Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

3 ottobre 1990 – 9 novembre 1989, due date cruciali nella storia geopolitica, con l’Europa al centro.

La prima, venticinque anni fa, 3 ottobre 1990, a Berlino, una Germania in festa celebrava la sua riunificazione. In meno di un anno, il fiume della storia ha travolto convinzioni e convenzioni, accordi e trattati.

La seconda, ventisei anni fa, 9 novembre 1989, a Berlino si sgretolava quel muro della vergogna, di fronte al quale John Fitzgerald Kennedy, presidente degli Stati Unti d’America, lesse il 26 giugno 1963, un celebre discorso: “Duemila anni fa il maggiore orgoglio era di poter dire civis romanus sum, oggi, nel mondo, il grido di orgoglio che si solleva è: Ich bin ein Berliner”.

In mezzo, dodici mesi cruciali di colpi di scena, trattative febbrili, accelerazioni e errori colossali.

Il primo di questi errori è racchiusa in una sola parola: Ab sofort (da subito). La pronunciò pochi minuti dopo le sette di sera del 9 novembre 1989, herr Gunter Schabowski, portavoce del governo comunista della Germania dell’est, in risposta ad una domanda del giornalista italiano Riccardo Ehrman, nel corso di una conferenza stampa convocata per annunciare al mondo alcune decisioni del regime per dare una risposta alle grandi manifestazioni di piazza di quei giorni. Il giornalista chiedeva quando sarebbe entrato in vigore il provvedimento del governo di liberalizzazione dei passaporti e di libertà di espatrio. Il dirigente comunista, colto di sorpresa, reagì di getto: “per quanto ne so, da subito”.

Era vero che tutto era stato ormai deciso, ma doveva ancora essere calendarizzato.

Dopo poche ore, quelle parole rilanciate dalle due televisioni della Germania dell’Est, portarono migliaia di tedeschi alle diverse porte presidiate lungo il muro, cogliendo di sorpresa i soldati, ma anche i massimi dirigenti persino della Germania dell’Ovest. E attraversarono in massa.

Era solo l’inizio di una serie di colpi di scena che avrebbero condotto alla riunificazione del due Germanie, soltanto dodici mesi dopo, il 3 ottobre 1990.

Contro la voglia o la volontà di quasi tutti i capi dei Governi europei, l’ultima a cedere fu la Signora Margaret Thatcher – la notte del 2 ottobre – per invito (“ordine”) degli Stati Uniti d’America.

Mentre migliaia di giovani scavalcavano il muro squarciato e irrompevano da una parte all’altra, un solo sentimento aveva cittadinanza nei cuori e nelle menti di milioni di persone presenti o spettatori televisivi: libertà, fine della guerra fredda, e persino “fine della storia”, come scrisse qualche frettoloso intellettuale (Francis Fukuyama, 1992).

Complessivamente, forse, sfuggiva la portata dell’evento: si aveva chiara consapevolezza, e con giusta soddisfazione, della fine di un regime comunista, chiuso e illiberale e di uno stato di polizia (mirabilmente reso dal film, Le vite degli altri, nel 2006).

Ma la situazione era ripiena di molte altre sfide, che producevano una inattesa, grande spinta alla storia.

Queste consapevolezze sono utili e necessarie per capire l’origine della attuale crisi europea; manifestatasi, poi, con forza quando anche l’Europa è stata investita dalla crisi finanziaria ed economica, originatasi negli Stati Uniti e che ha trovato la costruzione europea, fino ad allora realizzata, impreparata.

Anche gli europeisti più convinti e padri del processo di integrazione europea avevano, a suo tempo, esplicitato l’esigenza di “condannare apertamente il rovinoso miraggio della riunificazione” (così Altiero Spinelli, in: Tedeschi al bivioLa Germania e l’unità europea, a cura di S. Pistone,1978). Nel 1990 si manifestò persino la contrarietà di massimi esponenti dell’intellighenzia tedesca (Jurgen Habermas, Gunter Grass erano tra questi). E questa circostanza spiega sufficientemente la complessità della situazione politica e geo-politica che si profilava.

La storia faceva uno sberleffo alla impreparazione dell’intera classe dirigente della politica europea.

Ricapitoliamo.

Sotto le macerie del muro di Berlino sono rimasti sepolti: la vergogna di una dittatura comunista, che costituiva una macchia nelle eredità culturali e umanistiche dell’Europa, la drammatica vicenda umana e il dolore di tanti caduti in fuga dall’Est all’Ovest sotto i colpi di una polizia cieca e ottusa e il sistema politico, economico e militare specifico della guerra fredda.

Quelle macerie, però , una volta che la polvere si è posata e con essa anche gli entusiasmi e la festa, hanno svelato: la “sorpresa” di una intera classe dirigente che, a sua volta, ci sorprende; la impreparazione sia dei governi sia degli apparati (le mitiche “cancellerie”) degli Stati che inquieta; il disegno strategico di unità europea (il sogno europeo originario degli anni cinquanta: fine delle guerre fratricide, la pace, l’unità a piccoli e progressivi passi) fondata consapevolmente su una condivisa e permanente divisione della Germania. Forse non si poteva pretendere di più dai fondatori di un sogno, degno veramente di questo termine, all’indomani di un’immensa sciagura: le due guerre mondiali.

Il crollo di un muro e la riunificazione delle due Germanie hanno definito, pertanto, il nuovo appuntamento con la storia dell’era contemporanea.

E’ una   lezione, non ancora ben acquisita sia dalle classi dirigenti dei Paesi membri dell’Unione, sia da diversi movimenti e organizzazioni della società civile europea. L’Unione europea che continua la sua costruzione dopo la riunificazione della Germania – con il primo passo del nuovo Trattato di Maastricht (1992) e poi con quello di Lisbona (2007) – è lontanissima dalla Comunità europea dei Trattati di Roma (1957)

L’Europa, dopo il 1989-1990, non è più soltanto la risposta alle tragedie del passato ma è – deve essere – una proposta strategica per affrontare le sfide del futuro.(Angelo Bolaffi).

Oggi, più di ieri o dell’altro ieri, è proprio la Germania a dover sempre di più e sempre meglio – nei suoi dirigenti e nella sua popolazione – essere consapevole della responsabilità grande che ha, di fronte a tutti gli altri paesi e altri popoli d’Europa.

È chiamata non ad essere solidale, ma ad essere responsabile: rispondere, cioè, a qualcuno (i paesi dell’Europa unita) di qualcosa (la sua riguadagnata unità, con il consenso e anche l’aiuto dei paesi europei)

(L’autore dell’articolo ha pubblicato, nel maggio 2014, EUROPA – ragazzi e ragazze riscriviamo il sogno europeo, Marotta&Cafiero).

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *