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I fagioli magici
di Naomi Kawase. Con Kirin Kiki, Masatoshi Nagase, Kyara Uchida, Miyoko Asada, Etsuko Ichihara Giappone 2015
Sentaro (Nagase) gestisce di malavoglia un piccolo chiosco dove prepara e serve i dorayaki (due pancake con in mezzo la marmellata an, fatta di fagioli rossi azuki). Una delle sue clienti è la studentessa Wakana (Uchida), che vive in un piccolo appartamento con la madre (Miki Mizuno) anaffettiva e riversa il suo bisogno di amore su di un canarino canterino. Una mattina si presenta da Sentaro la anziana signora Toku (Kiki), che, per un salario modestissimo, gli chiede di poter lavorare con lui, dicendogli che ha assaggiato i suoi dolcetti e ha trovato buono l’impasto ma immangiabile la marmellata, che lei sa fare molto bene. Sentaro rifiuta scortesemente – non si potrebbe permettere comunque di pagarla ed inoltre la donna è molto anziana e con le mani talmente rovinate da una specie di artrosi da non sembrare in grado di lavorare – ma lei gli lascia un contenitore con della confettura e lui, quando la assaggia, la trova buonissima. Comincia così la loro collaborazione e la Toku, dopo essersi indignata nello scoprire che lui usa una an industriale, gli impone di aprire il chiosco alle 5 del mattino perché la corretta preparazione della confettura è lunga e laboriosa (ai tempi di cottura si aggiungono le pause per ascoltare i segnali dei fagioli e per dare agli ingredienti il tempo di conoscersi e di amalgamarsi). I risultati sono immediati e i clienti si affollano entusiasti al chioschetto. Tutto sembra andare per il meglio ma arriva una visita della proprietaria (Asada) del chiosco, che gli intima di liberarsi al più presto della Toku: ha capito dall’indirizzo della donna – un sanatorio – che la malformazione alle mani è causata dalla lebbra e, anche se non è più contagiosa, se lo scoprissero, i clienti scomparirebbero immediatamente. Sentaro è disperato ma non può far nulla: in passato, in seguito ad una rissa che ha avuto gravi conseguenze, è stato in prigione – e la madre ne è morta di dolore – e quando ne è uscito, ha chiesto al marito della donna un grosso prestito, in cambio del quale lavora nel chiosco. Dopo poco si unisce a loro Wakana che è scappata di casa portandosi la gabbia del canarino, di cui la madre, in seguito alle proteste del condominio, voleva liberarsi. Sarà involontariamente la ragazza a dare notizia della reale natura della malattia della Toku e le vendite scendono precipitosamente. Sentaro non ha il coraggio di licenziare la signora ma lei capisce e, un giorno, dopo aver preparato l’ultima marmellata, scompare. Lui e Wakana – lei le porta il canarino che non può più tenere – la vanno a trovare nel sanatorio e lì conoscono la sua amica Yoshiko (Ichihara), anch‘essa malata, con la quale prendono il tè; la Toku racconta la sua storia: è stata ricoverata da quando era adolescente e lì ha conosciuto suo marito, è rimasta incinta ma i medici la hanno fatta abortire e solo dal 1996 – l’anno nel quale il Giappone ha riconosciuto ai malati di lebbra non contagiosi la libertà di andare in pubblico – ha potuto, ormai vedova e sola, uscire dal sanatorio. La padrona comunica a Sentaro che ha deciso di rinnovare l’attività, affidandola ad un suo nipote, lasciando a lui solo un angoletto per i dorayaki. Lui scompare e Wakana lo cerca disperatamente e lo trova, al colmo della depressione, vicino all’ospedale; insieme trovano il coraggio di entrare e Yoshiko comunica loro che la signora è morta e ha lasciato all’uomo che, con il lavoro, le ha dato gli ultimi momenti felici della sua vita i suoi attrezzi per la marmellata di fagioli e una lettera nella quale spiega quanto la solitudine e l’isolamento nei quali era vissuta le avessero consentito di cogliere i segnali delle cose e delle persone e che in lui, Sentaro, avesse sentito la profonda tristezza ma anche la possibilità di ritrovare se stesso.
Questo è l’ottavo film della Kawase ed è il primo che esce in Italia, grazie alla distributrice Cinema di Valerio De Paolis. Quasi tutti i film della regista – compreso questo che apriva la sezione di Un certain regard – sono stati presentati a Cannes (il primo Moe no suzaku ha vinto la Camera d’Oro nel 1997 e nel 2007 il suo Mogari no mori ha avuto il Premio Speciale della Giuria). E’ la prima volta che lei affronta la riduzione di un romanzo – An di Durian Segekawa (che aveva recitato in un suo film nel 2012) – e, rispetto alla sua tradizionale filmografia molto libera e personale, si trova a doversi confrontare con una trama confezionata. Il risultato è splendido: la poetica della natura, che le è così congeniale, fa da contrappunto ad un racconto di profonda commozione e ad una recitazione, in particolare quella dei due protagonisti, di grande efficacia. Non è facile immaginare l’esito al botteghino del film ma chi lo vorrà vedere avrà una gran bella emozione. Da sottolineare, infine, l’ottima qualità dell’edizione italiana gestita da Marzia Bistolfi.