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Risposta a Causi sulla crisi in Campidoglio

 Marco Causi ha scritto:

La crisi in Campidoglio: un primo commento

Dovremo riflettere a lungo e seriamente sul caso Roma. Nel 2013 siamo tornati al governo della città, ma eravamo impreparati. Non avevamo compreso la profondità delle ferite inferte dalla crisi alla città, e soprattutto alle sue parti più deboli. Non avevamo capito il livello devastante del degrado politico-amministrativo procurato al Campidoglio e ai suoi dintorni durante i cinque anni di Alemanno. Non avevamo consapevolezza che quel degrado aveva coinvolto anche pezzi del nostro mondo. Alla fine di novembre 2014, invitato dal PD alla Conferenza del Quirino, Giuseppe Pignatone aprì uno squarcio, seguito solo pochi giorni dopo dagli atti dell´inchiesta “mondo di mezzo”.

Abbiamo reagito, abbiamo messo in azione gli anticorpi (che a Roma ci sono). Nel partito con il commissariamento, l´indagine Barca, la ristrutturazione dei circoli. Nel Comune con il piano anti-corruzione, il più vasto e pregnante fra quelli esistenti in Italia, che ha salvato il Campidoglio dall´onta del commissariamento per mafia.

L´errore più grave di Ignazio Marino non sono gli scontrini. Certo, anche quelli hanno rilevanza, e − per noi che siamo garantisti, che difendiamo lo stato di diritto e l´esercizio della legalità all´interno delle garanzie costituzionali − quella vicenda significa una sola cosa: che Marino dovrà probabilmente affrontare un procedimento. Ci auguriamo che ne possa uscire a testa alta. Ma non possiamo permetterci il lusso di una rimozione psicanalitica del problema. Cosa che invece sembra avere indotto Marino all´ultimo dei suoi errori, ritirando le dimissioni annunciate venti giorni fa.

L´errore più grave di Ignazio Marino è di proporre una lettura del conflitto da lui aperto con il PD sulla chiave mafia-antimafia. Il PD sarebbe dalla parte della mafia, lui invece dalla parte giusta. Non accetta di condividere una riflessione collettiva e politica sulla nostra (e sua) impreparazione, da cui sono derivati evidenti problemi nel governo quotidiano della crisi di Roma. Non accetta, il 5 novembre, di essere con noi a testimoniare il presidio e la battaglia dei democratici (e anche la sua, in prima linea) per la legalità e contro la corruzione all´apertura del processo “mondo di mezzo”.

Perché anche questo faceva parte della proposta che il PD ieri pomeriggio, in un incontro fortemente voluto da chi scrive queste righe, aveva fatto a Marino. Primo, un passaggio in aula consiliare per un messaggio di fine mandato alla città (che adesso non potrà più esserci, per effetto dell´immediata caduta dell´Assemblea  a seguito delle dimissioni di almeno 25 consiglieri). Secondo, un incontro con il segretario nazionale e Presidente del Consiglio, a dimissioni esecutive. Terzo, tutti insieme dalla stessa parte il 5 novembre, a testimoniare che avremo anche compiuto errori, ma che a testa alta e con coraggio abbiamo saputo risalire la china, nell´amministrazione del Comune e nell´organizzazione del partito. Le formazioni politiche del centro-destra coinvolte nelle stesse vicende − e ben più pesantemente di noi − non possono dire lo stesso.

Ignazio Marino ha preferito scegliere la strada della testimonianza solitaria, arroccata su una strada politica senza senso e priva di sbocco. Accusa il PD di non averlo mai aiutato, e anche su questo − come sugli scontrini − dimostra uno stato di preoccupante rimozione. La norma “salva Roma”, che ha permesso al Campidoglio di affrontare il deficit strutturale di 800 milioni lasciato da Alemanno, nella sua prima stesura era inefficace e cadde due volte in Parlamento. Sono stati i gruppi parlamentari del PD, al Senato e alla Camera, a riscriverla, a renderla potente, a farla approvare. Sono stati esponenti del PD ad affiancare la giunta capitolina per il piano di rientro. E´ stato il Governo Renzi a riconoscere gli extra costi della Capitale − una rivendicazione che da 25 anni avanzavano gli amministratori di Roma. Ed è stato il PD ad esporsi in prima linea per rafforzare la giunta alla fine dello scorso luglio, e a lavorare pancia a terra insieme al Campidoglio e al Governo nazionale per mandare a buon fine gli interventi del Giubileo.

Io non so a quale approdo porterà la strada scelta da Ignazio Marino. Mi auguro per lui che possa ritrovare serenità, quella serenità che gli è stata tolta da una campagna mediatica di inusitata violenza e dai contorni opachi. Per personale esperienza so che prove di tale intensità emotiva è meglio affrontarle in squadra, e non rinchiusi da soli nel bunker di un ufficio. So però qual è il compito, dentro la crisi aperta dal ritiro delle dimissioni di Marino, per un partito come il PD, che ha responsabilità di governo e deve occuparsi della città e del suo futuro. Chiuderla velocemente. Riprendere il filo dei progetti per Roma, nell´immediato (Giubileo, emergenza trasporti) e nel medio termine. Chiedere al Governo un impegno straordinario per un´area metropolitana con tre milioni e mezzo di abitanti a cui non possiamo dare la percezione di essere abbandonati allo sbando. Basta con i giochi tattici su cui Ignazio Marino si è inerpicato: rimbocchiamoci tutte e tutti le maniche per risollevare Roma.

Risposta a Causi sulla crisi in Campidoglio

E’ vero quanto afferma l’on. Causi che il PD dovrebbe riflettere a lungo sulla crisi che si sta dipanando sul Campidoglio. In questa affermazione però si potrebbe quasi cogliere una consapevolezza tardiva che i processi in atto stanno prefigurando una mancanza di protagonismo del PD. Si sta pensando di gettare la spugna? Si sta valutando, al Nazzareno, che sia più utile uscire dal Campidoglio passando il testimone ad altri – M5S o società civile – per continuare l’approfondita riflessione?

Il cambiamento sottile che ha pervaso la Città, e non una città qualunque, il patto non detto su rendite di posizione acquisite nel pubblico impiego, nelle professioni, nelle imprese, per accomodarsi nella ridistribuzione di una ricchezza pubblica inesistente e quindi prodotta con l’indebitamento è sicuramente precedente la Giunta Alemanno. Forse è un animus della Città, ma la presenza del primi Sindaci di Sinistra l’aveva calmierata prima con il risanamento delle borgate, il piano scuole, l’ammodernamento delle infrastrutture, poi con la cultura e la comunicazione. E poi tutto si è fermato, senza slancio questo enorme e onnivoro corpo obeso ha incominciato a mangiare se stesso senza regole, ognuno a preso quel che poteva. Su questo impianto è emersa mafia Capitale, un piccola punta di un iceberg, quindi solo quello dimostrabile giudiziariamente, quindi solo una piccola parte di un comportamento diffuso. Ma se la Magistratura individua solo una parte ristretta chi dovrebbe intervenire con indirizzi e comportamenti diversi e di forte discontinuità? Ma la Politica.

Quindi, on.Causi è la politica non l’amministrazione a dover svolgere il suo compito, quindi sono importanti i fondi , ma se manca un Progetto di CITTA’ e chi lo interpreti i fondi saranno rivoli dispersi. Quindi smontare i Circoli seguendo l’analisi di Barca ma, non non individuare le responsabilità nei Dirigenti del PD che ne hanno promosso e permesso la creazione utilizzandoli ai propri fini, è inutile. Quindi non coinvolgere i Cittadini organizzati nei territori e i Municipi in una rigenerazione morale e e assegnare obbiettivi di riqualificazione per tematiche o per quadranti è sventato. La scelta di Marino è stato uno sbaglio? Bene va affermato e tratte le conseguenze, in Consiglio e con pubblico dibattito. Si è verificata una resistenza al cambiamento, magari improvvido, proposto da Marino nel PD o no? E di quale cambiamento parliamo? Insomma è stato scelto Marino come candidato di facciata per non cambiare gli accordi sottesi che hanno governato per lungo tempo Roma o no? E quale è il progetto di Città che il partito di maggioranza propone? Se non si risponde la maggioranza non ci sarà più.

Guardiamo alle immense periferie realizzate spesso con accordi non limpidi e facciamoci ispirare dalle condizioni estreme in cui versano molti cittadini e molte famiglie, affacciandoci umilmente sui territori, ascoltando e aprendoci ai problemi della partecipazione e dello sviluppo.

Eugenio de Crescenzo

 




Appartenenza europea (3)

(…continua…)

E’ il problema dei “pensieri lunghi”. Possono perdersi nel turbo-quotidiano. E possono essere la sostanza di un approccio strategico. Proprio perché, e in quanto, lunghi.
Raccogliendo lo stimolo della letteratura e delle arti europee, Diario europeo ha condiviso questa convinzione: “una cultura che ci unisce e grazie alla quale – forse siamo in tempo – potremmo indurre quell’insurrezione spirituale e quel rinascimento che alcuni di noi sognano”. La cultura che ci unisce. L’abbiamo preso troppo alla lontana?
Non si tratta di indugiare in uno sfibrante equilibrismo tra pessimismo e ottimismo. Penso che si possa e si debba guardare in faccia la realtà, formulata sia da insigni intellettuali sia da cittadini e cittadine di questa Europa: “Se l’Unione Europea sia davvero unita è la domanda quotidiana di milioni di europei, la cui persistente identità nazionale è ancora molto prevalente rispetto al senso della loro appartenenza europea” (Giuseppe Galasso).
Sta proprio in questo il cuore del problema: per costruire, sentire, affermare una appartenenza europea è indispensabile o addirittura prioritaria una sorta di distruzione creatrice della “persistente identità nazionale”? Oppure bisognerebbe interrogarsi e mettere in discussione quel pensare l’Italia o la Francia o la Germania, e via via elencando, come una possibilità che si deve e si può evolvere solo in una prospettiva di vuoto intorno e/o di società-nazione che sussiste solo se sta chiusa e “protetta” in sé?
“Ma io credo – afferma lo storico Aldo Schiavone, dialogando con Ernesto Galli della Loggia in Pensare l’Italia –che anche quando il nostro Stato avrà ceduto all’Europa tanta sovranità (auguriamoci che accada presto, e dopo la moneta ci sia la difesa e la politica estera, e poi altro ancora….) da diventare poco più di una governance regionale, continuerà a esistere ancora a lungo una patria italiana, un’identità italiana, e uno stile italiano: dico il pensiero, non solo nella moda o al ristorante”.
A questo punto possiamo individuare con più precisione sia il senso profondo di cultura sia quello che possiamo e vogliamo aspettarci dai costruttori di cultura. La formazione della “persistenza di una identità nazionale” (vedi sopra G. Galasso) dentro una “appartenenza europea” (sempre Galasso). E, a ben vedere, si tratta di una opzione eminentemente politica. Nel senso della costruzione e del governo della città.
E non si tratta soltanto di uno stato di necessità: demograficamente l’Europa rimpicciolisce e invecchia, mentre il resto del mondo – Asia, India, Africa e perfino Nord America – cresce rapidamente; oppure c he il prodotto interno lordo europeo che nel 1950 era il 30% di quello mondiale, ora è appena il 10. Si tratta di qualcosa di più intenso e più profondo: la possibilità e la persistenza della democrazia dello-nello Stato nazione. “Autodeterminazione democratica – scrive Jurgen Habermas – significa che i destinatari di leggi cogenti ne sono al tempo stesso gli autori (…).Il crescere del potere di organizzazioni internazionali, via via che le funzioni degli Stati nazionali si dislocano sul piano della governance transnazionale, mina di fatto il procedere democratico degli stessi Stati nazionali”.
L’avevamo preso alla lontana: la cultura. E’ perché volevamo riaffermare che una premessa, grande e fondamentale (nel senso proprio di fondamenta della costruzione) c’è; storicamente c’è, nonostante periodi tragici di sonno della ragione che ha inesorabilmente generato mostri. Ma ora – e senza forzature – siamo arrivati al cuore della questione: la persistenza del procedimento democratico. I cittadini e le cittadine europei vogliono restare liberi, in una società-mondo il cui governo non sta – spontaneamente – non più, solo nelle mani dei cittadini liberi ed eguali.
Dunque, una vera necessità storica: siamo tutti di fronte all’emergenza di un oggetto nuovo, il mondo in quanto tale. Per quel mondo e in quel mondo, questa generazione deve mettere a punto gli strumenti di un procedimento democratico adeguato a quella immensità.
Sia all’interno di questa Unione, sia di fronte al soggetto mondo.
E arriviamo, allora, al confronto con le difficoltà di questa Europa: la sua legittimazione verso i propri popoli e la sua affidabilità (e anche la forza-capacità) verso il mondo.

(continua)




Appartenenza europea (2)

“Diario Europeo” non può non confrontarsi con il risultato delle elezioni politiche (domenica 25 ottobre) in Polonia. Il livello di integrazione europea è, come è noto, imperfetto e incompleto; ma ha raggiunto un grado tale che le elezioni politiche di un paese membro sono sempre un messaggio politico per tutta la Unione e anche una nuova opportunità o al contrario una nuova difficoltà.
Il “Diario” non si soffermerà sulle conseguenze interne alla Polonia. Per quanto riguarda il processo di integrazione, è evidente che il risultato è una non buona notizia. Il “Diario” intende prendere lo spunto anche da questo dato politico per continuare la riflessione che abbiamo iniziato e denominato “appartenenza europea”. Abbiamo avviato (8 ottobre 2015) un percorso per “mantenere aperta una (la) riflessione sulle cosiddette tematiche valoriali”. Legando l’attualità con la prospettiva della integrazione europea.
Parto, come spesso mi capita, calandomi nel dibattito quotidiano. Scrive oggi, Sergio Romano, sul Corriere della sera: “La vittoria nelle ultime elezioni di “Diritto e Giustizia”, il partito dei gemelli Kaczynski, piacerà a tutti gli esponenti del nuovo nazional-provincialismo europeo (…) il risultato sembra dimostrare che il nazionalismo, populismo ed euroscetticismo sono ormai i soli caratteri veramente comuni della grande Europa da Dover al Pireo. Eppure vi sono differenze di cui occorre tenere conto”.
Cominciamo da qui, mettendo a fuoco alcuni termini ed espressioni di Romano, che è senza dubbio un analista di livello: “insorgenza di un nuovo nazional-provincialismo”- “Nazionalismo, populismo ed euroscetticismo”- “ sembrano dimostrarsi i caratteri veramente comuni”- “Vi sono differenze di cui tenere conto”.
“Diario Europeo” persegue l’obiettivo di ricercare: se, dove e quali sono i caratteri comuni di appartenenza europea. E come si costruisce questo oggetto: l’appartenenza.
Cominciamo con un dato di fatto: “l’illusione che una manciata di basic english bastasse per cavarsela in Europa ha prodotto effetti disastrosi (…)Stupisce, in realtà, quanto poco europea sia la cultura e l’informazione dei paesi europei (…) Prima ancora che economica, politica e sociale, la questione europea è oggi in primo luogo una questione culturale; il vero problema non è il mantenimento del patto di stabilità e l’alternativa tra una politica di contenimento della spesa pubblica e quella di un incentivo alla crescita, ma il superamento delle barriere che impediscono la reciproca comprensione e dunque la nascita di un progetto comune”. A parte la (forse non voluta) contrapposizione delle due esigenze che insieme possono e devono coesistere, questa analisi del professor Luigi Reitani (un italiano, ordinario di Letteratura tedesca all’Università di Udine, che ha curato la prima edizione italiana integrale delle liriche di Horderlin, rivedendone criticamente il testo tedesco) la assumo come indicazione di una esigenza basilare sulla quale il cicaleccio quotidiano spinge a non riflettere. Una indicazione che mostra come i soggetti e i luoghi della integrazione europea sono le persone di Europa, i centri della cultura e della informazione, le generazioni che compongono la/le società di Europa. Questa impostazione suggerisce ed afferma che la politica e le istituzioni fanno integrazione, se si costruiscono su questo humus, che è una creatura ed un frutto della disponibilità e della volontà di ciascuno.
Cosa fonda e cosa tiene insieme una comunità di persone o un popolo o più popoli o una nazione o una unione di stati? La costruiscono e la mantengono e la vivificano la volontà diffusa di un percorso comune e il progetto di un percorso comune, che non esclude ma include. L’unità nella diversità.
Affinché questo approccio non si schianti subito contro l’accusa di non realismo, osservo che persino la drammatica vicenda delle immigrazioni che raggiungono e attraversano Europa può costituire – come non prima, più efficacemente della questione monetaria – una sfida positiva che questa generazione di europei ha di fronte. E’ ipotizzabile delinearne una possibilità di governarla, infatti, solo se la si approccia in termini di Europa integrata o almeno integrante. Un Soggetto, cioè, che ha di se stesso consapevolezza. La costruzione di una comune consapevolezza e l’emergere di una nuova soggettualità avviene nel crogiuolo di una emergenza ed una urgenza comuni.
Qualcuno ha paragonato la sfida, ai conflitti intraeuropei dai quali siamo usciti con e attraverso il progetto europeo.
E’ da questa convinzione che stanno emergendo (non solo le paure che quando sono coltivate generano mostri) ed insorgendo opere ed operazioni culturali per un’insurrezione spirituale (come titolava recentemente “La Lettura” del 27 settembre 2015).
“Sogno un’insurrezione spirituale – scrive Enrique Vila Matas – un rinascimento europeo che pare impossibile per come stanno ora le cose, con lo sfascio morale che i migranti hanno messo chiaramente in evidenza”.
La Lettura informa su una coraggiosa e poderosa opera di letteratura “ un atlante spirituale, una geografia letteraria, un libro armonioso e poetico” – scrive Claudio Magris nella prefazione: Por las fronteras de Europa. Un viaje por la narrativa de los siglos XX y XXI, Galaxia Gutenberg Editorial. Dai nordici alla letteratura russa, passando per l’irredenta Irlanda, per l’Olanda e i fiamminghi, la tradizione tedesca, la mitteleuropea e il mosaico balcanico, fino al Bosforo e alla letteratura turca attuale, per poi deviare verso Israele (ivi, p. 4). Una immersione di 1.472 pagine: “una cultura che ci unisce e grazie alla quale – forse siamo in tempo – potremmo indurre quell’insurrezione spirituale e quel rinascimento che alcuni di noi sognano”.
“La cultura – scrive Marco Lodoli – è il tentativo di dare forma e ordine al caos (…) Chiunque ama l’arte sa che il disordine del dolore può essere la materia bruta dell’opera: ma perché ci sia un valore e un senso l’artista deve tirare fili invisibili, cucire, legare e slegare, mettere in prospettiva, unire ciò che pare crudelmente diviso”. Ciascuno di noi è quell’artista. L’indimenticabile Jacques Le Goff esortava: “Europei, aprite i vostri libri di storia e non ripetete gli errori del passato”. Ed oltre ai libri, le intelligenze.

(continua)




Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema: Lo statuto della mutua europea: percezioni, ruolo e contributo della società civile

ato dalla Sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo in data 11 marzo 2014, sulla base del progetto predisposto dal relatore CAMPLI.

Documento integrale




Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Accesso al credito per i consumatori e le famiglie: fenomeni abusivi

Formulato dalla Sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo in data 30 marzo 2010, sulla base del progetto predisposto dal relatore CAMPLI.

Documento integrale




Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Indicazioni e denominazioni geografiche

Formulato dalla Sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente in data 26 febbraio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore CAMPLI.

Documento integrale




Parere (esplorativo) del Comitato economico e sociale europeo sul tema Commercio e sicurezza alimentare

Formulato dalla Sezione specializzata Relazioni esterne in data 19 novembre 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore CAMPLI e dal correlatore PEEL.

Documento integrale




Commento alle linee guida ANAC per affidamento di servizi a enti di terzo settore e alle cooperative sociali

Relativamente alla richiesta avanzata dal Comune di Roma Capitale di avere un contributo sulla proposta di Linee guida dell’ANAC per l’ affidamento di servizi a enti di terzo settore e alle cooperative sociali il Forum del Terzo Settore del Lazio acclude qui di seguito i pareri del Comitato scientifico del Forum TS Lazio, del Mondo della Cooperazione sociale (AGCIsolidarietà, FEDERSOLIDARIETÀ-CONFCOOPERATIVE e LEGACOOPSOCIALI) e della coop sociale il Grande Carro.

CONTRIBUTO DEL COMITATO SCIENTIFICO DEL FORUM TS LAZIO

il contributo del documento ANAC mi sembra si collochi nella linea di assicurare una riflessione importante che cerca di dare una base comune di riferimento giuridico e operativo per chi opera come pubblica amministrazione e come Terzo settore nell’ area degli interventi di welfare.

Questo vuol dire che, come tu proponi, si tratta di una linea da apprezzare e condividere. Ciò non vuol dire,però, accettarne pedissequamente l’ impianto senza evidenziare alcune, a mio giudizio,  gravi lacune.

A tale riguardo mi permetto di far presente:

  1. Mi pare contenutisticamente grave che un documento di codesta Autorità usi il termine NO PROFIT. Non è una questione banale perchè bisogna spiegare che gli organismi di Terzo settore debbono prima di tutto operare con obiettivi di utilità collettiva e debbono poter almeno pareggiare le uscite con le entrate, includendo anche le quote di ammortamento dei capitali investiti. Se riescono a produrre profitti, questi debbono essere reinvestiti nelle attività svolte. Se si chiude l’ iniziativa essa deve essere conferita ad analoga realtà di utilità collettiva senza scopo di privata speculazione Perciò si deve parlare di NON PROFIT che testualmente vuol dire che si opera non per finalità di profitto.
  2. Nel documento non si tiene conto della fondamentale distinzione tra soci lavoratori e dipendenti. Anche l’ Istat non evidenzia questa diversità. Anche se interpellato verbalmente assicura che i dati sono stati raccolti dal Censimento. Questo aspetto va adeguatamente tenuto in evidenza se non altro perchè gli organismi a carattere mutualistico sono quelli caratterizzati da una significativa presenza di soci lavoratori. Non solo: la partecipazione numerosa di soci lavoratori assicura un coinvolgimento più stringente delle persone impegnate. Questo aspetto dovrebbe essere considerato nella normativa in questione quale elemento qualificante.
  3. Non si prende in considerazione la possibilità di lasciare all’ utenza la facoltà di scegliere tra varie offerte omologate dalla Pubblica Autorità. Non è sempre possibile praticare questa linea ( per esempio nel caso dell’ accoglienza degli emigranti ) , ma quando lo è permette di realizzare delle politiche di sostegno sulla base del reddito del nucleo familiare di tutti gli aventi diritto.

Tutto ciò implica:

– un cambio positivo della pubblica amministrazione che deve sempre più caratterizzare il proprio impegno nella funzione di analisi dei bisogni e della domanda per i vari territori ( coinvolgendo gli organismi del Terzo settore ) e di programmazione;

– la restituzione all’ utenza della funzione di scelta tra le varie opzioni poste così in concorrenza tra loro con lo stimolo di puntare sulla qualità e la soddisfazione del cliente (da verificare sulla base di campionamenti );

– la competenza tecnico ispettiva per l’ omologazione delle varie strutture di servizi preposte alle differenti offerte sempre da parte della Pubblica Amministrazione;

– la conseguente eliminazione della necessità di bandire gare.

CONTRIBUTO DI LEGACOOPSOCIALI E FEDERSOLIDARIETÀ-CONFCOOPERTIVE

Proposte alle Linee Guida ANAC per l’affidamento di servizi a enti del terzo settore e alle cooperative sociali – documento di consultazione

Si sottolinea, in premessa, la massima condivisione del percorso avviato dall’ANAC con l’adozione delle Linee Guida ANAC per l’affidamento di servizi a enti del terzo settore e alle cooperative sociali poste in consultazione. Le linee guida ANAC sono senz’altro un’occasione di valorizzazione del ruolo del Terzo Settore e della cooperazione sociale.

  1. Una prima osservazione riguarda il fatto che ad oggi la Regione Lazio non ha ancora approvato la disciplina regionale attuativa della legge 328/2000 e, pertanto, mancano alcuni presupposti richiamati nel documento di consultazione dell’ANAC per l’affidamento dei servizi terzo settore e alla cooperazione sociale. Pertanto, non sono stati adottati specifici indirizzi per regolamentare tra i rapporti tra Comuni e soggetti del Terzo settore: questo elemento sulla quale si base gran parte dell’impianto delle linee-guida, non è di poco conto
  2. E’ molto importante il riferimento delle Linee Guida dell’ANAC alla programmazione nell’organizzazione dei servizi, richiamata dal documento come strumento fondamentale per garantire trasparenza dell’azione amministrativa e la prevenzione della corruzione. Questo porta a varie problemi. Spesso non c’è parità di trattamento tra gli stessi cittadini romani residenti in Municipi diversi e le procedure di affidamento sono tra le più variegate, non programmate anche se necessarie, con carattere di urgenza e non sempre rispettose del Codice dei Contratti Pubblici (d.lgs. 163/2006) e della legge 328/2000.
  3. La reale partecipazione attiva e la collaborazione tra enti locali e terzo settore possono essere un efficace strumento sia per l’efficace risposta ai bisogni dei cittadini, sia per evitare distorsioni e fenomeni di corruzione. Auspichiamo che si inserisca nelle Linee guida la raccomandazione all’attivazione e al reale coinvolgimento del terzo settore ai piani di zona. La partecipazione delle organizzazioni di rappresentanza del terzo settore è un altro presupposto delle linee guida mancante a livello regionale, anche a causa del suddetto vuoto normativo; la richiesta di partecipazione è infatti spesso lasciata alla libera iniziativa dei singoli amministratori e non è finalizzata alla valorizzazione del ruolo di co-progettazione. In relazione al percorso individuato per la realizzazione di interventi in co-progettazione, si condivide che sia una procedura idonea per gli interventi innovativi e le 4 fasi individuate nelle Linee guida.
  4. Si ritiene importante, in relazione alla previsione della legge 328/2000 che stabilisce che oggetto del servizio sia l’organizzazione complessiva del servizio, il riferimento ai chiarimenti contenuti nella Circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali 11 febbraio 2011, n. 5 con la “tolleranza zero” per gli appalti non genuini, visti come una delle forme peggiori di sfruttamento del lavoro. La circolare individua criteri di qualificazione in forza dei quali un appalto può essere definito come genuino richiamando l’art. 29 del d.lgs. n. 276/2003 secondo il quale «il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell’articolo 1655 del codice civile, si distingue dalla somministrazione di lavoro per l’organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d’impresa».
  5. Auspichiamo che le linee guida ANAC, ampiamente condivisibili nel loro impianto generale, possano essere un utile strumento di sollecitazione all’approvazione del disegno di legge regionale n. 88/2013, in cantiere da troppo tempo, e senza il quale queste linee potrebbero franare su un terreno impervio.
  6. Molto interessante ed appropriata ai fini non solo di un’adeguata concorrenza ma anche di un equo riconoscimento dei costi, la distinzione che viene fatta nell’ambito di strutture di accoglienza sui servizi di accoglienza ai rifugiati e agli immigrati, tra il possesso della struttura e la sua gestione. Questa distinzione apre nuovi scenari anche per i servizi semiresidenziali, oggi infatti le tariffe non tengono conto della differenza di costo tra gestori che dispongono di strutture proprie e gestori che usufruiscono di strutture pubbliche, creando condizioni di favor per i secondi. Riteniamo quanto mai opportune le osservazioni del documento di consultazione in particolare all’importanza della fase programmatoria e condividiamo le proposte ivi contenute, segnalando che superata la fase di presa in carico successiva all’arrivo degli immigrati, il modello di accoglienza e integrazione che garantisce migliori risultati è quello in centri di dimensioni ridotte.

CONTRIBUTO AGCI – Associazione Generale Cooperative Italiane

 Le Linee Guida aprono con una sintetica rivisitazione dello stato dei rapporti delle relazioni e degli affidamenti nei riguardi degli enti del terzo Settore, sottolineando la complessità di organizzare una modalità complessiva delle regole  a  fronte di una forte diversificazione delle nature dei soggetti e  delle azioni in essere.

Riteniamo che il percorso delineato non possa essere se non una iniziale valutazione e indicazione essendo in questo momento in discussione avanzata presso il parlamento la riforma del Terzo Settore, la riforma del Codice degli Appalti e delle Concessioni che il Legislatore emanerà per il recepimento delle Direttive UE.

Sarebbe di grande chiarezza se come inserito nella lettera o) AC 3194  l’ANAC fosse dotato di potestà di indirizzo, di elementi standard quali bandi tipo, contratti tipo, con efficacia vincolante.

  1. Presupposto indispensabile ad una partecipazione trasparente e condivisa resta la partecipazione effettiva degli Organismi di Terzo Settore ai Piani di Zona nella fase di programmazione e pianificazione (art 19 328/00); tale partecipazione è il presupposto della attivazione coerente della co-progettazione e del superamento del superamento dello “strumento gare” attraverso la partecipazione pubblico-privato in cui comprendere EE.LL., Organismi di Terzo Settore e Cittadini/Utenti.
  2. Per quanto previsto dal dcpm 30 marzo 2001 e evidente anche per giurisprudenza, la scelta dell’offerta economicamente più vantaggiosa con l’esclusione, dall’affidamento dei servizi sociali, del massimo ribasso (TAR Piemonte Sez. I 06/02/12 n.153); si afferma la specialità della disciplina della 328/00 nei riguardi del codice degli Appalti e l’attivazione della delega alle Regioni di legiferare sui criteri di affidamento dei servizi sociali (art. 117 Costituzione); anche nella citata AC 3194 si stabilisce l’uso esclusivo del criterio della oepv.
  3. Qualora si perseguisse in ogni caso l’espletamento di gare, va ribadito che oggetto dell’appalto sia la organizzazione complessiva del servizio come da Circolare Ministero del lavoro n.5 11/02/11  definendo la “tolleranza zero” per gli appalti non genuini; la circolare individua criteri di qualificazione in forza dei quali un appalto può essere definito come genuino richiamando l’art. 29 del d.lgs. n. 276/2003 secondo il quale «il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell’articolo 1655 del codice civile, si distingue dalla somministrazione di lavoro per l’organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d’impresa».
  4. Riteniamo sia da chiarire con affermazione piena che le Associazioni di Volontariato non possono partecipare a procedure di appalto per gli affidamenti dei servizi sociali, ma svolgere interventi complementari ai servizi; si aggiunge che ove venga privilegiato l’indicazione dell’art.19 della 328/00 attraverso la co-progettazione e la partecipazione pubblico privata, ogni soggetto attivo potrebbe secondo proprie specificità essere pienamente attore della qualità sociale territoriale.
  5. I trattamenti economici previsti fanno riferimento al CCNL più rappresentativo e quindi quello sottoscritto da AGCI Solidarietà, Confcooperative-Federsolidarie
  6. Sulla valutazione delle offerte e delle anomalie non si condivide la giurisprudenza che attribuisce alle tabelle, in relazione agli appalti dei servizi sociali un valore meramente ricognitivo; riteniamo che il costo del lavoro non sia derogabile (abrogazione lettera g) art. 87 Lg. 106/11 e comma 3 medesimo articolo);
  7. Per l’attribuzione del dei punteggi al prezzo con il sistema OEPV si evidenzia come l’allegato P del regolamento attuativo del Codice degli Appalti sviliscono gli aspetti qualitativi in contraddizione con tutti i presupposti legislativi e politici che sono alla radice dei servizi sociali. Segnaliamo che le diciture “servizi aggiuntivi” nei bandi si traducono in ribassi surrettizi della qualità e del costo del lavoro.
  8. Si condivide che i requisiti di moralità, art.38 del Codice debbano essere previsti quali requisiti di partecipazione inderogabili.
  9. In relazione alle limitazioni territoriali si ritiene la territorialità elemento specifico di qualità da inserire nella valutazione qualitativa della OEPV.
  10. In relazione agli Albi delle Cooperative Sociali si ritiene siano requisito fondamentale della qualità della Cooperativa e quindi vadano poetenziati.
  11. In quanto al calcolo delle Cooperative Sociali B dei soggetti svantaggiati si richiama la Circolare del ministero del lavoro n.188 del 17/06/94.
  12. Rispetto alle convenzioni ex art. 5, comma 1 381/91 si precisa:
  • Rispetto alle procedure di selezione previste dagli art. 124 e 125 del d.lgs. 163/06, che si condivide, va comunque specificato che non si applicano altri obblighi previsti dai suddetti articoli in ragione della deroga prevista dal Legislatore per le convenzioni pertanto andrebbe specificato che le procedure di selezione sono quelle previste dal comma 6 dell’art. 124  e dal comma 11 dell’art.125.
  • Si condivide che il progetto personalizzato è il cuore ed il centro dell’attività imprenditoriale della Cooperativa Sociale B e quindi deve essere sempre presente in rilevanza quale progetto di inserimento lavorativo personalizzato ed elemento sostanziale di valutazione nella OEPV e nella verifica degli obbiettivi prefissati.

CONTRIBUTO COOP SOCIALE IL GRANDE CARRO

Per quanto attiene il documento ritengo che la tematica dell’inclusione socio-òlavorativa di alcune categorie di soggetti svantaggiati andrebbe trattata in maniera più approfodita.

Non ho competenza per affrontare l’argomento sotto il profilo “giuridico”, del diritto amministrativo e delle procedure. Posso esprimermi con affermazioni di massima che trovano riscontro in dati empirici e in dati di indagine documentabili

Quello che so è che alcune categorie di svantaggio (es. pazienti psichiatrici, disabili, ecc.) non potranno mai avere risposte istituzionali adeguate se non si hanno presenti le questioni sul tappeto.
a) La questione “clinica”: non ci può essere progetto terapeutico- riabilitativo sensato che non tenga conto della dimensione lavorativa (come questione “intrinseca” e non come un punto di arrivo di altri passaggi – altrimenti è una chimera che non arriva mai!);
b) la questione “appartenenza e continuità terapeutica”): per queste categorie di cittadini il lavoro non è semplicemente esecuzione di un compito, reddito, ma anche identità, empowerment soprattutto nel senso di appartenenza ad un gruppo e ad una progettualità collettiva. Centrale è la continuità con l’eventuale esperienza formativa e con gli “operatori di tutoraggio”;
c) la questione “portata del fenomeno”: studi recenti testimoniano che percentuali tra il 70 e il 90% di persone con sabilità e di persone con problemi psichiatrici (con cartelle aperte presso i servizi preposti) sono esclusi dal mercato del lavoro. Le poche risposte di inclusione socio lavorativa per queste categorie sono dovute per circa il 75% all’impegno delle cooperative sociali di tipo b);
d) la questione “economica”: la possibilità di condurre esperienze di inclusione socio- lavorativa riducono notevolmente i costi sociali (in particolare ad esempio i costi per ricoveri ospedalieri).
Nel documento tutte queste questioni sembrerebbero “implicitamente” essere rimandate alla soluzione dei “laboratori protetti”, ma per le informazioni in mio possesso attualmente questo versante è poco conosciuto e le esperienze romane di inserimento al lavoro di disabili e pazienti psichiatrici appartengono piuttosto alla matrice delle cooperative sociali di tipo b (ex coop. sociali “integrate” in base alla normativa della legge regionale 9/87) piuttosto che a quella della matrice “laboratorio protetto”. Andrebbe come minimo precisato meglio o dotarsi di meccanismi di transizione che consentano di non perdere i pochi posti di lavoro prodotti nel corso di questi anni.
PER ALCUNE CATEGORIE DI SVANTAGGIO, A MIO AVVISO, RIMANE IRRISOLTA LA QUESTIONE DELLA PROTEZIONE DEL MERCATO.

Lettera AGCI Lazio

Comunicato stampa delibera Sabella

Documento di risposta su delibera appalti Comune di Roma

 

Fonte : tiresiapress.it apri l’articolo originale



Appartenenza europea (1)

“Diario europeo”  è stato pensato  per intervenire  su fatti e dibattiti riguardanti “Europa”,  con un approccio prevalentemente legato alla quotidianità. Prevalentemente, non esclusivamente.

Rincorrere il quotidiano senza  collocarsi in una prospettiva e in un processo  ci fa correre seriamente il rischio di restare impantanati.

D’altra parte, il confronto  quotidiano sulle problematiche europee,  di tanto in tanto  (e  anche con una certa intensità) insiste su tematiche “valoriali”. (Ho usato le virgolette e fra poco dirò perché).

Poi, sommerse dal quotidiano che preme  sull’agenda politica, quelle analisi e riflessioni tornano sotto traccia; e la polemica sulle emergenze oscura  il senso (significato e direzione), la grandezza e la sfida della integrazione europea.

Per chi scrive è un bene che quel dibattito non si smarrisca e non si perda d’animo.

“Diario europeo”, perciò, vuole avere anche un respiro medio/lungo; e mentre cerca di interloquire con l’agenda quotidiana (fatti,  idee e politiche), intende mantenere aperta una (la) riflessione sulle  cosiddette tematiche valoriali. Lo farà usando sempre il titolo di questo intervento odierno (“Appartenenza europea”) con l’aggiunta di un numero, che ricorderà ai/alle lettori/lettrici la continuità di una riflessione  di fondo a cui cercheremo di  partecipare con intelligenza e  misura.

Sopra,  usando l’aggettivo  valoriali  ho manifestato l’esigenza di metterlo tra  virgolette. Mi spiego e contemporaneamente  mi introduco  nella  riflessione sull’appartenenza europea.

Molto spesso, nel dibattito pubblico su Europa –  che si colloca e si costruisce dentro la temperie di sommovimenti internazionali  che  mettono in discussione  certezze che ci sembravano acquisite –   sentiamo usare  espressioni di questo tipo : “dobbiamo tornare ai nostri valori”.

Nel Preambolo al Trattato sull’Unione Europea,  sono scritte queste parole molto sobrie : ispirandosi alle eredità culturali, religiose ed umanistiche dell’Europa.

Sappiamo tutti che queste parole (sobrie)  sono state il risultato di una discussione, molto seria e a volte aspra,  sia tra i Capi di Stato (che dovevano siglare il Trattato, in rappresentanza dei rispettivi paesi , popoli e culture  di EUROPA), sia nella società civile (stampa, media, movimenti, intellettuali,  persone…) dei diversi  Paesi membri dell’Unione.

Nel dibattito quotidiano –  veloce,  troppo veloce, sovrabbondante, sbrigativo, appassionato e approssimato (e a volte anche distorto e anche  spiacevole) – questo richiamo sobrio e  – a suo modo – solenne alle eredità viene sintetizzato con una unica parola: valori.

Sintetizzato e  anche ghettizzato in  questa  parolina magica, il dibattito che vorrebbe essere includente e totalizzante (nel senso che coinvolge tutti, e a nel profondo delle proprie convinzioni),  forse proprio per questa sua tendenza all’unico e al totale – rischia di essere  respingente. Come un pugno nello stomaco o una mano che  tappa la bocca e spegne il pensiero.

Consapevole  di questo rischio, tutte le volte che posso la sostituisco con altre parole (se non altro per evitare sempre di dover  mettere le virgolette). Sfuggo, così facendo, alle mie responsabilità di cittadino e di persona consapevole?

Vediamo.  Per sostituire il termine “valori”, uso spesso  termini come: consapevolezze e responsabilità. E declino, anche io  – senza infingimenti e senza nascondermi –  le mie appartenenze.

Queste  tre  parole  (consapevolezza, responsabilità, appartenenza) mi  ricordano permanentemente la presenza   e   l’esistenza  dell’altro da me;  e di valori e di eredità  molteplici. Altre consapevolezze, altre responsabilità, altre appartenenze.

Queste tre   parole  obbligano  differenti  mondi  ad una consapevole  limitatezza  dei rispettivi  valori e appartenenze.

Questo approccio non è  una resa  (tanto meno una sottomissione ) ad ogni vento e/o ad ogni avventura (culturale, di pensiero e di fedi).

È, al contrario, un terreno – il solo terreno universalmente generatore di frutti –  per  coltivare impegno   e memoria,  progetto e eredità.  Nell’unica modalità possibile e accettabile, nel modo umano.

L’abbiamo presa troppo da lontano? Leggiamo qualche titolo di articolo, con i rispettivi  autori dal dibattito pubblico di questi giorni (cito dal più recente e vado un pochino indietro, ma di poco).

“ Il legame spirituale che manca in Europa” (Giuseppe  Galasso). “ Per un’insurrezione spirituale” (Enrique Vila-Matas).”Verso la disintegrazione europea, Nord e Sud remano all’opposto” (Wolfang Streeck). “ La tecnica unirà l’Europa” (Emanuele Severino). “La lunga marcia dei neoliberali per governare il mondo” (Luciano Gallino). “Scontro di civiltà- Possiamo evitare un’altra Lepanto? ” (Luigi Bonanate). “ L’eredità greca in tre puntate: L’Europa è un’agorà-Inventori della tragedia-Riflettere per vivere meglio”(Glen Most). “Per un’Europa della cultura” (Pier Luigi Sacco). “”La legittimazione dell’Unione “ (Andrea Manzella). “Società a confronto, Noi e l’Islam” (Ernesto Galli della Loggia). “La UE deve sconfiggere il rischio disintegrazione” (Antonio Armellini). “L’occasione perduta  dell’Europa” [1](Maurizio Ferrera).“Noi  e la crisi in Asia, i meriti che ha l’Europa” (Antonio Politi).  I titoli sono tutti  chiaramente evocativi.

Oggi ci fermiamo qui. “Diario europeo”, anche trattando questi temi, intende mantenere la brevità di una rapida lettura. Intanto ognuno -a potrà cercare , se possibile,  questi testi e  notizie sui loro autori:  eccetto l’ultimo, nessuno è giornalista; bensì : politologo, filosofo, storico, costituzionalista, ecc. Partecipano al dibattito pubblico come tutti noi. I giornali che per brevità non ho citato singolarmente sono quelli più diffusi (dati ufficiali): la Repubblica, Corriere della sera / La lettura,  Il sole-24 ore.

 (Continua)

L’autore ha recentemente pubblicato: EUROPA, ragazzi e ragazze riscriviamo il sogno europeo – Marotta&Cafiero, Napoli, 2014

[1] Sottolineo che questo è il titolo dell’articolo-editoriale – Corriere della sera 8 ottobre (oggi, mentre chiudo il “Diario”)- che a pag. 29 continua ma con un titolo diverso: “L’occasione perduta da Merkel  e Hollande”. Siccome i due diversi titoli (volutamente o risultato di una svista?) evidenziano proprio il cuore del problema – l’autore di “Diario europeo” preferisce il secondo titolo- Torneremo su questi aspetti nelle successive puntate..




Benvenuti ma non troppo

Domani 15 ottobre e dopodomani 16, a Bruxelles si terrà la riunione del Consiglio Europeo (la istituzione della Unione nella quale sono presenti i capi di Stato e di Governo dei 28 paesi membri della E.E.). Il Consiglio Europeo affronterà ancora una volta il tema delle Migrazioni.

Diario europeo vuole oggi dedicare la sue poche righe a questo strategico e grave problema.

Lo farà con l’occhio puntato alla più dura attualità: le decisioni che le Istituzioni europee vanno prendendo, settimana dopo settimana. Sia queste decisioni  sia il flusso umano  (attenzione, di questo si tratta: parliamo e vediamo persone, non numeri, non cose) ogni giorno entrano nelle nostre case con la Tv e ciascuno può documentarsi attraverso il web o i giornali. Diario europeo senza abbandonare l’attualità deve comunque misurarsi con una sfida più grande. Perciò comincia dando ai lettori e alle lettrici poche citazioni  per meditare e vivere il quotidiano in un ambito di storia e umanità.

In Europa oggi l’arrivo dei migranti pare più grave e urgente di un possibile ritorno alla guerra fredda” (Franco Venturini, firma tradizionale di Corriere della sera).

“Da ormai un quarto di secolo, migrante è uno dei termini più gettonati nel dibattito politico e mediatico (…) Le categorie con cui definiamo i migranti non esistono in natura, ma riflettono scelte di tipo politico-giuridico, atteggiamenti e vissuti della popolazione, sentimenti custoditi dalla memoria collettiva, percezioni riguardo il grado di distanza sociale tra i diversi gruppi: essi sono costituzionalmente non neutrali, ma rinviano sempre ad una certa idea di confine che, a sua volta, regola la dinamica inclusione/esclusione…” (Laura Zanfrini, sociologa).

I firmatari dell’attuale Trattato sull’Unione Europea, scrissero a suo tempo: “decisi a istituire una cittadinanza comune ai cittadini dei loro paesi” (Preambolo del T.U.E).

“La cittadinanza esige la non uniformità né omogeneità, ma uguaglianza e pari dignità. In realtà chi chiede oggi la cittadinanza non universale ma selettiva e diseguale, propugna una sorta di uscita a ritroso dalla modernità, verso un feudalesimo delle disuguaglianze, verso nuove servitù. E, al contrario, la lotta per la cittadinanza degli stranieri residenti, può essere un’occasione per riaprire una stagione di partecipazione politica anche per chi la cittadinanza già ce l’ha, ma non ne fa un buon uso. Non sono solo gli stranieri, ma tutto il Paese ad averne bisogno.” (Carlo Galli, Abbiccì della cronaca politica).

“L’ordine giuridico è a base statale e non contempla un’identità politica al di fuori dello stato: nemmeno quello europeo, che pure ha l’ambizione di essere sovranazionale. Eppure questi migranti rivendicano una dignità di parola politica e avanzano una richiesta di protagonismo autonomo nel nome di se stessi come essere umani: reclamano una utopia a tutt’oggi, ovvero una cittadinanza cosmopolitica. […] E questa l’importante novità che emerge dai recenti movimenti biblici di migranti senza stato. La loro è una sfida importante alle forze progressiste e democratiche dell’Europa: poiché indubbiamente le esigenze del tutto ragionevoli di regolare i flussi migratori devono potersi combinare a un progetto continentale che riconosca una dignità di cittadinanza ai migranti.” (Nadia Urbinati, La mutazione antiegualitaria – Intervista sullo stato della democrazia).

                                                                             ***

Chiediamoci allora: l’emigrante che abita le nostre città, che “cittadino” e? L’interrogativo apre una problematica molto impegnativa: quella della configurazione dello stato nazionale o, detto in altro modo, della democrazia “oltre” lo spazio nazionale.  Quindi andiamo molto al di la del problema dell’accoglienza dei migranti. E’ tuttavia importante confrontarsi con  questa dinamica giuridica e sociale, cercando una risposta a questa specifica domanda: quale cittadinanza e possibile al di fuori dello spazio statale?

L’autore ha recentemente pubblicato: EUROPA, ragazzi e ragazze riscriviamo il sogno europeo – Marotta&Cafiero, Napoli, 2014