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Appaesarci in un mondo mobile e in fuga

Agli inizi degli anni Settanta del secolo scorso, fu molto in voga una canzone, che ebbe grande successo al Festival di Sanremo, interpretata dal gruppo I ricchi e poveri e dal cantante ispano-americano Josè Feliciano. Il testo del brano, Che sarà (Migliacci-Fontana),  ben racconta la durezza della vita lontano da casa e il senso di doloroso abbandono provato dal protagonista nel lasciare il proprio paese e la sua comunità di vita:

“Paese mio che stai sulla collina, disteso come un vecchio addormentato. La noia, l’abbandono sono la tua malattia, Paese mio, ti lascio vado via”

E ancora:

“Gli amici miei son quasi tutti via e gli altri partiranno dopo me, peccato perché stavo bene in loro compagnia, ma tutto passa, tutto se ne va. Che sarà, che sarà, che sarà”

Intorno ad altre atmosfere, quelle disegnate da Cesare Pavese ne La luna e i falò, si svolge invece il ricamo di Mario Pogliotti, amplificato dalla straordinaria interpretazione di Giovanna Marini, che, in Ricordo di Pavese, fa esordire il brano musicale con queste parole:

“Un paese vuol dire non essere soli, avere gli amici del vino, un caffè…”.

Ma leggiamo direttamente una pagina de La luna e i falò:

“Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.”

E’ importante notare che, nei due testi, emergono più che i luoghi fisici che caratterizzano l’habitat paese – la chiesa, la piazza, il campanile – i luoghi dello spirito – gli amici, la lontananza, la nostalgia – che si collegano a immagini profonde della vita.

Oggi siamo nella fase della post-metropoli. E le città-territorio in cui viviamo sono fatte di spazi indefiniti in cui gli eventi accadono sulla base di logiche che non corrispondono più a un disegno unitario d’insieme.

Tutto questo ha creato uno spaesamento sia nei piccoli comuni interni che nelle aree urbane. Uno sradicamento che è innanzitutto dentro di noi. Per appaesarci di nuovo, in un mondo mobile e in fuga, è necessario dare un nuovo senso all’abitare, all’essere nei luoghi, fotografandoli per quelli che sono. Malinconia, nostalgia, memoria, non guardano al passato ma ad un futuro da costruire, anche riconsiderando scarti, frammenti, schegge, saperi di altri universi, immaginando altri percorsi.

Non servono slogan, ma nuovi sguardi e nuovi stili di vita. Cogliere le trasformazioni, i mutamenti, le novità, le incurie, le bellezze, i margini, le devastazioni. Bisogna essere disponibili alla sorpresa e allo stupore, allo spavento e all’incanto. Rimettersi in cammino, guardare e vedere, osservare, condividere, accogliere.

 

I ricchi e poveri

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