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L’Italia dei cento comuni e dei distretti industriali non può privarsi dei corpi intermedi.
Si tratta d’identificare chi oggi può rivestire la funzione prima svolta da partiti, sindacati, ordini professionali.
Dopo la non eccellente performance della società civile (da De Magistris a Marino) bisogna smettere di rivolgersi a un mondo delle professioni liberali coorporativo e chiuso al nuovo per guardare a chi nei territori quotidianamente dimostra di saper leggere la realtà con le lenti del tempo e soprattutto ne parla gli alfabeti.
Come ben sintetizzato da Francesco Bei in “Marino, le contromosse del Pd” (Repubblica dell’11/10/15) “via libera alle mobilitazioni tematiche su singole campagne, alle riunioni di abitanti di una stessa strada (le cosiddette “social street”), ai comitati di quartiere, a forme di mutualismo”. Come praticato dal Presidente Mattarella che ha premiato gli eroi della porta accanto e del lavoro sociale come il sociologo Maurizio Fiasco per le sue ricerche sui fenomeni del gioco d’azzardo e dell’usura.
Sono anni che sentiamo la litania “bisogna partire dai territori”, ma mai slogan fu più giubilato e non praticato.
E’ ora che chi da tempo, da Corviale a Torpignattara alla Caffarella, ha studiato discusso progettato e iniziato a realizzare in concreto nuovi modelli di partecipazione e di sviluppo abbia finalmente voce in capitolo e riconosciuto quel ruolo di nuovi corpi intermedi che nella realtà già svolge.