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Io c’è

La Vision, ovvero il finanziatore è il messaggio

di Alessandro Aronadio. Con Edoardo LeoMargherita BuyGiuseppe BattistonGiulia MicheliniMassimiliano Bruno  Italia 2018

Massimo (Leo) ha ereditato il palazzetto di famiglia e lo ha trasformato in un hotel ma gli affari non vanno affatto bene: lui è un po’ scriteriato ma le tasse che gravano sull’attività sono oggettivamente insostenibili. Un giorno, notando un gran viavai nel convento di suore di fronte al suo albergo, capisce che le religiose hanno aperto a loro volta un’attività ricettiva. Per saperne di più passa lì una notte e, dopo aver raccolto le lamentele del parroco (Daniele Parisi) che oltre a celebrare le messe deve dedicarsi a costanti, defatiganti opere di misericordia che diano al luogo un alone di religiosità,  al momento di chiedere il conto si sente rispondere da Suor Assunta (Gegia) che loro ospitano per carità cristiana e che lui potrà (dovrà) versare 40 euro come volontaria elargizione. Lui va dalla sorella commercialista, Adriana (Buy) – che da tempo cerca di convincerlo di cederle l’attività – per esporle il suo piano di trasformare l’hotel in un luogo di culto, quindi totalmente esentasse. Lei, lì per lì, non lo prende sul serio e lui prova, invano, con il parroco e con rappresentanti di varie religioni di convincerli a partecipare al suo piano. Torna da Adriana, con una nuova trovata: fonderà una religione e l’albergo ne sarà la sacra sede. Lei gli consiglia di rivolgere al loro ex-amico Marco (Battiston), uno scrittore fallito che vive con l’ex-moglie di Massimo; lui, prospettandogli il rischio che se le tasse lo mandassero a gambe all’aria non potrà più pagare gli alimenti (con i quali Marco sopravvive), ne ottiene la collaborazione. Nasce così lo Ionismo, la religione secondo la quale ciascuno è Dio a sé stesso e che non contiene divieti e comandamenti ma suggerimenti (“Sarebbe meglio se non desiderassi la donna d’altri”). Con dei pasti più succulenti attraggono i poveracci che gravitano nel convento e formano la prima comunità ionista. Le cose cominciano a marciare e, con qualche dispetto reciproco delle suore, i clienti/fedeli arrivano numerosi: Marco ha predisposto una Bibbia di grande attrattiva: ciascuno, essendo l’unica autorità religiosa a sé stesso, può fare quello che vuole, seguendo il proprio istinto. C’è anche chi, come Teodoro (Bruno), paralizzato e costretto su di una sedia a rotelle, aspetta il miracolo, anzi lo pretende in pochi mesi: d’estate vuole andare ad Ibiza a rimorchiare. La stessa Adriana, che ha trovato la forza di separarsi e di mettersi con un prestante giamaicano, sembra convinta di dovere questi cambiamenti agli influssi benefici del fratello.  Arriva il sospirato riconoscimento a Luogo di Culto (le autorità in questi tempi di livellamento egualitario delle culture, non vogliono certo farsi tacciare di preclusione religiosa) e tra gli ospiti Massimo nota Teresa (Michelini), una ragazza carina alla quale fa la corte; lei lì per lì sembra sfuggirgli ma una sera si fa trovare in piscina e, dopo averlo invitato a fare il bagno con lei e averlo baciato, lo porta nella sua stanza; qui lui vede che ha un seno di meno e lei gli dice di aver avuto una brutta malattia dalla quale non è completamente guarita; dovrebbe sottoporsi ad un’altra operazione ma, ora che lo ha conosciuto ed abbracciato lo ionismo, ha deciso di seguire il proprio istinto, che le dice di affidarsi al Maestro, cioè a lui. Massimo, per convincerla ad operarsi, le racconta la verità ma lei non gli crede, anzi si convince che lui la stia mettendo alla prova (del resto, anche Teodoro, all’ennesimo fallimento decide che il Maestro gli stia indicando la vera via: andrà ad Ibiza con la sedia a rotelle e rimorchierà lo stesso). Lui, disperato, cerca di convincere la sorella e Marco ad abbandonare la partita ma loro non ci pensano affatto; prova allora a rompere lo specchio sacro (quello nel quale ciascuno vede riflesso Io/Dio) ma i fedeli pensano si tratti di un nuovo livello di autocoscienza. Poco dopo arriva la Polizia: gli eredi di una fedele morta, che ha lasciato tutto alla setta, lo accusano di circonvenzione; lui al processo nemmeno si difende e, quando lo stanno portando in prigione, Teresa lo abbraccia, dicendogli che ha davvero fatto il miracolo: lei è completamente guarita. Marco, con una gigantografia di Massimo alle spalle predica ispirato ai nuovi adepti: è il nuovo guru dello Ionismo.

Io c’è è l’opera terza di Aronadio ma, in realtà, è come se fosse la sua seconda prova: il primo film, Due vite per caso, riproposizione un po’ meccanica del tema di Siliding doors, sembrava un saggio di fine corso di cinema; mentre il suo nome ha circolato con grande eco all’uscita – prima a Venezia e poi in sala – di Orecchie, trasognata e trascinante tragicommedia dell’assurdo. Si usa dire, come si sa, che dopo una prova interessante ogni regista sbagli la sua seconda opera. Non vale esattamente per Io c’è: ci sono errori (ma neanche il precedente era certo perfetto) ma il film è la conferma che un buon autore si è affacciato sulla scena. Volendo capire i limiti del film, il discorso va spostato sul suo distributore: la Vision. La società vede la presenza di Sky e di alcuni produttori (Cattleya, Palomar, Lucisano Media Group, Wildside ed Indiana); è naturale che il network – di fatto quello che mette i soldi – abbia una netta prevalenza e i primi prodotti italiani distribuiti (Il premio, La casa di famiglia, 9 lune e mezza, Sconnessi, Sono tornato e il miracolato – dagli incassi – Come un gatto in tangenziale) sono tutte commedie semi-autoriali, non particolarmente divertenti ma con un buon livello produttivo (il vero target sembra essere la pay tv, prima ancora della sala, dalla quale basta aspettarsi il rimborso delle spese di uscita) non molto dissimili dai due tv-movie natalizi prodotti da Sky; Un Natale coi Fiocchi e Un Natale per due. Io c’è è stretto tra due esigenze: confermare la vena sarcasticamente trasgressiva di Aronadio (tutta la polemica sulla religione – peraltro già presente nel personaggio di Papaleo in Orecchie – ne è una piacevole prova) e soddisfare la platea di Sky; per farlo, gli attori protagonisti mantengono/amplificano il proprio cliché, non sempre fornendo un buon servizio al racconto; in particolare Leo, ripetendo le insicurezze di altri film, appiattisce il suo Massimo in una macchietta senza spessore. Questi film, peraltro, si aggiungono al desolante panorama di un numero strabordante di simil-commedie italiane, bagnaticce di melmoso buonismo, che si confrontano stancamente sui nostri esausti schermi. Cosa ci aspettiamo, d’altronde, da un’industria che, anziché da un imprenditore si fa rappresentare, come presidente dell’Anica, da Rutelli, il quale giustifica l’abissale tracollo degli incassi del nostro cinema con l’assenza di un film di Zalone (come se ci fossero 10 milioni di spettatori fanatici del comico pugliese che escono di casa solo per vedere i suoi film) !?

 

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