonio informativo pubblico liberandone le possibilità di sfruttamento per la crescita economica, sia come dati aperti (open data) che come servizi avanzati in sussidiarietà (ad es. le PA espongono i servizi ed i privati fanno i portali per fruirne).

Il documento si  propone di partire dal sistema di cooperazione SPCoop/ICAR già in uso in tutte le regioni (visto anche il rilancio della “cooperazione applicativa” dettato dall’art. 24-quinquies del recente d.l. n. 90/2014 convertito dalla legge n. 114/2014) e dal progetto di interoperabilità “e015” legato ad Expo2015 come piattaforma “collante” di tutte le numerose iniziative pubbliche e private legate ai temi di open data, big data, open gov, smart city & communities, cultural heritage digitale, ecc.

4) Fascicolo digitale del cittadino

Vision: Dare al cittadino accesso unitario a tutte le informazioni che lo riguardano, ovvero “i suoi dati”, che sono in possesso delle PA e dare al cittadino la possibilità di condividere tali dati con servizi pubblici e privati quando serve.

Il documento sottolinea che occorre sfruttare il grande investimento (già in corso, ma il cui finanziamento è da completare con risorse che vanno oltre i fondi strutturali) per la realizzazione del “Fascicolo sanitario elettronico” anche come driver per digitalizzare tutti servizi delle PA, sfruttando gli standard di interoperabilità ed il modello funzionale già sviluppato per la sanità per usarlo come contenitore di tutte le informazioni delle PA che riguardano un cittadino, invece di continuare a produrre decine di fascicoli settoriali (fascicolo elettronico dello studente, fascicolo delle pratiche edilizie, fascicolo previdenziale, cartella sociale informatizzata, fascicolo del dipendente, ecc).

Le quattro azioni sono sì di natura abilitante ed infrastrutturale, ma prevedono come risultato, da qui al 2017, anche l’erogazione di servizi concreti e direttamente fruibili dal cittadino su tutto il territorio nazionale, in collaborazione con il livello nazionale e locale ed attraverso una declinazione delle quattro azioni su ogni singolo territorio regionale.

Abbiamo bisogno di tradurre l’agenda digitale in fatti, ed il documento delinea un percorso di “execution” fattibile anche se sfidante: speriamo possa trovare la massima condivisione a tutti i livelli istituzionali perché… è tempo di “agire”!