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Appartenenza europea (3)

(…continua…)

E’ il problema dei “pensieri lunghi”. Possono perdersi nel turbo-quotidiano. E possono essere la sostanza di un approccio strategico. Proprio perché, e in quanto, lunghi.
Raccogliendo lo stimolo della letteratura e delle arti europee, Diario europeo ha condiviso questa convinzione: “una cultura che ci unisce e grazie alla quale – forse siamo in tempo – potremmo indurre quell’insurrezione spirituale e quel rinascimento che alcuni di noi sognano”. La cultura che ci unisce. L’abbiamo preso troppo alla lontana?
Non si tratta di indugiare in uno sfibrante equilibrismo tra pessimismo e ottimismo. Penso che si possa e si debba guardare in faccia la realtà, formulata sia da insigni intellettuali sia da cittadini e cittadine di questa Europa: “Se l’Unione Europea sia davvero unita è la domanda quotidiana di milioni di europei, la cui persistente identità nazionale è ancora molto prevalente rispetto al senso della loro appartenenza europea” (Giuseppe Galasso).
Sta proprio in questo il cuore del problema: per costruire, sentire, affermare una appartenenza europea è indispensabile o addirittura prioritaria una sorta di distruzione creatrice della “persistente identità nazionale”? Oppure bisognerebbe interrogarsi e mettere in discussione quel pensare l’Italia o la Francia o la Germania, e via via elencando, come una possibilità che si deve e si può evolvere solo in una prospettiva di vuoto intorno e/o di società-nazione che sussiste solo se sta chiusa e “protetta” in sé?
“Ma io credo – afferma lo storico Aldo Schiavone, dialogando con Ernesto Galli della Loggia in Pensare l’Italia –che anche quando il nostro Stato avrà ceduto all’Europa tanta sovranità (auguriamoci che accada presto, e dopo la moneta ci sia la difesa e la politica estera, e poi altro ancora….) da diventare poco più di una governance regionale, continuerà a esistere ancora a lungo una patria italiana, un’identità italiana, e uno stile italiano: dico il pensiero, non solo nella moda o al ristorante”.
A questo punto possiamo individuare con più precisione sia il senso profondo di cultura sia quello che possiamo e vogliamo aspettarci dai costruttori di cultura. La formazione della “persistenza di una identità nazionale” (vedi sopra G. Galasso) dentro una “appartenenza europea” (sempre Galasso). E, a ben vedere, si tratta di una opzione eminentemente politica. Nel senso della costruzione e del governo della città.
E non si tratta soltanto di uno stato di necessità: demograficamente l’Europa rimpicciolisce e invecchia, mentre il resto del mondo – Asia, India, Africa e perfino Nord America – cresce rapidamente; oppure c he il prodotto interno lordo europeo che nel 1950 era il 30% di quello mondiale, ora è appena il 10. Si tratta di qualcosa di più intenso e più profondo: la possibilità e la persistenza della democrazia dello-nello Stato nazione. “Autodeterminazione democratica – scrive Jurgen Habermas – significa che i destinatari di leggi cogenti ne sono al tempo stesso gli autori (…).Il crescere del potere di organizzazioni internazionali, via via che le funzioni degli Stati nazionali si dislocano sul piano della governance transnazionale, mina di fatto il procedere democratico degli stessi Stati nazionali”.
L’avevamo preso alla lontana: la cultura. E’ perché volevamo riaffermare che una premessa, grande e fondamentale (nel senso proprio di fondamenta della costruzione) c’è; storicamente c’è, nonostante periodi tragici di sonno della ragione che ha inesorabilmente generato mostri. Ma ora – e senza forzature – siamo arrivati al cuore della questione: la persistenza del procedimento democratico. I cittadini e le cittadine europei vogliono restare liberi, in una società-mondo il cui governo non sta – spontaneamente – non più, solo nelle mani dei cittadini liberi ed eguali.
Dunque, una vera necessità storica: siamo tutti di fronte all’emergenza di un oggetto nuovo, il mondo in quanto tale. Per quel mondo e in quel mondo, questa generazione deve mettere a punto gli strumenti di un procedimento democratico adeguato a quella immensità.
Sia all’interno di questa Unione, sia di fronte al soggetto mondo.
E arriviamo, allora, al confronto con le difficoltà di questa Europa: la sua legittimazione verso i propri popoli e la sua affidabilità (e anche la forza-capacità) verso il mondo.

(continua)

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