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(O)thelma e Louise
di Paolo Virzì. Con Valeria Bruni Tedeschi, Micaela Ramazzotti, Valentina Carnelutti, Tommaso Ragno, Bob Messini Italia 2016
Beatrice Morandini Valdirana (Bruni Tedeschi) è ricoverata a Villa Biondi, un istituto di recupero alternativo al manicomio criminale, è ricca, logorroica e bipolare e la psicologa Fiamma Zappa (Carnelutti) e la caposala (Luisanna Messeri) cercano di contenerla e faticano non poco a trovarle una compagna di stanza che la sopporti. Un giorno arriva al centro Donatella Morelli (Ramazzotti), proletaria, tatuata e depressa e Beatrice decide che è lei la compagna giusta. Dapprima si finge medico e le assegna cure da cavallo – Donatella è golosa di antidepressivi – poi, scoperta, le regala pezzi del suo guardaroba; l’altra resiste rabbiosamente ma poi cede e la loro amicizia sembra giovare ad entrambe tanto che la Zappa e il direttore del centro Giorgio Lorenzini (Ragno) si convincono – contro il parere dell’assistente sociale Torrigiani (Sergio Albelli) – di mandarle a lavorare in una serra nei dintorni. Beatrice parla, parla, si vanta della sua amicizia con Berlusconi, della potenza del marito, l’avvocato Pierluigi Aitiani (Messini) e racconta del folle amore per il pregiudicato Renato Corsi (Bob Randelli), che l’ha portata alla condanna penale. Alla fine della prima settimana le due ricevono 120 euro di paga e, approfittando di un ritardo del pulmino che le deve riportare alla villa, scappano a bordo di un autobus. Gli infermieri le inseguono ma al capolinea dell’autobus, un automobilista – che ha riconosciuto Donatella come la sexy cubista della discoteca Seven Apple – le carica in macchina e le porta in un alberghetto, convinto di portarsele a letto. Quando lui scende, Donatella (che ha capito tutto mentre Beatrice fa la mondana e sogna un “buon Martini”) si mette al volante e le due partono di scatto. Come prima meta, vanno da una veggente: Donatella spera di rintracciare il figlio che le è stato tolto e dato in adozione e Beatrice vuole sapere se Renato la ama ancora. Rincuorate, alla meglio, dalla ciarlatana, riprendono il viaggio e vanno a Montecatini, dove, grazie ai modi aristocratici di Beatrice, cenano a sbafo in un ristorante di lusso ma, all’uscita, le raggiunge il proprietario della macchina che se la riprende, senza però denunciarle perché non si sappia della tentata scappatella. La madre di Donatella, Luciana (Anna Galiena), d’accordo con la Zappa, le contatta e le porta nella casa di un generale in pensione al quale fa da badante. Qui cerca di convincere la figlia a farsi vedere (e toccare) dal vecchio ma le due rubano soldi e medicinali e scappano. Arrivano a Viareggio e finiscono proprio al Seven Apple e qui Donatella fa una scenata a Maurizio, il proprietario del locale che l’ha messa incinta e buttata fuori, mentre Beatrice si gioca tutti soldi all’annesso casinò. Le ragazze litigano e Donatella dà una bottigliata in testa all’amica e viene arrestata e portata in ospedale. Qui arrivano la Zappa e Lorenzini, che vorrebbero evitarle la detenzione in un OPG e contattano il padre (Marco Messeri), ex pianista di Gino Paoli (che la figlia ha sempre idealizzato al punto di convincersi che lui fosse l’autore di Senza fine e che l’avesse scritta per le)i; l’unica speranza è che lui la prenda in custodia; questi però è un fallito e un egoista e se ne va, lasciandole quattro soldi. Beatrice è arrivata alla villa dell’ex-marito all’Argentario, irrompe in una festa, fa un bagno, si mette vestiti puliti e, sedotto il marito, dopo averlo riempito di sonnifero, ruba soldi e gioielli dalla cassaforte. Grazie alle informazioni che sottrae al computer di Pierluigi, ottiene le indicazioni sulla famiglia che ha adottato. Elia, il figlio di Donatella (viene anche a sapere che era stata condannata perchè, persa la patria potestà, aveva tentato di annegarsi con il piccolo tra le braccia). Affitta un taxi e prima si fa portare da Renato, che è agli arresti domiciliari e le piscia in testa, poi grazie ai gioielli rubati corrompe gli infermieri dell’OPG e fa evadere Donatella, dalla quale si fa raggiungere nella villa della madre (Marisa Borini), che – rovinata dalle truffe di Renato – affitta il locale alle troupe cinematografiche; in quel momento stanno, per l’appunto, girando un film e le due, scambiate per comparse, si trovano alla guida di una spider d’epoca. Con quella scappano e vanno dalla nuova famiglia di Elia, ormai seienne. Beatrice, fingendosi assistente sociale, cerca, invano, di convincere i nuovi genitori di lasciare che il bambino parli con Donatella, che intanto, commossa, lo guarda da una siepe. Poco dopo bevono varie birre e si addormentano su di un muricciolo. Arriva il personale di Villa Biondi (che ha convinto il magistrato di custodia a lasciarle in propria custodia) e porta via Beatrice. Donatella scappa e viene travolta da una moto ma si rialza e va dormire in spiaggia. Qui, il mattino dopo, incontra Elia e, felice, fa il bagno con lui senza farsi riconoscere. Di lì a poco va bussare a Villa Biondi, dove l’amica la aspetta trepidante.
Giuseppe Marotta, che negli anni ’50 scriveva di cinema sulla diffusa rivista L’Europeo, parlando di Glenn Ford, scrisse “Non metterei un centesimo in quella bocca a salvadanaio”. Divertente e feroce ma, con qualche decibel in meno, qualcosa del genere mi capita di pensarla ogni volta che vedo sullo schermo la Bruni Tedeschi. Sbaglio io di sicuro, perché viene osannata di continuo ma continua a sembrarmi quanto di più lontano si possa immaginare dalla recitazione. D’altronde quando appare Marisa Borini, sua madre nel film e nella vita (come aveva già fatto in Un castello in Italia, diretto dalla figlia), la senti parlare con lo stesso birignao (un po’ da mago Othelma) del personaggio di Beatrice, a riprova di qualcosa di più simile ad un gioco di società che ad un film compiuto. Il film l’ho sentito molto attraversato da questa atmosfera di festa nel salotto buono tra amici, compagni e parenti (ci sono non pochi precedenti da Non toccate la donna bianca di Marco Ferreri a Mari del sud di Gabriele Salvatores). Ha certamente dei pregi (non la sceneggiatura di Francesca Archibugi, assai sbilenca e con echi pesanti da Thelma e Louise e Ladybird, Ladybird): una regia, ovviamente, ineccepibile, la notevole fotografia di Vladan Radovic e il bel montaggio di Cecila Zanuso. A Cannes, peraltro, è stato accolto bene e il pubblico lo va a vedere.