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Roma tra paura e bellezza, la sfida delle periferie

Viaggio nella Capitale: l’immagine di città solidale cede il posto ad altro, un luogo di coltura del populismo

Come vedete Roma oggi? Come ci vivete? Il declino della città eterna è inevitabile? In parallelo con l’inchiesta di Carmine Fotia che comincia oggi vi chiediamo di esserne protagonisti anche voi: raccontateci la vostra città, a partire dalle periferie scrivendo brevi testi o inviando foto o brevi video a raccontiromani.unita@gmail.com

Le cronache si raccontano Roma come una città in declino, bloccata, incapace di pensare il futuro, paralizzata persino fisicamente dalla crisi drammatica del suo sistema dei trasporti, contaminata da una sporcizia materiale e morale.

Ciò è aggravato da un’amministrazione totalmente inadeguata, per usare un eufemismo, ma non si tratta di una crisi di breve periodo. Nell’arco di un decennio – dal 2006 (rielezione trionfale di Walter Veltroni) al 2016 (disfatta del Pd ed elezione plebiscitaria di Virgina Raggi del M5S), passando per la conquista del Campidoglio da parte dei post-fascisti di Gianni Alemanno (2008), la vittoria del sindaco-marziano, Ignazio Marino (2013) e l’esplosione di Mafia Capitale (2014) – l’immagine di Roma si è completamente rovesciata.

Da simbolo di buon governo del centrosinistra a simbolo di una disfatta ingloriosa; da città trainante dello sviluppo nazionale e dinamica a città che arretra e si blocca; da città coesa a “città disconnessa”, come dice il professor Paolo De Nardis, docente di Sociologia alla Sapienza e autore di un importante saggio (“Capitale senza capitale”, Interventi Donzelli); da città solidale a luogo di coltura del populismo post-fascista prima e grillino poi; da metropoli cosmopolita e accogliente a città ripiegata su se’stessa, preda delle sue paure e dei suoi egoismi dove, mi dice la parlamentare dem Marcella Lucidi, domina una sorta di “depressione sociale”.

Il declino si tocca con mano, nella degenerazione della vita pubblica, nel peggioramento di tutti gli standard qualitativi della vita della città, come ha mostrato una recente ricerca dell’Istat sul Benessere Equo e Solidale (Bes). È una valutazione che non si ferma al dato puramente quantitativo del prodotto interno lordo ma valuta anche altri parametri: sanità, istruzione e formazione, lavoro e conciliazione dei tempi di vita, benessere economico, relazioni sociali, politica e istituzioni, sicurezza, paesaggio e patrimonio culturale, ambiente, ricerca e innovazione, qualità dei servizi.

Ed ecco il ritratto odierno di Roma: una città dove c’è molta ricchezza, ma distribuita ingiustamente, dove l’ambiente entro il quale vivono le persone non è buono e dove le condizioni che determinano l’autonomia delle persone (come i trasporti) sono pessime. Mentre diminuisce la percezione di sicurezza (anche a causa di una precisa scelta da parte della destra romana di cavalcare, a partire dal 2008, le peggiori paure) si diffonde, alimentato da una battente campagna mediatica, un clima di violenza diffusa e anonima che un giovane dirigente dem romano che conosce bene le periferie, Marco Tolli, definisce «una nuova cattiveria». Tutto ciò mentre, come afferma il professor Giandomenico Amendola (“Tra Dedalo e Icaro, la nuova domanda di città”, Editori Laterza), la crisi degli stati nazionali spinge le metropoli a misurarsi autonomamente nella competizione globale all’interno della quale la qualità della vita e dei servizi, la capacità di ripensarsi e reinventarsi sono invece essenziali.

Non si tratta soltanto del degrado degli standard basilari della vita quotidiana, ma di una “narrazione” che Roma offre di sé che va proprio invece nella direzione opposta. Non è un caso che fiorisca tutta una letteratura romana di genere catastrofista ben esemplificata dal romanzo illustrato dello scrittore Luca Marengo e dell’illustratore Giacomo Keison Bevilacqua (“Roma Città Morta, Diario di un’Apocalisse”, Multiplayer edizioni), dove la città eterna è in mano agli Zombie.

In questa inchiesta cercheremo di capire se sia davvero il declino il destino inesorabile della Capitale, quali ne siano le cause e i possibili anticorpi, sperando che non valga anche per noi l’epigrafe posta nell’incipit del romanzo di Marengo-Keison: «Questo è il diario dell’Apocalisse Zombie romana, amici miei benvenuti, e per favore non fatevi uccidere prima di averlo finito di leggere, ok?».

Partiamo dalle periferie, non solo come luogo geografico, ma come punto di vista dal quale osservare i cambiamenti della città. La mappa del voto delle ultime elezioni amministrative disegna una piccola isoletta (i quartieri alti) dove il centrosinistra ha resistito e l’oceano delle grandi periferie urbane, dove vive la maggioranza della popolazione e lì prevalgono i Grillini o la destra. Una sorta di periferia liquida dove tutto si mischia in modo caotico e disordinato.

Per comprendere cosa voglio dire, dovreste almeno una volta prendere il treno Viterbo-Roma delle Ferrovie Roma Nord che è ormai una specie di metropolitana aggiunta che collega l’estrema periferia delle borgate di questo quadrante con il centro della città. Sul treno incontri rom, italiani, rumeni che sono la comunità più presente e altri immigrati. Lungo la linea discariche abusive, accampamenti, ma anche quartieri residenziali.

È una convivenza forzata, molto diversa da quel processo che negli anni settanta avvicinò il popolo delle borgate alla città storica. Lì ci si mischiava per scelta, qui per necessità. Tutto affastellato, sovrapposto, mai riconnesso. I treni sono vecchi e fatiscenti, sporchi. Torridi d’estate e gelidi in inverno. Qui quando piove vien giù tutto, perchè fognature e sistemi di drenaggio sono del tutto inadeguati, e può capitare che per due giorni sia impossibile raggiungere la città. In posti come quelli che vi ho raccontato, a Roma vive circa un milione di persone, e in Italia circa il 60% della popolazione.

Sono luoghi che sono stati troppo a lungo abbandonati, i vecchi ceti popolari che abitano le antiche periferie operaie colpiti dalla crisi, vedono nei nuovi esclusi relegati lì una minaccia per il pochissimo che hanno. Si è creata quella che il sociologo Zygmunt Bauman chiama una paura liquida: «La paura più temibile è la paura diffusa, sparsa, indistinta, libera, disancorata, fluttuante… paura è il nome che diamo alla nostra incertezza, alla nostra ignoranza della minaccia o di ciò che c’è da fare».

Le nostre periferie sono dunque solo degrado? Si tratta di ghetti da abbandonare a se stessi? Per Renzo Piano, architetto, senatore a vita, al contrario, le nostre periferie «sono ricche di umanità, qui si trova l’energia e qui abitano i giovani carichi di speranze e voglia di cambiare. La bellezza naturale del nostro paese non è merito nostro. Ciò che può essere merito nostro è migliorare le periferie, che sono la parte fragile della città e che possono diventare belle». Bellezza e periferie, sembra un ossimoro.

Invece, sostiene Amendola nel saggio già citato, la bellezza, che è un requisito fondamentale nella competizione globale tra le metropoli, «è una richiesta che taglia trasversalmente tutta la città andando dal centro – tradizionalmente considerato il luogo deputato a ospitare bellezza e identità – verso la periferia, dominio dell’uni – formità della banalità progettuale ». Dunque, la sfida è lì ed è doppia: riguarda l’identità della sinistra, ma anche la modernità della città perché se perde la connessione con quel mondo, con quei luoghi, con quelle persone, la sinistra, e non solo a Roma, muore, ma anche la città muore se non fa delle sue periferie luoghi di bellezza.

Infatti, proprio da lì, con il grande sindaco che fu Luigi Petroselli, cominciò la sinistra quando conquisto per la prima volta il Campidoglio nel 1976. Ma questo ve lo racconteremo nella prossima tappa del nostro viaggio.

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