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Diario europeo n. 32
Scrivo queste note da Forest Hill (Londra).
Giovedì 23 giugno, alla domanda: “Il Regno Unito deve rimanere come membro dell’Unione Europea o deve lasciare l’U.E.?”, i cittadini e le cittadine britannici hanno risposto: Leave-Lasciare.
Non è servito a nulla l'”Accordo speciale” siglato il 16 febbraio 2016 per dare al Regno Unito uno statuto particolare di membro dell’Unione. Diario europeo, il 16 febbraio 2016, all’indomani di quello che va ancora considerato l’ultimo atto di generosità e di responsabilità dei 27 Paesi membri dell’U.E. per dare alla Gran Bretagna una possibilità di sentirsi ancora membro effettivo e convinto della Unione – faceva due considerazioni dalle quali vogliamo ripartire.
La prima. Il primo ministro David Cameron, scrivevamo
“non ha investito nel delineare e approfondire una forte politica europea del suo Paese, evidenziando e sottolineando, ad esempio, i vantaggi per il Regno Unito della partecipazione al vasto Mercato unico europeo. Non ha neppure provato ad aprire un confronto duro e serrato nel suo stesso partito”.
Le conseguenze di questa errata impostazione politica le abbiamo potuto verificare durante una lunga campagna referendaria, nella quale sono emerse gravi segnali di una situazione sociale, etica e valoriale che devono preoccupare tutti i cittadini e le cittadine britannici – qualsiasi sia stata la scelta fatta da ciascuno nelle urne referendarie.
Durante le ore terribili successive all’assassinio della deputata Jo Cox, tutti gli europei hanno dovuto constatare
“il tragico fallimento dell’establishment britannico, e naturalmente c’è la responsabilità di Cameron: non aveva capito quanto alta fosse l’intossicazione portata dal veleno anti europeo nel Paese, e nello stesso partito”
(così si esprimeva sul Corriere della Sera, il 17 giugno 2016, Graham Watson, britannico, già presidente dell’Alleanza dei liberali e democratici per l’Europa (Alde) al Parlamento europeo nel 2011-2014).
Alla memoria della splendida Jo Cox, assassinata mentre svolgeva la sua doverosa azione democratica tra la sua gente, vogliamo dedicare le parole dal suo conterraneo John Donne (Londra 1572-1631), ancora scritte nella memoria di tutti i tempi, aggiungendovi una connotazione di genere per onorare la bellezza della pur breve vita di Jo:
“Nessun-a uomo-donna è un’isola,/ completa in se stessa;/ ogni uomo-donna è un pezzo del continente,/ una parte del tutto./ Se anche solo una zolla/ venisse lavata via dal mare,/ l’Europa ne sarebbe diminuita,/ come se le mancasse un promontorio,/ come se venisse a mancare/ una dimora di amici tuoi,/ o la tua stessa casa”.
In effetti una “zolla” della terra britannica è stata “lavata” da una mano assassina; Europa è “stata diminuita” di una componente della sua storia e della sua vitalità. Se nessun britannico e nessun europeo lo dimenticherà, allora la domanda fatidica: “Per chi suona la campana?” potrà avere la risposta sempre necessaria, impegnativa e inequivocabile : “Essa suona per te”. E sarà la risposta veramente strategica per tutte le generazioni di europei. La campana suona per te, Britannia. La campana suona per te, Europa.
Jo Cox si era laureata a Cambridge, dove insegnava ed insegna lo storico australiano, Christopher Munro Clark, il quale nel 2013 ha pubblicato una monumentale ricerca storica sulla prima guerra mondiale, dal titolo: “I sonnambuli. Come l’Europa è andata alla guerra nel 1914” (pubblicata in Italia dall’editore Laterza).
“Siamo ancora in tempo per evitare una nuova edizione aggiornata a questo secolo. A meno di continuare a far finta di nulla, mentre il campo della politica ingiallisce e nelle praterie dell’antipolitica crepitano le fiamme”
(Lucio Caracciolo, “L’Europa della paura e i politici sonnambuli”, in: la Repubblica 17 giugno 2016).
La seconda considerazione di Diario (16 febbraio 2016) diceva:
“due debolezze sono a confronto, una Gran Bretagna alle prese con i suoi specifici conflitti ideologico-culturali e sociali, che scarica il tutto su una Unione Europea perennemente a metà del guado di un processo di integrazione mai compiuto; sul cui percorso di completamento annaspa e non riesce a trovare una strategia comune e condivisa. Si chiede Etienne Davignon: “ La domanda è: dovremmo ripensare a un nuovo giuramento? Io credo che sia arrivato il momento di farlo”.
Sì, è giunto il momento di nuovamente compromettersi con l’unico futuro possibile per il continente europeo. La sua Unità. Ma, quale? Come? Con chi?
Mentre attendevo l’esito del Referendum (anche per attenuare un poco l’ansia dell’attesa, mentre l’altalena dei risultati arrivavano dalle numerose circoscrizioni britanniche, con lenta ma, alla fine, con inesorabile determinazione ) mi sono “distratto” con la lettura dell’ultimo volume di Andrea Camilleri (“L’altro capo del filo”, maggio 2016), in compagnia del commissario Montalbano e mi sono imbattuto in questa inattesa e bella pagina:
“…il vrazzo di molo indove lui s’attrovava erano stati divisi in tante sezioni tutte transennate. Taliati da lontano, parivano ‘na specie di labirinto. Gli vinni logico pinsare che erano meglio ‘sti transenne mobili chiuttosto che mura e filo spinato come stavano pinsanno di fari tanti paesi europei”. Poi, in compagnia della sua solitudine, diresse la sua parola al vicino: “Chi pensi tu dell’Europa? spiò al grancio che dallo scoglio allato lo stava a taliare. Il grancio non gli arrispunnì. “Prifirisci non compromittiriti? Allura mi compromitto io. Io penso che dopo il granni sogno di ‘st’Europa unita, avemo fatto tutto il possibili e l’impossibili per distruggerinni le fondamenta stisse. Avemo mannato a catafottirisi la storia, la politica, l’economia ‘ncomuni. L’unica cosa che forsi restava ‘ntatta era l’idea di paci. Pirchì doppo avirinni ammazzati per secoli l’uni con l’autri non nni potivamo cchiù. Ma ora ce lo semu scordati, epperciò stamo attrovanno la bella scusa di ‘sti migranti per rimittiri vecchi e novi confini coi fili spinati. Dicino che tra ‘sti migranti s’ammucciano i terroristi ‘nveci di diri che ‘sti povirazzi scappano dai terroristi’. Il grancio che non voliva esprimiri la so pinioni prifirì sciddricari nell’acqua e scompariri” (p. 85).
Improvvisamente, questa lettura mi è parsa una sorta di parabola di questa Europa incerta, indefinita, contraddittoria. E l’urgenza di una assunzione di responsabilità piena, definitiva, da parte di individui, popoli e Stati mi è parsa essere la risposta necessaria alla ‘campana che suona’.
I cittadini e le cittadine della Gran Bretagna si sono, dunque, espressi. I paesi membri della Unione sono ora 27. Il Regno Unito è un Paese “terzo”. (Se le diverse componenti dei “popoli britannici” – ad esempio la Scozia, ma anche la Irlanda del Nord – non condivideranno questo approdo, dovranno trovare il modo di dirlo. Ci vorrà del tempo. Molto tempo. Mentre non c’è più tempo per tergiversare sulle conseguenze del Referendum).
“Out is out”. Ventisette Paesi membri della Unione conoscono bene i capisaldi dei Trattati: nelle prossime ore (non mesi e neppure settimane di stanche discussioni o inattuali negoziati) il Governo della Gran Bretagna dovrà formalizzare al Consiglio Europeo (dove tutti i 27 Paesi membri sono presenti) la loro richiesta di recesso. “Tertium non datur”.
Le attese dei popoli europei – convinti membri di questa Unione – e il compito dei Governi degli Stati membri di questa Unione richiedono una piena e consapevole assunzione di responsabilità nel delineare il destino della integrazione europea.
Subito, a partire da queste ore, possiamo e dobbiamo, dunque, riprendere il cammino della integrazione, approfondendo l’unico percorso utile per tutti i Paesi e per tutti i popoli europei: quello di una “integrazione differenziata ed univoca”, nel quadro comune di una Europa unita, voluta e tenacemente promossa da tutti i membri della Unione.
Ripensare a “un nuovo giuramento” ( a cui ci invitava Etienne Davignon, uno dei padri della costruzione europea) non significa inerpicarsi per sentieri di sogno indeterminato.
Utilizzando l’attuale “Trattato sull’ Unione europea”, da una parte, si tratta di proseguire il percorso della integrazione dei Paesi che non hanno adottato la moneta unica, intensificando la integrazione delle politiche comuni necessarie ed adeguate alla complessità dell’essere liberi e forti nella vastità e complessità del mondo globale ed interconnesso. Dal mercato unico, al digitale, all’innovazione tecnologica, ad una nuova fase di industrializzazione, alla comune sicurezza dei nostri popoli.
La consapevolezza che deve animare questa importante componente della Unione è che – anche se al di fuori della zona euro e della integrazione politica – il mero “mercato unico”, non può bastare a dare ai propri popoli una certezza di stabilità nel mondo globale. Un soloesempio. In tema di lotta al crimine organizzato, la strada più efficace è rappresentata da accordi multilaterali e non bilaterali. Si pensi alla minaccia del terrorismo. Si pensi ai crimini economici. Si pensi al traffico degli esseri umani. Tutte queste attività criminose passano attraverso infrastrutture illegali che hanno diramazioni in ogni singolo paese. E’ possibile combattere da soli? Occorrono infrastrutture di “intelligence” per condividere informazioni, con paesi amici, dunque con l’Europa unita. Occorre che i criminali siano inseguiti, arrestati e processati oltre le singole giurisdizioni di competenza. Dunque abbiamo bisogno di una stabile, fiducia e di istituzioni comuni, europei. La conclusione è che il solo “mercato comune delle merci” non basterà ai Paesi che pure scelgono un modello di integrazione non-politica.
Nello stesso tempo, i Paesi che hanno adottato la moneta unica – senza subire sospetti e neppure tentativi di invasioni di campo – devono poter procedere ancora più speditamente verso il completamento della Unione economica e monetaria e la costruzione di una Unione Politica. Necessaria , indispensabile per sostenere l’impegno di una moneta unica, di fronte a mercati mondiali: delle merci, delle monete e delle istituzioni globali connesse.
L’impatto positivo di questa più intensa integrazione (“cooperazione rafforzata”, dice l’attuale Trattato) dei Paesi “euro” si estenderà certamente anche verso i Paesi, non Euro, membri della stessa, unica Unione europea. Ecco alcuni esempi di una “integrazione differenziata” dentro una condivisa scelta di Unione Europea, con le sue Istituzioni, ancora meglio e di più, democratiche di quelle vigenti nel modello di governance attuale, tutta da ripensare.
Molte, e altre, fasi dovrà affrontare questo percorso di Unità Europea.
“Il grande errore della mia generazione – ha dichiarato Bernard-Hery Lévy, in un recente dibattito a più voci – è stato credere che l’Europa fosse fatta, che fosse un lavoro finito, che fosse iscritta nel senso della Storia e che qualunque cosa fosse accaduta, sarebbe rimasta e andata avanti. Non è così”
(cfr. “Il Corriere della sera, 20 giugno 2016).
Appartengo a quella generazione; quell’errore mi appartiene. Imparo giorno per giorno, perciò, la lezione, affinché questa Europa, diversificata e unita, possa e debba incontrare e fare la Storia. E’ l’unico modo per vivere il presente non da “sonnambuli”