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(Quasi) Billi e Riva
di Stefano Anselmi. Con Nunzio Fabrizio Rotondo, Paolo Vita, Elisa Di Eusanio, Micol Azzurro, Giulia Di Quilio Italia 2018
Nunzio (Rotondo) e Paolo (Vita) sono due amici costantemente alla ricerca del colpo di fortuna; le loro mogli, la rampante avvocato divorzista Cristina (Di Eusanio) e la donna d’affari Maria Chiara (Di Quilio), sono stanche di finanziare i loro business sbagliati e li minacciano di buttarli fuori da casa se non trovano una sistemazione. Mentre si lambiccano il cervello seduti al bar, i due vedono arrivare un trafelato avventore, Armando (Maurizio Mattioli), che, in preda d un attacco di colite, si precipita alla toilette, lasciando incustodito il proprio suv, del quale si impadronisce subito un incapacissimo ladro, Rocco (Paolo Gattini) che non sa guidarla, consentendo a Nunzio e Paolo di riprenderla. Il riconoscente Armando li porta nel suo takeaway vegetariano e racconta fiero di possedere una catena di quegli esercizi e che gli affari gli vanno a gonfie vele. I due, che sono vegetariani, sono ammiratissimi e non capiscono che le strane bustine di polvere bianca che i clienti ritirano non sono affatto farina di riso e che i due involti che il truce gestore, Omar The King (Omar Monno), dà loro scambiandoli per spacciatori sono due panetti di hashish e decidono di aprire a loro volta un ristorante vegano. Hanno però bisogno di un capitale di partenza ed è escluso che le loro mogli li finanzino ancora ma, poiché la superstiziosa Maria Chiara crede ciecamente all’oroscopo, hackerano il sito cui lei presta fede assoluta, postandovi una previsione di grande fortuna legata all’investimento su di un affare proposto dal marito; lei si convince a investire una grossa somma e coinvolge anche Cristina. I due acquisiscono un agriturismo alle porte di Roma e si mettono alla ricerca di personale; prima di tutti, rintracciano lo stellato chef Ciro (Yari Gugliucci), che ora, a causa di un divorzio, ha perso casa e ristorante e vive in macchina; vanno poi in un night a parlare con la sexi Morena (Azzurro), pole-dancer cugina di Nunzio, per assumerla come cameriera, lei sulle prime rifiuta ma, quando Omar, che gestisce anche quel locale la caccia perché “è troppo vecchia”, accetta; mentre escono dal locale, vedono Rocco che scappa con la loro macchina, di nuovo lo raggiungono facilmente e, appreso che era stato cuoco in carcere, lo arruolano come sous chef; lui, a sua volta, propone come sguattero il suo ex aiuto-cuoco Nino (Leonardo Sbragia) e con il lavapiatti cinese (in realtà romano da tre generazioni) Ndong (Yoon Cometti Joyce) l’organico è completo. Il ristorante però non decolla e la notizia dell’arresto di Armando chiarisce ai due quale era la sua vera fonte di ricchezza. L’unica speranza è attirare l’attenzione del grande critico culinario francese Michel De Best (Maurizio Lombardi), ora in missione a Roma ma il loro primo invito viene respinto con malgarbo: Michel è un convinto carnivoro ed odia il vegetariano. L’unica soluzione, per non fallire e non far del male agli animali, è quella di riciclare il locale in una bisteccheria con carni finte, create dalle verdure dall’abile Rocco, riempiendo le stalle adiacenti al locale di animali in apparenza pronti ad essere cucinati. Ora De Best accetta l’invito del locale, – rinominato per l’occasione “Ar macello da Nunzio e Paolo” – e, conquistato da una “bistecca”, scrive una recensione entusiastica. Ora il locale è pieno di clienti, ai quali vengono propinate anche scene grandguignolesche di uccisioni di bestiole ma il video di Ndong che insegue un agnellino con una katana scatena l’indignazione degli animalisti, che, capeggiati da Loredana (Loredana Cannata), organizzano una manifestazione davanti al locale, proprio nella sera in cui vi torna, goloso, De Best, e arriva Armando, evaso dai domiciliari e pronto a ricattare i due per i due panetti di hashish. Due rapimenti, l’intervento di un pasticcere di strada (Piotta/Tommaso Zanello) e la nascita di un vitellino segneranno il lieto fine.
Anni fa Aurelio De Laurentiis, dandomi la sceneggiatura di un suo film di Natale, mi aveva detto: “Leggila ma non è la definitiva: è la sedicesima stesura, ne dovremo fare almeno altre tre”. Parliamo degli ingiustamente bistrattati cinepanettoni e, però, questa è una delle ragioni del pessimo stato di salute del nostro cinema: l’approssimazione e la fretta – necessitata da un mercato drogato – con la quale i progetti vengono licenziati. Fatta questa necessaria premessa, va riconosciuto a Non è vero ma ci credo il merito di riproporre il sapore delle vecchie commedie italiane degli anni ’50, quelle, per intenderci figlie del vecchio varietà con Billi e Riva (Accidenti alle tasse!!, Abracadabra, Siamo tutti milanesi) o con Taranto e Croccolo (Libera uscita, Licenza premio, Tizio, Caio e Sempronio); alcune gag sono carine, il cast di contorno non può certo essere paragonato agli eccellenti caratteristi dei vecchi film ma è scelto con intelligenza, il produttore Gianluca Curti è figlio d’arte (il padre era il produttore Ermanno e la mamma l’attrice Eleonora Ruffo) e ha già al suo attivo due riuscite proposte di film con comici televisivi emergenti (Ciao brother con Pablo e Pedro e Finalmente sposi con gli Arteteca), Anselmi, infine, al suo primo lungometraggio, dà una bella prova: lui ha diretto ottimi corti e ha collaborato con registi importanti ed è un buon saggista di cinema (che spiega la capacità di ricreare l’allure del cinema di Mattoli e Simonelli); la vera incognita erano i due protagonisti, noti come animatori e creatori di divertenti format prevalentemente dedicati alla musica ma non certo attori (anche se già protagonisti del tv-movie Sky Innamorati di me) – e si vede – ma le buone intuizioni di casting compensano bene i loro limiti. Non è certo un film privo di difetti ma è genuino e pervaso di una contagioso entusiasmo. Ci basta.