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Corviale non è un fondale

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PERSONE E CONDOMÌNI, IL PROGETTO ABITO

condominioConvivenza condominiale, atto spesso difficile e conflittuale.

Tre giovani trentini under 40 riunitisi nella start up Community Building Solutions, hanno però avuto un’intuizione: rovesciare l’assioma della convivenza condominiale e mettere a valore il capitale relazionale presente nei complessi abitativi.

CBS è una start up di innovazione sociale  fondata da Tania Giovannini, Francesco Gabbi e Francesco Minora è una delle vincitrici del Bando Seed Money di Trentino Sviluppo Spa. Un bando che ha finanziato 36 nuove start up dell’Area promozione tecnologica di Trentino Sviluppo. La start up, a partire da questo finanziamento e in linea con le competenze dei suoi creatori, intende sviluppare servizi per il community building attraverso progetti di economia sociale, sviluppo urbano sostenibile e azioni di welfare territoriale.

 

Oltre il 50% delle persone in Italia vive in condominio e le controversie che scaturiscono producono annualmente circa 200.000 cause che paralizzano il sistema giudiziario. “Perché i vicini di casa non li scegliamo e molto spesso si tratta di una vicinanza forzata che genera conflitto – spiega Francesco Gabbi presidente di CBS – così, dalla convinzione che le naturali difficoltà della convivenza condominiale potessero essere trasformate in risorsa è nato Abito. Il risparmio su misura, affinché il co-abitare non sia solo una condizione da subire. Gli obiettivi del progetto sono quelli di migliorare l’abitabilità dei contesti abitativi da una parte e contribuire al mantenimento e alla riqualificazione dell’immobile dall’altra. Con Abito risparmi, sei informato e vivi meglio”.

Abito si rivolge ai cittadini, ai condòmini, agli amministratori di condominio, alle cooperative di abitazioni, ma anche alle istituzioni per promuovere politiche di coesione territoriale. Il sito di Abito diventerà presto una piattaforma dalla quale sarà possibile accedere a tutti i servizi ed entro ottobre partiranno le prime sperimentazioni in 5 complessi residenziali. “Siamo pronti ad entrare nei condomini e a prendere le misure, continua Francesco Gabbi, faremo un’analisi quantitativa dei costi che riguardano sia il nucleo abitativo singolo che il condominio nel suo complesso”. Dopo la fase di analisi verrà proposto un “abito” su misura attraverso strategie di sharing e pooling che genereranno un risparmio da depositare in un fondo comune utilizzabile secondo le modalità definite collettivamente dai condòmini stessi.

 

I due consiglieri ITEA Michela Chiogna e Luca Gottardi hanno sottolineato la condivisione degli obiettivi del progetto durante la presentazione del progetto alla stampa: “Abbiamo aderito con entusiasmo a questa iniziativa perché incontra perfettamente la mission di ITEA sotto diversi punti di vista – spiega Michela Chiogna. Prima di tutto, l’obiettivo di una buona convivenza, che sia il più possibile partecipata, e l’aumento della socialità. In secondo luogo la volontà di incontrare le necessità economiche delle persone che non passa solo dall’accesso agevolato all’abitazione ma anche dall’abbattimento di alcuni costi e dal contenimento delle spese collaterali; obiettivo perseguito concretamente dal progetto. In ultimo una convinzione: che lavorare insieme su un contesto abitativo favorisca il nascere di un attaccamento, e quindi di una cura, del territorio”. Partner del progetto anche la cooperativa sociale Kaleidoscopio con la presenza del presidente Michele Odorizzi che sottolinea l’innovatività e il cambio culturale messo in atto da Abito. “Nel tempo in cui il pensiero dominante è l’individualismo proporre un cambio di paradigma di questo tipo è assolutamente controcorrente. E’ interessante rilevare che, nell’era dell’enfasi data al confort interno dell’abitare, qui l’attenzione sia spostata su un altro tipo di qualità: quella delle relazioni”.

La vicinanza della Provincia autonoma di Trento all’iniziativa è rappresentata dalla presenza dell’Assessore alla coesione territoriale, urbanistica, enti locali ed edilizia abitativa Carlo Daldoss, che sottolinea il carattere innovativo dell’iniziativa e lo sguardo di fiducia che infonde questa start up per un cambiamento possibile. La convinzione è che la capacità di creare di coesione, minimizzando le differenze tra i singoli e nella comunità, sia la chiave vincente per affrontare il futuro.

Convivenza condominiale, atto spesso difficile e conflittuale.

Tre giovani trentini under 40 riunitisi nella start up Community Building Solutions, hanno però avuto un’intuizione: rovesciare l’assioma della convivenza condominiale e mettere a valore il capitale relazionale presente nei complessi abitativi.

CBS è una start up di innovazione sociale  fondata da Tania Giovannini, Francesco Gabbi e Francesco Minora è una delle vincitrici del Bando Seed Money di Trentino Sviluppo Spa. Un bando che ha finanziato 36 nuove start up dell’Area promozione tecnologica di Trentino Sviluppo. La start up, a partire da questo finanziamento e in linea con le competenze dei suoi creatori, intende sviluppare servizi per il community building attraverso progetti di economia sociale, sviluppo urbano sostenibile e azioni di welfare territoriale.

 

Oltre il 50% delle persone in Italia vive in condominio e le controversie che scaturiscono producono annualmente circa 200.000 cause che paralizzano il sistema giudiziario. “Perché i vicini di casa non li scegliamo e molto spesso si tratta di una vicinanza forzata che genera conflitto – spiega Francesco Gabbi presidente di CBS – così, dalla convinzione che le naturali difficoltà della convivenza condominiale potessero essere trasformate in risorsa è nato Abito. Il risparmio su misura, affinché il co-abitare non sia solo una condizione da subire. Gli obiettivi del progetto sono quelli di migliorare l’abitabilità dei contesti abitativi da una parte e contribuire al mantenimento e alla riqualificazione dell’immobile dall’altra. Con Abito risparmi, sei informato e vivi meglio”.

Abito si rivolge ai cittadini, ai condòmini, agli amministratori di condominio, alle cooperative di abitazioni, ma anche alle istituzioni per promuovere politiche di coesione territoriale. Il sito di Abito diventerà presto una piattaforma dalla quale sarà possibile accedere a tutti i servizi ed entro ottobre partiranno le prime sperimentazioni in 5 complessi residenziali. “Siamo pronti ad entrare nei condomini e a prendere le misure, continua Francesco Gabbi, faremo un’analisi quantitativa dei costi che riguardano sia il nucleo abitativo singolo che il condominio nel suo complesso”. Dopo la fase di analisi verrà proposto un “abito” su misura attraverso strategie di sharing e pooling che genereranno un risparmio da depositare in un fondo comune utilizzabile secondo le modalità definite collettivamente dai condòmini stessi.

 

I due consiglieri ITEA Michela Chiogna e Luca Gottardi hanno sottolineato la condivisione degli obiettivi del progetto durante la presentazione del progetto alla stampa: “Abbiamo aderito con entusiasmo a questa iniziativa perché incontra perfettamente la mission di ITEA sotto diversi punti di vista – spiega Michela Chiogna. Prima di tutto, l’obiettivo di una buona convivenza, che sia il più possibile partecipata, e l’aumento della socialità. In secondo luogo la volontà di incontrare le necessità economiche delle persone che non passa solo dall’accesso agevolato all’abitazione ma anche dall’abbattimento di alcuni costi e dal contenimento delle spese collaterali; obiettivo perseguito concretamente dal progetto. In ultimo una convinzione: che lavorare insieme su un contesto abitativo favorisca il nascere di un attaccamento, e quindi di una cura, del territorio”. Partner del progetto anche la cooperativa sociale Kaleidoscopio con la presenza del presidente Michele Odorizzi che sottolinea l’innovatività e il cambio culturale messo in atto da Abito. “Nel tempo in cui il pensiero dominante è l’individualismo proporre un cambio di paradigma di questo tipo è assolutamente controcorrente. E’ interessante rilevare che, nell’era dell’enfasi data al confort interno dell’abitare, qui l’attenzione sia spostata su un altro tipo di qualità: quella delle relazioni”.

La vicinanza della Provincia autonoma di Trento all’iniziativa è rappresentata dalla presenza dell’Assessore alla coesione territoriale, urbanistica, enti locali ed edilizia abitativa Carlo Daldoss, che sottolinea il carattere innovativo dell’iniziativa e lo sguardo di fiducia che infonde questa start up per un cambiamento possibile. La convinzione è che la capacità di creare di coesione, minimizzando le differenze tra i singoli e nella comunità, sia la chiave vincente per affrontare il futuro.




Accordo di partenariato 2014-2020

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accordo di partenariato 2014-2020

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Acqua piovana nelle pareti per produrre energia

muroWalls 2.0 con una pioggia di circa 2,5 cm ed una copertura di 100 mq è in grado di immagazzinare fino a 2.300 litri d’acqua

Risparmio idrico ed efficienza energetica. Sono queste le parole chiave di Walls 2.0, sistema capace di recuperare l’acqua piovana, immagazzinarla nei muri e tramutarla in energia. Il sistema, firmato da Rany Young, ha un meccanismo alquanto semplice: lo strato d’acqua che si insinua nelle pareti permette di migliorare notevolmente le prestazioni dell’edificio, aumentando l’isolamento termico tra interno ed esterno. Al contempo, con l’acqua immagazzinata direttamente sul posto e utilizzabile per tutte le necessità quotidiane, viene eliminato il problema del trasporto, riducendo i costi economici e ambientali del servizio.

 

Le pareti perimetrali in cemento sono realizzate aggiungendo una speciale membrana al calcestruzzo liquido che, durante il processo di polimerizzazione, costruisce dei cristalli all’interno dei pori del calcestruzzo, rendendolo completamente impermeabile e duraturo.

Con una pioggia di circa 2,5 cm ed una copertura di 100 mq – afferma Young – il sistema sarà in grado di immagazzinare fino a 2.300 litri d’acqua piovana. Inoltre, a differenza dei normali serbatoi d’acqua piovana, il sistema è in grado do resistere 4 volte di più.

Il prototipo sarà ora sperimentato dalla Watershed Management Group.




Smart city, bando europeo da 28 milioni di euro

ueTerzo bando ERA-NET su smart city e smart community in Europa. Stanziati fino a 28 milioni di euro di fondi per progetti dedicati alle città intelligenti, all’innovazione sociale, le smart grid, la mobilità alternativa e sostenibile.

A dicembre 2014 si aprirà ufficialmente il terzo bando ERA-NET Smart Cities and Communities (ENSCC) dedicato a smart city, smart community, smart government, big data, smart energy, mobilità alternativa e trasporti intelligenti.

 

L’iniziativa, frutto della collaborazione tra la Joint Programming Initiative (JPI) Urban Europe e la Smart City Member State Initiative, offrirà fino a 28 milioni di euro di fondi per ricercatori, innovatori e partner. Le bozze dei progetti dovranno essere presentate entro la fine di maggio 2015.

 

Le migliori 50 proposte saranno selezionate ed ulteriormente elaborate tra maggio e settembre 2015., mentre per la realizzazione vera e propria si dovrà attendere dicembre 2015, con deadline a marzo 2016.

 

I progetti dovranno essere relativi a quattro aree specifiche:

  • Smart integrated urban energy and transport systems
  • Smart tools and services for integrated urban energy and transport systems
  • Smart big data
  • Smart governance and smart citizens

 

Le ERA-NET sono azioni di coordinamento e supporto del 7° Programma Quadro il cui obiettivo è di favorire la cooperazione e il coordinamento di attività di ricerca su una determinata area tematica gestite a livello nazionale e regionale negli Stati Membri e Associati, attraverso una rete di attività di ricerca. Esse mirano quindi a migliorare la sinergia tra programmi nazionali ed il programma quadro comunitario.

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Riappaesiamoci nell’utero della terra

La palma d’oro al Il regno d’inverno, Matera scelta come città della cultura, l’articolo di Alfonso Appaesarci in un mondo mobile e in fuga, la scelta del tema le nuove forme dell’abitare per il prossimo forum Corviale 2015, quattro frammenti di uno stesso tema: la casa. La ricerca di un nuovo senso nella nostra vita quotidiana non più all’esterno di noi ma dentro la nostra sfera più intima.”Casa…casa…” non a caso implorava E.T.sperso nell’immensità e nell’inconoscibilità di un mondo alieno.

Potrebbe superficialmente sembrare una regressione ma qui appunto casca il punto di svolta delle “nuove forme dell’abitare”: quale migliore rappresentazione del cohousing delle splendide unità monofamiliari dell’albergo diffuso nelle grotte della Cappadocia de Il regno d’inverno?

Una famiglia allargata (uomo, moglie, sorella, ospiti, lavoranti) ognuno con una propria unità monofamiliare scavata nella roccia interconnesse tra di loro e con lo spazio d’incontro della hall-sala da pranzo.

Ma Alfonso con “appaesarci” non ci parla solo di “nuove forme dell’abitare” bensì di “nuove forme di vita” di una nuova consapevolezza del proprio essere nel mondo che, solo, può essere alla base di un nuovo contratto sociale di comunità (quello che sinteticamente e poco empaticamente chiamiamo smart comunity).

E allora ricordo il duro lavoro di critica e autocritica che i protagonisti de Il regno d’inverno svolgono per tutta il film in una scarnificazione impietosa del protagonista sino al suo abbandono di un ingombrante bagaglio culturale che gli impedisce i rapporti con gli altri.

E ricordo il sogno che nella notte successiva alla visione del film ha rafforzato la mia decisione di liberarmi dei troppi miei libri: una decisione che incontra “le nuove forme dell’abitare” in case più piccole ma con molto più spazio per la totale mancanza di tv, libri, dischi, film, quadri, fotografie tutti sostituiti da un semplice tablet di ultima generazione con annesso proiettore sulle nude pareti di immagini e filmati dal mondo: la smart comunity appunto.




App, film, giochi i libri del futuro saranno “totali”

appSE Manzoni vivesse oggi, l’uscita in libreria dei Promessi sposi verrebbe anticipata da un video che annuncia il ritrovamento di un anonimo manoscritto del Seicento. L’innominato e la monaca di Monza avrebbero un profilo Facebook, Lucia darebbe alle stampe il suo diario segreto e Renzo sarebbe il protagonista di un videogioco. La storia della colonna infame non uscirebbe in appendice, ma in digitale e le illustrazioni di Francesco Gonin diventerebbero un fumetto di culto. Non ci sarebbe neppure bisogno di una risciacquatura dei panni in Arno.

Piuttosto di un gigantesco Sudoku letterario. Fantaletteratura, ma neanche troppo visto che la trasformazione del libro in evento mediatico è già cominciata. L’editoria in crisi gioca la carta delle coproduzioni: lo scrittore mette l’idea e una squadra di specialisti lo affianca per tradurla in più linguaggi: dai film ai videogiochi, dai fumetti alla musica. Una sorta di cooperativa dei bestseller che decide a tavolino come raccontare una storia, quali informazioni muovere da un terreno all’altro, come diluirle nel tempo e come trasformare il pubblico in tanti fan.

Da poco nelle librerie di 27 paesi è uscito Endgame – The calling, primo romanzo di una trilogia sul genere apocalisse: la terra è in pericolo, dodici prescelti hanno ricevuto un messaggio in codice che, se decifrato, permetterà di salvare l’umanità. Harper Collins ha venduto i diritti pressoché ovunque (in Italia alla casa editrice Nord), la 20th Century Fox ha incaricato Wyck Godfrey e Marty Bowen, già produttori di Twilight e Colpa delle stelle , di portare nelle sale un film ad alto budget, Google e la controllata Niantic Labs hanno realizzato un’app che metterà in contatto i lettori perché si scambino informazioni utili a risolvere gli enigmi disseminati da un team di crittografi nel libro, in Internet e nel mondo reale. In contemporanea con l’uscita del primo titolo, è scattata una caccia al tesoro che si concluderà a Las Vegas, in una delle tremila lussuose stanze del Caesars Palace, di fronte a una teca di vetro che custodisce 500mila dollari in monete d’oro.

A tirare le fila di tutto il progetto c’è James Frey, scrittore che ha già dimostrato notevole disinvoltura con i concetti di verità e finzione. Il suo primo libro – In un milione di piccoli pezzi – era stato presentato come racconto autobiografico: memoriale del suo passato da tossicodipendente. Peccato che nel salotto di Oprah Winfrey sia stato fatto a pezzi: la fantasia aveva di gran lunga superato la realtà. Scaricato dal suo agente, diventato un paria della letteratura, Frey si è rialzato fondando una casa editrice che pubblica romanzi young adult in serie: lui mette l’idea, altri scrivono. Adesso, in collaborazione con Nils Johnson-Shelton, è arrivato Endgame .

Una impresa ambiziosa, ma non unica. In Italia da un anno si sta lavorando al lancio de Il ragazzo invisibile , film, fumetto e romanzo. La storia di Michele, tredicenne che un giorno guardandosi allo specchio si scopre invisibile, è stata scritta da Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo. Come già accaduto con Braccialetti rossi di Albert Espinosa, gli autori del romanzo che uscirà per Salani a metà novembre sono anche gli sceneggiatori del film di Gabriele Salvatores. Quest’ultimo, nelle sale da dicembre, è quello che in gergo tecnico si chiama “la tana del coniglio”, principale porta d’ingresso a un universo narrativo in continua espansione. Sia in radio che in edicola. Per scegliere la colonna sonora è stato indetto un concorso su Radio Deejay e, dato che di un personaggio invisibile si parla, ecco scendere in campo la Panini Comics: Michele diventerà un supereroe, protagonista di tre albi a fumetti sceneggiati da Diego Cajelli, disegnati da Giuseppe Camuncoli, Werther Dell’Edera e Alessandro Vitti, con le copertine di Sara Pichelli. E non è detto che la storia di Michele si concluda qua. Quelle ben congegnate, come sanno i fan di Star Wars, vivono di vita propria. Uno sceneggiatore di Hollywood, intervistato da Henry Jenkins nel saggio Cultura convergente (Apogeo education), spiega quale sia il meccanismo alla base dei nuovi modelli di narrazione: «Quando ho iniziato il mio lavoro, bisognava creare una storia perché senza una buona narrazione non ci sarebbe stato nessun film. Poi con la diffusione dei sequel, divenne importante inventare un buon personaggio che potesse reggere più storie. Oggi in- vece si inventano mondi che possano ospitare molti personaggi e molte storie su più media». Lo hanno fatto i fratelli Wachowski con Matrix, Chris Pike per la serie tv Dawson’s Creek, ma anche produzioni indipendenti come The Blair Witch Project .

Adesso tocca all’editoria. Si sperimentano nuovi format, si corteggiano lettori giovani, abituati al linguaggio delle serie tv e con un immaginario plasmato sul web. La Rizzoli ci ha provato per la prima volta quando si è trovata in lettura Under, romanzo distopico di una giovane blogger bolognese, Giulia Gubellini. Quelle pagine ricordavano Hunger Games e Divergent , ma parlavano di una Italia stremata dalla crisi economica e privata di ogni libertà. Meritavano un investimento originale: così questa estate in contemporanea alla pubblicazione del romanzo è uscita una web serie in dieci puntate con Gianmarco Tognazzi e Chiara Iezzi, diretta da Ivan Silvestrini. L’abbraccio tra società Anele, Rcs e Trilud per un esperimento narrativo dal budget limitato sfata anche un luogo comune molto diffuso: le coproduzioni non devono essere necessariamente colossali e rumorose. A volte possono essere piccoli passi in avanti nel marketing librario. Sperling & Kupfer ha deciso che per creare attesa in un lettore il modo migliore sia quello di fargli assaggiare il libro: non un’anteprima o un riassunto, ma un testo originale che serva da antipasto. Un esempio? Breve storia di uno starter , che introduce al mondo post-apocalittico del romanzo Starters di Lissa Price.

Anche se non tutto viene fatto per soldi, anche se quello che si insegue è un nuovo modello estetico, dietro l’angolo c’è sempre il rischio di intrappolare l’autore, di costringerlo a rimescolare contenuti come fossero caramelle. Nella progettazione di Endgame si avverte la riproposizione di mondi già sperimentati: il titolo del primo libro è un chiaro riferimento a Magic: The Gathering , gioco di carte pubblicato dalla Wizards of the Coast nel 1993, che ha coinvolto più di sei milioni di persone in 50 paesi. La caccia al tesoro è un omaggio a Masquerade, libro per bambini scritto nel 1979 da Kit Williams che scatenò la ricerca di una lepre d’oro per tutta l’Inghilterra; il gioco interattivo online che ricrea il mondo immaginario della trilogia ricorda Potterworld di JK Rowling e l’utilizzo di luoghi ed enigmi reali disseminati nel mondo ha una ricca tradizione in cui si inserisce Il Codice Da Vinci.

Sarà veramente questo il futuro del libro? John Walsh dell’ Independent si chiede se Martin Amis pubblicherà una versione online del suo nuovo romanzo sull’Olocausto The Zone of Interest, offrendo indizi per la scoperta di cimeli nazisti nella sua Brooklyn. E se David Mitchell stia per invitare i lettori di The Bone Clocks a scovare il luogo segreto dove qualcuno ha nascosto un orologio a pendolo incrostato di gioielli. Ecco la sua risposta: «Probabilmente no perché sia Martin Amis che David Mitchell sono scrittori veri in grado di distinguere la verità dalla finzione e di vedere la pubblicazione dei libri come qualcosa in più di uno sfruttamento dell’immaginazione altrui».

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IL GRANDE SPRECO DEI FONDI EUROPEI

soldi-150x150In un paese dal disperato bisogno di investimenti e occupazione, 12 miliardi di euro messi a disposizione dall’Unione giacciono inutilizzati e rischiano di andare perduti se non verrranno spesi entro fine 2015. I casi virtuosi non mancano, ma anche i soldi usati sin qui sono serviti spesso a finanziare iniziative discutibili come concerti e concorsi ippici, a costo di severi richiami da parte di Bruxelles. Uno scandalo che ha molti responsabili: politici incompetenti, burocrazia invadente, imprenditori senza idee e senza progetti

I soldi di una Finanziaria lasciati nel cassettodi LUIGI DELL’OLIO
MILANO – I soldi non spesi ammontano a 12 miliardi di euro, ben più della somma necessaria a stabilizzare il bonus da 80 euro. Quelli impiegati spesso si perdono in mille rivoli o finiscono con il finanziare iniziative poco virtuose, come accaduto qualche anno fa a Napoli con 750mila euro del “fondo regionale di sviluppo per la cultura” dirottati sul concerto di Elton John. È il paradosso dei fondi europei, ideati per sostenere la crescita delle aree più deboli dell’Unione, per un valore pari ad un terzo di tutto il bilancio europeo. Finalità perseguita attraverso strumenti diversi come il Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr), che assorbe circa due-terzi delle risorse, e il Fondo sociale europeo (Fse). Il primo sostiene soprattutto la realizzazione di infrastrutture e investimenti produttivi che generano occupazione, soprattutto nel mondo delle imprese. Il secondo mira a favorire l’inserimento professionale dei disoccupati e delle categorie sociali più deboli, finanziando in particolare azioni di formazione. A questi si affiancano, poi, i cofinanziamenti statali e quelli regionali, dando vita ai Pon (Piani operativi nazionali) e ai Por (Piani operativi regionali).

Fondi Strutturali
Periodo Paese Stanziati Utilizzati Stanziati/utilizzati
2007-2013 Italia 27.952.613.430,00 16.290.125.356,32 58,28%

Il piatto piange. A fine luglio, l’Italia aveva impiegato appena il 58,28% delle risorse messe a disposizione dall’Europa, un dato che ci colloca in coda alla classifica. La situazione non è omogenea a livello territoriale: per quanto riguarda il Fesr, il dato è la media tra il 73% raggiunto nelle regioni del Centro-Nord (che quindi dovrebbero centrare il pieno impiego delle risorse entro la scadenza fissata alla fine del prossimo anno) e il 57% del Mezzogiorno. Campania, Calabria e Sicilia sono le regioni che maggiormente faticano a impiegare le risorse a disposizione, mentre a livello settoriale il ritardo riguarda soprattutto i programmi per la cultura, il turismo e le infrastrutture di trasporto. Ovvero proprio i settori sui quali il Mezzogiorno potrebbe far leva per uscire dalla crisi.

Senza contare la messa in sicurezza dei territori contro il dissesto idrogeologico: a Palazzo Chigi hanno da poco deciso di destinare a questo capitolo 785 milioni non ancora spesi, e altri potrebbero essere dirottati da altri capitoli di spesa. Somme che potrebbero aiutare a evitare disastri come quello appena visto a Genova, e magari anche a risparmiare sul totale della spesa, oggi quasi tutta concentrata nella fase post-disastri naturali.

Sotto tiro le nomine politiche. “La questione dei fondi strutturali europei è lo specchio dei vizi italiani”, commenta l’economista Giulio Sapelli. “In primo luogo pesano le deficienze della tecnocrazia: a Bruxelles spesso inviamo personale scelto non per competenze specifiche, ma per stretta osservanza politica. Il risultato è che, mentre i paesi iberici mettono a punto bandi tagliati sulle esigenze dei singoli paesi, da noi questo non succede”. La carenza di professionalità adeguate pesa anche in patria: “Per accedere ai fondi europei occorrono nelle Regioni professionisti preparati sul fronte del diritto comunitario e poliglotti, mentre spesso queste funzioni vengono affidate a fedelissimi del governante di turno”, aggiunge Sapelli. Anche quando la competenza c’è, non mancano i problemi. Emblematico il caso del generale dei carabinieri, Maurizio Scoppa, chiamato dalla Regione Campania a vigilare sugli oltre 2 miliardi di euro stanziati da Bruxelles, dopo aver risanato l’Asl Napoli 1. Dopo sei mesi l’esperto ha gettato la spugna, lamentando non solo scarsa collaborazione da parte del personale regionale, ma addirittura di non aver ricevuto nemmeno un computer e la cancelleria per operare. Sapelli sottolinea anche un altro aspetto: “Nessun paese ha tante società di consulenza sui fondi europei come l’Italia. Significa che, una volta ottenuto il finanziamento, questo spesso si disperde in mille rivoli, per cui all’obiettivo finale arrivano pochi spiccioli. E spesso con tempi lunghi a causa delle lentezze burocratiche”.

Pesa la lentezza della burocrazia. Per Gianfranco Viesti, professore di Economia applicata all’Università di Bari e autore di diversi saggi sul tema, il problema non è tanto nella cattiva programmazione, quanto nella lentezza di attuazione. “Innanzitutto va precisato che è falso che i fondi strutturali vengano tutti sprecati: negli anni vi sono stati tantissimi esempi di iniziative che hanno aiutato i territori”. Fatta questa premessa, resta il nodo delle difficoltà di impiego delle risorse: “Le cause sono diverse: lentezza nelle opere pubbliche, complessità delle norme, mancata disponibilità del cofinanziamento nazionale, pessima congiuntura economica”, sottolinea. “Anche le misure dei ministeri, specie quelle infrastrutturali – aggiunge – sono in forte ritardo. La lentezza delle Regioni (e dei ministeri) nell’emanare i bandi è dovuta in parte alla carenza di competenze, forse anche alla volontà dei politici ad accentrare attività di gestione e attuazione delle misure che andrebbero invece affidate a soggetti specializzati”. La motivazione potrebbe essere soprattutto la voglia di controllare risorse ingenti, che nel migliore dei casi assicurano consenso, nel peggiore aprono le porte a fenomeni di corruzione.

Chi fa da sé non ce la fa. Viesti punta inoltre l’indice sulla mancata collaborazione tra le amministrazioni locali, e sull’assenza di un forte ruolo di stimolo e di coordinamento dal centro: “Se c’è da scrivere una misura di intervento o un bando di gara è molto raro che si utilizzino modelli già sperimentati altrove, facendo tesoro di successi ed insuccessi, ma si ricomincia ogni volta da zero; e spesso si tornano a incontrare gli stessi problemi e le stesse criticità già sperimentate da altri”. Va poi considerato anche un altro aspetto: molte risorse non vengono spese per mancanza di investitori. A Termini Imerese ci sono 750 milioni di euro di risorse pubbliche a disposizione per chi è interessato a rilanciare lo stabilimento Fiat chiuso alla fine del 2011, ma finora nessuno si è fatto avanti. Segno della difficoltà del Paese nell’attrarre risorse, soprattutto sul fronte internazionale.

Gli effetti dei fondi strutturali europei 2007-2013 in Italia
21 mld € Somma impegnata
58.564 Posti di lavoro creati
3.098 kt Risparmio di CO2 immessa nell’atmosfera
1,311 mln I cittadini raggiunti dalla banda larga
5.494 Progetti di ricerca e sviluppo
34.828 Progetti di investimento nelle Pmi
3.112 Start-up avviate
2.390 Progetti di energia rinnovabile
195 kmq Aree riqualificate
670 Progetti di prevenzione dei rischi naturali
4,083 mln Studenti che utilizzano nuove tecnologie nella didattica
500.000 Progetti Fse, che hanno visto la partecipazione di più di 6,6 milioni di persone, di cui oltre 2 milioni di età compresa tra i 15 e i 24 anni e quasi mezzo milione al di sopra dei 55 anni
fonte: Commissione Europea, elaborazione Repubblica.it

Gli scavi archeologici più noti al mondo stanno cadendo a pezzi per incuria e mancata manutenzione, eppure i soldi sul tavolo non mancano. La vicenda di Pompei è emblematica delle difficoltà di impiego dei fondi europei. Tanto che nei mesi scorsi il commissario europeo per le politiche regionali,Johannes Hahn, è intervenuto sulla vicenda ricordando che dei 105 milioni di euro stanziati “solo l’1% è stato utilizzato e un altro 24% è stato destinato a lavori in fase di completamento”. Il restante 75%, ha precisato, “va speso entro la fine del 2015” o andrà perduto. Dunque occorre mettere mano ai progetti di risanamento dell’area, identificare in maniera precisa la destinazione dei fondi e rendicontare con precisione ogni spesa per non perdere i fondi e non disperdere un patrimonio unico al mondo.

Al di là della difficoltà di spesa vi è, poi, il capitolo degli sprechi che ha reso i tecnici di Bruxelles particolarmente prudenti nell’approvare i piani italiani. Si è già detto del concerto di Elton John a Napoli, che ha creato grande clamore e costretto la Regione Campania a restituire i fondi europei. Mentre sono passati sotto silenzio i 70mila euro spesi per l’Afrakà rock festival di Afragola (città natale dell’ex governatore Bassolino) e i 500mila per il concorso ippico internazionale di Caserta. Senza dimenticare le decine di sagre finanziate da Nord a Sud, e finite impropriamente nel capitolo delle “iniziative a sostegno della cultura locale”.

In Sicilia (a Casteltermini, Augusta, Noto, San Cataldo e Capo d’Orlando), poi, sono stati impiegati 15 milioni di fondi europei per realizzare impianti di compostaggio presentati come altamente innovativi, ma bloccati per mancanza di personale e danneggiamenti da parte di ignoti (forse mossi da mani interessate a tenere in vita le discariche). L’Italia ha il primato delle frodi comunitarie: la Corte dei conti europea calcola che il nostro Paese ogni anno percepisce illegittimamente 800 milioni.

Va comunque detto che, se gli sprechi fanno più notizia, non mancano tanti esempi di investimenti virtuosi. Sul sito Internet Opencoesione è disponibile una mappa dei progetti finanziati dalle politiche di coesione in Italia. Navigando è possibile essere aggiornati (gli ultimi dati risalgono a fine aprile) sulle risorse assegnate e spese, le localizzazioni, gli ambiti tematici, i soggetti programmatori e attuatori, i tempi di realizzazione e i pagamenti dei singoli progetti. Dal portale emerge che l’opera con i maggiori finanziamenti è “Il completamento della Linea 1 della metropolitana di Napoli”, per la quale sono stati stanziati 1,3 miliardi di fondi pubblici (di cui 430 milioni dall’Ue). I lavori sono iniziati, come previsto, a gennaio del 2000, ma l’obiettivo di completare l’opera entro il 31 marzo scorso è fallito. Il sito non riporta la data di consegna, che altre fonti indicano nel 2018.

Ma vi sono anche opere concluse. E’ il caso di Villa Scheibler, ubicata in un sobborgo piuttosto trascurato di Milano, che è stata restaurata con il sostegno del programma europeo Urban (3,5 milioni a disposizione). Sono state interamente pagate anche le somme (202mila euro, di cui 141mila di competenza Ue) del fondo rotativo a sostegno della ricerca e dell’imprenditorialità nel Mezzogiorno. Mentre sono a un passo dal completamento (95%) gli stanziamenti per potenziare i sistemi di videosorveglianza in Sicilia.

Destinazione dei 32,8 miliardi di euro erogati all’Italia
(compresi interventi co-finanziati e altri europei)
22,3 mld Programmi per lo sviluppo delle regioni meno sviluppate
(Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia)
1,1 mld Programmi per lo sviluppo delle regioni in transizione
(Abruzzo, Molise e Sardegna)
7,7 mld Iniziative per le Regioni più sviluppate
(Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Liguria, Veneto, Provincia di Bolzano, Provincia di Trento, Friuli Venezia-Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Umbria e Lazio)
1,311 mln I cittadini raggiunti dalla banda larga
1,1 mld Cooperazione territoriale europea
567,5 mln Iniziative a favore dell’occupazione giovanile
8,2 mld Somma da destinare alle specifiche sfide che il paese deve affrontare nelle aree interessate dal Fse
fonte: Commissione Europea, elaborazione Repubblica.it

L’esperto controcorrente: “Meglio rinunciare”

MILANO – Roberto Perotti, professore di Economia politica alla Bocconi, ha curato con il collega Filippo Teoldi, uno studio dal titolo emblematico: “Il disastro dei fondi strutturali europei”, scaricabile gratuitamente in rete. Nel report si mettono a confronto i livelli di spesa su questo fronte con i pochi benefici prodotti.
Mentre a livello comunitario si discute del prossimo ciclo di finanziamenti, destinati a mettere in campo oltre 300 miliardi di euro, di cui circa 41 per l’Italia, dalla sua analisi emerge una sostanziale bocciatura dei fondi strutturali. E’ così?
“Esatto. Ci dobbiamo chiedere perché i fondi finora non sono stati spesi a fronte dello scenario economico: evidentemente si tratta di fondi inutili, e spesso addirittura dannosi perché alimentano burocrazia, clientelismo, e a volte finiscono addirittura nelle mani della criminalità”.

Eppure l’Italia ha un disperato bisogno di investimenti per ripartire…
“L’Italia contribuisce al bilancio europeo in misura maggiore rispetto alle risorse che complessivamente riceve. Inoltre va considerato l’aspetto del cofinanziamento, che in teoria risponde a un obiettivo nobile, il coinvolgimento del beneficiario, per assicurarsi che abbia un interesse nel progetto e abbia quindi gli incentivi giusti a portarlo avanti nel modo più efficace possibile. Il problema è che l’applicazione pratica del cofinanziamento è stata tale da negare questo principio”.

Perché?
“E’ sufficiente guardare all’ambito della formazione: chi cofinanzia le iniziative è lo Stato centrale, ma l’attuazione è appannaggio delle regioni. Con queste ultime che hanno dunque pochissimi incentivi ad assicurarsi che questi progetti funzionino effettivamente”.

Cosa propone in alternativa?
“La cosa migliore sarebbe rinunciare ai fondi strutturali o a una buona parte di essi. Risparmieremmo così la nostra quota di finanziamento dei fondi strutturali, e la quota di cofinanziamento, che potremmo utilizzare per ridurre le tasse”.

Senza coraggio e senza progetti

di EUGENIO OCCORSIO

Il mancato utilizzo dei fondi strutturali europei rappresenta l’ennesimo motivo di sconcerto e di imbarazzo per l’Italia. Ma anche uno spunto per porsi una domanda su un problema che passa in buona parte sotto silenzio nel generale j’accuse contro la classe dirigente del nostro Paese, che però viene proclamato sottintendendo che sia solo la categoria dei politici a meritare ogni possibile lapidazione. D’accordo, le burocrazie – in questo caso soprattutto quelle regionali e locali – hanno le loro colpe pesantissime e spesso imperdonabili. D’accordo anche che la burocrazia è diventata un moloch scoraggiante per qualsiasi iniziativa, che la nomenklatura dei ministeri si è creata un potere autonomo in grado di piegare qualsiasi volontà riformistica, così come è scoraggiante la lentezza della giustizia civile o il fatto che le leggi del lavoro sono ingiuste e penalizzanti. Però quando si muovono i più alti lamenti per questi mali italiani, quasi fosse un refrain ormai scontato, si dimentica spesso che c’è un’altra categoria che si distingue per immobilismo e a volte vera e propria incapacità di fare, proprio quella di cui accusano i politici: gli imprenditori.

Certo, i coraggiosi artigiani del nordest hanno fatto il miracolo italiano, e negarlo sarebbe impossibile. I piccoli industriali del centro Italia continuano indomiti a sgobbare come matti pur di non mandare a casa i dipendenti, i creativi nostrani sbaragliano i mercati con le loro trovate, però purtroppo questa maggioranza si sta assottigliando, fino ad esser diventata probabilmente minoranza proprio nel pieno della crisi.

Il caso dei fondi europei è esemplare. Perché vengano utilizzati occorre che l’imprenditore affianchi al contributo che riceve dal fondo (veicolato attraverso la regione) due cose: un progetto adeguato con un business plan convincente e soprattutto aderente agli standard dell’Europa (che ha diritto di pretenderne l’osservanza essendo lei che ci mette i soldi) e inoltre una partecipazione di capitale proprio che sia esattamente nella stessa misura del fondo utilizzato. Su tutti e due i fronti la classe imprenditoriale italiana naufraga miseramente. Trovare un progetto efficace, con un imprenditore motivato e consapevole della necessità di iniettarvi una buona dose dei suoi risparmi come capitale di rischio, è cronicamente difficile. Altrimenti non si spiegherebbe il perché di tutti quei fondi inutilizzati.

Ecco così che diventano plausibili alcune proposte, come ad esempio quella lanciata dall’università online Pegaso pochi giorni fa in occasione di un convegno sulla valorizzazione del Mezzogiorno organizzato dall’Aprom, un think-tank giuridico-economico. La proposta, ha chiarito il presidente della Pegaso Danilo Iervolino, è semplice: “Come università potremmo porci al centro, in determinati casi, della progettualità che interessa i fondi europei. Non ne chiediamo una parte, intendiamoci, solo offriamo know-how ed esperienza per affiancare gli imprenditori e redigere programmi aderenti ai criteri europei che convincano l’interlocutore della bontà dell’iniziativa proposta. Come noi potrebbero aderire al programma altri atenei portando quel contributo di conoscenza e di informazioni che è fondamentale per qualsiasi programmazione industriale”.

Chissà, forse potrebbe essere una soluzione (un esperimento del genere è stato tentato con discreto successo in Olanda) almeno a una delle due parti del problema, quella della progettualità. Un’iniziativa del genere l’ha lanciata anche la Regione Lazio, che sotto la presidenza di Nicola Zingaretti ha deciso di non essere più solo un ente “erogatore” di fondi ma di affiancare l’imprenditore nella fase progettuale. Anzi, faremo di più, è l’idea di Zingaretti che sta proprio ora passando alla fase operativa: se l’Europa mette 50, l’imprenditore anziché i 50 che gli verrebbero richiesti, mette 40. I rimanenti 10 li mette la regione, ovviamente se il progetto è valido. Non è solo questione di business plan redatti in modo stringente ed efficace: rimane aperta la seconda questione, altrettanto spinosa. Qualunque opinione si abbia sulla reale efficacia dei fondi europei, nessuno dubita che gli imprenditori debbano mettere sul tappeto dei soldi “veri” per i loro progetti.

E qui è peggio che andar di notte. C’è come l’impressione che la classe imprenditoriale si ritenga a volte in diritto di utilizzare i contributi europei quale unico capitale per le iniziative che propongono di attivare, comunque vadano a finire, cioè che si rivelino redditizie o no. Salvo poi lamentarsi quando questi fondi vengono meno. E’ il caso dei coltivatori del tabacco, operanti in quella vasta fascia di nord-est che va dall’Emilia al Triveneto e poi in Toscana e in misura minore in Campania: quando l’Europa ha ritirato i suoi fondi, che erano in questo caso non strutturali ma di programmazione agricola (il che non cambia la sostanza del problema) si sono lamentati della scarsa redditività delle produzioni alternative. Se un ettaro di tabacco rende 1200 euro l’anno, uno di mais ne rende 80. La differenza è macroscopica, è innegabile, però gli imprenditori della terra forse non hanno considerato che presentando progetti adeguati alle rispettive regioni avrebbero probabilmente potuto accedere agli altri fondi, appunto quelli strutturali, per nuove iniziative maggiormente redditizie.

Questo della carenza di capitali è un problema per l’industria italiana di qualsiasi settore che va al di là del problema dei fondi europei. Da tutte le statistiche risulta che nessuna categoria imprenditoriale è così dipendente dal credito bancario come quella italiana. Il che denota una preoccupante carenza di capitali propri. E spiega anche i lamenti fortissimi nei confronti del sistema bancario. Il quale risponde anch’esso in modo simile all’Europa: i fondi ci sarebbero, e tanti, dovete però convincerci della bontà dei progetti. A riprova del fatto che la liquidità è abbondante, i banchieri fanno notare che quando la Banca centrale europea, a metà settembre, ha offerto la prima tranche del cosiddetto “Tltro”, cioè i finanziamenti alle banche a tasso superagevolato a patto che le banche stesse girassero i fondi all’economia reale, la richiesta della banche è stata sorprendentemente bassa, meno della metà del potenziale (80 miliardi sui 168 offerti): segno che non si trovano le iniziative convincenti da finanziare.

E’ un aspetto della situazione che aiuta a spiegare le carenze in tema di fondi strutturali. Sui quali peraltro non c’è unanimità di giudizio. Non tutti gli economisti sono d’accordo sulla reale utilità dei fondi in questione. “Sono sempre stati erogati a pioggia, in modo quasi casuale e sporadico, senza nessuna programmazione alla base né imprenditoriale né statale”, è l’accusa mossa da Guido Tabellini, uno dei più prestigiosi economisti italiani, fino a metà 2012 rettore della Bocconi. “Per questo, tra l’altro, se è vero che il piano da 300 miliardi di investimenti che si appresta a lanciare il nuovo presidente della commissione europea, Jean-Claude Juncker, si basa per la maggior parte ancora una volta sui fondi strutturali, sono sicuro che non servirà a rilanciare l’economia del continente”. Però lo stesso Tabellini non può fare a meno di riconoscere l’utilità, almeno parziale, dei fondi. E anche lui ammette che restituirli al mittente, in un momento in cui l’economia affonda per mancanza di investimenti e di domanda, è davvero una colpa imperdonabile.

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Ecco il calcio sociale

CalcioSocialeA Corviale dal sogno di un ex ultrà

Dal sogno di un ex ultrà che voleva far giocare nella stessa squadra, uomini, donne, anziani e bambini è nato il Calciosociale a Corviale, periferia sudorientale ad alto tasso di degrado a Roma

La prima regola del calciosociale è parlare a tutti del calcio sociale. E’ un gioco, innanzitutto, è uno stile di vita ed è anche una terapia, parola di un gruppo di studio che ne analizzato gli effetti su pazienti psichiatrici. Prima di ogni altra considerazione occorre far sapere al lettore che il calcio sociale si identifica con il suo fondatore: Massimo Vallati, classe ’76 e una storia che in un romanzo d’appendice sarebbe definita “turbolenta”.
Da preadolescente ha giocato a calcio a livello agonistico, da adolescente è diventato un ultrà della Lazio poi quando si è reso conto che il calcio in quell’ambiente aveva perso “spontaneità” ne è uscito. A venti anni è entrato in polizia. Ci è rimasto per quattro anni e mezzo, lavorando a Roma e poi ha lasciato la divisa e ha studiato cinema e regia. Ma il calcio è rimasto il suo pallino. In una reazione di rigetto alle brutture della curva e ai personaggi del giro che ancora conosce ha inventato un gioco del calcio che quasi nulla ha a che vedere con quello seguito da milioni di persone e lo ha chiamato “calciosociale”, una parola sola. Ha proposto il modello al prete di una parrocchia ma ha capito che aveva le potenzialità di uscire dai confini delle mura dell’oratorio.

Il 13 luglio del 2009, Calciosociale – che intanto è diventato una società – è entrato in possesso di una struttura sportiva in stato di totale abbandono, in Via di Poggio Verde 455, nel quartiere di Corviale, il Serpentone, il chilometro di cemento armato e vetro, opera di edilizia popolare alla periferia sudorientale di Roma dell’architetto Mario Fiorentino costruita nel 1975 e mai completata, ad alta concentrazione di abbandono e criminalità. Talmente criticata da aver fatto nascere la leggenda metropolitana per cui il Corviale, con la sua massiccia struttura monocolore, ha tolto il ponentino a Roma.

Cinque anni e un milione e quattrocentomila euro dopo – in parte donazioni private, in parte finanziamenti pubblici, in parte autofinanziamento – è nato il nuovo Campo dei Miracoli, una struttura moderna con un campo di calcio con intaso naturale, una palestra con il soffitto fatto da corteccia di alberi, una casetta della spiritualità (ex domicilio di un componente della banda della Magliana, racconta Vallati), una sala polifunzionale e il progetto di una mensa con forno a legna. Oggi il Calciosociale ha portato a casa un altro risultato: come best practice italiana sarà presentata dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Graziano Del Rio ai ministri dello Sport dell’Unione Europea come esperimento (riuscito) di recupero delle attività sportive nelle periferie.

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Dall’area cani al parco sotto casa: ora si adottano gli spazi pubblici

parchi

Il Comune istituzionalizza il faidate contro il degrado delle zone verdi. E i giardini diventano orti urbani

Anziché adottare un cane, specie se ce l’avete già, da oggi in poi potrete adottare un’intera “area cani”. Sì, avete capito bene: quelle spianate solitamente recintate, situate all’interno dei parchi, che servono per portare a spasso, far correre e defecare i vostri amici a quattro zampe. Se però non avete un cane ma il pollice verde sì, non disperate: potete sempre chiedere in affidamento uno dei tanti giardini di proprietà comunale, ormai quasi tutti in stato di abbandono, per trasformarli in orti urbani coltivati a zucchine e pomodori, o in oasi lussureggianti di gerbere e rose.

È l’ultima frontiera tracciata dal Campidoglio per coniugare la tutela del verde pubblico con le ristrettezze di un bilancio che a stento riesce a garantire i servizi essenziali: visto che sempre più spesso sono i cittadini a farsi carico, in modo del tutto spontaneo, della pulizia dei prati sotto casa, perché non istituzionalizzare il faidate? Ed ecco che l’assessore all’Ambiente Estella Marino ha messo a punto due diverse delibere, che verranno esaminate oggi in giunta. La prima detta le linee guida per l’adozione di una delle 150 “aree cani” distribuite sul territorio romano. Nobili le motivazioni, sebbene scritte in perfetto burocratese: “Detti spazi, ove non adeguatamente mantenuti, contribuiscono significativamente alla dequotazione degli standard qualitativi, anche solo “percepiti”, con riferimento alla manutenzione del verde cittadino da parte della cittadinanza”. Ancora: “Nel corso degli ultimi esercizi finanziari, le risorse economiche stanziate in bilancio per la cura e la manutenzione del verde hanno subito una cospicua contrazione”.

Da qui l’idea di incentivare il “partenariato sociale pubblico-privato”, dando seguito “alla più volte manifestata volontà dei cittadini di affiancare Roma Capitale in iniziative” di questo tipo. Semplice lo schema individuato: il soggetto che adotta (persona fisica, organismi, enti, associazioni o comitati) si impegna mediante un apposito atto a manutenere e/o eventualmente custodire un’area cani cittadina “per un periodo di tempo determinato” e secondo precisi standard “fissati unilateralmente” dall’amministrazione, “senza oneri finanziari a carico” di quest’ultima. Chi lo fa dovrà perciò garantire “la pulizia, il decoro e gli arredi nel rispetto delle vigenti norme igienicosanitarie”.

Più o meno la stessa ratio che sottende l’innovativo Regolamento per l’affidamento in comodato d’uso gratuito delle aree verdi comunali “compatibili con la destinazione a orti/giardini urbani”. Tredici articoli con tanto di “disciplinare di conduzione e manutenzione” per trasformare gli spazi abbandonati in prati coltivati a ortaggi, fiori e frutta. A prenderli in carico potranno essere associazioni e gruppi no profit, oppure persone singole (il cui lotto non potrà però superare i 60 metri quadrati) a patto di produrre solo quanto serve a se stessi e ai propri collaboratori. Ma ci saranno anche gli orti condivisi (coltivati collettivamente a scopo sociale) e quelli didattici (da destinare alle scuole). Tanti gli obblighi da rispettare, elencati nella convenzione da firmare, e un divieto grande così: escludere l’utilizzo di sementi ogm, cioè geneticamente modificat