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Quo Vado?

Checco sempre bravissimo ma stia attento al politically correct (è la tomba della comicità)

di Gennaro Nunziante. Con Checco ZaloneEleonora GiovanardiSonia BergamascoMaurizio MicheliLudovica Modugno Italia 2016

Checco (Zalone) è in Africa e viene catturato da un ferocissima tribù, che è pronta a gettarlo nel fuoco, a meno che la storia della sua vita non li convinca. Lui comincia raccontare: è cresciuto con il mito del posto fisso e da grande, grazie al senatore Binetto (Lino Banfi) si è sistemato nell’Ufficio Caccia e Pesca della Provincia della sua città pugliese: stipendio sicuro, pochissimo lavoro e tanti regali in natura dagli utenti ai quali rinnova la licenza. Questa sua situazione di privilegio gli assicura anche l’amore e l’incondizionata devozione dell’eterna fidanzata (Azzurra Martina) ma un brutto giorno le provincie vengono abolite e lui, unico dipendente sano e senza carichi famigliari deve andare al Ministero a Roma per essere ricollocato (questa nuova situazione d’ incertezza ha già convinto la fidanzata a lasciarlo immediatamente). Qui incontra la perfida dottoressa Sironi (Bergamasco), che, su mandato del Ministro Magno (Ninni Bruschette), convince tutti i malcapitati che si rivolgono a lei ad accettare una piccola somma ed a dimettersi. Checco però, indottrinato dal Senatore, rifiuta ogni cifra e viene sballottato nei posti più sperduti del Paese, sino a che la Sironi – alla quale il ministro fa un duro pressing – lo spedisce al Polo Nord, al servizio di un team di ricercatori, il cui capo (Paolo Pierobon) gli dice che il suo lavoro è quello di difendere la ricercatrice animalista Valeria (Giovanardi) dagli orsi bianchi; lui sta per cedere ma quando vede Valeria se ne innamora all’istante e la segue tra le nevi perenni con entusiasmo. Il suo caso diventa uno scoop da prima pagina: l’impiegato in esubero che, per effetto dei bonus per la scomodissima destinazione, guadagna quanto un dirigente. La Sironi arriva al Polo ma lui, piuttosto che dimettersi o tornare in Italia e lasciare Valeria, si mette in aspettativa. Va così a vivere con lei in Norvegia e scopre che ha tre figli da tre compagni diversi ma, dopo qualche resistenza iniziale, Checco si adatta perfettamente alla nuova situazione: fa i lavori casalinghi, non suona il clacson quando guida e si è fatto crescere un biondissimo pizzetto, sconvolgendo i genitori (Micheli e Modugno) che sono andati a trovarlo. Una sera però vede in televisione Al Bano e Romina che cantano di nuovo insieme e viene assalito da una violenta nostalgia. Torna in Italia e la Sironi lo spedisce in Sicilia a sequestrare gli animali selvatici dei mafiosi. Lui non si dà per vinto e, con Valeria che lo ha raggiunto, mette su uno zoo antimafia. I fondi, però, non arrivano e lei, stanca di vederlo acquiescente all’andazzo italiano, se ne va. Ora lei è in Africa ed aspetta un figlio da lui, che, convinta la tribù, la raggiunge in tempo per veder nascere la sua bambina. Arriva anche la Sironi ma, stavolta, lui accetta l’assegno e con quello compra le medicine per l’ospedale di volontari dove la moglie ha partorito. Il suo caso ridiventa uno scoop e lui può tornare al vecchio lavoro, non più provinciale ma di Area Metropolitana, la sostanza peraltro è identica: poco lavoro, stipendio sicuro e tanti piccoli benefit.

Per una volta permettetemi un piccolo vanto, quello di aver capito Zalone prima dei tanti che oggi, alla luce dei ripetuti record storici di incassi, lo esaltano dopo averlo trattato con sufficienza o peggio – d’altronde era successo anche con Totò: la critica di sinistra dopo aver definito con disprezzo i suoi capolavori delle “totoate”, all’annuncio che sarebbe stato protagonista di Uccellacci e uccellini di Pasolini (e sia chiaro, con tutta la stima per P.P.P., che era lui, con il suo genio, ad onorare il regista–poeta e non viceversa) si precipitò a tessere gli elogi al suo film in uscita in quei giorni; peccato che si trattasse di Che fine ha fatto Totò baby?, uno dei suoi meno riusciti!. Anche Quo vado? sta dando segnali di incassi mirabolanti e meritatissimi, lui si conferma la maschera più completa del panorama italiano: un meraviglioso campione del nostro “familismo amorale”, come lo furono ai tempi Totò e Sordi. Non ci risparmia, grazie a Dio, nessun luogo comune :i pubblici impiegati fannulloni e scorretti, i neri africani quasi cannibali e i norvegesi dediti al suicidio ma – anche se sappiamo che nelle sue creazioni c’è sempre una doppia lettura; l’adesione al personaggio è sempre accompagnata da una matura consapevolezza- stavolta appaiono pericolosi segnali di politically correct: la canzoncina, sulla falsariga de L’albero di trenta piani di Celentano, sulla Prima Repubblica, il sottofinale che vira sul buonismo terzomondista. Niente di che ma è un attimo che si diventa, Dio non voglia, Pif o Celestini!

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