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Ricerca di nuovi valori, maggiore consapevolezza e crisi economica stanno facendo ”dilagare” la sharing economy. Siamo forse di fronte una rivoluzione e non ce ne siamo accorti?
Un fenomeno in costante crescita da qualche anno, condividere e valorizzare spazi, esperienze, mobilità, la casa, i prodotti agroalimentari, esperienze di business con l’aiuto della rete si sta rivelando una modalità per combattere la crisi e mutuare nuovi modelli. La sharing economy comporta una nuova organizzazione della domanda e dell’offerta, in cui le persone contano molto di più. In questa nuova economia non vale il modello tradizionale che vede la distinzione tra produttori e consumatori, ma si va definendo un modello peer in cui i differenti soggetti si mettono sullo stesso piano, si scambiano beni e servizi sulla base di reciproche promesse, che diventano penalità nel caso in cui non vengano mantenute. Sintetizzando, c’è la possibilità di utilizzare un bene senza doverlo necessariamente acquistare. Per molti studiosi, questo cambiamento di paradigma, mette in discussione consolidati modelli economici, in quanto, in molti casi, si passa dalla cultura del“possesso di beni e servizi all’accesso dei suddetti”.Per altri, questo piccolo e concreto motore alternativo di sicuro non soppianterà l’economia tradizionale, ma proponendo modelli complementari rispetto a quelli esistenti e coinvolgendo amministrazioni pubbliche, imprese tradizionali, nuovi business, comunità e singoli cittadini, potrà portare benefici sociali ed economici anche importanti.
Secondo una ricerca Ipsos ( 2014)commissionata da Airbnb (condivisone di case vacanza) e BlaBlaCar (condivisione di auto per viaggiare insieme e dividere le spese), si fotografa che in Italia 75% della popolazione ha sentito parlare di sharing economy e, tra coloro che conoscono questo fenomeno, il 67% lo identifica con beni e servizi, mentre il 21% lo associa a un vantaggio economico.L’immagine della sharing economy è positiva presso la maggior parte degli intervistati, con il 31% interessato a utilizzarla, un 11% che si dichiara già utilizzatore e solo il 27% che si è invece dimostrato negativamente orientato verso il fenomeno.
Interessante anche la parte relativa all’identikit dell’utente tipo è interessante: 18-34 anni, abita in Centro, Sud o Isoleed è laureato e di classe sociale alta e media. Un dato interessante: il tanto discusso ceto-medio borghese che riorganizza la propria vita e riflette sui propri bisogni, si parte dalla convenienza per approcciare a nuove soluzioni. Il potenziale risparmio è la molla che sta provocando questo cambiamento ma dimostra come alla base ci sia anche una scelta di tipo valoriale.
Soltanto dalla lettura di questi dati, inizia a diventare inverosimile pensare che questo fenomeno non continuerà a dilagare, fenomeno che mette in discussione il ruolo stesso di consumatore o utente. Consumatore o utente che entra in una delle fasi di produzione del bene o di erogazione del servizio: da consumatore a prosumer.
Se ne sta accorgendo anche la politica del “palazzo” e se ne sono accorte le amministrazioni più attente, a partire dall’amministrazione milanese che lo scorso dicembre ha approvato una delibera, unica in Italia, in cui si dichiara che “sussistano i presupposti per cui la città di Milano possa assumere un rilevante posizionamento a libello europeo nella definizione di misure e modelli per le shareable cities, per una città all’avanguardia in cui sorgono economie locali autosufficienti dove i vicini si conoscono e gli imprenditori innovatori trovano spazio, dove le aziende possono crescere e nuovi paradigmi di welfare sorgere, dove i giovani possono trovare concrete possibilità per il proprio futuro”.
Con questo atto, l’Amministrazione locale, quella di prossimità, si posiziona come uno snodo fondamentale in questo processo che ha molte valenze sociali mettendo al centro il concetto di “comunità” stesso. Comunità che si stanno ridefinendo sulla base dell’ innovazione tecnologica, dei cambiamenti climatici , dei flussi migratori , e dei processi di gentrificazione.
Per quanto riguarda la promozione e la regolamentazione di questo fenomeno, molto interesse si è verificato per le forme di sostegno e diffusione all’economia collaborativa, molta preoccupazione si riscontra su come prevedere l’intervento regolatorio, contemperando l’esigenza di non “soffocare” nuove forme di innovazione ma non lasciare nemmeno vuoti normativi nelle forme di tutela. Si attende e si chiede, quindi, un intervento legislativo lungimirante orientato a far crescere il settore, monitorando i livelli di qualità del servizio,fornendo risposte in termini di tassazione dei redditi da sharing economy, spesso di difficile misurazione, individuando la responsabilità legale di chi offre servizi, e ancora regolando le questioni inerenti la privacy e l’utilizzo dei dati, migliorando il sistema di gestione dei reclami. Questo è solo qualche esempio. Un intervento normativo importante in grado di favorire la concorrenza ed aumentare il sistema di garanzie. Il recente ed attuale caso Uber ( condivisione auto) attesta l’urgenza di questo intervento. Il rischio, nel passaggio da consumer a prosumer, è quello di non “condividere” un impianto di tutele (anche se incompleto) per il consumatore-utente conquistato negli ultimi decenni. Accanto al concetto di “sharing economy, è opportuno introdurre quello di “sharing rights”. Nuove sfide e nuovi impegni per i prossimi anni.