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L’orto urbano? Ora è “componibile”

Il progetto di Human Habitat, da montare e riutilizzabile: “Così l’agricoltura può tornare in città”.
Tempo di costruzione stimato: dieci giorni, assicurano gli ideatori Mikkel Kjaer e Ronnie Markussen, una coppia di giovani imprenditori, fondatori del laboratorio di progettazione urbana Human Habitat. Non solo facile da montare ma anche riutilizzabile innumerevoli volte. Quindi semplice da reimpiantare all’esigenza.

“Abbiamo voluto rendere l’agricoltura urbana ancora più intelligente – dice Markussen – La nostra idea era quella di progettare un’unità che fosse capace di aumentare la sicurezza alimentare in città, abbassare l’impronta ecologica della produzione alimentare e creare posti di lavoro. Abbiamo voluto ricollegare le persone al cibo, dando loro uno spazio verde che porti nuovamente la natura nelle nostre città. Non solo, volevamo che questo spazio “green” fosse anche facilmente adattabile ai cambiamenti del paesaggio urbano”. Versatile ma soprattutto funzionale: progettata per essere autosufficiente al suo fabbisogno di acqua, calore ed elettricità, l’intera fattoria ha un ingombro di poco più di trenta metri quadrati, ma una volta installata la zona di produzione interna e protetta, da poter dedicare alle colture, sviluppata in verticale semplicemente raddoppia. Il progetto pilota è partito ed ora è attivo e funzionante e lancia la sfida al futuro: riuscire ad ovviare agli ostacoli che si oppongono allo sviluppo dell’agricoltura “urbana”. Due tra tutti: la mancanza di spazio nelle città sempre più densamente popolate, e le incertezze dovute ai cambiamenti climatici. E questa sfida parte proprio dalla capitale danese: “L’azienda stazionerà lì per un periodo di dieci mesi, durante i quali ci dedicheremo alla raccolta di dati, concentrandoci principalmente sulla capacità di produzione e sullo sviluppo e consumo di energia e sull’utilizzo di acqua.

La farm ospiterà anche laboratori didattici e di formazione in primavera con l’obiettivo di avviare un’impresa sociale in grado di creare posti di lavoro “green”. – spiegano gli ideatori – I prodotti saranno poi venduti a ristoranti e caffetterie locali e da primavera i residenti locali saranno in grado di acquistare prodotti personalmente presso il mercato alimentare settimanale che albergherà proprio di fronte alla fattoria”. Una produttività che secondo Kjaer e Markussen può essere stimata su due modelli: per le aziende indipendenti che puntano a vendere i loro prodotti al dettaglio a piccoli commerciati o grazie ai banchi del mercato la resa finale potrebbe attestarsi sulle tre tonnellate all’anno; un progetto più ampio invece che miri alla produzione di ortaggi, verdure e frutta per la distribuzione di scuole, asili, per fare degli esempi, potrebbe puntare ad una produzione annua da stimare all’incirca sulle sei tonnellate.

Ma il progetto non immagina solamente un’agricoltutura urbana più sostenibile e non punta solo alla riqualificazione di luoghi cittadini dismessi, come parcheggi abbandonati o spazi inedificabili tra edifici adiacenti: “Con il tempo, vorremmo sviluppare una versione della fattoria, che possa contribuire ad affrontare le crisi umanitarie, in particolare dove le persone sono costrette a vivere in condizioni precarie (campi profughi, centri d’accoglienza, vittime di disastri naturali). – precisano – Per questo successivo step il modello che immaginiamo avrà un design ancora più “componibile”, il che permetterà un trasporto più agile ma anche la possibilità di creare delle farm assemblate ad hoc capaci di provvedere a delle esigenze commisurate”. Un progetto ambizioso, quindi, che decisamente non mira a restare cofinato a questo primo ed innovativo esperimento di Copenhagen.

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