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Le periferie tornano al centro, almeno nei dibattiti. Ieri sul divano verde del Goethe Institut di Roma si sono incontrati Veddel, periferia multietnica di Amburgo e Torpignattara, quartiere multiculturale a sud di Roma.
Si sono incontrati attraverso le storie e le biografie dei loro attivisti: insegnanti, scrittori, urbanisti che ogni giorno cercano e trovano percorsi di convivenza possibile in queste giungle urbane composte da cittadini provenienti da più di 60 nazioni. Due quartieri molto diversi per dimensione, Veddel conta appena 5000 abitanti mentre a Torpignattara ci vivono 40.000 persone; ma con problemi e dinamiche piuttosto simili.
“Veddel è la nuova Amburgo”, ci dice Malte Jelden, “ed è nata proprio dai movimenti migratori dei nuovi cittadini, senza di loro non ci sarebbe quella Amburgo”. Il quartiere nasce a Sud-Est della città, lungo il fiume NorderElbe, che infatti lo rende particolarmente umido, è a pochi passi da Hafen City, il porto ancora in costruzione, noto per gli skyline fatti di scheletri delle gru e profili delle navi. È da queste parti che è nato Fathi Akim, regista turco tedesco diventato famoso con “La sposa turca” e con “Soul Kitchen” poi, ambientato proprio nella periferia di Amburgo.
Qui si organizzano corsi di lingua, si aprono caffè letterari e i progetti migliori sono finanziati dalle istituzioni; da anni i volontari impegnati lavorano in modo interdisciplinare tra arte, politica e pratiche sociali percependo anche un piccolo rimborso spese.
Malte Jelden è venuto a raccontarci di un progetto speciale: “The Veddel Embassy: Representing Germany”: un’ambasciata mobile organizzata per la Biennale di Venezia per raccontare la realtà di Veddel: una sessantina di abitanti del quartiere sono stati in questo mese a Venezia per inaugurare, nella Chiesa della Misericordia, “The Veddel Embassy” e lanciare, attraverso incontri, installazioni e musica la loro idea di Germania aperta e multietnica. Costo: 500 mila euro per un progetto che durerà tre anni e aiuterà a costruire un’identità forte e multiculturale a Vaddel. Insomma, i nostri amici tedeschi sulle politiche di convivenza ci investono, e molto, perché credono sia anche il miglior investimento sulla sicurezza. “Per costruire questa attività abbiamo lavorato sui legami, il nostro è un quartiere tendenzialmente di sinistra, non presenta problemi di neonazismo, per farci conoscere abbiamo cercato dei moltiplicatori che potessero sponsorizzare la nostra iniziativa nella propria comunità”, dice Jelden.
E poi c’è Torpignattara, Torpigna per gli amici, anche qui, in questo esteso e popoloso quartiere a sud di Roma, a 4 chilometri dalle mura aureliane, fioriscono tante iniziative, però tutte a costo zero per il Municipio, il Comune e lo Stato. Ci si arriva da Termini con il tram o il bus 105, qui a via dell’Acqua Bulicante c’è la scuola elementare Carlo Pisacane, salita agli onori della cronaca anni fa per la percentuale di alunni con background migrante, quasi il 90% dell’Istituto. I media ci sono andati giù pesanti con la Pisacane e l’hanno raccontata come una scuola di frontiera, “invasa dagli immigrati”, dove diventava difficile persino imparare l’italiano. Ma oggi questo istituto è un laboratorio faticoso, ma intenso e fantasioso di convivenza; con il suo orto didattico, le feste per genitori e bambini, i corsi di musica, i lavori di pulizia condivisi. Una scuola aperta e internazionale, una “casa di vetro” come l’ha definita Vania Borsetti che lì insegna da 9 anni e che propone un’offerta formativa così interessante e golosa che ha spinto anche moltissime famiglie italiane a sceglierla come scuola per il proprio figlio; e ora infatti gli alunni figli di italiani sono il 51%.
E poi a Torpigna c’è il Karawan Fest, festival del cinema migrante, che propone una selezione di commedie prodotte dai paesi di provenienza degli abitanti del quartiere (e quindi Bangladesh, India, Pakistan, Marocco primi tra tutti), Karawan si auto sovvenziona ed è migrante anche nella sede, perché il Municipio non gli concede uno spazio fisso. Per le donne immigrate c’è Asinitas, una bellissima e colorata scuola di italiano che funziona soprattutto la mattina, quando i bimbi sono a scuola e le mamme sono libere, e lo sappiamo quanto sia importante la conoscenza della lingua del paese ospite per essere liberi e autonomi. L’impressione, alla fine di questo incontro di realtà, di questo sfiorarsi di periferie, è che mentre in Germania si fanno le cose insieme allo Stato, in Italia, a Roma, le cose si fanno nonostante i freni che la burocrazia pone.
I comitati di quartiere e i volontari di Torpignattara lanciano un grido d’allarme: la lontananza delle istituzioni non ci rende europei, non ci apre l’accesso a fondi, ci rende faticoso il lavoro di costruzione di un tessuto cittadino coeso, dicono.
Ma nei volti di tutti, italiani e tedeschi, almeno per oggi si disegna un sorriso di soddisfazione: ci siamo riconosciuti nell’altro, ci siamo raccontati i problemi e i successi, ci siamo sentiti fratelli di questo mondo e un po’ più cittadini d’Europa.