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Con Uber, contro il mercato delle tribù

In questi anni il mercato è divenuto sempre più incontrollabile. Staccatosi da una dimensione tutta reale, fatta di luoghi, documenti cartacei e strumentazioni, s’è spostato su Internet ed esiste sotto forma d’app. Una legislazione arcaica e restrittiva come quella italiana, che tende a creare categorie entro le quali far agire il cittadino per tassarlo e regolamentarne l’azione, non riesce più a star al passo con quella forma di libero mercato fatta di collaborazioni e di condivisione, e che si svolge in una sorta di zona grigia, al limite con l’illegalità.

Finora avevano beneficiato tutti della zona grigia. I barbieri tagliavano i capelli a domicilio, rigorosamente in nero. Pensionati con abilità pratiche s’improvvisavano tuttofare e arrotondavano la pensione facendo riparazioni domestiche. Tassisti facevano pagare un po’ di più il turista straniero, con la connivenza di tutti i colleghi, o si offrivano di trasportare in giro carichi poco legali o signorine troppo procaci. Il tutto accadeva nell’ombra, col beneplacito delle autorità — impossibilitate a controllare tutti per ovvi motivi pratici — e con grande spirito di collaborazione tra i coinvolti. L’idea alla base di tutto era che bisognava mangiare tutti, e ha funzionato finché gli attori sul mercato sono rimasti sempre gli stessi.

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Poi sono arrivate le app per smartphone, ed è arrivata sul mercato una generazione di disoccupati che sa usare benissimo Internet e ha bisogno di campare esattamente come tutti gli altri. Il problema di questa nuova generazione è che ha sfruttato la zona grigia in modo massiccio, industriale, sistematico, organizzandosi su Internet. Ne ha fatto non più una stradina dissestata per pochi, ma una grande via consolare lastricata per molti. Per tutti, anzi. Nascono così UberPOP, Airbnb, BlaBlaCar e tutti quei servizi che permettono a chiunque di divenire un fornitore di servizi.

La recente protesta dei tassisti contro UberPOP — l’ennesima — sembra ancor una volta dimostrare che i tassisti non vogliono la legalità totale nell’esercizio della loro professione: vogliono semplicemente che la concorrenza sia dichiarata illegale dalle autorità. La categoria dei tassisti pretende che vengano effettuati controlli sulle app, e non in modo generico sulla loro attività di trasporto pubblico. Un controllo generico metterebbe in pericolo la zona grigia nella quale molti di loro hanno sempre operato senza scatenare alcuna protesta. Di tanto in tanto, in passato, c’era qualche sciopero contro i tassisti abusivi, coloro che si fingevano tassisti senz’averne la licenza. Anche in quel caso, i tassisti regolari chiedevano alle forze dell’ordine e alle autorità di scacciare dal mercato la concorrenza sleale; ma non hanno mai chiesto di controllare quelli che, tra di loro, commettessero quelle piccole irregolarità che permettono a tutti di campare e sulle quali si tace di comune accordo. Eppure queste irregolarità, quando scoperte, danneggiano l’immagine dell’intera categoria: perché non ci sono state proteste? Come detto, le piccole irregolarità commesse nella zona grigia non intaccavano pesantemente l’intera categoria. Erano al massimo una rogna per quei pochi colleghi che operavano nelle stesse zone, ma in linea generale il mercato non ne usciva modificato.

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Uber, invece, è giunto a modificare totalmente gli equilibri e ha trasformato la zona grigia non più in un rifugio temporaneo per pochi, ma nell’unica zona in cui operano centinaia di nuovi fornitori di servizi. Non c’è più l’abusivo che finge d’appartenere alla categoria privilegiata, ma c’è qualcuno che si tiene ben distante dalla categoria e che anzi offre i suoi servizi mascherandoli da semplice favore che viene poi ripagato da chi lo riceve. Un do ut des che ha la pretesa di restare fuori dall’àmbito commerciale e che giunge sul mercato come nuova forma di collaborazione tra cittadini/utenti. Una collaborazione organizzatissima, cui le categorie tradizionali non possono opporsi.

Per i tassisti, Uber è lo straniero che è venuto a rubare il lavoro, senza sottomettersi ai piccoli cartelli locali e a quelle leggi non scritte del «come si è sempre fatto». È un po’ come il medico giunto nel villaggio in cui il monopolio delle cure era in mano allo sciamano da secoli. Per quanto lo sciamano possa additare il nuovo giunto come servitore del demonio, è solo questione di tempo prima che gli utenti si rendano conto della maggior efficienza del medico e abbandonino il vecchio monopolista.

Il fenomeno della zona grigia non ha colpito solo i tassisti, sia chiaro. Ultimamente sono sempre più frequenti gli «home restaurant», servizi di ristorazione a domicilio. Dei perfetti sconosciuti s’incontrano a casa di un cuoco improvvisato, previo accordo, e mangiano esattamente come si farebbe al ristorante. Nulla impedisce, infatti, alle persone di ricevere gente in casa e d’offrirle un pranzo o una cena, e nulla impedisce ai convitati di pagare il cuoco per il servizio offerto. Dopotutto, è ciò che si fa spesso tra amici. In molte zone d’Europa, gli home restaurant si stanno organizzando in grossi network che controllano persino la qualità dei pasti offerti e garantiscono sui prezzi. Insomma, il fenomeno s’è esteso, facendo leva sull’impossibilità di controllare ogni ricevimento privato e sul diritto di ricevere in casa chiunque si desìderi, amico o straniero. In Italia c’è stata già qualche lieve protesta contro gli home restaurant, e probabilmente tra qualche anno assisteremo a uno sciopero nazionale dei ristoratori, che chiederanno al governo maggiori controlli sulle app che permettono l’incontro fra domanda e offerta di servizi di ristorazione a domicilio. Sosterranno che si tratta di una pratica abusiva che va sradicata, ma non pretenderanno mai che i controlli siano effettuati sui locali di tutti i ristoranti, per capire chi svolge la professione in locali abusivi o chi paga l’affitto in nero: questo sarebbe troppo. L’unica preoccupazione è scacciare la concorrenza con la legge.

> Uber è solo l’inizio

Uber non è semplicemente un’azienda in crescita: è un fenomeno. È il mercato del nostro secolo, di un mondo interconnesso che tenta di sfuggire ai lacci dello Stato e d’organizzarsi in tanti porti franchi nei quali l’aspetto volontaristico e la fiducia prevalgono sulle garanzie che lo Stato si arroga d’offrire. Opporsi a Uber sarebbe come opporsi all’invenzione della stampa con la sola motivazione che essa avrebbe tolto il lavoro ai copiatori di libri. Purtroppo o per fortuna, il progresso mieterà sempre delle vittime, ma a nessuno è vietato adeguarsi: semplicemente, fa più comodo protestare coi governi e chiedere di fermare il mondo per fare un favore a pochi.

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