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Tor Sapienza: cassonetti in fiamme per gli sfratti Ater

I rifugiati non c’entrano.

La rabbia dei residenti stavolta non ha niente a che fare con i profughi del centro di accoglienza. “Pensano di prenderci in giro? Questo è solo un modo per togliere i riflettori dai problemi veri”

Cassonetti in fiamme nella notte, istituzioni sul posto al mattino, rifugiati allontanati dal centro di accoglienza, blindati dei Carabinieri, cittadini davanti al Lory Bar. A Tor Sapienza sembra di assistere al copione di Novembre, quando nel quartiere scoppiò la rivolta contro il centro di accoglienza di viale Morandi. Ma attenzione, perché l’apparenza inganna.

Se infatti in autunno i profughi hanno fatto almeno da capro espiatorio di una periferia malata che gridava aiuto, stavolta non c’entrano nulla. La rabbia covata, quella che ha spinto qualcuno a incendiare i secchioni, ha ben altra ragione: ottanta lettere di sfratto arrivate da Ater agli inquilini delle case popolari, decine e decine tra occupanti e morosi. Decine e decine di famiglie con bambini che rischiano di restare senza un tetto. E’ questo il motivo reale. E l’estraneità dei rifugiati rispetto al gesto di protesta è chiara a tutti, anche agli amministratori.

“Non c’è stata nessuna tensione tra cittadini e ospiti del centro” ha spiegato il vicesindaco Luigi Nieri, sul posto per un sopralluogo in mattinata con la dottoressa Rossella Matarazzo, delegata alla sicurezza del Campidoglio, e il presidente del V Municipio, Giammarco Palmieri. Nessuna tensione, niente di più vero. Ma la prima mossa dell’amministrazione è andata comunque in quella direzione.

I quaranta richiedenti asilo sono stati trasferiti a notte fonda, come ha subito comunicato alla stampa l’assessore alla Politiche Sociali, Francesca Danese, sul posto dopo il rogo. “Prenderò questi ragazzi e li porterò in un posto importante della città, non posso dire quale”. Nel più breve tempo possibile e rigorosamente scortati dalla polizia, onde evitare qualunque tipo di ritorsione. La decisione di allontanarli era stata già presa e comunicata al quartiere a Gennaio, ma la stretta sul trasferimento e le parole di commento dell’assessore non sono piaciute granché ai residenti.

“E’ una sconfitta per me e per tutta Roma, li trasferiamo subito e da questa sera avranno una casa più accogliente. Non meritano questa situazione nè loro nè i residenti. Spero che questa città sappia accogliere in maniera diversa”. Già, ma questa volta non sembra esserci ragione alcuna per tirare in ballo l’accoglienza. E comunque “l’emergenza immigrazione è l’ultimo dei problemi per questo quartiere”.

Lo dicono tutti, dal Comitato di Quartiere Morandi Cremona, interlocutore delle istituzioni da mesi che proprio questo pomeriggio verrà ascoltato in Campidoglio, ai semplici cittadini seduti sul muretto del bar, che ora temono il tranello mediatico. “Ci vogliono prendere in giro? Allontanare quelli del centro non è altro che un modo di spostare l’attenzione dal problema. Li hanno cacciati nella notte facendoci passare a noi come i cattivi che non li volevamo. Ma il problema non è questo, e lo sanno tutti”.

Roberta è tra quelli che hanno ricevuto il “decreto di rilascio di alloggio di edilizia residenziale pubblica”, perché “occupa senza titolo” da novembre 2013. Due figli piccoli, disoccupata, tira avanti con l’assegno di mantenimento che le gira il marito, non può permettersi un affitto, e al di là che sia in torto e sia la prima a riconoscerlo, si aspetta almeno un accordo con Ater che preveda forme di tutela, ma soprattutto si aspetta che gli amministratori non chiudano gli occhi. “Se quello di spostare i rifugiati è un modo per togliere i riflettori dal quartiere e fare finta che tutto si stia risolvendo hanno sbagliato”. Che insomma non passi il messaggio “ora che non ci sono più i rifugiati, è tutto a posto”. Perché così non è.

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