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Uno degli aspetti particolari del Giubileo è la questione delle indulgenze, su cui papa Francesco ha introdotto novità rilevanti che vanno sottolineate. Si tratta di un istituto di origine medievale che, nella teologia cattolica, rappresenta la remissione, per intervento della Chiesa, della pena corporea o spirituale che resterebbe da scontare (sulla terra o in purgatorio) in seguito ai peccati commessi, dopo che sia avvenuto il perdono della colpa e la riconciliazione nel sacramento della penitenza.
La prassi delle “commutazioni” permetteva di collegare un’indulgenza a pagamenti in denaro (elemosine) o a restauri di chiese. La predicazione delle indulgenze in cambio di elemosine per ricostruire la basilica di S. Pietro, con i connessi abusi (vendita delle indulgenze), fu uno dei motivi dello scontro di Martin Lutero con l’arcivescovo Alberto di Magonza e poi con la S. Sede.
Nel 1967 Paolo VI ha confermato la tradizione con la costituzione apostolica Indulgentiarum Doctrina, ripresa dal Catechismo del 1992.
Ora, nella Bolla di indizione del Giubileo, papa Francesco parla di “indulgenza” e non più di “indulgenze” e non si fa più riferimento alla “remissione della pena temporale dei peccati”.
Si può dire che siamo davvero di fronte ad una rottura rispetto al passato, come ce ne sono state altre nella storia della Chiesa?
Ce lo dirà il dialogo che nel 2017 si avvierà tra i cattolici e i cristiani evangelici, a 500 anni dall’inizio della Riforma protestante. Bisognerà forse fare un ulteriore passo avanti, superando nella riconciliazione tra l’uomo peccatore e Dio la dichiarazione dei propri peccati al confessore. Nella Bolla giubilare ancora permane la centralità “sacerdotale” del ministro del culto cattolico come luogo della misericordia. Nelle altre chiese cristiane la remissione del peccato avviene, invece, nella centralità del rapporto diretto con Dio.
Ma, intanto, qualcosa si è mosso e sembra andare nella giusta direzione. Per ben sperare, occorre rimuovere gli intralci nel percorso del dialogo ecumenico.