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Se Nolan rifà La signora Miniver
di Christopher Nolan. Con Fionn Whitehead, Tom Glynn-Carney, Jack Lowden, Harry Styles, Aneurin Barnard USA, Gran Bretagna, Francia 2017
Dunkerque, 1940. Dopo la disfatta, il soldato inglese Tommy (Whitehead), unico superstite della sua compagnia va alla spiaggia per cercare di imbarcarsi per l’Inghilterra, qui incontra il silenzioso Gibson (Barnard) che sta spogliando un cadavere; vicino al molo si sono migliaia di militari in fila, in attesa di una nave inglese. I due mettono su di una barella un altro soldato morto e, con quel carico, attraversano il molo sotto continui attacchi aerei e riescono ad imbarcarsi nell’unica nave in partenza ma, appena depositano la barella, vengono rimandati a terra. Si rifugiano nei tralicci del molo nella speranza di riuscire a salire su di un’altra imbarcazione. La nave sulla quale avevano tentato di partire viene bombardata ed affonda e loro tirano su il soldato Alex (Styles). L’ammiraglio Bolton (Kenneth Branagh), intanto, da al colonnello Winnant (James D’Arcy), con il quale segue le operazioni dal molo, poco rassicuranti notizie sull’arrivo di navi militari: ne arriveranno pochissime, supportate da imbarcazioni civili che sono state reclutate allo scopo. I tre ragazzi salgono su di un’altra nave e vengono rifocillati con tè e coperte ma Gibson si allontana per starsene da solo sulla tolda; per i suoi due compagni è una fortuna, perché, di lì a poco, un siluro affonda la nave e lui, aprendo un oblò, li fa uscire dalla trappola. Dopo una lunga nuotata i tre ed altri commilitoni di Alex decidono di rifugiarsi in un peschereccio spiaggiato, in attesa che l’alta marea lo metta in mare. Arriva il proprietario della barca, un olandese (Jochum ten Haaf), che li avverte che i tedeschi sono lì vicino. Infatti, poco dopo, la barca è crivellata di colpi dei nemici che la usano come bersaglio. Arriva la marea ma lo scafo, pieno di buchi dei proiettili, imbarca acqua. L’olandese dice che bisogna diminuire il carico e Alex propone di gettare a mare Gibson, sospettando che non parli mai perché è una spia tedesca, Tommy lo difende e Gibson rivela di essere un soldato francese e che aveva preso la divisa al morto per fuggire dall’inferno di Dunkerque; mentre sale la tensione (Alex e gli altri lo vogliono sacrificare lo stesso, non essendo inglese) la barca affonda, Tommy ed Alex si salvano e Gibson non ce la fa.
In Inghilterra, mr. Dawson, proprietario di un piccolo yacht requisito per il salvataggio, parte per Dunkerque con il figlio Peter (Glynn-Carney) e con un amico di questi, George (Barry Keoghan), senza aspettare l’arrivo dei marinai della Royal Navy. In mare recuperano un soldato sotto shock (Cilian Murphy) su di un relitto e, questi, quando apprende che loro sono diretti a Dunkerque dà fuori da matto e nell’agitazione colpisce George che cade nella stiva e, per effetto della caduta, perde la vista. Poco più in là, Dawson e il figlio raccolgono altri superstiti di un siluramento e quando questi scendono in cabina si accorgono che il ragazzo è morto; Peter, che ha capito il dramma del soldato spaventato, alla sua domanda risponde che George sta bene.
Intanto dall’Inghilterra, si alzano in volo tre Spitfire, per contrastare l’attacco aereo tedesco ai soldati inglesi. Al primo scontro, il loro caposquadra (Luke Thompson) viene abbattuto e i piloti Farrier (Tom Hardy) e Collins (Lowden) proseguono la missione, anche se l’aereo del primo ha la spia del carburante rotta. Anche l’apparecchio di Collins viene colpito, lui riesce ad ammarare ma lo sportello non si apre e, mentre sta affondando, un colpo di remo lo spalanca: è Peter che lo trae in salvo. La loro barca è presa di mira da un aereo tedesco ma Farrier, con l’ultima riserva di carburante, lo raggiunge e lo abbatte; per poi atterrare sulla spiaggia e distruggere lo Spitfire, prima di essere preso prigioniero dai tedeschi. Ora che più di trecentomila soldati inglesi sono tratti in salvo (e tra questi Tommy ed Alex), il colonnello Winnant si imbarca a sua volta, mentre l’ammiraglio decide di rimanere a combattere con i francesi. Alex è sempre più torvo (si sente colpevole per la sconfitta) e quando, al porto di Dover, un vecchio cieco (John Nolan) si congratula con i soldati, si schermisce irritato. All’arrivo a Londra, però, i festeggiamenti dei connazionali ed un giornale che riporta il discorso di Churchill che, rigettando la proposta di resa da parte del Fuhrer, proclama – anche grazie allo spirito di patriottismo, dimostrato nel duro momento della sconfitta – la volontà del popolo inglese di combattere strenuamente sino alla vittoria finale, danno a lui e agli altri reduci la forza di guardare avanti. Peter, di lì a poco, riesce a far riconoscere George quale Eroe di Guerra.
Da ragazzi i film di guerra li classificavano in due categorie: con le donne e senza donne; i primi erano da evitare perché le scena d’azione sarebbero state rallentate da noiosi intermezzi sentimentali; i secondi – il cui prototipo era Obiettivo Burma di Raoul Walsh (peraltro grandioso e meglio noto a Roma come “Tana p’er cinese!” dall’esclamazione con cui i ragazzini accoglievano il primo piano del giapponese in agguato) – erano perfetti! Al di là delle nostre scelte adolescenziali, Dunkirk (in cui le scarsissime presenze femminili, sono sporadiche apparizioni di crocerossine) è un vero, grande, film di guerra, che rimanda con grande potenza narrativa l’eroismo del popolo inglese. L’episodio di mr. Dawson (il film è scandito da tre capitoli: Il molo – Una settimana, Il mare- Un giorno e Il cielo – Un’ora), ad esempio, richiama la parte centrale de La signora Miniver di William Wyler (altro grande affresco dello spirito nazionale inglese) con Clem Miniver che parte, con la sua barca da pesca per Dunkerque. Qui forse sta il limite, non del film in sè ma di quanto gli estimatori di Nolan si aspettano da lui: che l’autore dei meravigliosamente labirintici Memento, Inception ed Intersetellar si accontenti di una, sia pur perfetta, operazione di montaggio di storie non esattamente contemporanee per poi ricondurle ad unità per un nolaniano puro è quasi una delusione. A ben vedere però c’è un robusto filo conduttore che unisce Dunkirk, i tre titoli citati e la trilogia Batman- Il cavaliere oscuro: tutti disegnano un diverso ma altrettanto complesso labirinto, quello del costante senso di colpa e di inadeguatezza che accompagna ogni azione umana. In questo film (come d’altronde nel ciclo Batman) non ci sono buoni e cattivi (come nei più agiografici film precedenti che raccontavano lo stesso episodio: Dunkirk di Leslie Norman del 1958 e Weekend a Zuydcoote di Henri Verneuil del 1964) ma esseri umani che seguono il proprio destino, talora spaventati dalla potenza degli eventi e consapevoli della propria fragilità ma forti di un invincibile – e spesso doloroso- senso di appartenenza. Non è forse il miglior Nolan ma è certamente un gran film.