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Le favole amare di Garrone (un po’ anche di Basile)
di Matteo Garrone. Con Salma Hayek, John C. Reilly, Christian Lees, Jonah Lees, Alba Rohrwacher Italia, Francia, Gran Bretagna 2015
Per la trama del film riprendo, con qualche aggiunta e correzione, quanto scritto, con grande efficacia, da Wikipedia:
Primo racconto – La regina:
Nel regno di Selvascura i reali ( Hayek e Reilly) tentano da tempo di avere un figlio ma non riescono nell’intento a causa della sterilità della regina. Si presenta al loro cospetto uno Negromante (Franco Pistoni) che consiglia loro un rimedio magico ed efficace per risolvere il problema: la donna mangerà il cuore di un drago marino che dovrà essere prima cotto da una vergine; in questo modo diverrà gravida. Il re si immerge quindi nelle profonde acque del lago del regno con una tuta da palombaro e cerca la creatura di cui il mago ha parlato. Trova il drago e lo colpisce a morte, ma durante la sua agonia il mostro infierisce un fatale colpo di coda al sovrano, che muore dopo essere riemerso. Il cuore viene cavato ed affidato alla serva vergine (Laura Pizzirani) che esegue la cottura richiesta, inalando però il fumo fuori uscito dalla pentola e rimanendo incinta. La regina e la serva partoriscono quello stesso giorno. Quella sera si celebra il funerale del re. A commemorare il sovrano vi sono anche il re di Altomonte (Toby Jones) con la sua piccola figlia, Viola, e il re di Roccaforte (Vincent Cassell)con alcune delle sue amanti. Sedici anni dopo, il figlio della regina di Selvascura, Elias (Christian Lees) e il figlio della serva, Jonah (Jonah Lees), che si assomigliano come gocce d’acqua, essendo nati tutti e due dalla magia del cuore del drago marino, stringono una profonda amicizia ma, per via dell’ostilità della regina nei confronti del figlio della serva, sono costretti a giocare di nascosto. Un giorno Jonah indossa i vestiti di Elias e si finge l’altro davanti alla sovrana, la quale, però, riconosce subito l’inganno. Illuso di aver beffato la regina, Jonah corre nelle stanze di Elias e gli racconta lo scherzo. Il principe promette quindi che, quando salirà al trono, entrambi potranno governare sostituendosi l’uno con l’altro. La regina, che origlia tutto, dirà amorevolmente al figlio che nessuno lo ama quanto lei. Dopodiché, tenta di avvicinare Jonah e ucciderlo con un tizzone ma questi riesce a sfuggirle. Il giorno dopo Jonah decide di lasciare il regno, ma prima di andarsene, saluta il compagno di giochi con un dono: trafitto un albero e fattone sgorgare fuori dell’acqua Jonah spiega ad Elias che il ruscello che ne verrà fuori rappresenterà il corso della sua vita (se scorrerà lieve, esso porterà serenità, se si intorbidirà, sarà un segno di sventura). In questo modo il principe saprà sempre come la vita del suo amico sta andando. Da quel giorno Elias custodisce gelosamente l’albero. All’improvviso il ruscello inizia a diventare torbido e scuro. Elias sale quindi in groppa ad un cavallo e si dirige a cercare l’amico. Raggiunge un villaggio in cui viene scambiato per Jonah dalla moglie di questi, Fenizia (Jessie Cave) e scopre che l’amico è scomparso dopo una battuta di caccia. Nel frattempo, il Negromante si presenta al cospetto della sovrana e le comunica che Elias rappresenta la metà inseparabile di Jonah e che, per questo, il principe si è diretto a cercare l’amico. La donna chiede al vecchio come eliminare Jonah. Intanto, questi è intrappolato in una grotta e tenta da giorni di chiamare aiuto. Giunge all’improvviso un ragno gigante che lo attacca ma sopraggiunge Elias e, con un colpo di lama, sventra la mostruosa creatura. Il principe riaccompagna Jonah a casa e si dirige verso il suo regno. Lungo il tragitto, il feretro del mostro che aveva attaccato Jonah si decompone, svelando la sagoma della regina, deceduta.
Secondo racconto – La pulce:
Nel regno di Altomonte la figlia del re, Viola (Bebe Cave), si diletta nella musica e nella letteratura, sognando un radioso futuro con un suo ideale principe azzurro, mentre il padre sviluppa con il tempo un particolare rapporto con una pulce. Si affeziona all’insetto a tal punto da iniziare a nutrirlo e a svilupparne enormemente lacrescita. La pulce diviene un giorno troppo grossa, da non riuscir più a respirare e muore. Il re, già provato per il lutto, non vuole che anche Viola, ormai in età da marito, lo lasci ed indice un torneo: chiunque indovinerà l’animale da cui proviene la pelle che metterà a disposizione (quella della gigantesca pulce) avrà la mano di sua figlia. Nessun pretendente potrà mai venire a capo dell’arcano e infatti tutti sbagliano ma all’improvviso giunge alla corte un mostruoso orco (Guillame Delaunay), che, dopo aver annusato la pelle della creatura, dà la risposta giusta. La principessa Viola è costretta ad andare a vivere con il gigantesco mostro in una lurida grotta sopra le montagne. Tempo dopo, mentre il l’orco è a caccia, Viola avvista una donna di circo (Rohrwacher) dall’altro lato della montagna e la implora di aiutarla. La mattina seguente, senza farsi notare, Viola si sporge sul bordo della montagna e avvista la donna con il marito (Massimo Ceccherini) e i tre figli (Vincenzo Nemolato, Giulio Beranek e Davide campagna), che hanno disteso ai due lati delle rocce una corda. Il più giovane prende la principessa e si appresta a camminare sulla fune. L’orco, tuttavia, si accorge della manovra e si aggrappa al filo per inseguirla. Arrivati dall’altro lato, Viola e il saltimbanco riescono a tagliare la corda, facendo precipitare il mostro nel fossato. Mentre la compagnia sale, felice, sul carretto. Improvvisamente, l’orco, che è sopravvissuto alla caduta, torna all’attacco. I saltimbanchi muoiono tra le mani del mostro. Viola non può far altro che concedersi nuovamente alla bestia. Egli se la carica sulle spalle, ignaro però chelei nasconde un pugnale fra le vesti. La principessa trafigge così l’orco e corre, sanguinante con la testa dell’orco fra le mani, al castello dal re, che è ormai in fin di vita. “Questo è il marito che avete scelto per me!”, dice sprezzante la principessa al padre che si abbandona in un lungo pianto. La ragazza, commossa, si commuove e lo stringe a sé.
Terzo racconto: Le due vecchie
Nel regno di Roccaforte il re si diletta in orge e divertimenti, fino al giorno in cui si innamora perdutamente della voce di una figura femminile incappucciata che ode cantare. Il sovrano si dirige davanti alla dimora della ragazza per farle la corte, senza sapere che all’interno vivono due anziane sorelle, Imma (Shirley Henderson) e Dora (Hayley Carmichael), la quale ha incantato il re con la sua bella voce. Senza farsi sfuggire l’occasione, Dora propone un patto al re: dovrà tornare da lei dopo una settimana, così che possa concedergli di vedere un dito della sua mano. Il sovrano acconsente. Dora tenta di lustrare il suo indice e di abbellirlo il più possibile, ma invano. All’ultimo momento la donna usa il dito della sorella, più levigato del suo, e lo mostra al re attraverso la fessura della porta. A questo punto l’uomo, mosso dal desiderio, invita la donna a recarsi a palazzo nelle sue stanze. Dora acconsente ma ad una condizione: il tutto dovrà avvenire al buio. Il sovrano accetta, e la notte seguente i due giacciono insieme, senza che il re si accorga dell’inganno. Tuttavia le luci del mattino rivelano il tranello, e il sovrano, carico di vergogna e orrore, ordina alle guardie di precipitare la donna giù dalla finestra. L’ordine viene eseguito, ma Dora si salva, impigliandosi fra i rami di un albero sottostante. Passa da quelle parti una strega (Kathtyn Hunter), che, spinta dalla compassione verso l’anziana, la libera e, abbracciandola, e le applica un incantesimo. Di li a poco giunge nei boschi il re, a caccia, e, al posto della vecchia, trova una bellissima giovane (Stacy Martin) nuda dai lunghi capelli rossi. E’ Dora, ringiovanita dalla maga. Il re decide di maritarsi con lei, e poco tempo dopo viene celebrato il loro matrimonio a cui partecipa anche Imma. Quest’ultima si meraviglia della bellezza dalla sorella e vuole sapere come ha ottenuto la giovinezza in modo tale da poter ricevere anche lei lo stesso dono; Dora, esasperata, le dice che si è tolta la vecchia pelle. Disperata, Imma si reca il giorno dopo da un ciabattino (Renato Scarpa) e gli offre i gioielli del vestito che Dora le ha procurato per il matrimonio, in cambio di un favore: l’uomo dovrà scorticarla per farla tornare giovane; il brav’uomo si rifiuta. Lei fa la stessa richiesta ad un arrotino(Kenneth Collard), che la porta nel bosco e la accontenta. Imma torna, priva di pelle sanguinante ed agonizzante verso il palazzo reale.
Poco dopo, nel regno di Altomonte, Viola viene incoronata regina, al cospetto del suo popolo, del nuovo sovrano di Selvascura, Elias, del sovrano di Roccaforte e della sua regina Dora. Quest’ultima, mentre si celebra l’incoronazione, avverte uno strano effetto sulla sua pelle: si stanno rigenerando sul suo corpo le sue sembianze da vecchia. Triste, impaurita ed avvilita, la donna si lancia in un malinconico pianto e si allontana sotto lo sguardo attonito del marito, mentre continuano i festeggiamenti.
Lo cunto de li cunti è la più antica raccolta di fiabe della storia della letteratura; pubblicato tra il 1634 ed il1636, pochi anni dopo la morte dell’autore Giambattista Basile, contiene alcune delle favole, rese note, in seguito dai Grimm e da Perrault: Cenerentola, La bella e la bestia, Il gatto con gli stivali, Raperonzolo ma Il pentamerone – questo il titolo italiano della raccolta – è anche uno dei più belli e significativi testi della nostra letteratura (non a caso Benedetto Croce li ha voluti tradurre in italiano dall’originario napoletano arcaico) : i re, le regine, le principesse, i maghi e le streghe sono immersi in un quotidiano terragno e corporale nel quale sono alla pari di villane e porcai, con una dimestichezza che è tipica della antica cultura contadina. Il cinema è stato spesso tentato alla riduzione di quel testo ma l’unica operazione era stata fino ad oggi C’era una volta di Rosi, con Sophia Loren ed Omar Sharif. A Garrone vanno riconosciuti due meriti: l’aver rotto l’incantesimo – a proposito di favole – mettendo in scena, con sostanziale fedeltà, tre racconti (il film di Rosi era un patchwork di racconti, rielaborati – lo dico con grande rispetto per l’operazione- in chiave partenopeo-hollywoodiana) e l’intuizione di adeguare il racconto, almeno in parte, alle grandi operazioni di fantasy degli ultimi anni (da Biancaneve e il cacciatore a Il trono di spade). Il risultato è problematico: il budget del film (12 milioni) è eccezionale per il nostro cinema ma il confronto con i modelli di riferimento, che costano almeno 10 volte tanto (e nel cinema, i soldi, se ben spesi, sono una componente fondamentale della creatività) non è così lusinghiero e, inoltre, Garrone sostituisce il popolano e visceralmente inverecondo cinismo del Basile, un’amarezza – modernamente ma anche anacronisticamente – predicatoria, che aggiunge pesantezza e un po’ di nobile noia ai racconti; per intenderci: qualche anno fa Beppe Barra lanciò una versione drammatica della famosa macchietta M’agg’a curà, era intensa e godibile ma durava 3 minuti non 128! . Cannes, non a caso, ha mostrato qualche iniziale perplessità.