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Il lavoro rende liberi (scrivevano nei lager)
di Ken Loach. Con Kris Hitchen, Debbie Honeywood, Rhys Stone, Katie Proctor, Ross Brewster Gran Bretagna, Francia, Belgio 2019
Newcastle, Inghilterra. Ricky Turner (Hitchen) ha serie difficoltà economiche perchè la crisi gli ha fatto perdere il lavoro di edile ma, dopo anni di lavori saltuari, sembra essere arrivata la sua occasione: potrà effettuare consegne domicilio come lavoratore autonomo in un’organizzazione che le smista. Decide così di vendere la macchina della moglie Abbie (Honeywood), che fa la badante a domicilio di vari anziani e malati, comprando un furgone. Arrivato al garage di Gavin Maloney (Brewster), viene istruito dal magazziniere Henry (Charlie Richmond) sulle dure modalità di quel lavoro: effettuare decine di consegne al giorno senza un attimo di sosta nemmeno per fare pipì (anche se lui, lì per lì, rifiuta disgustato la bottiglia che Henry gli consegna per quella necessità). I primi giorni sono duri ma lui è un gran lavoratore e si segnala come uno dei più produttivi tanto che, quando un suo collega, Freddie (Julian Ions), distrutto dalla stanchezza dà fuori di matto, Maloney gli passa il suo pesante ma remunerativo giro di consegne. Anche la vita di Abbie è molto stressante, soprattutto ora che non ha la macchina deve correre da un paziente all’altro senza sosta per molte più ore di quelle che l’agenzia con la quale lavora le retribuisca; lei però tratta i suoi pazienti con amore e soprattutto con gli anziani (spesso incontinenti, tanto che si unge il naso con il VIcks Vaporub per sopportarne l’odore) è molto paziente; ha fatto anche amicizia con Molly (Heather Wood), vecchia sindacalista che ricorda le proprie battaglie ed inorridisce a sentire le condizioni del lavoro “autonomo” di questi anni. Completano la famiglia il sedicenne Sebastian, detto Seb (Stone), sensibile e creativo in pieno conflitto con la figura paterna, e l’undicenne Liza Jane (Proctor), assennata e in costante ansia per le tensioni familiari. Il ragazzo abbandona spesso la scuola e con un gruppo di amici – Harpoon (Albert Dumba), Dodge (Jordan Collard) e Roz (Natalia Stonebanks) – crea graffiti pieni di punti interrogativi e, quando Roz è costretta a partire per sfuggire ai bulli della sua scuola, soffre le pene di un amore che non aveva mai esternato. La tensione tra padre e figlio cresce quando Ricky trova le vernici di Seb e lui confessa di averle comprate vendendo il giaccone che, con grandi sacrifici, i genitori gli avevano comprato. Poco dopo viene sospeso per essersi picchiato con un compagno a scuola e a Ricky Maloney non concede a Ricky di assentarsi per il colloquio con il preside. Abbie non gli perdona l’assenza dall’incontro e per la prima i coniugi litigano aspramente e Liza Jane, per l’emozione, fa pipì a letto. Un giorno arriva una telefonata della polizia: il ragazzo è stato fermato per taccheggio; di nuovo Maloney non permette a Ricky di andare al commissariato ma lui, beccandosi una grossa multa, va lo stesso e fa bene: il poliziotto (Stephen Clegg) si accontenta di una ramanzina e di una segnalazione (che comunque apparirà sulla fedina del ragazzo). A casa, esasperato dall’apparente indifferenza di Seb, Ricky gli sequestra il cellulare, lui se ne va a dormire da un amico ma di notte segna con una croce nera tutte le foto di famiglia incorniciate nel corridoio. L’indomani mattina Ricky vede che ha anche scritto una parolaccia sul retro del furgone e, soprattutto, che mancano le chiavi. Quando Seb torna e astiosamente nega di averle prese lui, gli dà un ceffone. Abbie è annichilita (lei ha avuto un padre violento e non tollera che si alzino le mani in casa) e Liza, tra le lacrime, confessa di averle nascoste lei perché vede nel furgone l’origine di tutte le tensioni che la fanno soffrire. Rocky la abbraccia e torna al lavoro ma, mentre è fermo per far pipì nella bottiglia, tre teppisti (Alex Houston, Jordan Sawyer e Russell Jones) lo aggrediscono, lo picchiano ferocemente e rubano i pacchi. All’ospedale viene raggiunto da una telefonata di Meloney che gli comunica che gli verranno addebitati i danni e, ferito e doloran, torna a casa accolto con sollecitudine da Seb e si mette a letto. L’indomani, però, ancora in pessime condizioni si mette al volante e – nonostante le angosciate proteste di Abbie e Seb – va al lavoro: ha troppi debiti per potersi permettere ulteriori assenze.
Ken Loach è, da un certo punto di vista, l’ultimo regista “politico” della sua generazione. Ogni suo film è un’analisi delle ingiustizie e delle ribellioni che, via via, hanno ispirato i tanti anni del suo lavoro di cineasta ma – a differenza di altri autori “impegnati” – in ogni suo lavoro ci sono una partecipazione e una comunicazione emotiva di grande profondità; basti pensare al suo The spirit of ’45 sulla pima vittoria elettorale del Partito Laburista che, pur essendo opera di puro montaggio, ci fa partecipi, sequenza dopo sequenza, delle condizioni del proletariato inglese del dopoguerra e delle grandi speranze che quelle elezioni avevano sollevato. Quando ebbe terminato nel 2016 Io Daniel Blake – storia di un falegname malato e perciò disoccupato, ucciso dall’ottusità sorda di una burocrazia attenta solo a farsi tornare i conti – aveva immaginato di non fare più film ma a 83 anni si è appassionato alle storture della gig economy (inedita forma di sfruttamento del lavoro proposto come una forma di piccolissima imprenditoria individuale e così sottratto alle regole di ogni, anche minima, garanzia sindacale) e – insieme al fedele sceneggiatore Paul Laverty (con lui da La canzone di Carla del 1996) – ha raccontato le vicende di una famiglia attanagliata dai mostruosi ritmi dei nuovi lavori. Per farlo ha usato prevalentemente attori di non consolidato mestiere: Kris Hitchen/Ricky è un ex-operaio che a 40 ha deciso di fare l’attore, Debbie Honeywood/Abbie è un’insegnante di sostegno con alle spalle qualche comparsata, Ross Brewster/Maloney è un poliziotto e molti dei colleghi di Ricky sono veri autisti. Il risultato è fortissimo e coinvolgente e chiunque di noi si trova non tanto a commuoversi alla sorte dei Turner ma a sentire nella loro storia una parte di sé, come succede quando ci si trova di fronte ad una vera operazione creativa. Loach – regista militantissimo ma di vero coraggio (non dimentichiamo come in Terra e libertà abbia raccontato le stragi operate dai partigiani comunisti, durante la guerra civile spagnola, nei confronti dei propri compagni di lotta anarchici) aveva già affrontato il tema della fine dei diritti del lavoro in Paul, Mick e gli altri ma, già nel titolo Sorry we missed you (frase stampata sul modulo che viene lasciato ai clienti che non sono reperibili al momento della consegna, traducibile con “ci dispiace non averla trovata” ma anche con “ peccato, ti abbiamo perduto”) ci mette di fronte ad un mondo disumanizzante e corrosivo. Ci voleva un vero poeta per raccontare la distopia del nostro quotidiano. Ken Loach lo è.