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Istantanee sul Forum Corviale 2015

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Parigi 13 novembre: pensare, reagire, costruire.

Diario europeo non può e non vuole restare in silenzio. La tragedia, il sangue, le lacrime. E anche la storia. Intendo: un pensiero per capire. E per costruire e ricostruire, incessantemente, le ragioni dello stare insieme, come italiani-europei, nel mondo e di fronte al mondo.

Lo facciamo ospitando una accurata e attenta riflessione di Alfonso Pascale, presidente dell’Associazione “Centro per lo Sviluppo Locale in Ambiti Metropolitani” (CeSLAM).

Colloco questa analisi dentro il percorso che Diario europeo sta conducendo sotto il titolo “Appartenenza europea”, perché appartiene alla storia di Europa e alle sfide che essa deve affrontare; e non ancora riesce a farlo, non avendone ancora completa e urgente consapevolezza. Ed ancora in questo momento il dibattito rischia di sbagliare tema.

Ad Europa ed a noi europei può, dunque, – ora – essere rivolto l’ammonimento: “Non chiedere mai per chi suona la campana, essa suona per te”.
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Terrore a Parigi. Dove cercare le radici?

Gli attacchi terroristici avvenuti in Francia ancora una volta colpiscono cittadini inermi. Si spande terrore a Parigi per colpire i valori della rivoluzione francese e, con essi, i valori della democrazia in Occidente. Alcuni testimoni hanno raccontato che gli attentatori sparavano inneggiando ad Allah. Ma il terrorismo islamico ha poco a che vedere con la religione musulmana. Ha, invece, molto in comune con le filosofie e i movimenti romantici, irrazionalisti e nazionalisti partoriti in Europa tra la seconda metà dell’ottocento e i primi decenni del novecento e che hanno dato vita ai totalitarismi (stalinismo, fascismo, nazismo). Non siamo in presenza di uno scontro di civiltà tra il Sud e il Nord del mondo o tra Occidente e Oriente. Siamo ancora una volta, in forme nuove, allo scontro frontale tra lo spirito di autodistruzione, che è figlio dell’Europa e che dal vecchio continente è stato esportato altrove, e i valori fondanti dell’Illuminismo che hanno portato nel tempo al riconoscimento dei diritti umani, all’idea della democrazia come processo in divenire di errori e correzioni di errori, all’importanza dello sviluppo scientifico-tecnologico e degli scambi, guidato da una politica responsabile, e all’idea che una singola vita umana non debba mai essere sacrificata per un ideale politico o un sentimento religioso o un’esigenza comunitaria.

È per questo che il terrorismo islamico incrocia ovunque un’area estesa di connivenza e di simpatia in individui e gruppi che continuano a coltivare pulsioni e idee autodistruttive e palingenetiche.

Dinanzi all’incrudire di questo scontro, la battaglia culturale, etica e morale da condurre è contro la riesumazione di queste pulsioni e idee in cui alle vecchie contrapposizioni di classe, di razza o di religione si aggiungono nuovi binomi: oppressi/oppressori, imprese locali/multinazionali, naturale/artificiale, nord/sud. Conflitti generalizzati costruiti astrattamente e mai verificati e differenziati, caso per caso, nelle situazioni concrete.

Tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, in concomitanza con lo sviluppo delle culture europee che hanno dato vita ai totalitarismi, nascono in Medio Oriente e si espandono nel mondo arabo i movimenti fondamentalisti che si richiamano all’identità di razza e/o di religione. Essi sono figli dei primi movimenti di massa europei.

Uno dei maggiori analisti americani del terrorismo islamico, Paul Berman, nel saggio “Terrore e liberalismo. Perché la guerra al fondamentalismo è una guerra antifascista” ha raccontato in modo puntuale i legami culturali e politici tra i primi movimenti di massa europei e le organizzazioni fondamentaliste ancora oggi attive nel mondo. Negli anni Trenta del secolo scorso, si sviluppa in tutte le maggiori città del mondo arabo una presenza comunista significativa collegata a Stalin e alla sua concezione totalitaria del potere. Il socialismo Ba’th è una branca del grande movimento panarabo fondato negli anni successivi alla prima guerra mondiale da Satia al-Husri, sulla base dei suoi studi filosofici, condotti in Occidente e focalizzati su Fichte e sui romantici tedeschi: i filosofi del destino nazionale, della razza e dell’integrità delle culture nazionali. I suoi interlocutori in Europa sono i fascisti e i nazisti. Uno dei testi più in voga nei paesi arabi è “I fondamenti del diciannovesimo secolo” di H. S. Chamberlain, che tratta la questione razziale. Il fondamentalismo che si sviluppa in Pakistan sorge negli anni trenta (con un’organizzazione nel 1941). I Fratelli Musulmani nascono come setta politica in Egitto nel 1928. E questi movimenti hanno contatti molto stretti con il franchismo e con il nazismo. I “Fratelli Musulmani” chiamano le loro unità organizzative “Falangi”. Gli scrittori islamici di quel periodo si abbeverano alle idee di Heidegger. Lo scrittore più influente della tradizione fondamentalista è l’egiziano Sayyid Qutb che nasce nel 1906, sette anni prima di Camus. Egli riceve nell’infanzia una rigorosa educazione religiosa. Ma ben presto accarezza l’idea del socialismo e si immerge nella letteratura occidentale, va a studiare negli Stati Uniti, ottenendo un master in pedagogia presso l’University of Northern Colorado, a Greeley. Torna in Egitto ed entra nei “Fratelli Musulmani”. Egli scrive una gigantesca opera di esegesi in trenta volumi dal titolo “All’ombra del Corano”. Emerge in quest’opera il concetto dell’islam come “totalità”. Anche per George Lukacs, il marxismo si distingue dal pensiero borghese per “il primato della categoria della totalità”.

Come perspicuamente ha rilevato di recente il giornalista Giuseppe Sarcina, nel testo sacro dell’islam i riferimenti espliciti alla dimensione politica sono solo due. Il primo è il “versetto dei potenti” (Sura delle Donne, 4, 58-59): «Iddio vi comanda… quando giudicate fra gli uomini, di giudicare secondo giustizia… O voi che credete! Obbedite a Dio, al suo Messaggero e a quelli di voi che detengono l’autorità». L’altro passaggio, brevissimo, si trova nella Sura della Consultazione, la 42ª, versetto 38: «Coloro che obbediscono al loro Signore… delle loro faccende decidono consultandosi tra di loro». Tutta la costruzione teorica di Qutb e dei fondamentalisti islamici sull’identificazione tra politica e religione sembra poggiare su questi esigui dettati coranici. Ma in realtà poggia sul mito biblico della guerra dell’Armageddon, secondo il quale gli abitanti ricchi, corrotti e sovversivi di Babilonia saranno sterminati e con loro verranno soppresse tutte le loro abominazioni. Terminato il terribile sterminio di queste “forze sataniche”, si stabilirà il regno di Cristo e il popolo di Dio vivrà nella purezza.

Si possono riconoscere in questo mito i temi di base e lo spirito di questo mito in poeti come Rimbaud e ancor più in Rubén Darìo. Dopo la prima guerra mondiale, dalla letteratura e dalla poesia, il mito primordiale di Armageddon e di Babilonia passa alla teoria politica in versioni aggiornate: una “parte sana” della società che si vede minacciata dal “male”, il quale deve venire eliminato – a tutti i costi – e, per rendere possibile questa eliminazione, è necessario il sacrificio che si traduce di fatto in “licenza di uccidere”. A comporre la “parte sana” sono i proletari o le masse russe per i bolscevichi di Lenin e gli stalinisti, i figli della lupa romana per i fascisti di Mussolini, la razza ariana per Hitler, i guerriglieri di Cristo re per la Falange di Franco, i musulmani per Qutb. Mentre gli abitanti corrotti e sovversivi di Babilonia, che commerciano beni di tutto il mondo e corrompono la società coi loro abomini, sono la borghesia e i kulak per i bolscevichi e gli stalinisti, sono i massoni e le tecnocrazie cosmopolite per i fascisti e i falangisti, sono gli ebrei per i nazisti, e in misura minore per gli altri fascisti, e infine anche per Stalin, e sono i falsi musulmani, gli “ipocriti”, in combutta con gli ebrei e i “crociati” cristiani per Qutb. In ogni versione del mito avviene sempre il bagno di sangue dello sterminio totale per raggiungere il regno, cioè una società perfetta, unita su tutta la faccia della terra, ripulita dagli elementi corrotti e dagli abomini, capace di durare mille anni. La gihad non è altro che lo sterminio totale del mito biblico della guerra dell’Armageddon. Il culto totalitario della morte è figlio dell’occidente.

L’attacco all’idea di libertà e di democrazia da parte del fondamentalismo islamico coincide con la critica radicale al capitalismo che deriva dalle culture originarie dei totalitarismi del Novecento e che ancora oggi imperversano. Ma il capitalismo non è più quello descritto da Karl Marx. Esso si è trasformato nella “società aperta”, secondo la più appropriata definizione data da Karl Popper agli attuali meccanismi economici, sociali e politici presenti nei paesi occidentali, in cui i sistemi giuridici, da perfezionare continuamente attraverso la democrazia, regolano il mercato e il libero scambio. E la società aperta è tale perché tutti nel mondo possono concorrervi e orientarla mediante procedure democratiche.

Dovremmo finirla una volta per tutte con il senso di colpa dell’Occidente, che produce un pacifismo autolesionista. Basta con il multiculturalismo banale, relativista, privo di principi. C’è in questo atteggiamento dimesso il senso di sfiducia nella democrazia e l’idea che la messa in campo di nuovi soggetti mondiali possa riaprire la strada per un sovvertimento totale. Non si ha l’ardire di richiamare l’idea di sterminio o il bagno di sangue, ma l’antefatto è quello. In un mondo di grandi migrazioni, la battaglia politica e culturale per difendere la “società aperta” è oggi tutt’uno con quella per il reciproco riconoscimento tra persone e gruppi di diversa cultura o fede religiosa. La via della interazione, ideata ma poco praticata in Italia, è quella più promettente per realizzare questo reciproco riconoscimento, rispetto all’idea del multiculturalismo britannico e dell’assimilazione francese. Una interazione da fondare però sulla base di valori e diritti comuni, e a patto che non comporti la rinuncia alla propria identità, il relativismo culturale o la superbia intellettuale. Accanto alla sfida della sicurezza, della pacificazione e della cooperazione allo sviluppo, dobbiamo ripartire insieme in Europa e in Italia dall’educazione e dalla cultura inclusive, fondandole su valori di una comune dignità e libertà, sui diritti umani scolpiti nella Carta dell’Onu e sulla capacità di creare fraternità.




Ciao Marco

Omaggio a Marco Balderi
Un uomo buono, voglio ricordare così il mio amico Marco Balderi grande animatore del Centro Culturale Nicoletta Campanella a Corviale.
Un uomo acuto intelligente e sensibile. Sia il Centro che Corviale perdono con lui un grande punto di riferimento. Abbraccio Elisabetta i suoi figli e tutti i suoi cari, Gilberto e la carissima madre.
Marco rimarrà per sempre nei nostri cuori.

 

 




Helmut Schmidt, un grande del ‘900

A quasi 97 anni, è morto Helmut Schmidt, cancelliere della Germania dal 1974 a 1982. Diario europeo desidera rendergli omaggio e ricordarlo con le sue stesse parole.
(da: “Europa, ragazzi e ragazze riscriviamo il sogno europeo”)
Quando una società, un popolo, una comunità sente un’atmosfera di perdita di prospettiva ha un modo per reagire, una strada da percorrere: tornare con la sua memoria e con il suo spirito alle origini del cammino, per chiedersi da dove si e partiti e quale percorso si e compiuto. Noi possiamo fare questo percorso, documentandoci sulle fonti.
Chi non ha vissuto quell’inizio e neppure gran parte del cammino, cercando le fonti di questo cammino, può ricostruirne le tappe, approfondendo puntualmente le conquiste, le stanchezze e le sconfitte.
E’ un percorso faticoso. Ma vale la pena compierlo.
Cosa troveremo?
Troveremo che le radici della integrazione europea, dei suoi popoli e dei suoi paesi non stanno in una festa di campagna o in una gita in città.
Le radici della unita europea sono conficcate nei campi di sterminio e nelle isole trasformate in carceri e confino per cittadini e cittadine europei che volevano democrazia e libertà. Li è risuonata la voce: mai più!
A quest’approccio, sempre necessario per non perdere la memoria, possiamo affiancare un altro metodo, quello di scrutare il futuro del nostro paese con la sua ineluttabile collocazione in uno spazio geo-politico più ampio: altri Paesi del continente europeo, dell’Occidente, del mondo.
Si tratta di un impegno persino più gravoso di quello teso a ricostruire la memoria dei passi compiuti: è uno studio attraverso problematiche diversificate (economie, conflitti, assetti e redistribuzioni di poteri, commerci, creazioni culturali nelle sue numerose e diversificate manifestazioni) per capire dove andare e perché.
Ascoltiamo, allora, un “vecchio uomo”, un anziano testimone e protagonista di primo piano della unita europea: l’ex cancelliere della Germania, Helmut Schmidt.
La parola di questo ultra novantenne, vi stupirà e ci stupirà, perché lui non ci fa la lezione per andare a ripercorrere la storia passata, ma ci sprona a guardare al futuro.
domanda del giornalista: “Ma questa incapacità a comprendere la necessità dell’integrazione e di carattere politico o intellettuale?”
risposta di Helmut Schmidt: “Entrambi. Nella sostanza e l’incapacità di capire la decrescente vitalità della civiltà europea, la sua decadenza. All’inizio degli anni Cinquanta, poco dopo la fine della guerra eravamo in forte crescita demografica. Poi e subentrata la stagnazione e oggi siamo in piena denatalità.
Demograficamente l’Europa rimpicciolisce e invecchia. Ma il resto del mondo – Asia, India, Africa e perfino Nord America – cresce rapidamente, mentre noi andiamo in direzione opposta. Ci sono due altre nazioni demograficamente in crisi: la Russia e il Giappone. La percentuale della popolazione europea su quella mondiale continua a scendere: nel 2015 saremo il 7% e il nostro prodotto lordo non sarà più del 10%, mentre nel 1950 era il 30%. L’unica speranza di avere un ruolo e di averlo insieme, l’interesse strategico degli stati-nazione europei nel lungo termine e la piena integrazione economica e politica. Ecco la ragione per cui parlo di inevitabile necessità”.




L’immigrazione: un costo o una risorsa? Vertice internazionale a La Valletta

L’11 e il 12 novembre si svolgerà a La Valletta (Malta) il Vertice internazionale, convocato dal Consiglio Europeo, per discutere di Migrazioni, con i paesi africani e altri paesi chiave coinvolti.

Un contributo di Thierry Vissol – Commissione Europea – Rappresentanza in Italia

Il numero di migranti che arrivano nell’Unione europea è senza precedenti, ed è probabile che questo flusso continui ad aumentare. L’UE, insieme agli Stati membri, sta adottando una ampia serie di misure per rispondere alle sfide e definire una politica migratoria europea efficace, umanitaria e sicura. La gestione dei flussi migratori è una responsabilità condivisa e ha anche un impatto rilevante sui paesi di origine e di transito.
“Diario europeo” ospita l’intervento del dott. Thierry Vissol, consigliere speciale Media e Comunicazione nella Commissione Europea-Rappresentanza in Italia.

Quando si parla d’immigrazione, c’è molta confusione per molti motivi. Particolarmente in materia di definizione. Si deve distinguere tra i vari tipi d’immigrazione.
Prima di tutto, la circolazione dei cittadini europei all’interno dell’Unione, ricordandosi che oltre ad essere cittadini del loro paese di nascita gli europei sono anche cittadini europei e godono per questo statuto giuridico del diritto di circolare, soggiornare e lavorare in tutti i paesi dell’Unione.
Secondo, c’è l’immigrazione economica di persone – regolari o clandestini – provenienti da paesi terzi (alla ricerca di un lavoro e di migliore condizioni di vita).
Terzo, ci sono i rifugiati, per motivi di guerra o di persecuzioni, regolari o clandestini, protetti dalle leggi internazionali ed europei, che possono pretendere allo statuto di rifugiati.
Sono ovviamente diverse sia le legislazioni da applicare a queste diverse categorie, sia le nostre responsabilità di paesi ricchi e democratici, in termini di sicurezza e umanitarie.

Un’altra confusione risulta dal modo con il quale le popolazioni europee risentono del problema dell’immigrazione in generale: come un aggressione da parte di popoli con culture, lingue, religioni, abitudini diverse – un approccio vicino alla xenofobia – o come una minaccia per l’economia del loro paese, un rischio per il loro lavoro, ecc. Cioè l’aspetto puramente economico.
In questa materia sono state fatte molti studi sia dalla Commissione europea, dall’Ocse, dalle Nazioni Unite. E’ tutti convergono. Non solo l’immigrazione non rappresenta un costo a medio termine, ma spesso rappresenta un beneficio netto per i paesi e i loro sistemi sociali.

In altri termini, il contributo a medio termine degli immigrati ai sistemi sociali e fiscali sono superiori al loro costo.
Per esempio, uno studio recente di due economisti britannici dell’University College of London dimostra che dal 1995 al 2011, il contributo dei immigrati al fisco britannico è stato del 10% superiore a quello degli inglesi. Il contributo netto degli immigrati (studenti o lavoratori) è stato di ben 45 miliardi di sterline.
In termini di lavoro, l’OCSE dimostra che i migranti non “rubano” il lavoro ai nazionali, ma al contrario sono un fattore di accelerazione della promozione sociale dei lavoratori nazionali verso lavori più qualificati, quando i migranti meno qualificati trovano lavoro nei settori in crescita media o senza prospettiva. Tutti gli studi dimostrano che non c’è nessun legame tra immigrazione e disoccupazione. Al contrario, l’immigrazione crea un dinamismo economico a medio termine, soprattutto nei paesi colpiti dall’invecchiamento della loro popolazione.
Nessuno fino ad ora, tra i più virulenti oppositori all’immigrazione, ha dimostrato il contrario con dati alla mano.
Un altro risultato convergente di tutti gli studi è che per migliorare l’impatto positivo dell’immigrazione, invece di rallentare l’integrazione con ostacoli di tutti tipi, conviene di ridurre il tempo necessario all’integrazione amministrativa, economica e sociale dei migranti.

Ovviamente, questo non vuole dire che l’Ue può ricevere tutto il mondo, né che non deve intervenire – non tanto per impedire l’entrata di migranti – ma per agire sulle vere cause dell’immigrazione: guerre, torture e povertà.

Thierry Vissol
Commissione Europea – Rappresentanza in Italia




Nella piazza Don Bosco l’antimafia è vera

Roma, piazza don Bosco circa 500 persone si raccolgono gioiosamente intorno ad una dichiarazione di contrasto alle mafie e di socialità. Tanti bambini, tanti scout, Antimafia sociale e Cinecittà bene comune, iniziano a giocare intorno alle frasi colorate dei manifesti, tavoli, panche , gazebo, e giochi di piazza. Gli anziani si raccolgono sul muretto della aiuola centrale. Gli Stand di Libera e una raccolta di firme per ampliare il Policlinico di Tor Vergata, un comitato di sviluppo locale, l’associazione del Settimo biciclettari. Ecco il cluod antimafia proposto da Link e tante domande. Rispondono Danilo Chirico dell’associazione da Sud e la giornalista di Repubblica Federica Angeli raccontano le minacce e l’intreccio dei gruppi di mafia di Ostia. Le persone ascoltano in silenzio la narrazione di una comune violenza quotidiana. Dietro il palco improvvisato affiora lo striscione del Comitato di quartiere e del Coordinamento Spiazziamoli che il 6 e il 7 marzo 2015 ha mobilitato 100 piazze di iniziative antimafia. Si domanda è si risponde di scuola, diritti, dignità. Molti dei presenti non sono del quartiere, sono raccolti in associazioni, movimenti, famiglie interessate al loro futuro e decisi a dire la propria. Alle ore 18 si accende una lampada per rammentare a tutti che terrà accesa la nostra attenzione e promuove una comunità consapevole. Sotto la lampada lo striscione dello sportello di aiuto per la prevenzione dell’usura. Cinecittà bene comune chiede l’apertura del parco di Centocelle e il contenimento dei voli all’aeroporto di Ciampino come previsto dalla legge. La Comunità territoriale, un coordinamento che raggruppa quasi tutti i comitati di quartiere rappresentato da Ferrari, sottolinea la funzione di controllo sul territorio, producendo trasparenza, legalità e partecipazione. Parla Marco Petruccioli di Scoup riporta due casi di speculazione, Via Nola 5 ex Motorizzazione svenduta e abbandonata e poi demolita distruggendo la palestra sociale e il centro di aggregazione, un nuovo spazio sociale è poi nato a via stazione Tuscolana. Parla poi la Diversamente coop che educa al contrasto all’azzardo. A Roma gli anticorpi ci sono eccome!

 




Il Forum Terzo Settore Lazio parte civile nel processo MafiaCapitale

Roma, 5 novembre 2015 – Stamattina davanti ai giudici della decima sezione penale presieduta da Rosanna Ianniello è iniziata la maratona processuale fatta di 130 udienze, programmate da qui al prossimo luglio, che da lunedì si trasferirà nell’aula bunker di Rebibbia. Sul banco degli imputati persone che dovranno dare conto del loro operato nell’ambito dell’inchiesta MafiaCapitale che deve fare luce sull’organizzazione che fino allo scorso anno ha operato a Roma e nel Lazio corrompendo pubblici funzionari, amministratori di società ed esponenti politici.

Una situazione che ha creato sconcerto nel mondo del sociale, fatto di cooperative, operatori, associazioni  oneste che però hanno dovuto fare i conti con una campagna diffamatoria, una pesante diffidenza e con il blocco improvviso di sovvenzioni e sostegni economici al loro lavoro, con danni morali enormi per una gogna mediatica che ha affossato l’intero comparto dell’associazionismo e del volontariato romano.

Per questi motivi il Forum del Terzo Settore del Lazio nella persona del suo legale rappresentante e portavoce dott. Giovanni Palumbo, si è costituito PARTE CIVILE nel processo.

Io rappresento 35 reti di associazioni, cooperative sociali, addetti e operatori a Roma e nel Lazio che sono stati fortemente colpiti nella loro credibilità lavorativa. – spiega Gianni Palumbo – Abbiamo dato incaricato all’Associazione Centro di Iniziativa per la Legalità Democratica di Roma di rappresentare, difendere e costituire il Forum Terzo Settore del Lazio come parte civile in questo procedimento, al fine di ottenere l’integrale risarcimento dei danni patrimoniali e morali, subiti a causa delle condotte delittuose degli imputati. Ci sono persone che non hanno più lavoro solo perché impegnati nel mondo delle cooperative sociali e non possiamo permettere che si faccia confusione gratuita tra chi ha agito illegalmente e chi invece lavora da sempre in maniera onesta.

L’eventuale risarcimento che verrà riconosciuto al Forum Terzo Settore del Lazio sarà destinato in parti uguali alla Associazione Stewardship per la gestione etica delle risorse altrui e all’Associazione Amici del Forum Terzo settore del Lazio onlus per attività di promozione e formazione del terzo settore.

La costituzione di Parte Civile del Forum TS Lazio sarà meglio illustrata nella conferenza stampa già programmata “Futuro è sociale”  domani venerdì 6 novembre presso l’associazione Binario 95, via Marsala 95 a Roma.

Per info: uff.stampa
Rosangela Petillo 338.7002506




Segna la data: Forum Corviale

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Facciamo il “condominio di strada”, per ricostruire le comunità

Un’alleanza per migliorare la qualità della gestione dei condomini nelle nostre città: buona amministrazione, risparmio, mediazione dei conflitti di vicinato, attivazione di rapporti con le istituzioni locali, sicurezza del piano stradale. Con queste buone intenzioni l’Uniat (Unione nazionale inquilini ambiente e territorio), presieduta da Augusto Pascucci, e l’Uppi (Unione piccoli proprietari immobiliari), presieduta da Angelo de Nicola, hanno lanciato un’iniziativa per i proprietari di immobili, per gli inquilini e i residenti in genere.

Il nuovo servizio messo a disposizione dei cittadini si chiama “Condominio di strada”. L’idea messa a punto propone un nuovo modello per la gestione dei condomini, del fronte della strada e della cura del patrimonio pubblico di zona in una rinnovata relazione tra le comunità di persone e il territorio.

Ne abbiamo parlato con Alfonso Pascale, esperto di sviluppo locale e innovazione sociale che, dopo una lunga esperienza di direzione nelle organizzazioni di rappresentanza dell’agricoltura, nel 2005 ha promosso l’associazione “Rete Fattorie Sociali” di cui è stato presidente fino al 2011.

Cosa c’è dietro all’idea del Condomino di strada? «Si tratta di una modalità innovativa per ricostituire le comunità, soprattutto nelle grandi città, ma anche nei piccoli centri; visto che anche in questi ultimi i legami sociali si stanno sfaldando sempre di più. Il Condominio di strada comincia a mettere insieme quelle aggregazioni naturali e spontanee che esistono tra persone che vivono nello stesso palazzo, nella stessa strada, nello stesso quartiere al fine di costituire dei servizi comuni e di impegnarsi in forme di autoorganizzazione. Questa è la novità del progetto. Questa iniziativa è rivolta non solo agli amministratori di condominio ma anche, e soprattutto, ai cittadini. L’idea è quella di unire questi ultimi al fine di gestire in forma comune una serie di servizi per la collettività».

Come può trovare spazio un’idea del genere, laddove anche all’interno dei condomini le relazioni sociali sono ridotte ai minimi termini? «La sensibilizzazione che sta partendo è diretta agli amministratori di condominio, che solitamente non hanno una forte cultura aggregativa. Non mancano, fortunatamente, amministratori intelligenti, che capiscono di essere in grado di dare una marcia in più alla propria professione se restituiscono al condominio la sua dimensione comunitaria, che è quella che c’è in altri Paesi europei e negli Stati Uniti, dove i condomini sono gestiti da associazioni di proprietari e inquilini e sono, quindi, vere e proprie strutture associative. In Italia non c’è questa tradizione, perché il condominio nasce giuridicamente durante il fascismo e poi è stato inserito nel codice civile nel 1942, evitando in tal modo la forma associativa. Da noi c’è una forte dipendenza dall’amministratore. Oggi non c’è più la comunità, che è stata assorbita dai partiti e dalle associazioni che nascono per fini privatistici. Dobbiamo, invece, ricostituire comunità che svolgono attività di interesse collettivo».

Quali obiettivi spera che si potranno raggiungere? «Il Condominio di strada nasce dalla consapevolezza che oggi nella società contemporanea c’è una forte mancanza di legami comunitari. L’obiettivo è quello di arrivare alla consapevolezza che i beni comuni sono della collettività e non degli enti locali. Noi dobbiamo ripristinare questo livello, che è stato eliminato. In sintesi, la gestione dei beni comuni deve essere esercitata direttamente dalle popolazioni, che devono autoregolarsi in maniera spontanea».

D’altronde, la ridefinizione dei valori sociali, culturali, economici, tradizionali e relazionali, costituiscono la nuova cifra della complessità presente nel tessuto urbano delle città contemporanee.

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Piazza della Antimafia Sociale

Scarica il volantino

Tutte le associazioni e i Comitati del VII Municipio si stanno impegnando per organizzare un grande evento di “antimafia sociale” per sabato 7 novembre (2 giorni dopo l’inizio del processo per Mafia Capitale) in Piazza Don Bosco. Piazza dell’Antimafia Sociale. Dalle 15 alle 20 e oltre la cittadinanza si riappropria di una piazza, diventata simbolo negativo causa il funerale dei Casamonica, portando tutte le pratiche di antimafia che nel Municipio (e nella città) praticano quotidianamente. Il VII municipio e Roma non possono essere associati né ai Casamonica né a manifestazioni estemporanee. Non saranno presenti partiti ma solo i cittadini e le loro associazioni.