La Banca “federale”
Autore : Mario Campli
Pubblicato il : 18-03-2016
Diario Europeo n.24
Il 10 marzo scorso (2016), il Consiglio dei Governatori della Banca Centrale Europea ha approvato con “una maggioranza schiacciante” (parole del presidente della BCE) un ventaglio di misure che strettamente intese devono essere chiamate di “politica monetaria”, ma che – in mancanza di una “Istituzione,” vera e propria, sovrana nella “politica economica” (il cosiddetto “Eurogruppo” non è tale, mentre è tale la BCE, vedasi art. 13 del T.U.E.)- rappresenta una manovra di “politica economica” europea di altissimo profilo ed impatto. (In calce, riporteremo anche una sintesi delle decisioni prese dalla Banca Centrale Europea).
(un sano approccio federalista).
Molto correttamente, alcuni analisti hanno ricordato che in “questa” Unione europea, soltanto due sono le Istituzioni “federali”: il Parlamento europeo e la Banca centrale europea. Ambedue senza volerlo, peraltro!
“Diario”, oggi, desidera, perciò, offrire ai lettori e alle lettrici alcuni elementi di conoscenza sul Federalismo, rinviando, per ragioni di snellezza, lettori e lettrici ad un piccolo ed efficace libro, intitolato: “ Gli Stati uniti d’Europa spiegata a tutti”, di Michele Ballerini, Fazi editore, aprile 2014. Naturalmente, resta aperta e impregiudicata la questione: se e come un vero e proprio modello federale possa rappresentare il futuro, possibile e immediato, di questa Unione europea; ma – in assenza di proposte vere e proprie sulla necessaria e urgente riforma del modello Istituzionale e della governance di questa Europa unita- anche questo esercizio potrebbe risultare utile e illuminante.
Il federalismo nasce in America, nel 1787 – Convenzione di Filadelfia – quando 13 Stati (ex colonie inglesi) già confederati decidono di approfondire questo loro rapporto, in quanto “ il legame confederale era troppo debole e gli interessi nazionali stavano per avere il predominio sull’interesse comune” (ivi, opera citata). La prima teorizzazione, in termini di filosofia politica, risale ad Immanuel Kant, alla fine del settecento con la sua: “Per la pace perpetua”, dove – tra l’altro, egli indica nella divisone dell’umanità in Stati sovrani la causa permanente della guerra. Un grande federalista fu Luigi Einaudi – secondo presidente della nostra Repubblica- che già nel 1918 “auspicava l’unione federale degli Stati europei e portò come esempi i comuni italiani del Quattrocento e le città-stato greche dell’età classica; e agli inizi degli anni cinquanta scrisse che gli Stati nazionali erano ormai ‘polvere senza sostanza’ e che dovevano prendere atto e agire di conseguenza, tentando la via della unità politica”.
(la questione democratica)
Il federalismo è innanzitutto un paradigma democratico preciso e leggibile, nel cui ambito può sussistere una razionale suddivisione della sovranità a più livelli (europea, nazionale, regionale, locale) ed una esplicita, legittimata e prevedibile, rappresentanza democratica e popolare. E’ su questa base che potrà essere reimpostato l’attuale modello istituzionale europeo: con al centro il Parlamento, organo legislativo (articolato su due Camere: quella dei popoli- l’attuale parlamento e quella degli Stati – l’attuale Consiglio), a cui deve rispondere un “Esecutivo” (l’attuale Commissione): vero e proprio “Governo europeo”.
(la infrastruttura federale)
Una Unione federale è dotata – normalmente – del Bilancio federale, con una Fiscalità propria (che non significa una ulteriore tassazione che si accumula su quella degli Stati federati, ma una specifica tassazione che corrisponde alle Politiche propriamente federali – quindi sgravando gli Stati membri da incombenze inadeguate ed inefficaci a quel livello –e genera Risorse Proprie (quindi non trasmesse dagli Stati membri, ma fondate sulla cittadinanza europea). Quindi, un Debito pubblico-sovrano federale (che da una parte deriverebbe dalla messa in comune di una parte dei Debiti sovrani degli Stati membri e dall’altra da uno specifico Debito nuovo, per un diretto approvvigionamento federale dai mercati per specifici Investimenti federali). Quindi, la Moneta federale e la Banca Centrale, con il potere reale ed autonomo di stampare moneta.
Come si può facilmente rilevare da questo rapido affresco, la situazione attuale di “questa” Unione europea si manifesta come un mix, contraddittorio e incompleto, di strumenti e funzioni che genera una situazione sempre instabile e incerta: una Moneta senza Stato, un Bilancio senza fiscalità propria, tante Politiche diversamente “comuni” e molte competenze/poteri/funzioni gestite a mezzadria! Mancano – in capo all’Unione, peraltro- Politiche strategiche per una Entità politico-strategica, riconoscibile ed affidabile di fronte al Mondo, quali: la Politica estera (anche con il seggio unico europeo all’ONU), della Difesa e della Sicurezza (con l’esercito europeo e la gestione comune delle frontiere esterne), dell’approvvigionamento energetico centrale, del Welfare europeo (integrale o almeno di alcune sue parti nevralgiche). Siamo di fronte ad una sorta di ircocervo, che le pubblicazioni ufficiali della UE – distribuite su carta o editate via internet – definiscono così: “L’UE quindi si trova a metà strada tra il sistema compiutamente federale proprio degli Stati Uniti e il sistema di cooperazione intergovernativa non vincolante che caratterizza le Nazioni Unite” (cfr. “Come funziona l’Unione Europea-Guida del cittadino alle Istituzioni dell’U.E.” (p. 3).
(come e da dove cominciare)
Curiosamente, l’opera di costruzione sarebbe più facile se oggi partisse da zero. Non è così: oltre che partire e procedere bisogna anche cancellare e demolire. La grande questione della Unità Europea di questo secolo sta appunto in questo difficile tornante: uno “stop and go” di carattere strategico, istituzionale e politico per procedere nella e con la Unione attuale, senza mai arrestare il cammino e nello stesso tempo innovare e cambiare in rpofondità. E’ ovvio, quasi naturale che siano i Paesi membri della zona Euro – Popoli e Stati – a prendere in mano – ad un tempo – il proprio destino e il destino di questa Unione. Sarebbe auspicabile che siano tutti gli attuali Paesi ( 18) che hanno in comune la Moneta; ma se da una autonoma e sovrana riflessione, qualche Paese non se la sentisse di procedere verso la “Unione Politica”, non sarebbe un dramma, in quanto non si configurerebbe come una sorta di “default”, bensì di una scelta condivisa e cogestita.
(tornando alla Banca Centrale e “federale”)
Le misure prese, il 10 Marzo, dalla Banca centrale europea (senza entrare nei tecnicismi): stimolano il finanziamento delle imprese e delle famiglie, sostiene la solidità dei bond dei paesi più fragili, riduce lo spread tra i titoli di stato e tra i tassi di interesse nel finanziamento alle imprese a Nord e a Sud dell’Europa. Colpisce l’equilibrio dell’insieme della manovra, facendosi carico di una visione veramente europea: dalle misure che danno una mano alle economie che stentano a far partire la ripresa, agli acquisti di obbligazioni emesse da imprese anche tedesche (Volkswagen, ad esempio o anche colossi energetici in affanno come Rwe), francesi, ecc. Non si comprendono, quindi, gli attacchi di dirigenti d’impresa, soprattutto tedesche; a meno che non si voglia continuare a pretendere di mantenere rendite di posizione derivanti da differenze di tassi, regalati dai mercati, e generati da un contesto – appunto, mai dimenticarlo- di una Unione economica e monetaria incompleta.
“Dove la solidarietà politica intergovernativa non ha funzionato, ha avuto successo una logica federale della banca centrale, tesa a prevenire la deflazione e stimolare la crescita complessiva dell’economia europea”. L’approccio e le misure adottati dalla BCE , inoltre, “finiscono per scontrarsi con le incongruenze originarie di Maastricht, quando si decise di creare una Unione monetaria federale senza un Bilancio federale e senza alcuna forma di condivisione anche parziale del Debito. Quando nel luglio 2012, Mario Draghi salvò l’euro promettendo di fare ‘whatever it takes’, tutto il necessario, per tutelare la moneta unica, implicitamente si impegnò a compensare le storture della costruzione monetaria europea” (cfr. Andrea Bonanni, “La scelta federalista”, in: la Repubblica 11 marzo 2016 e anche: Mario Campli, “Europa, ragazzi e ragazze riscriviamo il sogno europeo, Marotta&Cafiero, 2014).
Il tema del “Completamento della Unione Economico e Monetaria – U.E.M”, diventa sempre di più centrale e strategico. Nei prossimi interventi, “Diario europeo” affronterà il tema.
Oggi era importante sottolineare la “supplenza” politica e istituzionale da parte della Banca centrale europea. Lo facciamo con le parole di Mario Draghi nella conferenza stampa, a Francoforte, giovedì 10 marzo: “Immaginate se non avessimo fatto niente, avessimo incrociato le braccia dicendo nein zu allen, no a qualsiasi cosa; oggi ci troveremmo con una disastrosa deflazione”. E non solo; di nuovo la Moneta sotto attacco, il panico sui mercati, ecc. ecc!
Ma non saremmo completi se non aggiungessimo una analisi sulle cause della strisciante deflazione europea. Sono origini e cause del tutto nuove, sulle quali la riflessione dei decisori delle politiche economiche sono tendenzialmente silenti o distratti. “La quarta rivoluzione industriale, quella di Internet, permette a tutti di comprare, scambiare e condividere servizi (da Uber, a Airbnb, ecc.) e beni di ogni genere, rappresentando quella ‘distruzione creatrice’ che frena l’aumento dei prezzi, in un contesto in cui i giganti del Web creano poco lavoro e impongono la massima remunerazione del capitale” (Roberto Sommella, “Il capitalismo della rete e il socialismo delle cose”, in: Il Corriere della sera 14 marzo 2016). E, ovviamente, si tratta di una “innovazione” che riguarda tutta Europa: abbiamo assistito recentemente alle violente proteste in Francia, ad esempio, contro Uber. Come dire: una lotta contro un fantasma! Se, invece di misurare i decimali dei Bilanci pubblici nazionali, la Commissione si dedicasse allo studio ed alle politiche per predisporre questa economia “antica” d’Europa a reagire e a vincere la competizione del futuro? E se cominciasse a pensare anche a quale Welfare innovativo si debba Europa (con tassi di invecchiamento della popolazione molto alti: dalla Germania, all’Italia, ecc.) attrezzare per sostenere il lavoro e i lavoratori in questo attraversamento del deserto? Gli Stati membri a questa sorta di “abbandono” dovrebbero reagire e non sulla sacrosanta redistribuzione dei rifugiati e richiedenti asilo, guardando – si fa per dire – l’ombelico della propria, ristretta, impari ai nuovi compiti “sovranità nazionale”.