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L’innovazione sociale e le nuove forme dell’abitare

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Oggi leggendo i giornali sembra che tutti abbiano finalmente capito che si riparte solo se si ricomincia a pensare, a studiare, a progettare.
Superate ormai – di fatto – le secche della riforma costituzionale, acquisita la possibilità finanziaria (col PIL tendenziale intorno al +1%) dell’abolizione della Tasi per la prima casa, gli editorialisti più lungimiranti pongono la vera questione in essere: come ricostruire su basi solide non solo la fiducia dei consumatori, ma anche e soprattutto un modello complessivo di rilancio.
Comincia Francesco Grillo in “Dai populismi la sorpresa di un nuovo ciclo politico” sul Messaggero che lancia il grande tema delle “tecnologie che…trasformano buona parte della crescita economica in incrementi di produttività e rischiano di cancellare milioni di posti di lavoro nei servizi”.
Maurizio Ferrera in “Il pensatoio che manca per costruire la terza via all’italiana” sul Corriere punta sul “paradigma dell’investimento sociale…strategia che vede nelle politiche sociali e nell’istruzione la leva del cambiamento”.
Istruzione su cui punta anche Marta Rapallini in “Una formazione politica per una nuova identità” sull’Unità “Bisogna restituire valore alla conoscenza…ripartire dalla formazione per tutti e non solo per le giovani generazioni”.
Letta in questa sequenza la sostituzione di posti di lavoro tradizionali con nuove professionalità legate alle competenze ed ai servizi ad alto valore aggiunto è strettamente legata ad una politica della conoscenza che non può essere calata dall’alto, ma va legata alle vocazioni territoriali e deve partire dalle esigenze locali.
Finora l’innovazione tecnologica si è fermata al consumer senza entrare nella vita quotidiana reale.
Si sono sovvertiti soprattutto il telefono e il computer, ora la rivoluzione riguarda la tv e la mobilità (vedi), il prossimo settore da sovvertire sarà quello dell’abitare.
Una rivoluzione che coinvolgerà l’internet delle cose e le stampanti 3D.
Ma il ribaltamento di paradigma necessario perchè questa prossima rivoluzione non abbia solo un profilo consumer con relativa perdita di posti di lavoro (dall’edilizia all’industria del mobile) risiede nella capacità di coinvolgere gli attori (sia inquilini che proprietari) nella trasformazione degli immobili da fonti di spesa (e d’impoverimento) a produttori di reddito.
Gli edifici possono diventare centri di produzione di energia, di alimenti, di acque, di compost, di materiali da riciclo nonchè centrali di recupero delle polveri sottili.
Una tale trasformazione, con gli ampi spazi occupazionali conseguenti, può davvero dare vita a quell’innovazione sociale necessaria alla fuoriuscita dalla crisi.

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