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La qualità sociale presente a Roma viene fotografata dall’Alleanza contro la Povertà in un periodo in cui tanti, forse troppi, vorrebbero abolirla senza conoscerla. Di fatto nei più recenti studi si evidenzia che oltre la metà della povertà dipende dalla mancanza di una casa o dal suo costo. Dal 2007 al 2017 il peso dei costi abitativi per i nuclei poveri è aumentato del 6,3 % e pesa il 36,8% sul reddito familiare. L’incidenza sui nuclei poveri interessati al “sovraccarico dei costi abitativi”sale al 32,9% (+ 25,6%).
Gli sfratti sono aumentati e nel 2016 arrivano a 61.000 di cui 55.000 per morosità, di questi solo 8.500 sono collocati nel Lazio. È evidente che il Fondo sociale creato per la “morosità incolpevole” non è riuscito a diventare una misura concreta. A Roma ci sono 12.000 famiglie in lista d’attesa per una casa pubblica, 10.000 occupanti abusivi e 5.000 assegnatari scaduti. A questi si sommano gli “invisibili”.
In questo scenario sull’abitare, nella completa paralisi delle rigenerazioni urbane e dei fondi stanziati per Roma dal bando della Presidenza del Consiglio, fare impresa – contrastando attraverso un ciclo economico il degrado – diventa una scommessa.
Aggiungiamo coloro a cui lo stato di salute di un familiare può far precipitare una famiglia in uno stato di indigenza; gli 80.000 disabili inscritti ai Centri dell’Impiego, privi di qualsiasi indirizzo; i malati cronici; una povertà educativa diffusa; la mancanza di una rigenerazione delle scuole e degli spazi collettivi: otteniamo così la fotografia della condizione di abbandono in cui versa la Capitale abbandonata.
Energie, competenze e organizzazioni non mancherebbero se potessero trovare una regia istituzionale che programmi e definisca gli spazi di sviluppo possibile con davanti almeno dieci anni di investimenti pubblici/privati. Per ora questa regia la svolgono il volontariato, il Terzo Settore, le Fondazioni intervenendo come possono con una azione risarcitoria e riparativa senza uscire in maniera trasversale dalle singole categorie (anziani, giovani, disabili) mettendo così a frutto l’immenso patrimonio pubblico anche attraverso una riduzione dei passaggi burocratici tramite una semplificazione e una digitalizzazione dei processi. La stessa politica culturale, con il suo portato comunicativo, arranca in un insieme di iniziative scollegate e dovute sempre più spesso al protagonismo dei singoli invece che ad una visione generale elaborata e condivisa.
Restano nel loro limbo le periferie con i suoi 1.200.000 di abitanti lungo il GRA, un tessuto composto in un territorio privo di servizi dalla popolazione più giovane e dinamica ma disincantata rispetto ad un’involuzione della Città, con mobilità impazzita, carenza strutturale di collegamenti e un centro vetrina sottoposto ad uno sfruttamento intensivo e spesso banale.
E’ questo l’approssimato mondo urbano che non riesce a scollarsi dalle spalle l’improvvisazione come strumento dominante. Roma sette colli due stati cento città