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La pulizia autorganizzata di palazzi e aree verdi, la biblioteca autogestita, il centro sociale El Chè(ntro) e lo spazio culturale Cubolibro (foto). Bisognerebbe ripensare la periferia romana, a cominciare da Tor Bella Monaca – di cui molti si sono “occupati” improvvisamente in questi giorni per “analizzare” i risultati elettorali -, fuori dagli stereotipi e dai luoghi comuni.
A dir la verità, a me non è mai piaciuta molto la periferia romana, ma penso che sia un dovere civile, soprattutto per chi lavora in un’università romana, occuparsene.
La periferia romana è una città vasta, faticosa, complicata e non propriamente “bella”. A tratti repulsiva. In particolare se confrontata con il centro storico che, come si sa, una sua bellezza ce l’ha, anche se è un luogo non meno complicato e per altri versi problematico. Ho imparato però col tempo a conoscerla e penso anche che sia un importante terreno di lavoro e di coinvolgimento, soprattutto per chi si occupa di ricerca e vive in questa città. L’Università non può essere un luogo autoreferenziale e in sé concluso, ma si deve impegnare nella propria città, nel proprio territorio, a servizio della propria città e degli abitanti che ci vivono. A Roma l’Università si occupa troppo poco di Roma. Ed è spesso una ricerca “dalla distanza”, fatta sui dati statistici, sulle mappe, su informazioni indirette.
Per fare una buona ricerca bisogna invece andare sul campo. Sul campo si capiscono molte più cose. Seguendo la vita quotidiana, parlando con le persone, incontrando chi vi svolge attività e servizi, conoscendo i conflitti, studiando le pratiche urbane, partecipando delle situazioni vissute si può conoscere molto meglio la realtà e si può accedere anche all’invisibile, a quelle dimensioni immateriali e simboliche che non si vedono a occhio nudo, ma solo partecipando della vita quotidiana, e che spesso sono i fatti più rilevanti, anche per un urbanista, anche per fare una buona progettazione o riqualificazione (ormai sempre attenti a non usare termini che diventano mode o slogan, come l’incipiente “rigenerazione urbana” o la “smart city”). Bisogna costruire un rapporto empatico col territorio e con gli abitanti, anche se questo non significa lasciarsi “annebbiare la vista”, ma mantenere sempre uno sguardo attento e critico. E così camminare è un modo per conoscere, per praticare un luogo, per esplorare, per fare esperienza, per entrare nella dimensione dei vissuti. Con una certa soddisfazione ho sentito dire recentemente a un mio tesista: “Effettivamente, ho fatto la mia tesi con i piedi …”.
Per governare una città bisogna conoscerla, ma conoscerla dal di dentro. E questo vale anche per lo studio e la ricerca. Da alcuni anni, sto cercando di conoscere e partecipare la periferia romana, con tutte le sue ambiguità e contraddizioni.
Ho conosciuto la periferia abusiva, anzi ormai la periferia “ex-abusiva”, anche se della città abusiva ne rimangono tutti i caratteri, così emblematica della realtà romana, una realtà con mille ambiguità e contraddizioni. Ho studiato le “centralità”, i centri commerciali e i nuovi quartieri esplosi a partire dalle amministrazioni di centro-sinistra Rutelli e Veltroni.
Ho conosciuto altre periferie, ma alla fine ho pensato che bisognava conoscere le realtà più problematiche e così sono andato a Tor Bella Monaca. Non ringrazierò mai abbastanza i nostri dottorandi che studiano e ci fanno conoscere dal di dentro tante realtà diverse della città (in questo caso non ringrazierò mai abbastanza Francesco Montillo che ci ha fatto conoscere Tor Bella Monaca e i suoi abitanti).
Tor Bella Monaca è un quartiere di circa 30-35.000 abitanti e, per il suo carattere di edilizia economica e popolare, costituisce quindi una concentrazione quasi massiva del disagio sociale e del disagio abitativo: mancanza di lavoro, bassi redditi, economia illegale, spaccio della droga, alta concentrazione di persone agli arresti domiciliari, la più alta concentrazione di persone con disabilità a Roma, elevato abbandono scolastico, degrado fisico degli edifici, carenza di aree verdi attrezzate a fronte di una grande disponibilità di spazi verdi , ecc. Alla ghettizzazione corrisponde anche un’immagine stereotipata, molto diffusa in tutta la città, ma a cui fa da contraltare, come è ovvio che sia, una realtà molto più complessa, articolata e ricca, che si rilegge nella quotidianità della vita ordinaria e che gli stessi abitanti tentano di restituire a se stessi e alla città. D’altra parte, oltre agli innegabili problemi, è anche un luogo molto vitale, ricco di iniziative, di protagonismo sociale, di potenzialità e risorse, di produzione culturale (in particolare nel campo della musica) che in genere dall’esterno non vengono minimamente percepite.
Per evidenziare la complessità della situazione e la problematicità dei vissuti quotidiani, basti pensare alla difficoltà di vivere gli spazi pubblici, sebbene presenti all’interno del quartiere. Lo spazio pubblico è il luogo conteso dagli abitanti allo spaccio, rappresenta il luogo della lotta quotidiana con la droga. Per questo è spesso un luogo non piacevole, da evitare; e contemporaneamente il luogo da riconquistare.
Tor Bella Monaca è il quartiere “pubblico” meno “pubblico” che abbia mai conosciuto. La percezione della distanza delle istituzioni e dell’amministrazione pubblica non è così forte altrove come qui. La percentuale di occupazioni, la mancanza di manutenzione, la pulizia autogestita (e non “pubblica”), le morosità e la deregulation a tratti totale, la mancanza di presidi, la mancanza di interlocutori a cui rivolgersi o che ti rispondano, la mancata riassegnazione delle case lasciate libere fanno di questo posto l’emblema dell’assenza del “pubblico”. Se non ci fossero gli edifici a testimoniare che il “pubblico” c’è, o ci sarebbe, o una volta c’è stato.
Tanto più sono luoghi disertati dalla politica, che ha lasciato il campo delle periferie ormai da molti anni ed è venuta meno alla sua funzione fondamentale di mediazione tra i territori e i luoghi della decisione, del governo.
In questa situazione emergono con forza, purtroppo, la rabbia, il senso di abbandono, la necessità di autorganizzarsi. Si struttura, come d’altronde in tanti altre parti di Roma, la città fai-da-te, con tutti i pro e contro che questo comporta, perché questo significa conflitti, fatica di vivere, messa in crisi della solidarietà. Se, da una parte, vediamo processi di riappropriazione, dall’altra la legge del più forte rischia di essere sempre sull’orizzonte di vita delle persone.
Allo stesso tempo, frequentando questi quartieri ed in particolare Tor Bella Monaca, ho conosciuto alcune realtà che io ritengo eccezionali, smentendo radicalmente quell’immagine così negativa ed omologante che spesso se ne ha o che i giornali o altri mass media o molti politici hanno convenienza a mostrare.
A Tor Bella Monaca, nonostante la maggior parte degli abitanti (eccetto i morosi, ovviamente) pagano con l’affitto una quota destinata alla pulizia delle scale e alla manutenzione degli spazi comuni, la manutenzione e la pulizia delle scale non viene fatta. Ed è già questo un fatto grave. Gli abitanti si sono quindi organizzati per provvedere in autonomia (nonostante se ne parli male, si tenti di trasmettere l’immagine generalizzata di persone violente e “degradate”). Generalmente le famiglie si organizzano per scale, si autotassano (per quello che possono), raccolgono i soldi e li utilizzano per pagare una persona (possibilmente della stessa scala; almeno è un’economia che va a vantaggio degli abitanti) che provveda alla pulizia della scala. Ancor più complicato è autorganizzarsi per provvedere alla manutenzione degli spazi comuni ed in particolare delle aree verdi. Però, nonostante tutte le difficoltà, ci riescono. E così scopri che una torre con 75-77 appartamenti (ben 75-77!) si riesce ad organizzare e tiene in condizioni esemplari la propria area verde. Uno sforzo non indifferente e un’impresa eccezionale.
Non meno eccezionale è l’impegno dell’associazione Tor Più Bella nella zona di via Santa Rita da Cascia o di un gruppo di abitanti particolarmente agguerriti nella zona di via San Biagio Platani. In entrambi i casi (ma non sono gli unici) gli abitanti fanno una battaglia quotidiana per mantenere la qualità e curare e rendere fruibile a tutti alcuni spazi condominiali, gli spazi pertinenziali, alcune aree verdi e persino i parchetti vicini, abbandonati dal Comune, dal servizio giardini e dagli altri soggetti istituzionali che dovrebbero occuparsene. Si tratta di una battaglia quotidiana perché significa fronteggiare quotidianamente lo spaccio della droga che tende a colonizzare e a degradare lo spazio comune (distruggere i lampioni, eliminare le luci, rovinare i portoni per lasciare passanti gli accessi, ecc.) per poter svolgere liberamente i propri traffici illeciti. È una battaglia quotidiana (e gli abitanti utilizzano espressioni proprie di uno stato di guerra) e spesso assume forme molto violente, dove in gioco è l’incolumità delle persone.
Se l’espressione non suonasse troppo romantica, apologetica o altisonante, non esiterei a considerare queste persone “eroi della vita quotidiana”, e a cui varrebbe la pena consegnare “medaglie al valor civile”, per l’enorme lavoro di ricostruzione di condizioni di socialità e di spazi di servizio per il territorio e le comunità locali. Mentre spesso si tratta di persone considerate “fastidiose” e “pericolose” per le istituzioni, per la loro capacità critica e per la denuncia delle disfunzioni, e per questo paradossalmente poste sotto controllo dalla Polizia. Chi dovrebbe essere aiutato è controllato.
Così scopriamo che a Tor Bella Monaca c’è una dei licei scientifici migliori di Roma, con un enorme bacino di utenza nella periferia orientale, con una dotazione di laboratori e attrezzature da fare invidia a un liceo della “città borghese”, con un preside, uno staff e un gruppo di professori molto impegnati e di qualità. La scuola, nella periferia romana, è il primo vero (se non l’unico) presidio di “pubblico”.
Analogamente c’è un grande lavoro del locale sindacato Asia, con Maria Vittoria e molte altre persone molto impegnate, con una presenza fondamentale sul territorio, rispetto alla quale le istituzioni pubbliche non reggono minimamente il confronto. Si occupano del problema della casa, delle assegnazioni, di scoraggiare occupazioni abusive fatte solo per interesse e per traffici a favore del mercato nero e di sostenere invece chi ne ha effettivamente bisogno (segnalando anche all’Ater e al Comune quando le case risultano vuote o inutilizzate, ma non vengono riassegnate). Un lavoro quotidiano molto oneroso.
Così come bisogna segnalare il lavoro del centro sociale El Chè(ntro), ma soprattutto di Claudia e del Cubolibro (leggi anche Il cubo magico di Tor bella Monaca). In tutto il quartiere di Tor Bella Monaca (30-35.00 abitanti, con la presenza del Municipio e di altre strutture pubbliche), un quartiere appunto tutto “pubblico”, non esiste la biblioteca comunale. Un gruppo di persone, soprattutto giovani, ha pensato bene quindi di mettere in piedi una biblioteca “pubblica”, anche se fatta da “privati”, raccogliendo donazioni, anche dagli stessi abitanti. Fornisce libri e sostiene i bambini nelle attività extrascolastiche. Ovviamente potrebbe essere considerato “irregolare”, ma è l’unico servizio “pubblico” di questo tipo. E così si scopre che a Roma esiste una rete di biblioteche autorganizzate (con proprio sito, ecc.), e che addirittura svolgono il prestito interbibliotecario. Si tratta di prospettive eccezionali, soprattutto se confrontate con l’assenza del “pubblico”.
Eppure, poiché si tratta di realtà un po’ “irregolari”, vengono perseguiti o controllate o tenute sotto pressione (sull’onda delle recenti disposizioni del Commissario al Comune). È veramente una situazione paradossale. Piuttosto che sostenute per il servizio che svolgono, spesso sostitutivo delle assenze pubbliche, vengono perseguite.
Tutte queste realtà sono spesso invece presidio di civiltà e di solidarietà.
Forse bisognerebbe ripensare totalmente la periferia romana, il cuore della città, fuori dagli stereotipi e dai luoghi comuni, da una conoscenza generica e preconcetta. Forse bisognerebbe guardare con occhi diversi a questo mondo della periferia romana, così articolato e complesso, soprattutto dal suo interno. E scoprire una quantità di risorse, impegno e progettualità che è la sua potenzialità di riscatto e la reale prospettiva di cambiamento.
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