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LI HANNO chiamati “Zeta”, in mancanza di meglio. Camaleontici, inafferrabili, social, abitano l’universo dei videogiochi di “Minecraft”, adorano gli Youtubers e gran parte della loro vita è scandita dalla “i”, minuscola, di iPod, iPad, iPhone. Velocissimi, esperti, incredibili tecno-navigatori sono i nuovi bambini e i nuovi teenager della “Generazione Z”. Fratelli dei “Millennials”, primogeniti della “Generazione X”, nipoti dei “Baby Boomers”, sono nati quando il mondo era già un’unica connessione, e le loro ecografie prenatali filmate in 3D. I più vecchi, venuti al mondo nel 2000, hanno 15 anni, i più giovani sono cresciuti nel mix multietnico dell’Italia globale. Per battezzarli, negli States, “Usa Today” aveva lanciato nel 2012 un gigantesco sondaggio. “Wii-Gen”, “i-Gen”, “Post-Gen”, erano state le risposte, nessuna efficace però. Poi è arrivata la definizione: “Generazione Z”, firmata dal sociologo Neil Howe, già scopritore insieme a William Strauss dei “Millennials”. Zeta, come la fine di un ciclo, diviso tra il prima e il dopo l’11 settembre. Come Oskar, il ragazzino di 9 anni che attende invano il padre sepolto nelle Torri Gemelle, protagonista dello struggente romanzo di Jonathan Safran Foer, “Molto forte, incredibilmente vicino”.
L’ultima lettera dell’alfabeto, dunque, per descrivere ragazzini nati negli anni della grande crisi, incastrati nella fine delle certezze occidentali, e assai più poveri dei loro fratelli maggiori. Ipotecati da un debito di migliaia di euro sulle loro teste, i primi per cui la vita digitale non è diversa da quella reale, autonomi, ecologisti, spesso figli unici, abilissimi nell’imparare così come nel bruciare nuove tecnologie, ma ben coscienti già dall’infanzia di doversela cavare da soli. Dietro ci sono famiglie impoverite, reti di welfare disintegrate e la grande disillusione dei trentenni senza lavoro. Con tutte le incognite che ne conseguono, così sottolineava qualche giorno fa il «New York Times», in un preoccupato editoriale dal titolo: «Cercando una strada per la Generazione Z».
In Italia gli “Zeta” sono circa un milione e mezzo di bambini e adolescenti, ma è inutile cercare saggi e ricerche, le nostre indagini si sono fermate ai «Millennials». Di questi ultimi, diventati maggiorenni alla vigilia del nuovo secolo, il demografo Alessandro Rosina, è uno dei massimi esperti, e conferma che nel nostro paese le ricerche sui post, i ragazzini nati negli ultimi quindici anni, sono appena iniziate. «Di questa “Generazione Z” si sa ancora poco, ma alcuni tratti sono già evidenti. Sono i primi adolescenti ad avere genitori con competenze digitali, a poter comunicare con lo stesso linguaggio. Ad un “Millennial” non sarebbe capitato che la mamma mettesse le sue foto su Facebook. Genitori e figli oggi sono uniti, non divisi dalla Rete, anche se naturalmente i ragazzi cercano in tutti i modi di nascondersi ». Gli “Zeta”, poi, sono la prima generazione di bambini italiani a contatto, in tutto e per tutto, con coetanei immigrati di seconda generazione, oltre il 15% soltanto nella scuola primaria. «Li caratterizza una estrema velocità, la capacità di confrontarsi con altre culture, l’autoproduzione del sapere attraverso la Rete. Sono spinti precocemente a fare da soli, e faticano a riconoscere l’autorità. Con non pochi problemi, ad esempio, sul fronte scolastico». I figli della «Generazione X» insomma sarebbero in grado, fin da piccoli, di trovare la bussola nel mondo complesso che li circonda. Esponendosi però a rischi seri. La Tv, cattiva maestra dei “Millennials”, non era tanto pericolosa quanto può esserlo uno smartphone. «Perché la Tv — mette in guardia Rosina — può diffondere messaggi sbagliati, ma oltre lo smartphone c’è un ignoto ancor più rischioso».
In attesa delle ricerche italiane, bisogna attingere al libro «Generations » di Howe e Strauss (oggi scomparso) alla loro cronologia esistenziale, per raccontare miti e totem dei passaggi d’età, dal dopoguerra ad oggi. I «Baby Boomers », nati tra 1946 e il 1964, figli dell’esplosione demografica post bellica e del miracolo economico. La «Generazione X» (1965-1980) dal libro ormai classico di Douglas Coupland, i primi giovani a non conoscere guerre, a raggiungere in massa l’istruzione superiore, la rivoluzione del ‘68 e il femminismo. I “Millennias” (1981-2000), ragazzi dell’Erasmus di Schengen, liberi dalla leva obbligatoria, altamente preparati e disperatamente senza lavoro. Giovani che in Italia stabiliscono il record di denatalità, ed emigrano in massa, come i loro bisnonni.
Ora la lente d’ingrandimento si sposta sui fratelli più piccoli. Già catturati dalle ricerche di mercato, in cerca di nuovi consumatori. Eppure leggendo “I nuovi bambini”, saggio di Paolo Ferri, professore di Teoria e tecnica dei nuovi media all’università Bicocca di Milano, si capisce che la Generazione Z ha già una identità precisa. Dai loro cult, come il videogioco milionario “Minecraft”, che ricorda le “Città invisibili” di Italo Calvino, all’abitudine di filmare ogni momento della giornata. Dai loro miti pop, oggi Youtubers come Favij (Lorenzo Ostuni) ma anche Jovanotti, i precocissimi ragazzini Zeta sembrano consapevoli di dover riscrivere le regole del gioco.
“I nuovi bambini” è una guida, pensata da un padre (Ferri) immigrante digitale, per genitori spaventati dalla seconda pelle virtuale dei loro figli. «Gli “Zeta” sono ragazzini con il digitale nel Dna, così li ha abilmente definiti la “Jwt”, grande agenzia di pubblicità. Del resto sono figli di madri che hanno messo online le ecografie di quando li aspettavano, e fin da piccolissimi hanno visto i genitori con in mano un iPhone. Bambini che rappresentano una rivoluzione antropologica, una variante dell’ homo sapiens , ce ne dobbiamo fare una ragione». Il problema è la tecnofobia dei grandi. I quali però sono i primi a fare un uso malsano di Internet. Spiega Ferri: «Cosa potrà imparare teenager che vede i genitori navigare in Rete, ma solo per chattare su Facebook? Pensiamo sempre che siano i più piccoli a dover cambiare i loro comportamenti, qui invece la rivoluzione è alla rovescia e inizia dai grandi».
Ed è (anche) questo che racconta Giorgio Ghiotti, giovanissimo scrittore, classe 1994, dunque “Millennial”, nel suo libro “Dio giocava a pallone” (Nottetempo). Storie di primi amori e di prime trasgressioni dei teenager della “Generazione Z”. «Quando vado nelle scuole, a parlare di libri, vedo adolescenti affamati di emozioni, esattamente come eravamo noi alla loro età. Ascoltano, ma non vogliono indicazioni né strade già tracciate. La generazione Zeta cammina con regole proprie e gli adulti non possono che adeguarsi».